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domenica 25 settembre 2022

Risposta a Fastiggi (et al.): L’“abito nuziale della fede” di papa Francesco non è “fede formata dalla carità”

Nella nostra traduzione da Rorate caeli, il teologo canadese J. Lamont replica a R. Fastiggi (et al.): L’“abito nuziale della fede” di papa Francesco non è “fede formata dalla carità”. Replica particolarmente interessante perché il testo di Fastiggi rappresenta una risposta alla Dichiarazione “ L’insegnamento della fede cattolica sulla ricezione della Santa Eucaristia” (qui). Il problema di fondo è sempre quello delle affermazioni monche, la cui discutibile correttezza emerge solo da sottigliezze di interpretazione de iure accessibili unicamente a teologi e studiosi (peraltro già la necessità di interpretazione presuppone incompiutezza o ambiguità). Mentre di fatto esse lasciano passare messaggi spuri non identificati come tali dagli ascoltatori comuni.

Risposta a Fastiggi (et al.): L’“abito nuziale della fede” di papa Francesco non è “fede formata dalla carità ”
Dr. John Lamont

Il Dr. Robert Fastiggi ha pubblicato (qui) una risposta a “L’insegnamento della fede cattolica sulla ricezione della Santa Eucaristia” (qui), una dichiarazione rilasciata recentemente da alcuni cattolici in risposta alle dichiarazioni e alle azioni di Papa Francesco in merito ai requisiti per la ricezione della Santa Eucaristia, in particolare le sue affermazioni all’interno della Lettera Apostolica Desiderio desideravi. Il Dr. Fastiggi detiene la Cattedra di Teologia Dogmatica e Cristologia del Vescovo Kevin M. Britt presso il Seminario Maggiore del Sacro Cuore (Sacred Heart Major Seminary) di Detroit. Alcune delle sue obiezioni alla dichiarazione sono state sollevate da altri cattolici. In quanto teologo e firmatario della dichiarazione, desidero dare una risposta.

Il Dr. Fastiggi nega la possibilità che un Papa faccia una dichiarazione eretica in un documento magisteriale, per i seguenti motivi:
È gravissimo accusare il Romano Pontefice di contraddire un insegnamento infallibile di un concilio ecumenico. Questa stessa accusa sembra contraddire quanto insegna un altro Concilio ecumenico — vale a dire il Vaticano I — quando afferma che “questa Sede di San Pietro rimane sempre incontaminata da ogni errore” (Denz.-H., 3070) e che “su questa cattedra il carisma della verità e della fede incrollabile è stato conferito a san Pietro e ai suoi successori” (Denz.-H, 3071). I firmatari di questa recente dichiarazione affermano che i papi possono insegnare pubblicamente l’errore quando non insegnano infallibilmente. Essi sembrano presumere che i papi possano insegnare anche gravi errori ed eresie nel loro magistero ordinario. Citano tuttavia fonti discutibili e soggette a errore, che conciliano difficilmente le loro affermazioni con quanto insegnano il Vaticano I e altri documenti del magistero sull’indefettibilità della Sede Apostolica. Questa indefettibilità non impedisce ai papi di peccare e di commettere errori prudenziali. Tuttavia, li protegge da gravi errori ed eresie nei loro pronunciamenti magistrali ordinari.
La Pastor Aeternus del Vaticano I non limita “il carisma della verità e della fede infallibile” ai soli pronunciamenti infallibili del Romano Pontefice. Questo carisma, certo, non significa che ogni insegnamento ordinario del papa sia infallibile nel senso stretto di essere definitivo e irreformabile. Il carisma pontificio della verità e della fede incrollabile, tuttavia, impedisce al Romano Pontefice di insegnare l’errore grave o l’eresia.
C’è una mancanza di chiarezza nel primo paragrafo di questa critica. Il termine “magistero ordinario” è usato di solito per riferirsi al magistero ordinario universale della Chiesa. Questo magistero si esercita quando il Papa e i Vescovi cattolici di tutto il mondo propongono alla fede un insegnamento di fede come divinamente rivelato nel corso della loro attività generale di insegnamento e di istruzione dei fedeli. Il magistero ordinario universale è infallibile. Le affermazioni di papa Francesco all’interno della Lettera apostolica Desiderio desideravi non fanno parte dell’esercizio del magistero ordinario universale della Chiesa. Questa lettera è un esercizio di quello che a volte viene definito il magistero autentico del papa. Tale magistero è composto da affermazioni pontificie che, pur non essendo mere espressioni di opinione personale, hanno una pretesa di autorità ma non soddisfano le condizioni per un insegnamento infallibile.

Il Dr. Fastiggi dichiara che l’affermazione secondo cui Desiderio desideravi insegna l’eresia contraddice l’insegnamento del Vaticano I sul carisma della verità donato al romano pontefice contenuto nella Pastor aeternus. Questa questione è affrontata dalla seguente dichiarazione:
La Lettera Apostolica Desiderio desideravi non è un insegnamento infallibile, perché non soddisfa le condizioni necessarie per un esercizio dell’infallibilità papale. Il canone del Concilio di Trento è esercizio dell’infallibile potere magistrale della Chiesa. Pertanto, la contraddizione tra Desiderio desideravi e la dottrina definita dal Concilio di Trento non annulla la pretesa della Chiesa cattolica di essere infallibilmente guidata dallo Spirito Santo quando, con un esercizio del suo ufficio di magistero, essa esige che tutti i cattolici credano che una dottrina sia divinamente rivelata. Sulla possibilità che un papa insegni pubblicamente l’errore, si veda la Correctio filialis indirizzata a papa Francesco da alcuni studiosi cattolici, e le discussioni nel libro Defending the Faith against Present Heresies [Difendere la fede dalle eresie attuali] (Arouca Press, 2021).
Il Dr. Fastiggi non afferma che Desiderio desideravi soddisfa le condizioni per un magistero infallibile. Accetta che non è infallibile. Il punto che vuole dimostrare è che l’insegnamento del Vaticano I sul carisma della verità dato al Romano Pontefice non solo esclude l’errore nelle dichiarazioni pontificie che soddisfano le condizioni per un insegnamento infallibile, ma esclude anche l’errore grave o l’eresia nelle dichiarazioni pontificie magisteriali che non soddisfano queste condizioni.

Ciò è falso. L'insegnamento della Pastor aeternus sull’autorità dell’insegnamento papale riguarda esclusivamente l’insegnamento papale infallibile:
Questo dono di verità e di fede incrollabile è stato dunque divinamente conferito a Pietro e ai suoi successori in questa Sede, affinché adempissero il loro eccelso ufficio per la salvezza di tutti, e affinché tutto il gregge di Cristo fosse allontanato dal cibo velenoso dell’errore e nutrito con l’alimento della dottrina celeste. Così viene rimossa la tendenza allo scisma e tutta la Chiesa è conservata nell’unità e, poggiando sulle sue fondamenta, può restare solida contro le porte dell’inferno.
Ma poiché proprio in quest’epoca in cui è particolarmente necessaria la salutare efficacia dell’ufficio apostolico non sono pochi quelli che ne denigrano l’autorità, riteniamo assolutamente necessario affermare solennemente la prerogativa che l’unigenito Figlio di Dio si è compiaciuto di attribuire al supremo ufficio pastorale.
Pertanto, aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta fin dall’inizio della fede cristiana, a gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione cattolica e per la salvezza del popolo cristiano, con l’approvazione del Sacro Consiglio, insegniamo e definiamo dogma divinamente rivelato che quando il Romano Pontefice parla EX CATHEDRA, cioè quando, nell’esercizio del suo ufficio di pastore e maestro di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina concernente la fede o la morale di tutta la Chiesa, possiede, per l’assistenza divina promessagli nel beato Pietro, quell’infallibilità di cui il divin Redentore volle che la sua Chiesa godesse nel definire la dottrina della fede o della morale. Pertanto, tali definizioni del Romano Pontefice sono di per sé, e non per il consenso della Chiesa, irreformabili.
Il testo della Pastor aeternus afferma qui chiaramente che il dono della verità e della fede infallibile conferito a Pietro e ai suoi successori di cui essa tratta è il dono esercitato dai papi nel pronunciare definizioni infallibili della fede. La “prerogativa che l’unigenito Figlio di Dio si è compiaciuto di attribuire al supremo ufficio pastorale” di cui si parla è prerogativa dell’insegnamento infallibile. La Pastor aeternus non dice nulla sull’insegnamento papale non infallibile. Inoltre, la sua definizione e descrizione dell’infallibilità papale sono state deliberatamente formulate per escludere la posizione dei massimalisti papali, come il teologo inglese W.G. Ward, il quale sosteneva che le affermazioni delle encicliche papali sono dichiarazioni infallibili.

Il dottor Fastiggi può ovviamente sostenere che la sua posizione sulle dichiarazioni papali non infallibili è vera nonostante non sia stata insegnata dal Concilio Vaticano I. Deve però ammettere che, poiché un’autorità didattica che non è infallibile è per necessità logica fallibile, possono esistere degli errori in documenti didattici papali non infallibili. La sua tesi sembra essere che, sebbene le espressioni papali non infallibili possano contenere alcuni tipi di errori, non ne possono tuttavia contenere altri, e che gli errori che non possono contenere includono gli errori gravi e le eresie.

Non c’è alcuna ragione per cui questa tesi debba essere accettata ed esistono obiezioni che la smentiscono definitivamente. Possiamo accettare che l’insegnamento cattolico richieda che la maggior parte o anche virtualmente tutto l’insegnamento papale non infallibile debba essere accettato come vero. Se tale insegnamento non fosse vero la maggior parte delle volte, sarebbe irragionevole dargli credito. Ma da ciò non consegue che in una minoranza di casi — per quanto pochi essi siano — in cui il contenuto di tale insegnamento non aderisce alla verità, le false affermazioni in questione non possano essere errori gravi o eresie.

La questione degli insegnamenti papali infallibili e non infallibili riguarda la fede e la morale cattolica. Gli insegnamenti non infallibili, per la loro stessa natura, possono contenere affermazioni false. Ma un’affermazione falsa sulla fede o sulla morale o è un’eresia o è un errore grave. L’eresia e l’errore consistono proprio nella falsità riguardo alla fede o alla morale.

Si consideri anche cosa implica una garanzia di assenza di eresia o errore grave. Il carisma dell’insegnamento infallibile è possibile solo mediante l’assistenza dello Spirito Santo, poiché un discernimento infallibile della verità supera le facoltà della natura umana, ossia della natura creata. Ma la stessa cosa si può affermare a proposito dell’assoluta garanzia di assenza di eresia ed errore grave, che è qualcosa che supera le facoltà della natura umana, proprio come nel caso dell’assenza di errore. Essa deve essere un dono dello Spirito Santo. Siamo autorizzati a credere nell’esistenza di un tale dono solo sulla base della rivelazione divina. Ma l’esistenza di un tale dono non fa parte della fede cattolica divinamente rivelata. Non ce n’è alcuna indicazione nella Scrittura o nella tradizione.

Ci sono esempi di insegnamento papale non infallibile sulla fede o sulla morale che si contraddicono nettamente a vicenda; l’insegnamento sulla moralità della pena di morte è un buon esempio. L’insegnamento di papa Francesco contraddice quello dei precedenti insegnamenti papali su questo tema. (Vedi l’analisi di padre Brian Harrison qui). [Vedi anche qui - ndT]

Infine, dato che l’insegnamento papale non infallibile riguarda per sua natura la fede e la morale, ritenere che non possa contenere gravi errori o eresie rende tale insegnamento indistinguibile a tutti gli effetti religiosi dall’insegnamento infallibile. Ciò conferisce all’insegnamento che non ha l’assistenza dello Spirito Santo un carisma che è promesso solo all’insegnamento infallibile. Questa è precisamente l’obiezione che è stata fatta ai papalisti massimalisti come W. G. Ward prima del Concilio Vaticano I e che ha determinato la formulazione della definizione di infallibilità papale da parte di quel Concilio.

Il Dr. Fastiggi sostiene anche che papa Francesco non ha mai pronunciato le affermazioni eretiche sull’Eucaristia che la dichiarazione gli attribuisce. Egli osserva che il 14 marzo 2018 Papa Francesco ha insistito sulla necessità della confessione prima di ricevere la Santa Comunione. In quell’occasione Papa Francesco ha detto:
Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Nel “Padre nostro”, dicendo al Signore: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, chiediamo non solo il cibo per il corpo, ma anche il dono del Pane eucaristico, nutrimento dell’anima. Sappiamo che chi ha commesso un peccato grave non deve accostarsi alla Santa Comunione senza aver prima ottenuto l’assoluzione nel sacramento della Riconciliazione. La Quaresima è un’occasione per avvicinarsi a quest’ultima, per confessarsi bene e per incontrare Cristo nella Santa Comunione. L’incontro con Lui dà senso alla nostra vita. Vi benedico di cuore. [fonte]
Questa affermazione di Papa Francesco è certamente buona e corretta. Tuttavia, la questione non è cosa ha detto nel 2018, ma cosa ha detto nel 2022 in Desiderio desideravi. I Papi, come gli altri uomini, possono cambiare idea e contraddirsi.

La difesa del Dr. Fastiggi di Desiderio desideravi è più pertinente. Egli difende l’affermazione di Papa Francesco secondo cui “Per essere ammessi alla festa basta l’abito nuziale della fede che sorge dall’ascolto della Sua Parola” (cfr. Rm 10, 17):
Se ogni testo viene letto nel suo giusto contesto, non credo ci sia una contraddizione tra quanto dice Papa Francesco in Desiderio 5 e quanto insegna Trento nel canone 11 sull’Eucaristia. L’abito nuziale della fede è inteso dalla Chiesa come una fede che include speranza e amore (cfr. Concilio di Trento, Decreto sulla giustificazione, cap 7; Denz.-H. 1531). Questa è la fede che dà la vita. Ciò che Papa Francesco afferma in Desiderio 5 va letto all’interno di questa comprensione cattolica della fede e del suo contesto più immediato. Quando San Paolo afferma “l’uomo è giustificato dalla fede indipendentemente dalle opere della legge” (Rm 3, 28), intende una fede “operante per mezzo della carità” (Gal 5, 6). Dobbiamo presumere che Papa Francesco concepisca la fede allo stesso modo. Il Concilio di Trento parla della fede “come fondamento e radice di ogni giustificazione” (Decreto sulla giustificazione, cap. 8; Denz.-H., 1532). L’abito nuziale della fede è necessario per l’ingresso nel banchetto celeste, ma, come dice Papa Francesco, “la Chiesa confeziona un tale abito per adattare a ciascuno il candore di una veste bagnata nel sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14). Si può perdere il candore della veste col peccato mortale, che rende indegni di ricevere l’Eucaristia. Sia Trento che Papa Francesco asseriscono questa verità.
Tuttavia, dal mero fatto che il Concilio di Trento dichiari che pentirsi del peccato mortale è necessario per ricevere degnamente la Santa Eucaristia, non si può dedurre automaticamente che anche Papa Francesco lo affermi. Che lo affermi o meno è proprio il punto in questione.

La frase “Per essere ammessi alla festa basta l’abito nuziale della fede che sorge dall’ascolto della Sua Parola” è una netta contraddizione verbale della definizione del Concilio di Trento: “Se qualcuno dice che la sola fede è una preparazione sufficiente per ricevere il sacramento della Santissima Eucaristia, sia anatema”. Il documento non contiene alcun chiarimento che spieghi questa frase in senso ortodosso, né alcun accenno alla necessità del pentimento per una degna ricezione dell’Eucaristia.

Il Dr. Fastiggi nega il significato eretico prima facie dell’affermazione di Papa Francesco affermando che si dovrebbe intendere Desiderio desideravi in senso ortodosso. Egli afferma che la fede che Papa Francesco descrive come unico requisito per l’ammissione all’Eucaristia include le virtù teologali della speranza e della carità, e quindi richiede il pentimento e la confessione dei peccati, e conclude affermando che Desiderio desideravi non contraddice la dottrina cattolica su questo punto. La questione è quindi cosa intenda papa Francesco con il termine “fede” nel brano in esame.

Il significato standard della parola “fede” nella teologia cattolica è la fede implicata nella virtù teologale della fede stessa, non la fede informata dalla carità, necessaria per la salvezza e per la degna ricezione della Santa Eucaristia. Tale fede è così descritta nella Dei filius: “La fede, che è l’inizio della salvezza umana, è virtù soprannaturale per la quale noi, con l’aiuto e l’ispirazione della grazia di Dio, crediamo che le cose da Lui rivelate siano vere, non perché la verità intrinseca delle cose rivelate sia stata percepita dalla luce naturale della ragione, ma per l’autorità di Dio stesso Che le rivela e Che non può né ingannare né essere ingannato”. Se la “fede” venisse letta come “fede formata”, allora la teologia cattolica non avrebbe un termine disponibile per la fede così come viene descritta da Dei filius. Questo significato teologico standard del termine “fede” è quello che dovrebbe essere ascritto al termine quando lo si incontra in un documento pontificio.

Un esame attento del testo di Francesco conferma che è questo il significato che possiede. L’espressione “l’abito nuziale della fede che sorge dall’ascolto della Sua Parola” (cfr. Rm 10, 17) può essere analizzata in due modi; come “{l’abito nuziale della fede}, che sorge dall’ascolto della Sua Parola”, o come “{l’abito nuziale} della fede che sorge dall’ascolto della Sua Parola”. Secondo la prima interpretazione, “che sorge dall’ascolto della Sua Parola” è il predicato che si applica al soggetto “l’abito nuziale della fede”. Nella seconda interpretazione, la divisione tra predicato e soggetto è diversa; il predicato è “della fede che viene dall’ascolto della Sua Parola”, che si applica al soggetto “l’abito nuziale”. In entrambe le interpretazioni, il carattere della fede è specificato come qualcosa che nasce dall’ascolto. Le differenze tra le due possibili analisi non sono quindi significative quando si tratta di comprendere il carattere della fede, che si dice sia l’unica cosa necessaria per la ricezione dell’Eucaristia. Tale fede è la fede che viene dall’ascolto. Questo è il significato della fede menzionata in Rm 10, 17, a cui il testo fa riferimento per chiarire il passaggio in discussione. Rm 10, 17 afferma che “la fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo”.

Questo significato del termine “fede” è quello usato nell’anatema del Concilio di Trento. Francesco, affermando che questo tipo di fede è sufficiente per la degna ricezione dell’Eucaristia, cade sotto l’anatema del Concilio. L’interpretazione del Dr. Fastiggi del concetto di “fede” nel senso di “fede formata”, fede informata dalla carità, non si sostiene. La fede che viene dall’ascolto non è fede formata, perché la carità, che fa parte della fede formata, non viene dall’udito. Ciò che si ottiene ascoltando è il credere nella parola di Dio. La fede teologale non implica la presenza della carità. Come afferma Rm 2, 13, “Perché non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati (οὐ γὰρ οἱ ἀκροαταὶ νόμου δίκαιοι παρὰ τῷ θεῷ, ἀλλ’ οἱ ποιηταὶ νόμου δικαιωθήσονται)”.

Il Dr. Fastiggi sostiene la sua interpretazione di Desiderio desideravi esemplificando il riferimento di Papa Francesco alla fede come abito nuziale necessario per l’ingresso nel banchetto. L’abito nuziale è un riferimento alla parabola contenuta in Mt 22:
1 Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: 2 “Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. 3 Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. 4 Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. 5 Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7 Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8 Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; 9 andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. 10 Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. 11 Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale, 12 gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì. 13 Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. 14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti”.
L’abito nuziale della parabola è interpretato dai Padri e dai Dottori della Chiesa nel senso o della carità, o della fede insieme alla carità. Possiamo accettare che l’uno o l’altro di questi significati sia una corretta interpretazione della parabola. Ma non possiamo presumere che, dato questo è ciò che le Scritture intendono per ‘abito nuziale’, è anche ciò che Francesco intende per ‘abito nuziale’. Il punto in questione è se Francesco lo intende o meno in questo modo. La questione è cosa intende Francesco, non cosa vogliono dire i Padri e i Dottori della Chiesa — e le stesse Scritture. I Padri e i Dottori dicono tutti espressamente che l’abito nuziale è la carità, o la fede informata dalla carità. Essi menzionano esplicitamente la carità. Francesco non lo fa. Identifica solo l’abito nuziale con la fede. Le sue parole e la sua menzione di Rm 10, 17 chiariscono che per “fede” egli intende la “fede che nasce dall’ascolto”. Se avesse voluto dire che la fede formata è l’abito nuziale, l’avrebbe detto, e se non l’ha detto, allora si può intendere per “fede” ciò che quella parola significa nel dizionario e nella teologia cattolica: significa ‘credenza’. L’abito nuziale della parabola è ciò che dà un posto alla festa evitando di essere buttati fuori a piangere e digrignare i denti. Quando Francesco allude alla fede come abito nuziale, sottolinea che la fede — la fede nella parola di Dio — da sola porta in paradiso, come diceva Lutero.

Si può anche sottolineare che le cose descritte nelle parabole di Nostro Signore hanno spesso significati chiari che non richiedono interpretazione o commento, e che questi significati possono essere dati per scontati. Il figlio della parabola, per esempio, è senza dubbio Nostro Signore. L’abito nuziale ha un indubbio significato nella parabola: indossarlo è necessario per partecipare alla festa e non essere cacciati. Ma questo significato inequivocabile non contiene una caratterizzazione della fede come fede formata. Quindi non possiamo concludere dal mero riferimento all’abito nuziale che la fede che si identifica con questo abito sia fede formata.

Il Dr. Fastiggi cita la menzione di Francesco dell’indumento “bagnato nel sangue dell’Agnello” per supportare la sua interpretazione delle parole del papa. Ma l’espressione “essere bagnati nel sangue dell'Agnello” può essere intesa in senso luterano, ed è infatti un tema di molti inni luterani, come si può vedere dal loro esame. L’uso che ne fa Francesco non implica in alcun modo che egli comprenda la fede necessaria per la salvezza e la degna ricezione dell’Eucaristia nel senso del Concilio di Trento.

La dichiarazione sulla ricezione della Santa Eucaristia esaminata dal Dr. Fastiggi cita l’approvazione di Lutero da parte di Francesco come fondamento per l’interpretazione della posizione del pontefice sulla ricezione della Santa Eucaristia. Papa Francesco si è espresso in questo modo su questo tema:
Penso che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate; era un riformatore. Forse alcuni dei suoi metodi non erano giusti, anche se possiamo vedere che in quel periodo, se si legge la storia di Pastor, per esempio — Pastor era un luterano tedesco che arrivò alla conversione quando studiò i fatti di quel periodo; poi diventò cattolico —, la Chiesa non era esattamente un modello da emulare. Nella Chiesa c’era corruzione e mondanità; c’era attaccamento al denaro e al potere. Questa era la base della sua protesta. Era anche un uomo intelligente e andò avanti, giustificando le sue ragioni. Oggi, luterani e cattolici, e tutti i protestanti, sono d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto importantissimo egli non si sbagliava. Ha offerto un “rimedio” per la Chiesa, e poi questo rimedio si è irrigidito in uno stato di cose, in una disciplina, in un modo di credere, in un modo di agire, in un modo di fare liturgia. Ma non c’era solo Lutero: c’era Zwingli, c’era Calvino… E dietro di loro? I prìncipi, “cuius regio eius religio”. Dobbiamo collocarci nel contesto dei tempi. È una storia che non è facile da capire, non è facile… Poi le cose sono andate avanti. Oggi il dialogo è molto buono e credo che il documento sulla giustificazione sia uno dei documenti ecumenici più ricchi, uno dei più ricchi e profondi.
Francesco non afferma che “Lutero in effetti era d’accordo con la dottrina cattolica della giustificazione” o “Lutero sosteneva la posizione concordata nel documento di giustificazione congiunto cattolico-luterano”. Egli afferma che sul punto fondamentale della giustificazione, Lutero non si sbagliava. Non chiarisce questa affermazione specificando che “non si sbagliava perché sosteneva la dottrina su cui cattolici e luterani e tutti gli altri protestanti sono tutti d'accordo”. Dice che Lutero non si sbagliava, punto e basta. La correttezza della posizione di Lutero sulla giustificazione non è descritta in termini di accordo con la dottrina cattolica, e non le si pone come condizione il suo accordo con la dottrina cattolica. Se lo fosse, le parole di Papa Francesco potrebbero essere lette in senso ortodosso. Ma una distinzione del genere non è stata fatta. Le affermazioni di Francesco sul fatto che si sia tutti d’accordo e sul documento sulla giustificazione sono indipendenti dall’affermazione su Lutero e dalla giustificazione. Se Papa Francesco ha dichiarato pubblicamente di essere d’accordo con le opinioni (eretiche) di Martin Lutero sulla giustificazione, dovremmo interpretare le sue parole sulla ricezione dell’Eucaristia come una conformità con la posizione di Lutero su questo tema.
[Traduzione per Chiesa e post-Concilio di Antonio Marcantonio]

5 commenti:

  1. 25 settembre 1865 con l'Allocuzione "Multiplices inter" Papa Pio IX ribadisce la condanna della Massoneria

    "…..fra le molteplici macchinazioni e le astuzie con le quali i nemici del nome cristiano osarono assalire la Chiesa di Dio, e si sforzarono, benché inutilmente, di rovinarla e di distruggerla, si deve ascrivere senza dubbio, Venerabili Fratelli, quella perversa società di uomini, che chiamasi comunemente Massonica, la quale prima si unì nei nascondigli e nelle tenebre, e poi uscì fuori con impeto, a comune danno della religione e della società umana..."

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  2. Valeurs Actuelles25 settembre, 2022 11:47

    Les “tradis”, un bain de jeunesse pour l’Église et la France ?

    Un an après le sévère coup d'écrou liturgique du pape François contre la messe traditionnelle, des laïcs organisent, samedi 24 septembre, un colloque sur l'avenir de la liturgie ancienne. L'objectif est clair : montrer aux autorités ecclésiastiques qu'il ne faut pas prendre les “tradis” pour des canards sauvages et que le rituel de saint Pie V n'a pas dit son dernier mot.

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  3. Le questioni sul "peso" del magistero (ordinario, "autentico", ecc.) si pongono perché -purtroppo!- i Sommi Pontefici, specialmente in tempi recenti, si guardano bene dal precisare con chiarezza che "peso" intendono dare alle proprie pubbliche esternazioni.

    In tempi lontani questo problema si poneva poco o nulla perché pontificati lunghi anche decenni erano riassumibili in poche pagine, mentre oggi poche settimane di pontificato riempiono come minimo un libro. (Chi volesse verificare quest'affermazione scorra gli indici di un Denzinger e osservi il numero di pagine relative ad ogni pontificato...)

    È utilissimo, direi indispensabile, far notare ai fedeli e soprattutto al Papa che quando un'affermazione è monca, chiunque può completarsela come gli pare. Ciò avviene tanto nel Magistero quanto nel Messale, tanto nei testi Conciliari quanto nelle Encicliche, a tutti i livelli, perfino nelle omelie dei vescovi, anche nelle mezze frasette del parroco furbetto.

    Il fatto che noi cattolici completiamo in modo cattolico un'affermazione monca, non toglie nulla al fatto che qualcuno possa completarsela a modo suo. Tutti questi "dico e non dico" hanno stabilito un enorme ammasso di scappatoie a disposizione di chi vuol rinnegare la fede ma spacciarsi ancora per cattolico.

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  4. PER NON DIMENTICARE

    L'ERESIA LUTERANA DI BERGOGLIO!.

    Parlando a braccio con i giornalisti durante il volo di ritorno dalla sua visita in Armenia, rispondendo ad una domanda sui rapporti con i luterani nell’imminenza del 500mo anniversario della Riforma, pronunciò in italiano le seguenti parole, mai smentite:

    “Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate. In quel tempo la Chiesa non era proprio un modello da imitare, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato. Poi era intelligente ed ha fatto un passo in avanti, giustificando il perché facesse questo. Ed oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato. Lui ha fatto una “medicina” per la Chiesa, poi questa medicina si è consolidata in uno stato di cose, in una disciplina etc.”[1].

    La professione di fede condivisa con i luterani eretici contraddice apertamente quanto dichiarato dal dogmatico Concilio di Trento, nel ribadire la dottrina cattolica di sempre. A conclusione del suo Decreto sulla giustificazione, del 13 gennaio 1547, quel Concilio inflisse 33 anatemi con relativi canoni, il 9° dei quali recita, contro l’eresia del sola fide:

    “Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, così da intendersi che non si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si disponga con un atto della sua volontà: sia anatema”[5].

    Contro l’eresia connessa del sola gratia, il canone n. 11:

    “Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia di Cristo, o con la sola remissione dei peccati, senza la grazia e la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo Spirito Santo [Rm 5, 5] e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio: sia anatema”[6].

    Contro l’eresia che fa delle buone opere un semplice frutto o conseguenza della giustificazione ottenuta solo per fede e per grazia, come se le buone opere non vi potessero concorrere in alcun modo, il canone n. 24:

    “Se qualcuno afferma che la giustizia ricevuta non viene conservata ed anche aumentata dinanzi a Dio con le opere buone, ma che queste sono solo frutto e segno della giustificazione conseguita, e non anche causa del suo aumento: sia anatema”[7]. M.S

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