Un altro tassello del nostro impegno nella diffusione e nel ripristino della Tradizione cattolica.
A pochi giorni dalla Quarta Domenica di Avvento, pubblichiamo, nella nostra traduzione da OnePeterFive una nutriente meditazione di Fr. John Zuhlsdorf.
Quarta domenica di Avvento: evitare il fuoco
Fr. John Zuhlsdorf, 16 dicembre 2022
Fornisco un po’ di elementi per entrare nel contesto della quarta domenica di Avvento e della lettura dell’Epistola.
Originariamente, per via del legame che c’è tra il sabato e la domenica delle Quattro Tempora, la quarta domenica di Avvento non aveva una chiesa stazionale. Alla fine, per armonizzare questa domenica con altre domeniche importanti, le si assegnò come stazione la Basilica dei Dodici Apostoli.
La quarta domenica di Avvento arriva sulla scia del sabato delle Quattro Tempora con le sue letture della veglia e le meditazioni notturne. Nell’antica Chiesa di Roma il sabato delle Quattro Tempora era il giorno delle ordinazioni sacerdotali a San Pietro in Vaticano: le cerimonie si protraevano fino alla domenica mattina. All’epoca si prendeva le cose sul serio. In un certo senso, questa domenica è un prolungamento del sabato delle Quattro Tempora.
I testi della Messa domenicale possono essere visti come una sintesi della nostra preparazione all’Avvento con le tre grandi figure che la Chiesa ha scelto per accompagnarci mentre ci avviciniamo al Signore che viene. Nel primo canto della Messa, l’Introito, sentiamo il profeta Isaia gridare: “Inondate, o cieli, dall’alto, e dai cieli piova giustizia (ebraico sedeq — rettezza, giustizia); si apra la terra, affinché quella salvezza [ebraico yêsha — “liberazione, salvezza”; Vulgata latina salvator — “un salvatore”] possa germogliare”. La Vulgata personifica sia la giustizia di Dio, essendo la giustizia “il giusto”, sia l’azione salvifica di Dio, “salvatore”, che è quanto cantiamo nell’Introito e nella caratteristica Antifona dell’Avvento tratta da Isaia 45: Rorate caeli desuper et nubes pluant justum.
Il primo versetto di Isaia 45 è umile e gentile, invocando il tenero germoglio che appare per la prima volta sul suolo. Il tono del salmo, tuttavia, è alto e magnifico, e mette in sintonia i nostri pensieri con la gloriosa venuta di Cristo: “I cieli narrano la gloria di Dio; e l’opera delle Sue mani annunzia il firmamento”. Si ricordi che l’uso di un verso in un canto come l’Introito dovrebbe stimolarci ad andare a leggere i versetti circostanti; Sal 19, 2-7:
2 I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle Sue mani annunzia il firmamento. 3 Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia. 4 Non è linguaggio e non sono parole, di cui non si oda il suono. 5 Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola. 6 Là pose una tenda per il sole che esce come sposo dalla stanza nuziale, esulta come prode che percorre la via. 7 Egli sorge da un estremo del cielo e la sua corsa raggiunge l’altro estremo: nulla si sottrae al suo calore.
Durante l’Avvento, nell’Ufficio Divino e nella Messa Isaia ci ha esortato a prepararci. Nel Vangelo di questa domenica ascoltiamo la seguente grande figura ammonitrice, “La Voce” che annuncia “La Parola”. San Giovanni Battista riprende il messaggio messianico di Isaia: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i Suoi sentieri”. Questo è un buon punto di riflessione prima di Natale. I profeti Isaia e Giovanni affermano che “ogni valle sarà colmata, ogni monte e ogni colle sarà abbassato, le vie tortuose saranno raddrizzate e le vie impervie saranno rese piane” (Lc 3). Quando il Signore verrà alla fine dei tempi, verrà per la via diritta e liscia.
Se non avete fatto del vostro meglio per raddrizzare il vostro cammino per la Venuta del Signore (in tutti i modi in cui Egli viene), allora sarà Lui che lo raddrizzerà, e ciò potrebbe non essere piacevole.
La seguente grande guida dell’Avvento è la Vergine stessa, che entra con l’“Ave, piena di grazia” dell’Offertorio. Con l’Offertorio siamo giunti con Maria all’altare del Sacrificio, seguendoLa nel Suo passaggio dal legno del presepio al legno della Croce. Lei, Isaia e Giovanni ci hanno portato dall’inizio dell’Avvento alla soglia della celebrazione della Natività e della preparazione alla fine del mondo infuocato dal giudizio.
Ora che siamo all’altare, torniamo all’Epistola che dà ascolto all’antica Chiesa romana e all’ordinazione sacerdotale nel sabato/domenica di Pasqua. Il testo di 1 Cor 4 ricorda tali ordinazioni quando si riferisce ai “dispensatori/amministratori dei misteri”.
Approfondiamo il contesto in cui ci troviamo. I Corinzi erano alquanto ostinati e divisi tra di loro. Sembra che avessero da ridire contro i rappresentanti della gerarchia nascente. In 1 Cor 3 Paolo menziona le loro divisioni e l’episodio in cui alcuni di loro avevano messo Paolo contro un certo Apollo, che aveva guadagnato seguaci. Paolo spiega che una persona può piantare (Paolo) e un’altra annaffiare (Apollo), ma che solo Dio fa crescere.
Nel capitolo 3 Paolo utilizza l’immagine del fuoco apocalittico riferendosi agli scandali verificatisi tra i Corinzi, che essi non avevano affrontato in modo efficace. La patrona pagana di Corinto era Afrodite, vincolata con la dea orientale Astarte. Nel suo tempio si praticava a grande scala la prostituzione rituale. Dove c’era il “sacerdozio” femminile nasceva inevitabilmente la prostituzione rituale. Corinto aveva una pessima reputazione e un ambiente moralmente corrosivo. Ad esempio, nella comunità cristiana c’era qualcuno che viveva in una relazione apertamente incestuosa con la matrigna vedova (1 Cor 5, 1-2).
In 1 Cor 3, 10-15, poco prima della lettura domenicale, Paolo gliele canta.
Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l’opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco.
Cos’è questo fuoco di prova e di salvezza di cui parla Paolo? Non può essere il fuoco dell’Inferno, perché esso punisce ma non mette alla prova. Non può essere il fuoco del Purgatorio, perché purifica e non mette alla prova. Il fuoco della prova è sicuramente il fuoco del giudizio che mette alla prova gli uomini e ne rivela le azioni e la vita interiore. Le immagini del fuoco della quarta domenica di Avvento sottolineano che questa stagione di gioia penitenziale è una preparazione per la Seconda Venuta, il ritorno del Giusto Giudice.
Nel capitolo 4 della nostra lettura, Paolo difende la sua autorità in quanto “servitore (hyperétes) e amministratore (oikonómos) dei misteri di Dio”. Paolo non deve essere giudicato da nessun altro che da Dio al momento in cui Egli verrà.
Si noti quell’uso del termine “misteri”, che si riferisce certamente ai sacramenti della Chiesa primitiva che abbiamo ancor oggi. Soprattutto il Battesimo, l’Eucaristia e l’Ordinazione sacerdotale (imposizione delle mani). In Ef 5 Paolo spiega che tutti i misteri scaturiscono dalla Croce… ora, l’altare del Sacrificio. Nella nostra lingua liturgica, nelle nostre orazioni della Chiesa latina, “mistero” è solitamente intercambiabile con “sacramento”. Nelle antiche Chiese greca e latina mancava il vocabolario tecnico per esprimere ciò che si stava svolgendo, mentre la Regola apostolica della fede veniva tramandata e fedelmente contemplata, dibattuta ed elaborata, non con un artificioso mutamento sostanziale ma con un approfondimento organico della comprensione. I primi insegnanti e leader hanno preso in prestito il vocabolario della filosofia greca e romana e di altri campi. Quando arrivò il momento di spiegare in latino cosa si verifica quando il greco menziona il “mystero… mystérion”, fu adottato il termine militare “sacramentum”. La storia di questo termine e del suo significato è piuttosto complicata. Chi volesse approfondire farebbe bene a consultare la voce “sacramentum” nell’Augustinus Lexicon. Basti dire che, durante la Messa, quando udiamo la parola “mistero”, possiamo operare una connessione con i nostri sacramenti e con la loro celebrazione, in modo particolare dell’Eucaristia.
Come “servitore e dispensatore dei misteri” (e nell’antica Chiesa romana tali servitori erano ordinati “ieri”, ossia il sabato prima di questa domenica), Paolo non deve essere giudicato dai Corinzi.
Per farla breve, la nostra Epistola di questa domenica ci rammenta l’antichità del nostro lezionario tradizionale, perché la sua scelta di utilizzarla da parte della Santa Chiesa risale ai giorni in cui a Roma si facevano veglie e ordinazioni di sacerdoti in cerimonie che includevano il sabato delle Quattro Tempora e questa domenica. Pertanto, è doveroso che in essa si ricordi i sacerdoti. Come Paolo, essi sono gli “amministratori”, i “dispensatori” dei “misteri”, dei sacramenti e della loro celebrazione. Ai sacerdoti stessi dovrebbe essere ricordato per mezzo di questa lettura che non sono i “proprietari gelosi” dei misteri. Essi devono essere umili nelle loro celebrazioni, pronunciando con precisione e attenzione le parole dei riti scritte in nero e agendo con precisione e riverenza quando seguono le parole scritte in rosso nei libri, le rubriche. Devono essere generosi e pronti a svolgere la loro parte sacerdotale impartendo i sacramenti, con disponibilità di tempo e impegno tempestivo, nonché con zelo nel provvedere alle devozioni e ai sacramentali che conducano ad una più piena e attiva partecipazione ai riti, ai sacri misteri.
Inoltre, questa lettura dovrebbe ricordare sia ai laici che ai chierici che i loro sono ruoli differenti. È sbagliato clericalizzare i laici e laicizzare il clero, nel senso di togliere ai sacerdoti i loro ruoli sacerdotali e consegnarli ai laici. Si tratta di una forma sottile e insidiosa di clericalismo che si è tristemente sviluppata a causa della altrimenti salutare “chiamata universale alla santità” lanciata dai Padri del Concilio Vaticano II. È un atteggiamento terribilmente condiscendente quello dei sacerdoti che cercano di promuovere i laici affidando loro ruoli e compiti. È come dire: “Con la tua partecipazione battesimale al sacerdozio, rimani inadeguato. Io, tuttavia, ti eleverò lasciandoti fare quello che posso fare”. È un ragionamento molto pericoloso: possiamo osservarne l’effetto a catena su ogni sfera della vita della Chiesa. Lo stesso Paolo ha scritto che, nella Chiesa, ci sono ruoli diversi. Alcuni piantano, altri annaffiano.
Infine, l’immagine del fuoco utilizzata da Paolo porta davanti agli occhi della nostra mente il momento del nostro giudizio. Tutto ciò che siamo sarà rivelato nella luce accecante della verità che brucerà ogni artificio e bandirà ogni ombra di inganno o occultamento.
Mentre entriamo nella fase finale prima della celebrazione della Venuta del Signore nella Luce di questo mondo, vogliamo essere luminosi, splendenti e puri, pronti per il Suo adventus, la nostra visitatio. Fate un buon esame di coscienza, portate il fuoco del vostro zelo negli angoli più bui del vostro cuore e confessatevi.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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Si afferma che Maria «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19); in greco il termine è symballon, potremmo dire che Ella “teneva insieme”, “poneva insieme” nel suo cuore tutti gli avvenimenti che le stavano accadendo; collocava ogni singolo elemento, ogni parola, ogni fatto all’interno del tutto e lo confrontava, lo conservava, riconoscendo che tutto proviene dalla volontà di Dio.
RispondiEliminaMaria non si ferma ad una prima comprensione superficiale di ciò che avviene nella sua vita, ma sa guardare in profondità, si lascia interpellare dagli eventi, li elabora, li discerne, e acquisita quella comprensione che solo la fede può garantire. E’ l’umiltà profonda della fede obbediente di Maria, che accoglie in sé anche ciò che non comprende dell’agire di Dio, lasciando che sia Dio ad aprirle la mente e il cuore. «Beata colei che ha creduto nell’adempimento della parola del Signore» (Lc 1,45), esclama la parente Elisabetta. E’ proprio per la sua fede che tutte le generazioni la chiameranno beata.
Benedetto XVI