Con la Domenica delle Palme, Domenica dell'Osanna o più propriamente Domenica della Passione del Signore, inizia la solenne annuale celebrazione della Settimana Santa, nella quale vengono ricordati e celebrati gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù, con i tormenti interiori, le sofferenze fisiche, i processi ingiusti, la salita al Calvario, la crocifissione, morte e sepoltura e infine la sua Risurrezione e Ascesa al cielo.
Per una visione d'insieme su questo tempo litugico, vedi: Cap. I - Storia del tempo di Passione e della Settimana Santa [qui]; Cap. II - Mistica del Tempo di Passione [qui]; Pratica del tempo di Passione e della Settimana Santa [qui]; Domenica di Passione [qui].
Seconda Domenica di Passione
Domenica delle Palme
Ant. - Matt. 21, 9 - Hosánna fílio David: benedíctus qui venit in nómine Dómini. Rex Israël: Hosánna in excélsis. |
Matt. 21, 9 - Osanna, o figlio di Davide: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. O Re di Israele: Osanna nell’alto dei cieli. |
La partenza da Betania.
Avveramento della Profezia.
I due popoli.
Il corteo del trionfo.
Regalità del Messia.
La benedizione delle palme.
Antichità del rito.
La processione.
L'entrata in chiesa.
La Messa.
Nomi dati a questa Domenica.
Messa
Le lacrime di Gesù.
Gesù torna a Betania.
Preghiamo
Di primo mattino, Gesù lascia a Betania Maria sua madre, le due sorelle Marta e Maria Maddalena, con Lazzaro, e si dirige a Gerusalemme in compagnia dei discepoli. Trema la Vergine, nel vedere così il Figlio avvicinarsi ai suoi nemici, che bramano versare il suo sangue; però oggi, Gesù, non va incontro alla morte a Gerusalemme, ma al trionfo. Bisogna che il Messia, prima d'essere sospeso alla croce, sia, in Gerusalemme, proclamato Re dal popolo; e che di fronte alle aquile romane, sotto gli occhi dei Pontefici e dei Farisei rimasti muti per la rabbia e lo stupore, la voce dei fanciulli, mescolandosi con le acclamazioni della cittadinanza, faccia echeggiare la lode al Figlio di David.
Avveramento della Profezia.
Il profeta Zaccaria aveva predetta l'ovazione preparata dalla eternità al Figlio dell'uomo, alla vigilia delle sue umiliazioni: "Esulta grandemente, o figlia di Sion, giubila, o figlia di Gerusalemme; ecco viene a te il tuo Re, il Giusto, il Salvatore: egli è povero, e cavalca un'asina e un asinello" (Zc 9,9). Vedendo Gesù ch'era venuta l'ora del compimento di questo oracolo, prende in disparte due discepoli, e comanda loro di portargli un'asina ed un puledro d'asina che troveranno poco lontano di lì. Mentre il Signore giungeva a Betfage, sul monte degli Olivi, i due discepoli s'affrettano ad eseguire la commissione del loro Maestro.
I due popoli.
I santi Padri ci han data la chiave del mistero di questi due animali. L'asina figura il popolo giudeo sottoposto al giogo della Legge; "il puledro sul quale, dice il Vangelo, nessuno è ancora montato" (Mc 11,2), rappresenta la gentilità, non domata da nessuno fino allora. La sorte di questi due popoli sarà decisa da qui a pochi giorni: il popolo giudaico, per aver respinto il Messia, sarà abbandonato a se stesso e in suo luogo Dio adotterà le nazioni che, da selvagge che erano, diventeranno docili e fedeli.
Il corteo del trionfo.
I discepoli stendono i mantelli sull'asinello; allora Gesù, perché fosse adempita la figura profetica, monta su quell'animale (ivi 11,7) e s'accinge così ad entrare nella città. Nel contempo si sparge la voce in Gerusalemme che arriva Gesù. Mossa dallo Spirito divino, la moltitudine dei Giudei, convenuta d'ogni parte nella santa città per celebrare la festa di Pasqua, esce ad incontrarlo, agitando palme e riempiendo l'aria di evviva. Il corteo che accompagnava Gesù da Betania si confonde si confonde con quella folla trasportata dall'entusiasmo: ed alcuni stendono i loro mantelli sulla terra che Gesù dovrà calcare, altri gettano ramoscelli di palme al suo passaggio. Echeggia un grido: Osanna! E la grande nuova per la città è, che Gesù, figlio di David, vi sta facendo il suo ingresso come Re.
Regalità del Messia.
In tal modo Dio, con la potenza che ha sui cuori, approntò un trionfo al Figliol suo in questa città, che di lì a poco doveva a gran voce reclamare il suo sangue. Questo giorno fu un momento di gloria per Gesù; e la santa Chiesa vuole che tutti gli anni noi rinnoviamo tale trionfo dell'Uomo-Dio. Al tempo della nascita dell'Emmanuele, vedemmo arrivare i Magi dal lontano Oriente e cercare e chiedere, in Gerusalemme, del Re dei Giudei per offrirgli i loro doni; oggi è la stessa Gerusalemme che si muove al suo incontro. Questi due fatti sono in rapporto ad un unico fine: riconoscere la regalità di Gesù Cristo: il primo da parte dei Gentili, il secondo da parte dei Giudei. Mancava che il Figlio di Dio, prima di soffrire la Passione, ricevesse l'uno e l'altro omaggio insieme: e l'iscrizione che presto Pilato farà collocare sul capo del Redentore, Gesù Nazareno, Re dei Giudei, esprimerà il carattere indispensabile del Messia. Invano i nemici di Gesù si sforzeranno in tutti i modi di far cambiare i termini di quella scritta; non ci riusciranno. "Quel che ho scritto ho scritto", risponderà il governatore romano, che, senza saperlo, di sua mano dichiarò l'adempimento delle Profezie. Oggi Israele proclama Gesù suo Re; domani Israele sarà disperso in punizione del suo rinnegamento; ma Gesù da lui oggi proclamato Re, tale rimane nei secoli. Così s'adempiva esattamente l'oracolo dell'Angelo che parlò a Maria, annunciandole le grandezze del figlio che doveva nascere da lei: "Il Signore Dio gli darà il trono di David suo padre, e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe" (Lc 1,32-33). Oggi comincia Gesù il suo regno sulla terra; e se il primo Israele non tarderà a sottrarsi al suo scettro, un nuovo Israele, sorto dalla porzione fedele dell'antico, e formato da tutti i popoli della terra, offrirà a Cristo un impero più vasto, che mai conquistatore sognò.
Tale è il mistero glorioso di questo giorno, in mezzo alla tristezza della Settimana dei dolori. La santa Chiesa oggi vuole che siano sollevati i nostri cuori da un momento di allegrezza, e che salutiamo Gesù nostro Re. Ella ha perciò disposto il sevizio divino di questa giornata, in modo da esprimere insieme la gioia, unendosi agli evviva che risuonarono nella città di David; la tristezza, tornando subito a gemere sui dolori del suo Sposo divino. Tutta la funzione è suddivisa come in tre atti distinti, di cui successivamente spiegheremo i misteri e le intenzioni.
La benedizione delle palme.
La benedizione delle palme, o dei rami, è il primo atto che si svolge sotto i nostri occhi; e se ne può giudicare l'importanza dalla solennità di cui fa pompa la Chiesa. Si disse per tanto tempo, che il Sacrificio veniva offerto con l'unico intento di celebrare l'anniversario dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme. L'Introito, la Colletta, l'Epistola, il Graduale, il Vangelo e lo stesso Prefazio si succedevano come a preparare l'immolazione dell'Agnello senza macchia; ma arrivati al triplice: Sanctus! Sanctus! Sanctus! la Chiesa sospendeva queste formule solenni, e per mezzo dei suo ministro procedeva alla santificazione dei rami che sono lì accanto.
Dopo la recente riforma, appena cantata l'antifona Osanna, questi rami, oggetto della prima parte della funzione, ricevono, in virtù di una sola preghiera seguita dall'incensazione e dall'aspersione di acqua benedetta, una forza che li eleva all'ordine soprannaturale e li rende capaci di santificare le anime, di proteggere i nostri corpi e le nostre case. Durante la processione, i fedeli devono tenere rispettosamente in mano questi rami e portarli poi nelle loro case come segno della loro fede e promessa dell'aiuto divino.
Antichità del rito.
È superfluo spiegare al lettore, che le palme ed i ramoscelli di olivo che ricevono in questo momento la benedizione della Chiesa, stanno a ricordare quelle con le quali il popolo di Gerusalemme onorò l'entrata trionfale del Salvatore; ma è opportuno aggiungere qualche parola sull'antichità di questa tradizione. Essa cominciò presto in Oriente, probabilmente dalla pace della Chiesa a Gerusalemme. Nel IV secolo san Cirillo, vescovo di questa città, pensava che ancora esistesse nella valle del Cedron il palmizio che fornì i rami al popolo che andò incontro a Gesù (Catechesi, x); quindi, niente di più naturale che prendere da ciò occasione per istituire una commemorazione anniversaria di questo avvenimento. Nel secolo seguente si vede questa cerimonia, non solo fissata nelle chiese d'Oriente, ma anche nei monasteri, di cui erano popolate le solitudini dell'Egitto e della Siria. Arrivata la Quaresima, molti santi monaci ottenevano il permesso dal loro abate d'internarsi nel deserto, per passare questo tempo in un profondo ritiro; ma dovevano rientrare al monastero per la Domenica delle Palme, come sappiamo dalla vita di sant'Eutimio, scritta dal suo discepolo Cirillo. In Occidente, questo rito non si stabilì così presto; la prima traccia la riscontriamo nel Sacramentarlo di san Gregorio: il che equivale alla fine del VI secolo, od all'inizio del VII. Man mano che la fede si propagava verso il Nord, non era più possibile solennizzare tale cerimonia in tutta la sua integrità, poiché in quei climi non crescevano né palmizi né oliveti. Fu giocoforza sostituirli con rami d'altri alberi; però la Chiesa non permise di cambiare nulla delle orazioni che erano prescritte nella benedizione di questi rami, perché i misteri che si espongono in queste belle preghiere si fondano sull'olivo e sulla palma del racconto evangelico, figurati dai nostri rami di bossolo o di lauro.
La processione.
Il secondo rito di questa giornata è la celebre processione che segue alla benedizione delle palme. Essa ha lo scopo di rappresentare al vivo l'avvicinarsi del Salvatore a Gerusalemme ed il suo ingresso in quella città; appunto perché nulla manchi all'imitazione del fatto descritto nel santo Vangelo, le palme benedette vengono portate da tutti quelli che prendono parte a detta processione. Presso i Giudei, tenere in mano dei rami d'albero significava allegria; e la legge divina sanzionava loro quest'uso. Dio aveva detto nel libro del Levitino, stabilendo la festa dei Tabernacoli: "Nel primo giorno prenderete i frutti dell'albero più bello, dei rami di palma e dell'albero più frondoso, dei salici del torrente, e vi rallegrerete dinanzi al Signore Dio vostro" (Lv 23,40). Fu dunque con l'intenzione di manifestare l'entusiasmo per l'arrivo di Gesù fra le loro mura, che gli abitanti di Gerusalemme, compresi i bambini, ricorsero a tale gioiosa dimostrazione. Andiamo incontro anche noi al nostro Re, e cantiamo Osanna al vincitore della morte ed al liberatore del suo popolo.
Nel Medio Evo, in molte chiese, si portava in processione il libro dei santi Vangeli, che per le parole che contengono rappresentano Gesù Cristo. A un punto stabilito e preparato per una stazione, la processione si fermava: allora il diacono apriva il sacro libro e cantava il passo ov'è narrato l'ingresso di Gesù in Gerusalemme. Quindi si scopriva la croce, fino allora rimasta velata; e tutto il clero veniva a prostrarsi solennemente in adorazione, depositando ciascuno ai suoi piedi un frammento di ramoscello che teneva in mano. Poi la processione ripartiva preceduta dalla croce, che rimaneva senza velo, fino a che il corteo non fosse rientrato in chiesa.
In Inghilterra e in Normandia, nell'XI secolo, si praticava un rito che rappresentava ancora più al vivo la scena di questo giorno a Gerusalemme. Alla processione veniva portata in trionfo la santa Eucaristia. Difatti a quest'epoca era scoppiata l'eresia di Berengario contro la presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia; ed un tale trionfo della sacra Ostia doveva essere un lontano preludio dell'istituzione della Festa e della Processione del Ss. Sacramento.
A Gerusalemme, nella Processione delle Palme, si pratica anche un'altra usanza, sempre allo scopo di rinnovare la scena evangelica. L'intera comunità dei Francescani, che sta alla custodia dei luoghi sacri, si reca di mattina a Betfage, ove il Padre Guardiano di Terra Santa, in abiti pontificali, monta un asinello adorno di vestiti e, accompagnato dai religiosi e dai cattolici di Gerusalemme, tenendosi tutti in mano la palma, fa l'ingresso nella città e smonta alla porta della chiesa del Santo sepolcro, dove si celebra la Messa con la maggiore solennità.
Abbiamo qui riuniti, secondo il nostro costume, i differenti fatti che possono servire ad elevare il pensiero dei fedeli ai diversi misteri della Liturgia. Queste manifestazioni di fede li aiuteranno a comprendere come nella Processione delle Palme, la Chiesa intenda onorare Gesù Cristo, presente al trionfo che oggi gli tributa. Cerchiamo dunque con amore "quest'umile e mite Salvatore che viene a visitare la figlia di Sion", come dice il Profeta. Egli è qui in mezzo a noi: a lui s'indirizzi l'omaggio delle nostre palme, insieme a quello dei nostri cuori; egli viene a noi per diventare nostro Re: accogliamolo anche noi, dicendo: Osanna al figlio di David!
L'entrata in chiesa.
La fine della processione, prima della recente riforma, si distingueva per una cerimonia improntata al più alto e profondo simbolismo. Al momento di rientrare in chiesa, il corteo trovava le porte serrate. S'arrestava la marcia trionfale; ma non venivano sospesi i canti di gioia; un lieto ritornello risuonava nell'inno speciale a Cristo Re, fino a che il Suddiacono batteva con l'asta della croce la porta; questa s'apriva, e la folla, preceduta dal clero, rientrava in chiesa, glorificando colui che, solo, è la Risurrezione e la Vita.
Questa scena sta ad indicare l'entrata del Salvatore in un'altra Gerusalemme, di cui quella della terra è soltanto la figura. Quest'altra Gerusalemme è la patria celeste, di cui Gesù ci ha aperte le porte. Il peccato del primo uomo le aveva chiuse; ma Gesù il Re della Gloria, ce le ha riaperte in virtù della Croce, alla quale non hanno potuto resistere.
Il canto in onore di Cristo Re è stato conservato, mentre invece è stato soppresso il particolare della porta chiusa. Continuiamo pertanto a seguire i passi del Figlio di David; egli è pure Figlio di Dio e ci invita a partecipare al suo regno.
Nella Processione delle Palme, commemorazione dell'avvenimento realizzatosi in questo giorno, la santa Chiesa solleva la nostra mente al mistero dell'Ascensione col quale termina, in cielo, la missione del Figlio di Dio sulla terra. Ma, ahimé, i giorni che separano l'uno dall'altro questi due trionfi del Figlio di Dio, non sono sempre giorni di gioia; infatti, è appena terminata la processione con la quale la Chiesa s'è liberata per un attimo della sua tristezza, che già iniziano i gemiti e i lamenti.
La Messa.
La terza parte della funzione odierna è l'offerta del santo Sacrificio. Tutti i canti che l'accompagnano esprimono desolazione e per completare la tristezza che è caratteristica della giornata, la Chiesa ci fa leggere il racconto della Passione del Redentore. Da cinque o sei secoli fa, la Chiesa ha adottato un particolare recitativo per la lettura di questo brano evangelico, che diventa così un vero dramma. Si sente prima lo storico raccontare quei fatti in tono grave e patetico; le parole di Gesù hanno un accento nobile e dolce, che contrastano in una maniera penetrante col tono elevato degli altri interlocutori e coi gridi della plebaglia giudaica.
Nel momento in cui, nel suo amore per noi, si lascia calpestare sotto i piedi dei peccatori, noi dobbiamo proclamarlo più solennemente nostro Dio e nostro Re.
Questi sono in genere i riti della grande giornata. Non ci rimane che inserire nel corso delle sacre letture, secondo il solito, quei dettagli che crederemo necessari per completare il significato.
Nomi dati a questa Domenica.
Oltre al nome liturgico e popolare di Domenica delle Palme, essa è chiamata anche Domenica dell'Osanna, per il grido di trionfo col quale i Giudei salutarono l'arrivo di Gesù. Anticamente i nostri padri la chiamarono Domenica della Pasqua fiorita, perché la Pasqua dalla quale ci separano solo otto giorni, oggi si considera in fiore, e i fedeli possono, fin da oggi, adempiere il dovere della comunione annuale. Per il ricordo di tale denominazione gli Spagnoli, avendo scoperta, la Domenica delle Palme del 1513, quella vasta regione che confina col Messico, la chiamarono Florida. Questa domenica la troviamo chiamata anche Capitilavium, cioè lava-testa, perché nei secoli della media antichità, quando si rinviava al Sabato Santo il battesimo dei bambini nati nei mesi precedenti, che potevano aspettare questo tempo senza pericolo, i genitori lavavano oggi il capo dei loro neonati, affinché il prossimo sabato si potesse fare con decenza l'unzione del Sacro Crisma. In epoca più remota tale Domenica, in certe chiese, veniva chiamata la Pasqua dei Competenti, cioè dei Catecumeni ammessi al santo battesimo. Questi si riunivano oggi in chiesa, e si faceva loro una spiegazione particolare del Simbolo che avevano ricevuto nello scrutinio precedente. Nella chiesa gotica di Spagna lo si dava solo oggi. Infine, presso i Greci, tale Domenica è designata col nome di Bifora, cioè Porta Palme.
Messa
La Stazione è a Roma, nella Basilica Lateranense, la chiesa Madre e Matrice di tutte le chiese. Ai nostri giorni, però, la funzione papale ha luogo a S. Pietro; ma tale deroga non arreca pregiudizio ai diritti dell'Arcibasilica la quale, anticamente, aveva oggi l'onore della presenza del Sommo Pontefice, ed ha tuttora conservate le indulgenze accordate a quelli che oggi la visitano.
Alla Messa solenne, il Sacerdote si porta all'altare, e dopo aver tralasciato il salmo Iudica me, Deus, e il Confiteor, sale i gradini e lo bacia nel mezzo e lo incensa.
EPISTOLA (Fil 2,5-11) – Fratelli: abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, il quale, esistendo nella forma di Dio, non considerò questa sua uguaglianza con Dio come una rapina, ma annichilò se stesso, prendendo la forma di servo, e, divenendo simile agli uomini, apparve come semplice uomo; umiliò se stesso fattosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo però anche Dio lo esaltò e gli donò un nome, che è sopra ogni altro nome, tale che nel nome di Gesù si deve piegare ogni ginocchio in cielo, in terra e nell'inferno, ed ogni lingua deve confessare che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre.Umiliazione e gloria di Gesù.
La santa Chiesa prescrive di genuflettere al punto dell'Epistola dove l'Apostolo dice, che ogni ginocchio si deve piegare nel pronunciare il nome di Gesù; e noi ne abbiamo seguito il comando. Dobbiamo comprendere che, se vi è un'epoca dell'anno in cui il Figlio di Dio ha diritto alle nostre più profonde adorazioni è soprattutto in questa Settimana, nella quale è lesa la sua maestà, e lo vediamo calpestato sotto i piedi dei peccatori. Indubbiamente i nostri cuori saranno animati da tenerezza e compassione alla vista dei dolori che sopporta per noi; ma non meno sensibilmente dobbiamo risentire gli oltraggi e le bassezze di cui è fatto segno, lui che è uguale al Padre e Dio come lui. Con le nostre umiliazioni, rendiamo a lui, per quanto ci è possibile, la gloria di cui egli si sveste per riparare la nostra superbia e le nostre ribellioni; ed uniamoci ai santi Angeli che, testimoni di tutto ciò che Gesù ha accettato per il suo amore verso l'uomo, s'annientano più profondamente, nel vedere l'ignominia alla quale è ridotto.
Ma è ormai tempo d'ascoltare il racconto della Passione del Signore. La Chiesa ne legge la narrazione secondo i quattro Vangeli, nei quattro differenti giorni della Settimana. Oggi comincia col racconto di san Matteo, che per primo scrisse i fatti della vita e della morte del Redentore.Le lacrime di Gesù.
Terminiamo questa giornata del Redentore a Gerusalemme, richiamando alla memoria gli altri fatti che la segnalarono. San Luca c'informa, che fu durante la sua marcia trionfale verso questa città che Gesù, vicino ad entrarvi, pianse su di lei e manifestò il suo dolore con queste parole: "Oh se conoscessi anche tu, e proprio in questo giorno quel che giova alla tua pace! Ora invece è celato agli occhi tuoi. Ché verranno per te i giorni nei quali i nemici ti stringeranno con trincee, ti chiuderanno e ti assedieranno d'ogni parte, e distruggeranno te e i tuoi figli che sono in te, e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai conosciuto il tempo in cui sei stata visitata" (Lc 19,42-44).
Qualche giorno fa il santo Vangelo ci mostrò Gesù che piangeva sulla tomba di Lazzaro; oggi lo vediamo spargere nuove lacrime sopra Gerusalemme. A Betania piangeva pensando alla morte del corpo, conseguenza e castigo del peccato; ma questa morte non è senza rimedio. Gesù è "la risurrezione e la vita; chi crede in lui non rimarrà nella morte eterna" (Gv 11,25). Ma lo stato dell'infedele Gerusalemme rappresenta la morte dell'anima; ed una tale morte è senza risurrezione, se l'anima non ritorna tempestivamente all'autore della vita. Ecco perché sono tanto amare le lacrime che sparge oggi Gesù. Il suo cuore è triste, proprio in mezzo alle acclamazioni che fanno accoglienza al suo ingresso nella città di David: perché sa, che molti "non conosceranno il tempo che furono visitati". Consoliamo il cuore del Redentore, e siamogli una Gerusalemme fedele.
Gesù torna a Betania.
Sappiamo da san Matteo che il Signore andò a chiudere la giornata a Betania. Naturalmente la sua presenza dovette sospendere le materne inquietudini di Maria e tranquillizzare la famiglia di Lazzaro. Ma in Gerusalemme nessuno si presentò ad offrire ospitalità a Gesù; almeno il Vangelo non fa alcuna menzione a questo riguardo. Le anime che meditarono la vita del Signore si sono soffermate su questa considerazione: Gesù onorato la mattina con solenne trionfo, alla sera è ridotto a cercarsi il nutrimento e il riposo fuori della città che lo aveva accolto con tanti applausi. Nei monasteri dei Carmelitani della riforma di santa Teresa esiste una consuetudine che si propone d' offrire a Gesù una riparazione, per l'abbandono in cui fu lasciato dagli abitanti di Gerusalemme. Si presenta una tavola in mezzo al refettorio e vi si serve un pasto; dopo che la comunità ha finito di cenare, quel pasto offerto al Salvatore del mondo, viene distribuito ai poveri, che sono le sue membra.
Preghiamo
O Dio onnipotente ed eterno, che per dare al genere umano esempio d'umiltà da imitare, hai deciso l'incarnazione del Salvatore e la sua passione in croce; concedici propizio d'imitarlo nella sofferenza per poter poi partecipare alla risurrezione.
(da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 674-683)
Mi aspetterei una reazione da quella congrega di vigliacchi occidentalisti vaticani e delle conferenze episcopali di almeno solidarietà o condanna o protesta per l'arresto del Patriarca Ortodosso di Kiev, una persecuzione religiosa aperta, conclamata, e ufficiale.
RispondiEliminaLa stessa conferenza di cialtroni che tacque quando il governo di Conte che millanta aderenze vaticane, mandò i carabinieri a interrompere la messa e arrestare il celebrante durante il divino ufficio, interrompendolo sacrilegamente, col pretesto del covid, dove si lasciarono aperte le librerie ma si chiusero le chiese...
Come tace su tutti i crimini contro i cristiani e le chiese bruciate con o senza fedeli chiusi dentro.
Ci vorrebbe il santo bastone di san Francesco a benedire vigorosamente le gobbe ecclesiastiche.
VIGLIACCHI
Da Fb
Buona e Santa Domenica delle Palme.
RispondiEliminaChiedo a Mic se e come è stata risolta la poca chiarezza nel racconto dei due animali presente nei 4 vangeli, per capire se l'asina e il puledro di cui narrano gli evangelisti siano entrambi presenti nel corteo che segue Gesù a Gerusalemme, dato che il racconto ha talora generato confusione in tanti lettori, come viene riferito in questa pagina analitica di wikipedia (e altrove)
https://it.wikipedia.org/wiki/Ingresso_a_Gerusalemme
ringrazio nell'attesa di dotte precisazioni
Nel Vangelo secondo San Matteo gli animali sono indiscutibilmente due: l’asina e il suo puledro. Gesù chiede espressamente di condurglieli entrambi. Logicamente Gesù cavalca un solo equino ed in particolare il puledro, sul quale non era mai salito nessuno (c’è nei vangeli secondo San Marco e secondo San Luca). Gli evangelisti rimandano alle profezie messianiche, in particolare Zaccaria 9,9 che menziona il cavalcare un puledro d’asina. Anche San Giovanni ha un rimando a questo scritto risalente a circa cinque secoli prima di Cristo. Non meno impressionante è la descrizione del Servo sofferente in Isaia, risalente a sette secoli circa prima dei fatti.
EliminaIl puledro d’asina mai cavalcato prima e’ segno di mitezza e di novità, mentre l’asina madre riporta a Genesi (Abramo e Isacco sul Moria), Esodo (Mose’ di ritorno), Numeri (Balaam), Giuseppe e Maria verso Betlemme e verso l’Egitto, oltre a Zaccaria.
L’asina vecchia ha condotto all’ingresso del Messia nella Città santa, ma questo avviene con il puledro, incipit della pasqua di redenzione e della nuova Alleanza. Prendere il puledro senza la madre non sarebbe stato semplice e il particolare è sensato anche dal punto di vista dell’etologia. La folla, che poi muterà i suoi Osanna in Crucifige, pare meno logica degli animali al servizio del Signore 🙂(che li restituirà”. Tutto è saldamente nelle mani di Dio, da secoli e in eterno. Amen
Tralcio
Ho visto la raffigurazione famosa di Giotto presente su Wikipedia: si vede chiaramente che Gesù cavalca l'ASINA-madre, (quindi Re dei Giudei) mentre alla sua destra spunta il muso del puledrino che cammina in mezzo al gruppo dei discepoli....
RispondiEliminache rappresenta allora, come spiega Dom Gueranger, i gentili, quindi tutti i popoli che si convertiranno a Lui e formeranno la Chiesa.
Gesù non avrebbe di certo cavalcato un esile puledro... ma quello doveva partecipare al corteo, per volontà espressa del Salvatore. Se sbaglio correggetemi.
I CRISTIANI COME OLIVI VERDEGGIANTI NELLA CASA DEL SIGNORE (SANT'AMBROGIO)
RispondiEliminaGiustamente si dice che abbandonando i Giudei per abitare nel cuore dei Gentili il Signore sale al Tempio: infatti nel cuore di ogni uomo è il vero tempio dove il Signore è adorato non secondo la lettera ma in spirito (Gv.4,24); è il tempio di Dio che riposa non su una struttura di pietra ma sull’ordine della fede. Così dunque sono abbandonati coloro che avevano odiato, sono eletti coloro che si accingevano ad amare. E se Egli viene al monte degli Ulivi è al fine di piantare dal cielo per mezzo della virtù i polloni di ulivo (Ps.127,3) la cui madre è la celeste Gerusalemme( Gal. 4,26). In questo monte è il celeste giardiniere affinchè tutti essendo piantati nella casa di Dio (Ps.91,14) ognuno individualmente potrà dire: Io sono come olivo verdeggiante nella casa del Signore (Ps.51,10).
Probabilmente la montagna stessa è Gesù Cristo: infatti chi altri porterà tali frutti, non ulivi ricurvi sotto l’abbondanza delle loro bacche, ma nazioni rese feconde dalla pienezza dello Spirito? E’ per mezzo di Lui che noi ascendiamo e verso di Lui che noi saliamo. Egli stesso è la Porta, Egli è la Via che è aperta e che apre, là si bussa all’entrata e i perfetti la adorano.
Nel villaggio vi era un puledro legato con un’asina: esso non poteva essere sciolto che per ordine del Signore. La mano degli Apostoli lo slega. Ecco l’opera, ecco la via, ecco la grazia; anche tu sii così per poter liberare gli schiavi del peccato.
Consideriamo ora chi furono quelli che, svelato il loro errore, furono cacciati dal paradiso e relegati in una fortezza. E vedi come sono richiamati dalla Vita coloro che la morte aveva espulsi. E perciò in Matteo noi leggiamo dell’asina e del puledro: come tra gli uomini l’uno e l’altro sesso era stato espulso così nei due animali l’uno e l’altro sesso è richiamato. Da un lato quindi l’asina raffigura Eva, madre di errori, dall’altro il suo piccolo rappresenta la generalità del popolo gentile; e perciò è il piccolo dell’asina che serve da montura. E realmente nessuno l’aveva montato perché nessuno prima di Cristo aveva chiamato alla Chiesa i popoli gentili, perciò bene avete letto in Marco nessun uomo si era seduto (Mc.11,2).
DOMENICA DELLE PALME
Mt.21,1-9
S.AMBROGIO
Liber 6 in Lucam
Breviario Romano, Mattutino, Letture del III Notturno
LA PASSIONE DEL SIGNORE OGGETTO INESAURIBILE DI MEDITAZIONE (S. LEONE MAGNO)
RispondiEliminaCelebriamo, o dilettissimi, la festa della Passione del Signore, questa festa tanto desiderata che il mondo intero vede sempre venire con gioia. Nei trasporti della nostra allegrezza non ci è permesso mantenere il silenzio e benché sia difficile parlare spesso e in maniera degna della stessa solennità appartiene ai doveri di un pastore, in questa circostanza, fare ascoltare al suo popolo gli accenti della sua voce paterna. Questo ammirabile sacramento della Misericordia divina è soggetto inesauribile e mai si potrebbe terminarlo perché mai si riuscirebbe a trattarlo sufficientemente. Ceda quindi alla Gloria di Dio la nostra debolezza che sempre si scopre inadeguata nello spiegare le opere della Sua Misericordia. Stentiamo con l’intelligenza, siamo ottusi nello spirito, difettiamo nell’eloquio: è vantaggioso per noi non poter comprendere in tutta la sua grandezza la maestà di Dio.
Il profeta dice: Cercate il Signore e vi farà forti, ricercate sempre il Suo volto (Ps.104,4) perché nessuno deve avere la presunzione di credere che egli ha perfettamente approfondito ciò che cerca di conoscere né deve cessare di avvicinarsi alla verità cessando di cercarla. Fra tutte le opere di Dio che formano l’oggetto della nostra ammirazione ve ne è uno che più della Passione del Signore sia al di sopra delle forze della nostra intelligenza e meriti maggiormente le nostre riflessioni? Per spezzare le catene del genere umano che era divenuto schiavo dopo la sua fatale prevaricazione Gesù Cristo ha nascosta al crudele demonio la potenza della sua divina maestà e gli ha contrapposta l’infermità della condizione umana. Perché se questo nemico crudele e superbo avesse potuto penetrare la saggezza della divina Misericordia egli avrebbe cercato piuttosto di addolcire e calmare lo spirito dei Giudei anzichè ispirare loro un odio ingiusto per timore di perdere la schiavitù di tutti i peccatori mentre perseguitava la libertà di Colui che nulla gli doveva.
La sua stessa malizia lo ha ingannato: egli ha fatto condannare il Figlio di Dio al supplizio che ha rigenerato tutti i figli degli uomini; egli ha versato il sangue innocente che è stato il prezzo della riconciliazione del mondo e che è servito da bevanda salutare all’umanità. Il Signore ha sofferto il genere di morte che Lui stesso aveva scelto. Egli ha permesso che uomini forsennati mettessero su di Lui le loro mani empie e concorressero così con il loro stesso crimine al compimento dei suoi piani di salvezza. E la Sua bontà verso i suoi carnefici fu così grande che dall’alto della croce egli pregava il Padre di non vendicarlo e di perdonare loro la Sua morte.
DOMENICA DELLE PALME
S.LEONE MAGNO
Sermo 11 de Passione Domini
Breviario Romano, Mattutino, Letture del II Notturno
"Púeri Hebraéorum, tolléntes ramos olivárum, obviavérunt Dómino, clamántes, et dicéntes: Hosánna in excélsis".
RispondiEliminaLa tradizionale espressione “Settimana Santa” è tradotta nel nuovo rito ambrosiano con l’aggettivo “Autentica”: quella che oggi si apre è la “Settimana Autentica”. Cosa significa? Forse l’etimologia di questa parola “autentico” ci può offrire la chiave per trovare una risposta. Essa deriva dal verbo greco authentèo, che esprime l’idea di “avere autorità”. Introduce perciò una sfumatura in più. Autentico dice la verità di una cosa in quanto diventa autorevole per noi, cioè criterio vivente del nostro modo di guardare e trattare la realtà. Così celebrare i giorni della passione, morte e risurrezione di Gesù significa riconoscere che “il criterio” della nostra vita è quest’Uomo, il Crocifisso Risorto, che abita sacramentalmente con noi e ci viene quotidianamente incontro.
RispondiElimina(Angelo Scola)
HYMNUS AD CHRISTUM REGEM
RispondiEliminaGlória, laus et honor, tibi sit, Rex Christe redémptor:
Cui pueríle decus prompsit Hosánna pium.
R. Glória, laus et honor…
Israël es tu Rex, Davídis et ínclyta proles:
Nómine qui in Dómini, Rex benedícte, venis.
Glória, laus et honor…
Coetus in excélsis te láudat coélicus omnis:
Et mortális homo, et cuncta creáta simul.
Glória, laus et honor…
Plebs Hebræa tibi cum palmis óbvia venit:
Cum prece, voto, hymnis, ádsumus ecce tibi.
Glória, laus et honor…
Hi tibi passúro solvébant múnia láudis:
Nos tibi regnánti pángimus ecce melos.
Glória, laus et honor…
Hi placuére tibi, pláceat devótio nostra:
Rex bone, Rex clémens, cui bona cúncta plácent.
Glória, laus et honor…
Glòria, lode e onore, sia a te, Cristo Redentore:
Cui il fior dei fanciulli cantò piamente: Osanna.
Glòria, lode e onore…
Tu sei il Re di Israele, il nobile figlio di Davide:
O Re benedetto che vieni nel nome del Signore.
Glòria, lode e onore…
L’intera coorte angélica ti loda nell’alto dei cieli:
Con l’uomo mortale e tutte le creature.
Glòria, lode e onore…
Il pòpolo ebreo ti veniva incontro con le palme:
Ed éccoci dinanzi a Te con preghiere, voti e càntici.
Glòria, lode e onore…
A te che andavi a soffrire, offrívano il tributo di lode:
A te regnante, eleviamo questi canti.
Glòria, lode e onore…
Ti piácquero essi, ti piáccia la nostra devozione:
O Re buono, Re clemente, a cui ogni cosa buona piace.
Glòria, lode e onore…
"Nella vecchia liturgia della Domenica delle Palme il sacerdote, giunto davanti alla chiesa, bussava fortemente con l'asta della croce della processione al portone ancora chiuso, che in seguito a questo bussare si apriva. Era una bella immagine per il mistero dello stesso Gesù Cristo che, con il legno della sua croce, con la forza del suo amore che si dona, ha bussato dal lato del mondo alla porta di Dio; dal lato di un mondo che non riusciva a trovare accesso presso Dio."
RispondiElimina(Benedetto XVI, omelia della Domenica delle Palme 2007, in memoriam)
Púeri Hebræórum,
RispondiEliminaportantes ramos olivárum,
obviavérunt Dómino,
clamántes, et dicéntes:
Hosánna in excélsis.
Dómini est terra et quæ réplent eam, *
orbis terrárum et qui hábitant in eo.
Quia ipse super maria fundavit eum, *
et super flumina firmavit eum. Ant. Pueri.
Quis ascendet in montem Domini, *
aut quis stabit in loco sancto eius? Ant. Pueri.
Innocens manibus et mundo corde, + qui non accepit in vanum nomen eius, *
nec iuravit in dolum. Ant. Pueri.
Hie accipiet benedictionem a Domino, *
et iustificationem a Deo salutari suo. Ant. Pueri.
Hec est generatio quaerentium eum, *
quaerentium faciem Dei Iacob. Ant. Pueri.
Attolite, portae, capita vestra, + et elevamini, portre reternales, *
et introibit rex glorire. Ant. Pueri.
Quis est iste rex gloriae? + Dominus fortis et potens, *
Dominus potens in proelio. Ant. Pueri.
Attolite, portae, capita vestra, + et elevamini, portre reternales, *
et introibit rex glorire. Ant. Pueri.
Quis est iste rex glorire? *
Dominus virtutum ipse est rex glorire. Ant. Pueri.
Omittitur Gloria Patri.
fanciulli ebrei,
recando rami di ulivo,
andàrono incontro al Signore,
acclamando e dicendo:
Osànna nell’alto dei cieli.
Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l'ha fondato sui mari
e sui fiumi l'ha stabilito.
Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non si rivolge agli idoli,
chi non giura con inganno.
Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.
Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.
Chi è questo re della gloria? Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia.
Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.
Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria.
Si omette Gloria al Padre.
DIFFERENZA TRA LA BENEDIZIONE DELL'ULIVO NEL RITO ANTICO E NEL NUOVO
RispondiEliminaForma più antica
Bene ✠ dici Signore, te ne preghiamo, questi rami di palma e concedi che quanto il tuo popolo ha celebrato materialmente in tuo onore, lo compia spiritualmente con somma devozione, *vincendo il nemico* e corrispondendo con profondo amore all’opera della tua misericordia. Per Cristo nostro Signore.
R. Amen.
Preghiamo.
Signor Gesù Cristo, Re e Redentore nostro, in onore del quale abbiamo cantato lodi solenni, portando questi rami, concedi propizio che la grazia della tua benedizione discenda dovunque questi rami saranno portati e che *la tua destra protegga i redenti togliendo di mezzo a loro ogni iniquità ed illusione diabolica*. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. R. Amen.
Novus ordo
Dio onnipotente ed eterno, benedici † questi rami [di ulivo], e concedi a noi tuoi fedeli, che seguiamo esultanti Cristo, nostro Re e Signore, di giungere con lui alla Gerusalemme del cielo. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. R/. Amen.
Oppure:
Accresci, o Dio, la fede di chi spera in te e concedi a noi tuoi fedeli, che oggi innalziamo questi rami in onore di Cristo trionfante, di rimanere uniti a lui, per portare frutti di opere buone.
Per Cristo nostro Signore. R/. Amen.
Come è evidente, è scomparso OGNI RIFERIMENTO ALLA PROTEZIONE DAL DEMONIO, CONFERITA ALL'ULIVO BENEDETTO con la benedizione costitutiva.
RispondiEliminaLa settimana SAnta diventata "autentica", mutamento inaccettabile e fasullo. (Vedi supra, Angelo Scola dixit)
Questo aggettivo, "autentico", è tipico del lessico di Heidegger, il filosofo esistenzialista tedesco, di fatto ateo. Lui distingue l'autentico dallo inautentico. Da lì viene, di sicuro.
Ora, come si vede dal passo sopra citato di Scola, l'autentico è qualifica che dipende soprattutto dal soggetto. Autentico finisce con l'essere ciò che ha "autorità" per noi. Ma secondo chi? Sempre secondo noi.
Invece la Settimana Santa l'autorità che ha, ce l'ha in se stessa, perché è intrinsecamente "santa" a causa degli eventi tragici e straordinari che contiene, testimoniati nei Vangeli, parola di Dio.
L'autentico, come sfera dell'essere (per Heidegger dell'essere dell'essente ossia del nostro esistere temporalmente limitato che ha la sua essenza, il suo Wesen, in se stesso solamente), è qualifica che riposa sempre su come il soggetto "progetta se stesso", su come intende se stesso, nella sua immediatezza esistenziale (se in modo "autentico" o "inautentico"). L'autentico non è il vero, anche se può contenerne.
Chiamare la Settimana Santa "autentica" è risibile e assurdo.
Un motivo di più per fuggire da questa Messa Novus Ordo.
Meglio starsene a casa piuttosto che andarci.
Nel mio Messale Ambrosiano del 1936 la Messa di questi giorni è detta autentica. La Messa nasce dai fatti storici che si sono svolti due millenni orsono proprio in questi giorni di primavera.
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