"Gesù sapeva benissimo che sarebbe stato conservato nei Tabernacoli anche solitari, senza contorno nella notte, all'infuori di una fiammella che le leggi della Chiesa esigono. Sapeva benissimo che anche nel giorno, secondo il variare della densità di fede nei tempi, cristiani sarebbero andati e non andati a rendere adorazione alla sua ineffabile Presenza, lo sapeva. Forse qualcheduno di noi avrebbe potuto obbiettargli: "Signore, fa' in modo di essere presente quando c'è gente che Ti adora, altrimenti è inutile". Inutile? No. Le Chiese possono essere vuote, ma Cristo nel tabernacolo non è inutile, perché l'Eucarestia, sia attraverso il Sacrificio – del quale oggi non parlo – sia attraverso il Sacramento permanente, è una fonte di forza, di grazia, di benedizione, di salvezza incessante. Ricordiamoci che è di lì che si germinano i vergini e le vergini, è di lì che sorgono i fondatori, è di lì che resistono i combattenti, è di lì forse che attraverso una vita apparentemente lontana da Dio si prepara la finale di salvezza nella sua misericordia, ma la si prepara attraverso questa Presenza, che appare a noi silenziosa e inerte, e non è né silenziosa né inerte. Non dobbiamo compiangere la solitudine che spesso è intorno ai Tabernacoli e che è sempre da condannarsi. Dobbiamo rimpiangere, dico rimpiangere e a piena ragione, coloro che si dimenticano che Gesù Cristo sta lì ad attenderli, come Egli, narrando la parabola del figliol prodigo, pone per tanto tempo immobile sulla soglia di casa il padre che non si stanca di aspettare il figlio, il quale alla fine ritorna ed è accolto come figlio, non come servo". (Card. Giuseppe Siri)
La presenza tangibile di Gesù Cristo è in simbiosi con la Sua presenza intangibile ovunque e sempre. Siamo noi grevi ed ottusi incapaci di percepire entrambe.
RispondiEliminaIn questo tempo di avvento, i cristiani ricordano la venuta del Signore nella pienezza dei tempi e il suo ritorno al compimento dei tempi.
RispondiEliminaIl vangelo odierno, tratto dal cap. 21 di San Luca, ci offre un'immagine preoccupante, ma consolante: ... Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti. Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
Mentre noi attendiamo Lui, Lui ci attende in ogni tabernacolo dove è presente e trascurato.
La nostra pazienza e la sua pazienza.
Noi attendiamo da Lui la liberazione e la salvezza. Lui attende noi a quell'appuntamento.
Intanto ci purifica, ci illumina e ci perfeziona. A noi la perseveranza e l'insistenza.
Non ci sono ostacoli, ma la prova richiesta all'atleta di fronte a un'asticella più alta.
Superarla vuol dire salire all'altezza alla quale c'è Dio. Vuol dire tendere al Cielo.
Se c'è da patire, se c'è da attendere, non è un male se sappiamo farne tempo d'Avvento.
Più che nei tabernacoli, è trascurato in tanti cuori, aridi e pieni di sé.
EliminaA 25 novembre 13.22
RispondiEliminaE' giusto. Oggi, davanti al tabernacolo ho pensato queste righe sulla logica entusiasmante del “servo inutile”
In un’impresa e in un servizio la bellezza e il profitto non sempre vanno a braccetto, tuttavia ci sono delle meravigliose eccezioni che si incarnano quando si smette di fare i conti o se ne fanno il meno possibile. Allora il servo impiegato nel servizio e nell’impresa diventa inutile nel senso che non mira più esclusivamente all’utile, ma al servizio in cui realizza il compito che è la sua gioia, lasciandosene istruire e dirigere.
Non significa che è inutile il servizio, ma che è questo servizio a rendere “utile” il servo, in uno scambio così prezioso da valere un anticipo di paradiso. Il servo è inutile perché coglie la grazia che lo avvolge e lo coinvolge, senza appropriarsene.
Viceversa succede quando agendo anche il bene prevale il proprio fare, in un ventaglio di possibilità che va dalla vanità e dall’autocompiacimento al senso del dovere più estremo. In questo caso infatti si configura un vanto/merito/diritto che mette al centro il sé come protagonista.
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RispondiEliminaSe nelle piccole e restringendo l’orizzonte (l’utile) questo può essere considerato logico, tutto cambia di fronte ad un bene così grande da non poter essere “meritato” ma solo ricevuto.
L’inutilità del servo, il suo mancato protagonismo, sprigiona la consapevolezza del dono.
Ma non essendo più nemmeno nella condizione di servo, si diventa amici di Colui che dona.
Allora possiamo riascoltare le parole del vangelo: quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. (Lc 17,10)
In pratica: non inorgoglite, ma siate grati. Di che cosa? Di tante cose!
E’ una grazia il lavoro, è una grazia l’opportunità di lavorare (che non viene da me, ma mi è data).
E’ grazia il lavoro svolto bene, anche perché l’ho appreso da qualcuno che me l’ha insegnato.
E’ grazia il frutto del lavoro, che poi serve a me e mi appaga.
Viceversa il lavoro diventa una merce, un diritto, una conquista, un trofeo. Ma così anche chi lavora finisce con l’essere poco più di uno strumento, cioè una componente di un meccanismo.
Si entra in una logica fatta di contratti, di misure, di leggi, di pesi e di contrappesi.
Possiamo riascoltare in una logica diversa tutti questi passi del vangelo:
Il rimprovero bonario a Marta, tutta affaccendata mentre Maria “si prende la parte migliore che non le sarà tolta”. La parte migliore non è l’affaccendarsi, ma il protendersi nel Regno di Dio, operando quel che c’è da fare, ma senza ridursi a fare solo quello, magari inorgogliendo del proprio agire.
La Madonna che dice: “Eccomi: sono la serva del Signore” e diventa Madre di Dio, piena di grazia.
Oppure Gesù che apre scenari di un’economia molto differente agli operai dell’ultima ora o a quelli che lavorano dando tutto se stessi: Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna.
O anche quando dice: “Misericordia io voglio e non sacrifici” nel senso che lo spendersi nel servizio apre il cuore a un gioioso amore misericordioso e non a un sacrificio lamentoso e triste.
Pensandoci bene è la logica del matrimonio cristiano: la logica del contratto gli è deleteria, perché difficilmente potrà essere indissolubile, fedele e fecondo un rapporto fondato sulla contabilizzazione e il rinfacciare diritti e doveri soppesandoli. La logica del dono di sé va in tutt’altra direzione. Ci soccorre una frase del Magnificat: Dio ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore e ha innalzato gli umili. Gli sposi, le mamme, i papà sono sempre umili se si spendono per amore. Un figlio invece deve impararlo.
Ritorna l’inno alla carità di San Paolo: “Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo per essere arso, e non avessi la carità, non mi gioverebbe a nulla”. Non sarebbe utile. Appunto: non basta “fare” certe cose, anche le più belle. Serve la carità, cioè la grazia. E non è nostra. E’ un dono. Perciò, anche facendo delle cose così belle bisogna ricordarsi e sapere di essere “inutili”.
ecco donde provenivano alcuni pensieri di una predica udita circa 40 anni fa a Tirrenia, e che ancor rammento se non tali verbis quasi: "Dal Tabernacolo Gesù ci attende, ci convoca, ci accoglie. E una volta accolti ci ascolta. Ci ascolta con attenzione, interesse, compiacimento." - Laus Deo !!
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