L'arte dell'anima
Il termine “cinematografo” deriva dal greco kìnema “movimento” e gràfo “descrivere”. Si dice giustamente che il “cinema” sia la settima arte, ma stando all’esperienza umana si può affermare che, cronologicamente, sia la prima se si considera che il sogno - l’attività onirica - appartiene a tutti gli esseri umani fin dalla loro dall’infanzia. E dagli albori dell’umanità.
Questa premessa mi consente di presentare al meglio l’opera in oggetto: “Il riposo dopo la fuga in Egitto” di Michelangelo Merisi.
Solo San Matteo ci racconta la vicenda a tutti nota. Un angelo apparendo in sogno a San Giuseppe lo esorta a fuggire per l’incombere della drammatica “strage degli innocenti” innescata per uccidere Gesù. «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, (...)”La prima considerazione di natura spirituale che vorrei mettere in luce inerisce alla “missione” che Dio affida di San Giuseppe. Non è la prima volta che tramite un angelo (messaggero) apparsogli in sogno l’Onnipotente lo guida al compimento della Sua volontà. Ne possiamo trarre una considerazione generare secondo cui Dio non ci abbandona, non si disinteressa, anzi interviene e agisce, ma occorre corrispondere, obbedirGli senza indugio. A volte “l’angelo” che ci soccorre è un essere umano che ci offre un buon consiglio e ci invita a fare la strada giusta per scampare dai vari pericoli che ci insidiano.
Analizzando più nel dettaglio l’opera del Caravaggio possiamo ammirare la Beata Vergine Maria e Gesù bambino che dormono sereni uniti stretti a quell’amore di sacra intimità che i loro cuori sempre unisce. Il santo bimbo, tra quelle braccia benedette, ritrova il Paradiso abbandonato per incarnarsi allo scopo di redimerci. Sullo sfondo un paesaggio frondoso nel quale spuntano piante e fiori simbolici quali l’alloro, il cardo e il Tasso Barbasso. La sacra famiglia si trova in un deserto egizio ma nel quale, Gesù e Maria, portano una fioritura inattesa e ubertosa, poiché dove c’è Dio e la Sua Grazia c’è riparo nella calura e copioso raccolto spirituale.
L’angelo violinista in primo piano suona uno spartito di cui sono ben visibili le note del mottetto del compositore fiammingo Noel Bauldewijn (1480-1529), basato sul testo del Cantico dei Cantici e intitolato "Quam pulchra es".
Lo spartito riporta una Q e una L (Quam Pulcra) come riferimento a summenzionato brano.
Questo angelo è, nell’euritmia del dipinto, il perno visivo e la linea di separazione tra il Cielo e la terra. Le carni soffici, il drappeggio flessuoso e candido sono un sincronico sposalizio tra l’impalpabile natura degli spiriti e la “sensualità” del loro intervento nella vita umana. Lapalissiani sono i richiami di questo angelo con quelli riscontrabili in “Ercole al bivio” di Annibale Carracci nella figura di destra che incarna la Voluttà.
Questo suonatore celeste, dunque, non ha abbandonato Giuseppe dopo avergli riportato i comandi divini, ma lo ha misteriosamente seguito e confortato. E ora per loro suona... ma il suo violino ha una corda rotta. Segno che non esiste perfezione assoluta nelle umane vicende, anche nelle più eccelse tra le quali spicca la musica.
Sul versante opposto, passando per il delicatissimo volto del fedele e dolce asino trattato con cura affettuosa da Michelangelo, che pare fosse amante degli animali e lo dimostra, fuori dalla pittura, il legame con il proprio cane, c’è San Giuseppe. Anziano, stanco, con i piedi nudi nel terriccio leggermente sovrapposti come a voler rimediare a un improvviso prurito mentre ha le mani occupate a reggere lo spartito. Un uomo giusto rappresentato tra la terra e i sassi della nostra arida umanità, che all’occorrenza si presta volentieri anche a far da leggio allo spartito divino in funzione di un piano di salvezza che lo vede operare nella missione di custode senza nulla pretendere per sé, nemmeno il riposo.
Ed ecco che la realtà si tinge di sogno e forse, nel ristoro Benedetto del Dio bambino e della Sua Madre immacolata questo è il “film” che va in scena mentre dormono felici.
Una felicità musicale possibile anche mentre sono fuggiaschi in terra d’Egitto e nell’incombere di un pericolo tremendo, sì, perché l’amore che vivono tutti e tre è portatore di pace e di gaudio ultraterreno. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” dirà il Messia nella sua evangelizzazione; una pace che non è assenza di guerra come la vorrebbero i mondani, ma serenità soprannaturale pur nelle fatiche e nelle prove della vita/missione. Una pace che ha note angeliche che sovrastano i frastuoni e i tumulti di tutti gli infernali Erode della storia.
Questa premessa mi consente di presentare al meglio l’opera in oggetto: “Il riposo dopo la fuga in Egitto” di Michelangelo Merisi.
Solo San Matteo ci racconta la vicenda a tutti nota. Un angelo apparendo in sogno a San Giuseppe lo esorta a fuggire per l’incombere della drammatica “strage degli innocenti” innescata per uccidere Gesù. «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, (...)”La prima considerazione di natura spirituale che vorrei mettere in luce inerisce alla “missione” che Dio affida di San Giuseppe. Non è la prima volta che tramite un angelo (messaggero) apparsogli in sogno l’Onnipotente lo guida al compimento della Sua volontà. Ne possiamo trarre una considerazione generare secondo cui Dio non ci abbandona, non si disinteressa, anzi interviene e agisce, ma occorre corrispondere, obbedirGli senza indugio. A volte “l’angelo” che ci soccorre è un essere umano che ci offre un buon consiglio e ci invita a fare la strada giusta per scampare dai vari pericoli che ci insidiano.
Analizzando più nel dettaglio l’opera del Caravaggio possiamo ammirare la Beata Vergine Maria e Gesù bambino che dormono sereni uniti stretti a quell’amore di sacra intimità che i loro cuori sempre unisce. Il santo bimbo, tra quelle braccia benedette, ritrova il Paradiso abbandonato per incarnarsi allo scopo di redimerci. Sullo sfondo un paesaggio frondoso nel quale spuntano piante e fiori simbolici quali l’alloro, il cardo e il Tasso Barbasso. La sacra famiglia si trova in un deserto egizio ma nel quale, Gesù e Maria, portano una fioritura inattesa e ubertosa, poiché dove c’è Dio e la Sua Grazia c’è riparo nella calura e copioso raccolto spirituale.
L’angelo violinista in primo piano suona uno spartito di cui sono ben visibili le note del mottetto del compositore fiammingo Noel Bauldewijn (1480-1529), basato sul testo del Cantico dei Cantici e intitolato "Quam pulchra es".
Lo spartito riporta una Q e una L (Quam Pulcra) come riferimento a summenzionato brano.
Questo angelo è, nell’euritmia del dipinto, il perno visivo e la linea di separazione tra il Cielo e la terra. Le carni soffici, il drappeggio flessuoso e candido sono un sincronico sposalizio tra l’impalpabile natura degli spiriti e la “sensualità” del loro intervento nella vita umana. Lapalissiani sono i richiami di questo angelo con quelli riscontrabili in “Ercole al bivio” di Annibale Carracci nella figura di destra che incarna la Voluttà.
Questo suonatore celeste, dunque, non ha abbandonato Giuseppe dopo avergli riportato i comandi divini, ma lo ha misteriosamente seguito e confortato. E ora per loro suona... ma il suo violino ha una corda rotta. Segno che non esiste perfezione assoluta nelle umane vicende, anche nelle più eccelse tra le quali spicca la musica.
Sul versante opposto, passando per il delicatissimo volto del fedele e dolce asino trattato con cura affettuosa da Michelangelo, che pare fosse amante degli animali e lo dimostra, fuori dalla pittura, il legame con il proprio cane, c’è San Giuseppe. Anziano, stanco, con i piedi nudi nel terriccio leggermente sovrapposti come a voler rimediare a un improvviso prurito mentre ha le mani occupate a reggere lo spartito. Un uomo giusto rappresentato tra la terra e i sassi della nostra arida umanità, che all’occorrenza si presta volentieri anche a far da leggio allo spartito divino in funzione di un piano di salvezza che lo vede operare nella missione di custode senza nulla pretendere per sé, nemmeno il riposo.
Ed ecco che la realtà si tinge di sogno e forse, nel ristoro Benedetto del Dio bambino e della Sua Madre immacolata questo è il “film” che va in scena mentre dormono felici.
Una felicità musicale possibile anche mentre sono fuggiaschi in terra d’Egitto e nell’incombere di un pericolo tremendo, sì, perché l’amore che vivono tutti e tre è portatore di pace e di gaudio ultraterreno. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” dirà il Messia nella sua evangelizzazione; una pace che non è assenza di guerra come la vorrebbero i mondani, ma serenità soprannaturale pur nelle fatiche e nelle prove della vita/missione. Una pace che ha note angeliche che sovrastano i frastuoni e i tumulti di tutti gli infernali Erode della storia.
Roberto Bonaventura
www.robertobonaventura.com
Il Dio che non è.
RispondiEliminaIl demonio è assai astuto nel presentarci un'immagine di Dio estremizzata in entrambi i sensi.
-Misericordioso, ma in maniera falsa, fino a non tener in nessun conto il peccato e le conseguenze che questo ha nelle nostre anime. Un Dio che salva tutti, anche chi non vuole adorarLo e servirLo e salvarsi.
-Giusto, ma in maniera terribile quasi che fosse il nostro acerrimo nemico. Un dispensatore di croci e guai, come se fosse la Sua massima soddisfazione quella di vederci penare.
Risultato:
nel primo caso ci si abbandona tranquillamente al peccato ché nulla inciderebbe sul nostro destino eterno.
Nel secondo caso si finisce presto o tardi per disperare di poter essere perdonati da un tal “tiranno” e, inevitabilmente, ci si abbandonerebbe (ugualmente) al peccato e/o alla disperazione.
Teniamo gli occhi dell'anima sul Vangelo per non perdere il santo equilibrio che ci fa detestare e temere il peccato, ma ci fa sentire Dio per Chi veramente è: un Padre Santissimo e Meraviglioso. Misericordioso e giusto. La Misericordia la dispensa a chi si pente e la Giustizia a chi non vuole pentirsi e convertirsi.
RB
"Ci sentiamo impegnati a trasfigurarci nei confronti del mondo. San Serafino di Sarov si trasfigurò: anche noi dobbiamo trasfigurarci nella dolcezza e nell'umiltà, in modo che tutta la nostra vita dica Dio agli uomini, riveli Dio e la Sua carità; riveli la Sua luce, doni al mondo la Sua pace, la Sua gioia. [...] Fede luminosa, preghiera continua e viva. Dobbiamo essere anime di luce nelle quali si riflette tutta la bellezza del cielo."
RispondiElimina(don Divo Barsotti)