di Benedetto XVI
di don Curzio Nitoglia
Introduzione
Dopo aver annunciato le sue dimissioni, l’11 febbraio 2013, per mancanza di forze fisiche e morali che non gli avrebbe consentito di agire per il bene della Chiesa, Benedetto XVI ha incontrato il Clero di Roma, al quale - il 14 febbraio - ha proluso una “Lectio magistralis” sul Concilio Vaticano II, la sua retta interpretazione ed è tornato con la memoria ai ricordi storico/teologici della sua partecipazione da giovane teologo al Concilio, prima come teologo privato del cardinal Frings e poi come “Perito ufficiale” del Concilio.
Pertanto, mi vorrei soffermare su questo testo, che esprime la teologia modernistica di Ratzinger/Benedetto XVI dal 1959 al 2013, testo ufficialmente diffuso dalla “Radio Vaticana”, il lettore potrà leggerlo sul sito VATICAN NEWS, 14 febbraio 2013.
In esso si costata che l’85nne Benedetto XVI nel 2013 è sostanzialmente identico al 38nne don Ratzinger del 1960-65. Egli, infatti, è restato un convinto assertore delle novità introdotte dalla “nouvelle théologie” nella Pastorale del Vaticano II.
Questa è la vera “tragedia” e non l’aver dato le dimissioni per motivi d’incapacità di governare la Chiesa (ammesso che la motivazione sia realmente questa).
Aver riunito ad Assisi nell’ottobre del 2102 tutte le false “religioni” assieme all’unica vera, è un atto in sé inaccettabile e in rottura con la Tradizione apostolica: basta leggere l’Enciclica “Mortalium animos” di Pio XI del 1928.
Aver elogiato la Collegialità, la rivolta contro gli Schemi preparatori del S. Uffizio, l’Ecumenismo, la Riforma della Messa anche nel momento che precede le sue dimissioni ed il redde rationem finale è qualcosa di molto grave, che deve aprirci gli occhi sulla mentalità di Benedetto XVI, anche quanto alla liberalizzazione della Messa tradizionale del 7 luglio 2007, per non cadere nel trabocchetto della “Continuità” tra Concilio Vaticano II e Tradizione apostolica, la quale è smentita implicitamente da ciò che dice lo stesso papa Ratzinger, il quale proclama - ma non dimostra - la ‘non-rottura’ del Vaticano II con la Tradizione.
Il discorso del 14 febbraio 2013 e Commento
Il discorso di Benedetto XVI è bene articolato e riafferma quasi tutti i grandi temi del Vaticano II in quest’ordine: 1a Parte) la Chiesa e la Modernità (in 3 Tesi e 3 Risposte); 2a Parte) l’Ecclesiologia (in 7 Tesi e 7 Risposte); 3a Parte) la Riforma liturgica (in 3 Tesi e 3 Risposte).
Per aiutare il lettore ho diviso il testo in tre Parti, esponendo le Tesi di papa Ratzinger e cercando di dare una Risposta a ciascuna di esse.
Il Testo di Benedetto XVI diviso in Tesi
PRIMA PARTE
“CHIESA E MODERNITÀ”
Tre Tesi e tre Risposte
1a Tesi di Ratzinger
Il primo punto esposto da Benedetto XVI lascia più che perplessi. Infatti, esso contiene l’utopica conciliabilità tra “Concilio e il mondo del Pensiero Moderno”.Rispondo
La Modernità è caratterizzata dal Soggettivismo (religioso di Lutero, filosofico di Cartesio e socio/politico di Rousseau). Il Concilio Vaticano II ha preteso di conciliare la Modernità filosofica iniziata da Cartesio, perfezionata da Kant e ultimata da Hegel con il Cattolicesimo.
Ora, questa è l’essenza del Modernismo, il quale - come insegna San Pio X nell’Enciclica Pascendi (8 settembre 1907) - è “lo spurio connubio di Cristianesimo e kantismo”, ossia una contradictio in terminis, che sfocia nella “cloaca di tutte le eresie” (ivi).
Infatti, l’uomo, secondo il kantismo, è Supremo Legislatore di se stesso. Egli agisce moralmente soltanto quando osserva la sua legge; se si sottomette alla Legge divina, si ha l’eteronomia (sottomissione a una legge estranea) che è immorale, poiché contraddice l’autonomia della morale. Kant ripete, con parole più sfumate, il non serviam di Lucifero e lo erige a sistema “filosofico”. La filosofia moderna si fonda sul principio di autonomia assoluta e di autosufficienza completa dell’uomo, ossia dell’allontanamento dell’uomo da Dio con la conseguenza dell’autodistruzione progressiva.
Dio (come pure l’essere partecipato-creaturale, la ragione umana e la logica, la morale oggettiva e naturale), soprattutto nell’epoca contemporanea, è visto come il male da combattere, distruggere ed uccidere (1). Eppure il Vaticano II ha voluto conciliare il Vangelo con la Modernità.
L’uomo contemporaneo si sente limitato da Dio, dalla sua Chiesa, dalla vera Religione, dall’essere extra-mentale, dalla logica e dalla morale oggettiva. Quindi, è impossibile conciliare Cattolicesimo e Modernità o post-Modernità, tranne che la Modernità si converta al Cattolicesimo e sconfessi se stessa o che i Cristiani abiurino il Cattolicesimo ed aderiscano alla Modernità. Purtroppo, il dialogo conciliare con la Modernità ha portato i Cristiani e gli Ecclesiastici all’aggiornamento, ossia all’adattamento e all’accettazione della Modernità soggettivistica.
L’ateismo implicito iniziale e il deicidio, come ateismo esplicito compiuto, rappresentano la natura del processo filosofico moderno, che dialetticamente prima nega Dio e, poi, nichilisticamente lo vorrebbe uccidere.
La negazione del peccato originale è una conseguenza pratica della negazione di un Dio creatore, che limita l’uomo come creatura. Infatti, il peccato originale infligge all’Uomo/totale o Assoluto una doppia ferita: quella della creaturalità e della vulnerabilità, che egli non è più disposto ad accettare, come avveniva in passato (2) . L’uomo si protende, invece, verso un Umanesimo integrale (3), che è ateismo e nichilismo radicale.
Da questa filosofia è nata la contrapposizione radicale tra il Cristianesimo tradizionale e il mondo moderno-contemporaneo. Contraddizione che è stata volutamente ignorata da alcuni Ecclesiastici modernisti e che essi hanno cercato di superare nel disperato tentativo di conciliare il teocentrismo con l’antropocentrismo (Gaudium et spes, 22, 24). Alcuni di loro hanno detto esplicitamente che la natura esige la grazia e implicitamente che l’uomo è Dio (HENRY DE LUBAC, Surnaturel, Parigi, 1946). Tuttavia, il mondo ha rifiutato, in larga misura, questa mano tesa da parte dell’arrendevolezza modernistica ed ha riaffermato, sempre più marcatamente, la diversità e la contrarietà tra Fede e ragione, tra Grazia e natura, tra Chiesa e Stato.
Il cuore del “problema dell’ora presente” è propriamente la velleità di conciliare l’inconciliabile, teocentrismo e antropocentrismo, Messa romana e Novus Ordo, Tradizione divino-apostolica e Vaticano II, Collegialità episcopale e Primato di Pietro. Questa velleità è stata il cuore della teologia del giovane Ratzinger e del Pontificato di Benedetto XVI modernista impenitente sino alla fine (v. Discorso al Clero Romano del 14 febbraio 2013).
2a Tesi di Ratzinger
«Speravamo che tutto si rinnovasse, che venisse una nuova Pentecoste, una nuova era della Chiesa» (Benedetto XVI).Rispondo
Questa Tesi ecclesiologica della Nuova era dell’economia della salvezza e di una Nuovissima Chiesa pneumatica già venne espressa da Gioacchino da Fiore, di cui J. Ratzinger come dottore privato è un profondo conoscitore.
Essa, però, è stata condannata dalla Chiesa. San Tommaso d’Aquino, risponde e confuta (meglio di ogni altro) gli errori millenaristi di Gioacchino e della sua scuola. Nella Somma Teologica dimostra che la Nuova Alleanza e la Chiesa di Cristo fondata su Pietro durerà sino alla fine del mondo (S. Th., I-II, q. 106, a. 4). Infatti, la Nuova Alleanza è succeduta alla Vecchia, come il più perfetto al meno perfetto. Ora, nello stato della vita umana in questo mondo, nulla può essere più perfetto di Cristo e della Nuova Legge, poiché qualcosa è perfetto in quanto si avvicina al suo fine. Ora, Cristo ci introduce – grazie alla sua Incarnazione e morte – in Cielo. Quindi, non vi può essere – su questa terra – nulla di più perfetto di Gesù e della sua Chiesa.
Per quanto riguarda lo Spirito Santo, come perfezionatore dell’opera della Redenzione di Cristo, esso è inviato proprio da Cristo per confessare Cristo stesso, che ha promesso formalmente ai suoi Apostoli: “Lo Spirito Santo che Io vi manderò, procedendo dal Padre, renderà testimonianza di Me”. Quindi, il Paraclito non è l’iniziatore di una terza era, ma testimonia e spiega Cristo agli uomini e li rafforza per poterlo imitare. Onde, dopo l’Antica e la Nuova Legge, su questa terra non vi sarà una terza Alleanza, ma il terzo stato sarà quello dell’eternità, sempre felice nel Cielo o sempre infelice nell’Inferno. Gioacchino erra nel trasportare la realtà ultramondana o eterna su questa terra. Il Regno, di cui parla l’abate da Fiore, non riguarda questo mondo, ma l’aldilà. Infatti, lo Spirito Santo ha spiegato agli Apostoli (il giorno di Pentecoste del 33) tutta la verità che Cristo aveva predicato e che loro non avevano ancora capito appieno. Il Paraclito non deve insegnare una nuovissima Legge o un altro Vangelo più spirituale di quello di Cristo, ma deve solo illuminare e dar forza per ben conoscere e ben vivere la dottrina cristiana, che ha perfezionato quella mosaica (S. Th., I-II, q. 106, a. 4). Inoltre, la Vecchia Legge, non fu solo del Padre, ma anche del Figlio (raffigurato e prefigurato da Mosè); come pure la Nuova Legge non fu solo del Figlio, ma anche dello Spirito promesso e inviato da Cristo ai suoi Apostoli. La Legge di Cristo è la Grazia dello Spirito santo, che illumina, vivifica e irrobustisce per poter osservare la Legge divina. Così come già nell’Antico Testamento era lo Spirito Santo a illuminare e corroborare i Patriarchi e i Profeti, i quali, pur vivendo sotto la Vecchia Legge, avevano già lo spirito della Nuova e la vivevano eroicamente mediante la grazia dello Spirito Santo (per attribuzione). Quando Gesù insegna agli Apostoli che “Il Regno dei Cieli è vicino”, non si riferisce – spiega san Tommaso – solo alla distruzione di Gerusalemme, come termine definitivo della Vecchia Alleanza e inizio formale della Nuova, ma anche alla fine del mondo (S. Th., I-II, q. 6, a. 4, ad 4; ivi, III, q. 34, a. 1, ad 1; ivi, III, q. 7, a. 4, ad 3 et 4). Infatti, il Vangelo di Cristo è la ‘Buona Novella’ del Regno (ancora imperfetto) della ‘Chiesa militante’ su questa terra e del Regno (oramai e per sempre perfetto) della ‘Chiesa trionfante’ nei Cieli. Inoltre, nel Commento a Matteo sul discorso escatologico di Gesù (XXIV, 36), san Tommaso postilla: “Qualcuno potrebbe credere che questo discorso di Cristo, riguardi solo la fine di Gerusalemme; però sarebbe un grosso errore riferire tutto quanto è stato detto solo alla distruzione della Città santa e quindi la spiegazione è diversa… cioè che tutti gli uomini e i fedeli in Cristo sono una sola generazione e che il genere umano e la fede cristiana durerà sino alla fine del mondo” (Expos. In Matth. c. XXIV, 34). L’Angelico, si basa su tale testo per confutare l’errore gioachimita, secondo il quale la Nuova alleanza o la Chiesa di Cristo non durerà sino alla fine dei tempi; egli riprende l’insegnamento patristico (specialmente del Crisostomo e di San Gregorio Magno) e lo sviluppa anche nella Somma Teologica (I-II, q. 106, a. 4, sed contra). Perciò, il cristianesimo durerà sino alla fine del mondo e non ci sarà bisogno di una ‘terza Alleanza pneumatica e universale’ (Catolikòs), ma la Chiesa di Cristo è il Regno del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (con buona pace di Gioacchino e seguaci) né occorre sognare il rimpiazzamento del cristianesimo, basta solo viverlo sempre più intensamente.
I teologi renani del Vaticano II erano imbevuti di questa malsana ideologia che attendeva una Chiesa di un’ipotetica “Terza Alleanza”, del Pentecostalismo, del Carismatismo, del Rinnovamento dello Spirito, del Cammino Neocatecumenale e del Sentimentalismo religioso. È Ratzinger stesso che lo ricorda.
3a Tesi di Ratzinger
«Si sentiva che la Chiesa non andava avanti, ma sembrava piuttosto una realtà del passato e non la portatrice del futuro» (Benedetto XVI).Rispondo
Qui si tocca il problema dei rapporti tra la Chiesa, e specialmente il Concilio Vaticano II, e la Tradizione. Per questo motivo affronto questo problema nella prima parte dell’articolo: “Concilio e Modernità” e non nella seconda parte sulla “Ecclesiologia”.
Infatti, la Chiesa per andare avanti omogeneamente e non eterogeneamente deve rifarsi alle sue radici o alla sua Tradizione, “vita e giovinezza della Chiesa” (B. Gherardini), che assieme alla S. Scrittura è una delle due fonti della divina Rivelazione. Ora, parlare di una Chiesa tutta protesa in avanti e svalutarne il passato storico (per esempio, il preteso errore sul caso Galileo) equivale a tagliare le radici di un albero e condannarlo alla morte.
“Tradidi quod et accepi” (1 Cor., XV, 3): non si può dare null’altro se non ciò che si è ricevuto, l’Autorità nella Chiesa ha il compito di custodire, e trasmettere inviolato il ‘Deposito della Rivelazione’, senza cambiamenti sostanziali ed oggettivi, ma approfondendo la Fede, però sempre in eodem sensu. Come si vede la questione non è un bizantinismo, ma è di estrema attualità. Infatti, il pontificato di Benedetto XVI si è proteso ad affermare di leggere il Concilio Vaticano II non in discontinuità, ma in continuità con la Tradizione della Chiesa, mentre in realtà vi è una “continua discontinuità” tra il Vaticano II e la Tradizione apostolica. Onde, occorre sapere qual è la vera nozione di Tradizione e mettere a confronto la dottrina ricevuta e trasmessa dagli Apostoli sino a Pio XII con l’insegnamento del Vaticano II per vedere se tra essi vi è continuità e sviluppo omogeneo oppure eterogeneo. Non basta conclamare verbalmente continuità perché essa esista realmente. Ove si riscontra contrarietà e novità oggettiva, intrinseca ed eterogenea vi è rottura, che è la morte o l’interruzione della Tradizione, in quanto non si consegna ciò che si è ricevuto dagli Apostoli, ma nuove dottrine (“nova non nove/ cose nuove e non le stesse cose dette in maniera nuova”), ossia una “contro-tradizione”. Non si può sostituire la verità di ieri con quella di oggi a lei contraria o difforme, poiché la verità è una e immutabile sostanzialmente e oggettivamente “heri, hodie et in saecula”. Perciò, se è lecito e doveroso rileggere oggi la Tradizione per capire meglio e più profondamente ciò che ci fu detto ieri dagli Apostoli, non è mai lecito piegare l’insegnamento apostolico alle filosofie moderne immanentistiche e modernistiche e cambiarlo sostanzialmente in senso soggettivistico e relativistico.
Ora, per fare un esempio, la “Dei Verbum” del Concilio Vaticano II rigettò lo schema della Commissione preparatoria “De fontibus Revelationis” (avvenimento salutato con entusiasmo da Benedetto XVI sino al 14 febbraio 2013), che riprendeva le definizioni del Tridentino e del Vaticano I ed era stato preparato sotto la direzione del card. Alfredo Ottaviani vice-Prefetto del S. Uffizio (il cui Prefetto - si badi bene - era il Papa), e ciò per annacquare il peso della Tradizione a tutto vantaggio della sola Scrittura, in vista del dialogo interreligioso col protestantesimo, che aborrisce la Tradizione. Col Vaticano II non si parla più di duplice fonte della Rivelazione. Con il Vaticano II si misurò la Tradizione in base alla Scrittura: tutto ciò che non era scritto, non poteva essere ritenuto come vero; in breve si ribaltò la dottrina comune e definita dell’insufficienza della sola Scrittura nei confronti della Tradizione. Col Tridentino e il Vaticano I, la Tradizione era accolta perché proveniente da Gesù e dagli Apostoli, col Vaticano II (DV) è accolta se sono i teologi a riconoscere tale provenienza fondandosi sulla S. Scrittura, omologando Tradizione e Scrittura. La loro distinzione invece era stata ribadita anche dopo il Vaticano I da S. Pio X nel Decreto Lamentabili (1907) e poi da Pio XI nell’enciclica Mortalium animos (1928). Il problema è quindi di vedere se realmente la dottrina dell’unica fonte scritta della Rivelazione (Dei Verbum) sia contenuta nella Tradizione apostolica o sia una novità del Concilio (pastorale e non dogmatico) Vaticano II.
______________1 - Cfr. C. FABRO, Introduzione all’ateismo moderno, 2 voll., Roma, Studium, 1967; A. DEL NOCE, Il problema dell’ateismo, Bologna, Il Mulino, 1964.
2 - Cfr. A. DEL NOCE, L’epoca della secolarizzazione, Milano, Giuffrè, 1970; C. FABRO, L’uomo e il rischio di Dio, Brescia, Morcelliana, 1964.
3 - Cfr. J. MARITAIN, Umanisme integral, Parigi, 1936.
* * *
SECONDA PARTE
“L’ECCELSIOLOGIA”
Sette Tesi e sette Risposte
1a Tesi di Ratzinger
«I Vescovi avrebbero letto testi già preparati, e i membri del Sinodo avrebbero semplicemente approvato e così si sarebbe svolto il Sinodo. I vescovi hanno concordato di non fare così, in quanto loro stessi sono i soggetti del Concilio. Il primo momento nel quale quest’atteggiamento si è mostrato, è stato subito il primo giorno» (Benedetto XVI).Rispondo
La fase preparatoria iniziò il 5 giugno del 1960 e durò sino al 20 giugno del 1962; in essa si approntarono circa 70 schemi da discutere in Concilio, redatti in massima parte dal S. Uffizio, il cui Prefetto era il Papa ed il vice-Prefetto il card. Ottaviani. Questi 70 schemi rispondevano ai “Vota” che i Vescovi, sparsi nel mondo nelle loro proprie Diocesi, interpellati dal S. Uffizio, avevano inviato in Vaticano. Essi, quindi, come fece notare il card. Ottaviani, avevano un valore paragonabile al Magistero Ordinario Universale, ossia all’insegnamento impartito dai Vescovi sparsi nel mondo unitamente al Papa.
Il Concilio iniziò l’11 ottobre 1962 e terminò l’8 dicembre 1965. Sin dal 20 novembre 1962 (appena un mese dopo l’inizio del Concilio) si assisté al “colpo di mano” (elogiato con pertinacia ed ostinazione da Benedetto XVI il 14 febbraio 2013) del rifiuto della fase preparatoria (elaborata da papa Giovanni XXIII (1) e dal S. Uffizio, che rispondevano ai ‘Desideri’ dei Vescovi del mondo intero) e all’inizio di una nuova fase, sia cronologica che dottrinale. Infatti, i documenti poi partoriti dal ‘62 al ‘65 furono improntati alla dottrina della nouvelle théologie di alcuni ‘teologi’, dei quali Benedetto tesse l’elogio (“grandi figure”) nel suo discorso del 14 febbraio 2013, i quali, però, erano stati condannati 10 anni prima da Pio XII con l’Enciclica Humani generis (12 agosto 1950).
Anche qui dove sta la continuità?
Per la collegialità episcopale «efficacissimo fu l’intervento del card. Frings, per il quale è legittimo supporre il contributo del suo teologo Ratzinger, il quale ancor oggi ne è un convinto assertore. Si trattò forse del discorso più incisivo dal punto di vista critico, giacché demoliva lo schema [preparatorio del S. Uffizio]» (2) : il “mito della continuità” è smentito in verbis et in factis dal giovane Ratzinger e da Benedetto XVI, in piena continuità con se stesso, ma in ‘discontinuità-continua e costante’ con la Tradizione della Chiesa. Benedetto XVI rappresenta l’incarnazione della “discontinuità-continua”, come il cattolico liberale è “l’incoerenza stessa sussistente” (card. Louis Billot).
Storico è lo scontro (8 novembre 1963) che ebbe Frings con Ottaviani sulla collegialità, che indurrà «Paolo VI a chiedere a Jedin, Ratzinger e a Onclin alcuni pareri sulla riforma della Curia» (3). Ottaviani rispose a Frings che “chi vuol essere una pecora di Cristo deve essere condotto al pascolo da Pietro che è il Pastore, e non sono le pecore [i Vescovi] che devono dirigere Pietro, ma è Pietro che deve guidare le pecore [i Vescovi] e gli agnelli [i fedeli]”. L’idea collegialista di Frings-Ratzinger non era comune neppure a tutto l’Episcopato tedesco. Infatti, in un resoconto del perito conciliare belga monsignor Albert Prignon si legge: «Per quanto riguarda le conferenze episcopali, Döpfner non era d’accordo con Frings al quale successe nel 1965 come presidente della “Conferenza Episcopale Tedesca”» (4).
Paradossalmente durante il Concilio, spiega monsignor Prignon (5), il card. Frings col suo giovane teologo J. Ratzinger appartenevano all’ala del collegialismo duro e addirittura “violento” per quanto riguarda l’apertura alla modernità e quindi essi furono più oltranzisti di Döpfner e Rahner, che allora erano collegialisti sfumati o mitigati. Infatti, furono proprio Frings e Ratzinger a bloccare nell’8 novembre del 1963 gli schemi preparatori dogmatici del S. Uffizio e ad indirizzare il Concilio verso la “pastoralità” modernistica e la riforma della Curia romana (1967). Tuttavia dopo il Concilio, forse per il mutar dei ruoli e dei posti, Ratzinger specialmente è divenuto il “moderato”, l’interprete del Concilio alla luce della Tradizione (a parole ma non a fatti) e lo sponsor dell’ermeneutica della continuità. Ciò che stupisce è il fatto, che ancora dopo cinquanta anni si caschi nelle stesse trappole, fidandosi di chi ha dissimulato per mezzo secolo.
La dottrina sulla ‘collegialità’ fu attaccata dalla rivista diretta da monsignor Antonio Piolanti “Divinitas” n. 1 del 1964 tramite due articoli, l’uno di Sua Ecc. monsignor Dino Staffa e l’altro di monsignor Ugo Emilio Lattanzi (che citava, confutandolo, anche il teologo J. Ratzinger), i quali vennero fatti distribuire in Concilio sotto forma di estratti dal card. Ottaviani.
La Collegialità episcopale è stata costantemente condannata dal Magistero ecclesiastico sino a Pio XII, il quale ancora tre mesi prima di morire nell’enciclica Ad Apostolorum principis (29 giugno 1958) ribadì, per la terza volta, dopo la Mystici Corporis del 1943 e la Ad Sinarum gentem del 1954, che la giurisdizione viene ai vescovi tramite il Papa. Il gallicanesimo o conciliarismo, invece, tende ad assegnare al Concilio ecumenico una funzione suprema, eguale se non superiore a quella del Papa.
Monsignor Prignon scrive: «Sembra che si sia arrivati al punto di minacciare di far saltare il Concilio nel caso passasse il testo votato sulla Collegialità. Si è accusato papa Montini come dottore privato di inclinare verso l’eresia» (6). Infatti, il card. Arcadio Maria Larraona il 18 ottobre 1964 inviò una lettera a Paolo VI in cui fra l’altro scrisse: «Sarebbe nuovo, inaudito e ben strano che una dottrina [collegialità episcopale] passasse improvvisamente […] a divenire più probabile, anzi certa o addirittura matura per essere inserita in una Costituzione conciliare. Questo sarebbe cosa contraria a ogni norma ecclesiastica, sia in campo di definizioni infallibili pontificie sia d’insegnamenti conciliari anche non infallibili. […]. Lo schema [sulla collegialità] cambia il volto della Chiesa; infatti: la Chiesa diventa da monarchica, episcopale e collegiale, e ciò in virtù della consacrazione episcopale. Il Primato papale resta intaccato e svuotato. […]. Il Pontefice romano non è presentato come la Pietra sulla quale poggia tutta la Chiesa di Cristo (gerarchia e fedeli) (7) ; non è descritto come Vicario in terra di Cristo; non è presentato come colui che solo ha il potere delle chiavi. […]. La Gerarchia di Giurisdizione, in quanto distinta dalla Gerarchia di Ordine, viene scardinata. Infatti, se si ammette che la consacrazione episcopale porta con sé le Potestà di Ordine ma anche, per diritto divino, tutte le Potestà di Giurisdizione (magistero e governo) non solo nella Chiesa propria ma anche in quella universale, evidentemente la distinzione oggettiva e reale tra Potere d’Ordine e Potere di Giurisdizione, diventa artificiosa, capricciosa e paurosamente vacillante. E tutto ciò – si badi bene – mentre tutte le fonti, le dichiarazioni dottrinali solenni, tridentine e posteriori, proclamano questa distinzione essere di diritto divino. […] La Chiesa avrebbe vissuto per molti secoli in diretta opposizione al diritto divino […]. Gli ortodossi e in parte i protestanti avrebbero dunque avuto ragione nei loro attacchi contro il Primato» (8).
Sempre sulla collegialità Rahner, e soprattutto Ratzinger, specificarono «ciò che era necessario per far parte del collegio» dei vescovi: secondo Ratzinger «si fa parte del collegio “vi consecrationis” […]. Non fu raggiunta, invece, l’intesa sulla necessità di ripetere la formula del Vaticano I sul primato del Papa: Salaverri e Maccarrone la avrebbero inserita nel paragrafo sulle relazioni tra Papa e collegio, mentre Rahner e Ratzinger non aderirono» (9).
Anzi, spiega Alberigo, se per la Collegialità Congar fece appello al senso di responsabilità dei Padri conciliari, perché non si aggiungesse altro disagio a quello che il Papa aveva già con le contestazioni del Coetus Internationalis Patrum (10), invece «Ratzinger è favorevole ad azioni dure per ottenere almeno un dibattito libero sulla questione» (11). Quindi, Ratzinger sulla Collegialità era più radicale di Congar e persino di Karl Rahner.
2a Tesi di Ratzinger
«Frings ha detto che il Papa ha convocato i Vescovi nel Concilio ecumenico come un Soggetto che rinnovi la Chiesa.[…] Un’esperienza dell’universalità della Chiesa e della realtà concreta della Chiesa, che non semplicemente riceve imperativi dall’alto, ma cresce e va avanti – naturalmente – sotto la guida del Successore di Pietro» (Benedetto XVI).Rispondo
Il Soggetto del Magisterium e dell’Imperium nella Chiesa è il Papa, che, se vuole, può - come Principe dei successori degli Apostoli - interpellare ab alto i Vescovi nelle loro Diocesi e pronunciarsi insieme con loro nel “Magistero Ordinario Universale”, oppure li riunisce straordinariamente o eccezionalmente in Concilio Ecumenico e li fa partecipare al suo Munus docendi et imperandi nel “Magistero Straordinario Universale”. Il Soggetto supremo del potere di governo e d’insegnamento nella Chiesa è uno solo: il Papa; non ce ne sono due: Papa e Vescovi, e ciò per volontà di Dio che ha detto: “Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la Mia Chiesa” (Mt., XVI, 18). Si badi, Gesù ha detto “Tu … su Te”, non ha detto: “Voi siete il Mio Collegio e su Voi …”. Non si può negare che il Papa imperi dall’alto ai Vescovi, con buona pace di Frings e Ratzinger, senza negare il Primato di Pietro e dei suoi successori, infallibilmente definito de Fide divino-catholica dal Vaticano I.
3a Tesi di Ratzinger
«Il primo momento nel quale quest’atteggiamento si è mostrato, è stato subito il primo giorno. Erano state previste, per questo primo giorno, le elezioni delle Commissioni ed erano preparate in modo imparziale le liste, i nominativi. E queste liste erano da votare. Ma, sùbito i Padri hanno detto: “No, non vogliamo semplicemente votare liste già fatte. Siamo noi il soggetto”» (Benedetto XVI).Rispondo
Abbiamo già visto che quest’atteggiamento è stato definito un “colpo di mano” contro le decisioni del S. Uffizio diretto dal Papa con la vice-gerenza di Ottaviani in risposta ai “Vota” dei Vescovi della Chiesa universale. Un atto grave sia dal punto di vista disciplinare che dottrinale. I Vescovi renani dissero: “noi siamo il Soggetto” del Sommo potere di Magisterium e di Imperium nella Chiesa, non è il Papa coadiuvato dalla Curia romana e dalla Prima e Massima Congregazione del S. Uffizio, non sono neppure i “Desideri” dei Vescovi sparsi nel mondo ciascuno nella sua Diocesi, ma siamo noi! La Chiesa è stata fondata “su di Noi e non su Pietro”; il Vangelo, quindi, ha sbagliato …
4a Tesi di Ratzinger
«Non era un atto rivoluzionario, ma un atto di coscienza, di responsabilità da parte dei Padri conciliari» (Benedetto XVI).Rispondo
Invece era proprio un atto rivoluzionario, un “colpo di stato o di … Chiesa”, che mostrava l’avversione dei Padri renani verso Roma, il Papato, la struttura monarchica della Chiesa voluta da Dio, il S. Uffizio ed i “Vota” dell’Episcopato universale, quando non concordava con le loro opinioni neo/modernistiche. Anche la Collegialità episcopale va interpretata: se esprime la nuova teologia modernistica va bene; invece, se rimane fedele alla teologia tradizionale, allora non va più bene. Quindi vi è un Episcopato buono (quello renano/modernista) e uno cattivo (quello romano/antimodernista).
La Fede, contenuta nella S. Scrittura e nella Tradizione, ci insegna che i Vescovi devono ricevere dall’Alto, ossia dal Papa, che è il Primo e il Principe degli Apostoli, sia la Giurisdizione nella loro Diocesi, la quale viene assegnata loro dal Papa, sia la partecipazione al Sommo Magistero per la Chiesa universale, che non hanno come Vescovi ma solo quando il Papa li vuol unire a sé nel Magistero Universale, sia Ordinario che Straordinario. Un Vescovo senza Papa è acefalo, successore solo materiale e non formale degli Apostoli.
5a Tesi di Ratzinger
«Il Papa ha ricordato che il Concilio Vaticano I si era interrotto a causa della guerra franco-tedesca e così aveva sottolineato solo la dottrina sul primato, che è stata definita grazie a Dio in quel momento storico, e per la Chiesa era molto necessaria per il tempo seguente. Ma, era soltanto un elemento in un’ecclesiologia più vasta» (Benedetto XVI).Rispondo
In realtà furono i bersaglieri dei Savoia a entrare a Roma nel 1870 e a interrompere il Vaticano I. È chiaro che per Benedetto XVI occorreva andare oltre la dottrina del Primato, la quale, storicisticamente parlando, era buona per il 1870, aggiornandola con la Collegialità che, come abbiamo visto, contesta il Primato petrino.
6a Tesi di Ratzinger
«Con la dottrina del Corpo mistico di Cristo si voleva dire che la Chiesa non è un’organizzazione, qualcosa di strutturale, giuridico, istituzionale, è anche questo, ma è un organismo, una realtà vitale, che entra nella mia anima, così che io stesso, proprio con la mia anima credente, sono elemento costruttivo della Chiesa come tale. In questo senso, Pio XII aveva scritto l’Enciclica Mystici Corporis Christi, come un passo verso un completamento dell’ecclesiologia del Vaticano I» (Benedetto XVI).Rispondo
La Chiesa è un “Corpo”, quindi è un’organizzazione o Società giuridica. Pio XII nell’Enciclica del 1943 sul “Corpo Mistico di Cristo” non ha parlato di una Chiesa pneumatica, ma ha condannato questo errore insegnando che essa è il Corpo o la Società dei battezzati, che partecipano agli stessi Sacramenti, sono sottomessi ai legittimi Pastori o Vescovi e specialmente al Principe dei Pastori, il Romano Pontefice. Certamente la Chiesa è anche un’entità spirituale e mistica, fondata da Dio, che porta in Cielo e conferisce la Grazia santificante mediante i Sacramenti.
7a Tesi di Ratzinger
«C'era questa idea di completare l’ecclesiologia in modo […] strutturale, cioè accanto alla successione di Pietro, alla sua funzione unica, definire anche meglio la funzione dei vescovi, del corpo episcopale. E per fare questo è stata trovata la parola 'collegialità', molto discussa con discussioni accanite, direi, un po’ esagerate anche. Ma, era la parola che serviva per esprimere che i vescovi, insieme, sono la continuazione dei Dodici, del corpo degli Apostoli» (Benedetto XVI).Rispondo
La Collegialità episcopale pretende di riformare e deformare la struttura della Chiesa monarchica per istituzione divina.
La Chiesa è un Episcopato monarchico per volontà di Dio: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt., XVI, 16). Un solo Capo, una monarchia. I Padri della Chiesa sin dal II secolo hanno insegnato tale verità rivelata nel Vangelo. Vedi S. Ignazio di Antiochia (Smirn., VIII, 1-2; IX, 1); la successione ininterrotta dei Vescovi e dei Papi a partire dagli Apostoli e da Pietro è segno della vera Chiesa di Cristo (S. GIUSTINO MARTIRE, Adv. haer., III, 3, I); senza successione apostolica non vi è vera Chiesa di Cristo (TERTULLIANO, De praescr., 32). Pietro è il primo e il Capo di tutti gli Apostoli, come ha definito di Fede il Vaticano I (DB 1823).
Il Primato su tutti gli Apostoli e su tutta la Chiesa promesso a Pietro in Matteo (XVI, 16-19) gli è stato conferito quando Cristo, dopo essere risorto, disse a Pietro: “Pasci [governa] i miei agnelli [Apostoli/Vescovi], pasci le mie pecorelle [sacerdoti e fedeli]” (Gv., XXI, 15-17). In questo senso l’hanno interpretato i Padri ecclesiastici unanimemente (v. TERTULLIANO, De mon. 8; CIPRIANO, De unit. Eccl., 4; CLEMENTE ALESSANDRINO, Quis dives salvetur, 21, 4; CIRILLO DI GERUSALEMME, Cat., II, 19; S. LEONE MAGNO, Sermo IV, 2).
Pietro, per divina istituzione, ha nei Papi i perpetui successori nel primato di governo sulla Chiesa: è una verità di Fede definita dal Concilio Vaticano I (DB 1825). L’edificio della Chiesa non può sussistere senza il fondamento che è Pietro e i Papi, così insegnano i Padri della Chiesa (v. PIETRO CRISOLOGO, Ep., XXV, 2; S. LEONE MAGNO, Sermo III, 2): «Pietro è la ‘pietra’ che conferisce saldezza, [compattezza e unità] alla Chiesa» (A. LANG, Compendio di Apologetica, Torino, Marietti, 1960, p. 310).
____________________1 - Purtroppo fu il medesimo Giovanni XXIII, che aveva letto e approvato (durante il 1960 e il 1961) gli schemi del S. Uffizio ad affossarli (nel 1962), sostenendo la manovra dei Teologi renani.
2 - G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. La formazione della coscienza conciliare, ottobre 1962-settembre 1963, Bologna, Il Mulino, 1996, vol. II, p. 361.
3 - H. JEDIN, Storia della mia vita, Brescia, 1987, pp. 314-315; J. RATZINGER, Das Konzil auf dem Weg. Rückblick auf die zweite Sitzungperiode, Köln, 1963-66 (tr. it., 1965-67), 4 voll., pp. 9-12.
4 - F-PRIGNON, n° 512 bis: relazione dattiloscritta sugli avvenimenti a partire dal 27 ottobre, pp. 10-11, cit. in G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. Il concilio adulto, settembre 1963-settembre 1964, Bologna, Il Mulino, 1998, vol. III, p. 163, nota 100; cfr. A. S., vol. II, cap. 5, pp. 66-69. 5 - F-PRIGNON, cit. in G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. Il concilio adulto, settembre 1963-settembre 1964, Bologna, Il Mulino, 1998, vol. III, p. 163-165.
6 - Nastro registrato spedito da monsignor Albert Prignon al card. Suenens, fine giugno 1964, F-Prignon, 828, cit. in G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. La Chiesa come comunione, settembre 1964-settembre 1965, Bologna, Il Mulino, 1999, vol. IV, p. 86, nota 216.
7 - Questo concetto del Papato proprio della Collegialità episcopale spiegherebbe il perché delle dimissioni, annunziate già nel 2011, di Benedetto XVI. Infatti, il Papa è il Vescovo di Roma, ha una preminenza ma non un Primato. Quindi, come i Vescovi devono dare le dimissioni per limiti di età, con una decina di anni di posticipazione.
Questo sarebbe il “colpo di mano finale” di Ratzinger per cambiare la struttura monarchica della Chiesa. Il ‘primo colpo di mano’ fu opera dei Vescovi renani (il 20 novembre 1962), che rigettarono gli Schemi preparati dal S. Uffizio, cui seguì lo scontro tra il card. Ottaviani e il card. Frings (il cui teologo era Ratzinger) l’8 novembre 1963 sulla Collegialità. Esattamente 50 anni dopo - l’11 febbraio 2013 - Ratzinger, divenuto Benedetto XVI, annunzia le sue dimissioni ed il 14 dello stesso mese precisa che non si ritira a vita privata. Quindi, lascia capire che il Papa, come gli altri Vescovi, deve andare in pensione a una certa età e fare il “Papa emerito”. Questo sarebbe “il colpo di grazia” all’Istituzione divinamente monarchica del Copro Mistico di Cristo, se la Chiesa non fosse assistita da Dio “tutti i giorni sino alla fine del mondo”. Però, “Dio lascia fare, ma non strafare” diceva Sant’Alfonso de Liguori. Certamente Ratzinger è un modernista lucido, teoretico e impenitente, sa quel che vuole e lo ottiene pian piano, mettendo i fedeli davanti al fatto compiuto. La stessa astuzia la ebbe durante il Vaticano II, quando i teologi progressisti si stavano irrigidendo contro la “Nota Explicativa Praevia” voluta da Paolo VI e avrebbero compromesso la dottrina della Collegialità mettendosi troppo apertamente contro la decisione del Papa, perciò la Collegialità sarebbe stata fatta bocciare dal Coetus Internationalis essendo usciti troppo allo scoperto i Renani contro il Papa stesso. Ma “per fortuna c’è Ratzinger” esclamò padre Yves Congar, “che con la sua perizia e prudenza ha saputo salvare ogni cosa”, facendo accettare la ‘Nota Praevia’ in quanto non votata dai Vescovi in Concilio e quindi non Documento conciliare…
8 - Cit. in M. LEFEBVRE, J’accuse le Concile, Martigny, Ed. Saint Gabriel, 1976, pp. 89-98.
9 - G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. Il concilio adulto, settembre 1963-settembre 1964, Bologna, Il Mulino, 1998, vol. III, p. 129.
10 - G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. La Chiesa come comunione, settembre 1964-settembre 1965, Bologna, Il Mulino, 1998, vol. IV, p. 469.
11 - Ivi
* * *
TERZA PARTE
“LA RIFORMA LITURGICA”
Tre Tesi e tre Risposte
1a Tesi di Ratzinger
«Prima intenzione iniziale – apparentemente semplice – era la riforma della liturgia, che era già cominciata con Pio XII. Dopo la prima guerra mondiale era cresciuto, nell’Europa occidentale, il movimento liturgico come riscoperta della ricchezza e profondità della liturgia, che fino allora era quasi chiusa nel Messale Romano del sacerdote. Infatti, mentre la gente pregava con propri libri di preghiera che erano fatti secondo il cuore della gente, così che si cercava di tradurre i contenuti alti, il linguaggio alto della liturgia classica, in parole più emozionali, più vicine al cuore del popolo. Ma, erano quasi due liturgie parallele: il sacerdote con i chierichetti, che celebrava la Messa secondo il Messale, e i laici che pregavano nella Messa con i loro libri di preghiera, e così si è riscoperta, rinnovata la liturgia» (Benedetto XVI).Rispondo
Il caso più eclatante fu quello del 30 ottobre del 1962 quando al card. Ottaviani, che parlava in aula sulla liturgia e aveva superato i 10 minuti di tempo, venne spento il microfono dal card. Alfrink tra gli applausi dei neo/modernisti (1). Il cardinal Giuseppe Siri commentava: «in lui [Ottaviani], la fermezza delle decisioni si esprimeva in aspetti oratori piuttosto forti: non aveva paura di niente, il suo temperamento in difesa della verità lo rendeva molto battagliero» (2).
Nella “Lettera di presentazione del Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” (qui), i cardinali Ottaviani e Bacci (3), scrivono che esso rappresenta «sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della S. Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino. […]. Sempre i sudditi, al cui bene è intesa una legge, laddove questa si dimostri viceversa nociva, hanno avuto, più che il diritto, il dovere di chiedere con filiale fiducia al legislatore l’abrogazione della legge stessa».
Un insigne giurista e canonista, il card. Alfonso Maria Stickler, ha detto ufficialmente nel 1995 che tale richiesta attende ancora una risposta che le è dovuta. Nell’estate del 1965 Ottaviani scrisse nel suo diario: «prego Dio di farmi morire prima della fine di questo Concilio, così almeno morirò cattolico» (4).
Il “Deposito della Rivelazione”, che deve essere conservato e tramandato integralmente, è la dottrina della Fede (1 Tim., VI, 20; 2 Tim., I, 14) o l’insieme della Rivelazione divina, che comprende i Dogmi, la Morale, i Sacramenti, la Liturgia, la S. Scrittura, la Tradizione e l’ordinamento gerarchico della Chiesa. Questo “Deposito” non è proprietà di colui che lo custodisce (Magistero o Chiesa docente), né di colui, che lo riceve (Fedeli o Chiesa discente), ma di Colui che lo ha consegnato o rivelato (Dio), affinché venisse conservato, tramandato e creduto integro e puro.
La Messa di Tradizione apostolica (5), codificata da San Pio V nel 1571, perciò, non è di Paolo VI, né dei fedeli, ma di Dio che l’ha consegnata agli Apostoli e specialmente a Pietro affinché venisse custodita, tramandata e pregata integra e pura e non riformata assieme ai Calvinisti come ha fatto Paolo VI nel 1970, il quale ha elaborato un Rito in rottura radicale con la Tradizione apostolica in materia liturgica che fa parte del “Depositum Fidei”: “Lex orandi, lex credendi”.
La Liturgia è la Fede pregata, il Papa la deve conservare e tramandare come l’ha ricevuta e non trasformarla e mutilarla alla maniera dei Luterani. È per questo motivo che i cardinali Alfredo Ottaviani ed Antonio Bacci, nella “Lettera di presentazione” del “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” (qui) chiesero l’abrogazione della nuova Messa a Paolo VI medesimo, scrivendo: «Sempre i sudditi, al cui bene è intesa una legge, laddove questa si dimostri viceversa nociva, hanno avuto, più che il diritto, il dovere di chiedere con filiale fiducia al legislatore l’abrogazione della legge stessa» (ivi). Infatti, il Novus Ordo Missæ, «considerati gli elementi nuovi, […] rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino» (ivi).
Si noti che le idee del Movimento liturgico elogiate da Benedetto XVI furono condannate da Pio XII nell’Enciclica Mediator Dei del 1947, della quale papa Ratzinger non fa menzione.
2a Tesi di Ratzinger
«Le idee essenziali del Concilio: […] l’intelligibilità della Liturgia - invece di essere rinchiusa in una lingua non conosciuta, non parlata - ed anche la partecipazione attiva. Purtroppo questi princìpi sono stati anche mal intesi. Infatti, l'intelligibilità non significa “banalità”» (Benedetto XVI).Rispondo
Qui si vede l’inconsistenza della liberalizzazione della Messa apostolica (7 luglio 2007) da parte di Benedetto XVI, il quale è un partigiano strenuo della concezione protestantico/modernistica della Messa come Memoriale, Cena, Dialogo e non come ri/attuazione incruenta dell’Olocausto di Gesù, la quale applica sino alla fine del mondo tutti i meriti che Gesù acquistò con la sua morte cruenta il Venerdì Santo sul Calvario. La sua teologia sul Sacrificio della Messa è eterodossa e neo/modernistica come quella di Paolo VI, Bugnini e Movimento liturgico (6) : dialogo faccia a faccia tra celebrante e fedeli, lingua vernacolare, partecipazione attiva come se sino al 1970 i Cristiani non avessero mai partecipato attivamente al Sacrificio della Messa.
3a Tesi di Ratzinger
«Purtroppo questi principi sono stati anche mal intesi. Infatti, l’intelligibilità non significa “banalità”, perché i grandi testi della liturgia - anche nelle lingue parlate - non sono facilmente intellegibili» (Benedetto XVI).Rispondo
Il Novus Ordo Missae non è stato male applicato, è intrinsecamente nocivo. Esso, come hanno dimostrato i cardinali Ottaviani e Bacci, è nocivo in sé e non a causa degli abusi che sono stati fatti da coloro che l’hanno celebrato malamente (7).
Inoltre, qui Benedetto XVI ritorna sul tema della comprensione o “intelligibilità” della Messa, come se la Messa non sia innanzi tutto il Mistero del rinnovamento mistico e del Sacrificio del Calvario, che supera ogni umana comprensione. È chiaro che anche per Ratzinger, presentato da alcuni come il “paladino della Messa tradizionale”, la Messa è “la Cena del Signore, in cui, sotto la conduzione del sacerdote come presidente dell’assemblea, si compie il memoriale dell’ultima Cena e della Passione e Morte di Gesù” (Institutio generalis del Novus Ordo Missae, n. 7 (8)). La realtà che viene sempre più a galla è che Benedetto XVI si è servito della Messa tradizionale per recuperare la resistenza al Modernismo e farla tornare nel recinto della “Chiesa conciliare”.
______________1 - T. OOSTVEEN, Bernard Alfrink vescovo cattolico, Assisi, Cittadella editrice, 1973, p. 76.
2 - Citato in E. CAVATERRA, Ibidem, p. 70.
3 - Quando il card. Antonio Bacci morì nel 1971, Paolo VI non si recò ai suoi funerali, come abitualmente fa il Papa per ogni cardinale di Curia, poiché Bacci nel 1970 aveva prefatto il libro di Tito Casini La tunica stracciata, fortemente critico nei confronti della Nuova Messa (v. E. CAVATERRA, Ib., p. 95).
4 - Citato in E. CAVATERRA, Ib., p. 80.
5 - LOUIS BOUYER, Mensch und Ritus, 1964; A. FORTESCUE, La Messe, Parigi, Lethielleux, 1921; K. GAMBER, La riforma della Liturgia Romana, tr. it., Roma, Una Voce, giugno/dicembre 1980.
6 - D. BONNETERRE, Le Mouvement liturgique, Escurolles, Fideliter, 1980; B. Botte, Il movimento liturgico, tr. it., Cantalupa [Torino], Effatà, 2009.
7 - A. XAVIER VIDIGAL DA SILVEIRA, La Nuova Messa di Paolo VI. Cosa pensarne? tr. it., http://www.unavox.it/doc85.htm
8 - Quest’articolo n. 7 dell’Institutio Generalis fu definito “eretico” dal card. Charles Journet.
Ora non posso leggere tutto, ma la situazione era chiara fin da metà Ottocento. Henri Delassus ne scrisse alcuni libri, uno di questi fu pubblicato in prima edizione italiana nel 1903 da una casa editrice mai sentita citare, in seconda edizione italiana nel 2015 da Effedieffe. Quindi significa che alcuni libri cattolici non sono stati divulgati a dovere almeno dal finire dell Ottocento, da cui discende che il relativismo aveva la sua propria censura già allora. Queste idee dunque furono trasmesse per passaparola umano nei convegni, nelle scuole, nei seminari, nelle Università e Roncalli le propagandò attraverso lo spirito del concilio vii. Ma il mondo prese la palla al balzo e continuando ad essere censore del Cattolicesimo propagandava a piena voce la modernità, il modernismo, il decadentismo, il relativismo, la fluidità di cui la chiesa stessa si era fatta banditrice per farsi dialogante con la religione unica in fasce concepita già dai rivoluzionari del Settecento; a ben vedere il Cristianesimo Cattolico dal suo nascere è stato minacciato di morte. Per questo mai si sarebbe dovuto abbassare la guardia, lasciando le braccia a penzoloni lungo il corpo.
RispondiElimina
RispondiEliminaRatzinger : « On ne peut pas toujours dire non. »
Non à quoi ?
À tout ce que croit le monde moderne…
Alors dialoguons, dialoguons, dialoguons…
«Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore»!
RispondiEliminaBiblical sin city Sodom destroyed by asteroid stronger than nuke - expert
RispondiEliminahttps://m.jpost.com/omg/article-760462#760462
RispondiElimina#Sodoma e Gomorra distrutte da un asteroide?
Non è la prima volta che lo sento dire. Di Sodoma e Gomorra non è rimasto assolutamente nulla, nessun reperto archeologico. Si sospetta
che un rialzo subacqueo verso l'estremità del Mar Morto, in sé singolare, possa contenere i resti delle due sventurate cittadine.
Ma se non vi sono tracce in superficie, come fanno a dire che la distruzione è avvenuta ad opera di un asteroide?
Giorni fa Putin ha detto che la Russia ha messo a punto testate atomiche particolarmente precise.
Intanto, incidentalmente, che fine ha fatto l'offensiva ucraina? Anzi, la guerra in Ucraina? La situazione generale sembra di stallo, con piccoli guadagni da una parte e dall'altra, strategicamente poco significativi.
Gli ucraini non sembrano in grado di rompere in profondità le linee russe. Ma anche i russi non sembrano al momento in grado di montare un'offensiva risolutiva, sul piano strategico.
Intanto la situazione economica e sociale dell'Occidente, anchilosato da questa guerra oltre che dalla follia delle classi dirigenti woke, peggiora di continuo, soprattutto negli Stati Uniti.
RispondiEliminaHo letto al momento solo l'accenno a Kant, verso l'inizio. L'accusa a Kant di aver ripetuto il Non serviam di Lucifero mi pare del tutto fuori luogo.
In ogni caso la ricostruzione della posizione di Kant non è del tutto precisa. Kant non si limita a dire che l'uomo deve osservare solo la legge che si è dato da se stesso, come se potesse fare tutto quello che gli pare. Aggiunge anche, mi pare, che questa legge deve esser conforme a ragione, alla volontà razionale. Si tratta di un'interpretazione razionalistica del 'non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te stesso', fondata, ovviamente, tale interpretazione, su una concezione deistica di Dio e sulla negazione del peccato originale.
Nello stesso tempo, Kant, dopo aver sostenuto l'indimostrabilità dell'esistenza di Dio secondo le prove tradizionali, ne fabbrica a sua volta lui una: l'Idea di Dio è necessaria come fondamento dell'etica. Per Kant, l'imperatività della ragione in campo etico (il "tu devi" dell'imperativo categorico ad attuare il bene perché bene) presuppone l'esistenza di Dio quale garante o fondamento di validità di quest'etica. Si tratta di un Dio-idea-della ragione, sulla cui effettiva esistenza la ragione nulla è in grado di dire (agnosticismo kantiano).
Una visione contraddittoria, indubbiamente, perché innanzitutto non si può ammettere che Dio si riduca a un'idea della ragione e non sia un Dio vivente, che garantisce con la sua potenza e onniscienza la validità dell'imperativo categorico.
Ma non si può liquidare Kant in questo modo.
Pur avendo un ricordo scolastico lontano lontano di Kant, ricordo perfettamente il pensiero che mi suscitò, da parte dell insegnante, il racconto della vita del tanto decantato filosofo: guarda un po' ha ricevuto una educazione cristiana e da adulto fa lo gnorri! Non avevo ancora avuto modo di vedere, di conoscere una fiumana di persone giovani, mature, anziane che facevano le gnorri rispetto ai sacramenti e all educazione ricevuti. Lungo la vita ho cercato di capire questo voluto buco di memoria, infine ed in massima sintesi, detto con le parole del Catechismo di San Pio X, questa smemoratezza nasce dal rispetto umano, dal rispetto verso quell ambiente di riferimento a cui si guarda nella giovinezza come più intellettualmente vivace cispetto a quello familiare
EliminaMi è scappato il commento.
EliminaSegue
Questa smemoratezza si può scusare forse verso la prima giovinezza oltre però no. Portarsela anche nella tomba è grave gravissimo. Si aprono, quando questo accade, panorami devastati proprio da quelle stesse personalità che volutamente hanno rifiutato, tagliato una parte essenziale di sé stessi, reciso le proprie radici, il proprio ambiente, il proprio albero genealogico, preteso di cancellare il terreno sul quale sono nati. Se non si viene a patti giusti con Dio, con i propri genitori, con il terreno sul quale siamo cresciuti, nei fatti, lasciamo una parte di noi impietrita nell adolescenza, nella prima giovinezza e/o prima maturità. E alla propria maturità poi non si arriva mai più, anche se il mondo ti incorona scienziato, filosofo mondiale.
https://gloria.tv/post/aAREaEuzGs1x4Q2osK8yaumGo
RispondiEliminaPREGHIERA
RispondiEliminaO Dio, Che Avete procurato alla Vostra Chiesa il Beato Girolamo, Dottore Sommo nell'esporre le Sacre Scritture, Vi preghiamo affinché, per la Sua intercessione e con il Vostro Santo Aiuto, possiamo mettere in pratica, con la parola e con l'esempio, ciò che egli ha insegnato per la Gloria Vostra e per la nostra salvezza. Amen.
(Tre Gloria … .)
Don Curzio non ha liquidato Kant ma, in questa necessariamente rapida carrellata, è andato al cuore del problema. Ha chiaramente sintetizzato il suo pensiero, come tutto il resto, naturalmente.
RispondiEliminaÈ uno schema sintetico della situazione. Don Curzio, come dimostrato in altre circostanze, ha solide basi filosofiche oltre che teologiche.
Non cerchiamo inutilmente il pelo uovo e cogliamo l'essenza del suo discorso.
Riguardo a Kant, scrive il cardinale Siri:
RispondiEliminaIndipendentemente dall'irrealtà, ammessa da Kant stesso e da tutti, di questa libertà noumenale, indipendentemente dall'evidente contraddizione che contiene la sopracitata citazione di Sertillanges, basta leggere una delle innumerevoli affermazioni di Kant per provare ai più ingenui, quanto la nozione del peccato originale sia aliena dal suo pensiero e dalla sua sensibilità. Nel suo libro «La religione entro i limiti della sola ragione» (il titolo è già tutta una dottrina), al capitolo «Dell'origine dei male nella natura umana», Kant scrive:
«Comunque possa essere l'origine dei male morale nell'uomo, è certo che fra tutte le maniere di rappresentare la diffusione del male e la sua propagazione in mezzo a tutti i membri della nostra razza ed a tutte le generazioni, la più sconveniente è quella di rappresentarci il male come una cosa che ci viene per eredità dai nostri primi parenti.
« — Non bisogna cercare un'origine temporale per un'attitudine morale che deve esserci imputata; anche se tale ricerca è inevitabile. — La Scrittura può aver rappresentato in questo modo l'origine temporale del peccato, per adattarsi alla nostra debolezza.
« — La disposizione originaria dell'uomo (che nessun altro fuor di lui ha potuto corrompere, se questa corruzione deve essergli imputata) è una disposizione al bene; qui non v'è dunque alcun fondamento, per noi comprensibile, da cui, per la prima volta, il male morale possa essere venuto in noi». (5)
Mettendo da parte la fatale e continua contraddizione in tutto il libro di Kant sulla Religione, ogni uomo in buona fede non può non rimanere stupito di fronte alle affermazioni di Sertillanges. Le prestidigitazioni di parole e di formule, che si intrecciano e si annullano tra loro, non possono annullare il radicale rifiuto della nozione di peccato originale, sotto qualsiasi accezione realmente cristiana. Anche con la migliore volontà, Kant non potrebbe mai ammettere una visione veramente cristiana della realtà e della storia dell'uomo, senza uscire deliberatamente dal circolo chiuso dove, come egli stesso ha in mille modi determinato, l'uomo ha a che fare soltanto con le proprie rappresentazioni e dove è per sempre impossibile ogni conoscenza delle cose in se stesse.
Non è soltanto la nozione del peccato originale a non poter essere ricollegata a qualche concetto o postulato di Kant. La sua concezione del mondo, quando la si svincola dall'«inestricabile groviglio» (espressione dello stesso Sertillanges) (6) delle contraddizioni interne della sua parola, è tale da non essere soltanto aliena dal mistero di Cristo, ma anche per essenza gli è ostile. La mistificazione kantiana, Da "Getsemani", II ed, Roma 1987, pagg. 208-232, cardinale Siri - http://progettobarruel.hostfree.pw/novita/10/La_mistificazione_kantiana.html
RispondiEliminaDon Curzio e la filosofia. Nel caso Galileo anche la Chiesa ha sbagliato.
La ricostruzione sia pure necessariamente sintetica del nucleo di pensiero di Kant è alquanto sbrigativa. Dall'accenno di don Curzio sembra che Kant fondi la legge (la legge morale) sull'uomo inteso nella sua assoluta libertà, come se per Kant l'individuo potesse fare tutto quello che vuole. D.C. non distingue bene tra la concezione dell'uomo di Kant e quella del nichilismo contemporaneo. Ora, Kant ha notoriamente elaborato una concezione etica rigorosa anche se arida, basata sull'idea del dovere, sul dominio della volontà razionale, senza sconti per il peccatore. Tutto l'opposto della negazione di ogni etica tipica dell'anarchico nichilismo contemporaneo.
L'errore di Kant (e di Rousseau, suo ispiratore) è quello di non credere al peccato originale e di professare una nozione deistica della divinità. Però la legge che l'individuo deve ritrovare dentro se stesso è la legge morale, che deve esser intesa e applicata nella sua universalità in quanto proveniente da una divinità benefica, esistente per Rousseau e solo presupposta come necessaria dalla ragione, per Kant.
I punti deboli di questa concezione, comunque rigorosa, sono evidenti: rinunciando alla Rivelazione per costruire la morale si finisce col fare della coscienza individuale la fonte della morale stessa e si cade nel soggettivismo.
Nessuno vuole riproporre l'etica kantiana come modello ma la ricostruzione del pensiero dei filosofi dovrebbe essere più accurata.
Dice inoltre D.C. "il supposto errore nel caso Galileo". Be', lasciando stare le leggende laiche create su Galileo, un errore c'è stato. Nel 1823 la Chiesa ha dichiarato moralmente lecita la credenza nell'eliocentrismo, ossia in quella teoria che due secoli prima aveva condannato come eretica in Galileo, dopo aver messo all'Indice le tesi di Copernico. L'errore non è consistito nel ripudiare la tesi di Galileo come ancora non ben provata, bensì nel condannarla come eretica, trasformando impropriamente una questione che doveva restare scientifica in una questone di fede. Cosa che, prevalendo poi l'eliocentrismo, ha finito con lo screditare la religione cattolica o meglio le sue fonti.
Ero talmente sicuro che i sessantottini in edizione conservatrice avrebbero sfoderata la loro erudizione per insozzare il pregevole scritto del Rev. don Curzio Nitoglia e canonizzare il "raffinato teologo" modernista Ratzinger, che ci avrei scommesso. Essi, sdottorando velenosamente su Kant, cercano di focalizzano tutta l'attenzione su Kant e non sul modernista impenitente Ratzinger. Francamente, di tali sdottorate e coglionate i buoni cattolici non sanno che farsene, e il Salvatore ancor meno. Ringrazio il Rev. don Curzio Nitoglia per il suo studio. Buon mese del Sacratissimo Rosario!
RispondiElimina
RispondiEliminaAl fegatoso che se la prende con i supposti "sessantottini in edizioni conservatrice".
Lei sembra il tipico rappresentante di un certo tradizionalismo, che per prima cosa deve offendere l'opponente nella discussione, lo zelota di turno insomma. Ho fatto delle critiche alle citazioni filosofiche di Don Curzio ma, mi sembra, senza offendere. Non si tratta di "focalizzare tutta l'attenzione su Kant" per mettere in ombra (?) il modernismo di Ratzinger.
Il punto essenziale le sfugge.
La ricostruzione del pensiero moderno, con i suoi gravi limiti e difetti, viene troppe volte fatta, in ambito "tradizionalista", in modo semplicistico ed affrettato, come se a farla fossero persone che non hanno letto direttamente i testi. In tal modo, riesce più difficile controbattere il pensiero moderno, che non è uno pseudo-pensiero ma un insieme di costruzioni articolate e complesse, anche geniali. Un avversario temibile, da trattare con il dovuto rispetto.
Conoscerlo bene proprio per combatterlo meglio, se si vuole andare in profondità, come sembra voler fare il reverendo in questione.
I "buoni cattolici" non sono in buona compagnia quando fanno una professione di ignoranza che esalta l'ignoranza come tale. Alla scienza che gonfia, san Paolo contrappone la carità, che edifica, non l'ignoranza, fondata sulla superbia.
OT ma neanche troppo, a chi qui sopra si chiedeva cosa stesse accadendo in Ucraina, al momento stallo, tipica mossa del gioco degli scacchi, tra poco inizierà il lungo inverno che, secondo previsioni meteo, sarà particolarmente rigido, ergo nessuno si muove, gli Ucraini hanno conquistato un territorio pari allo SCV, i Russi 1/3 delle terre loro vicine e non mollano, l'arma super potente, pare che VP ce l'abbia, ma ovvio che non la sbandieri ai 4 cantoni, Biden sta sempre peggio in salute, incombono esiziali elezioni politiche in Occidente, chi sa giocare bene agli scacchi sa come muoversi. Una ultima annotazione, folkloristica, viste di sfuggita le immagini del concistoro di ieri in p.zza S.Pietro e, francamente, ci vuole una bella faccia di bronzo da parte dei Media ad affermare che ben 12.000 fedeli affollavano la piazza, va bene bersi tutto, ma le immagini sono più che eloquenti. Buona Domenica a tutti.
RispondiElimina"...in quanto che nella teorica Kantiana la nostra cognizione non solo non oltrepassa i limiti dell'esperienza, ma nell'esperienza stessa non apprende che le pure apparenze, rimanendoci ignote le cose, secondo che sono in loro stesse. Ecco uno de' suoi testi, abbastanza espliciti. «Volemmo dunque dire che ogni nostra intuizione è solo rappresentanza di qualche apparenza. Vale a dire che le cose non sono in sè tali, quali noi le apprendiamo; e per conseguenza le loro relazioni differiscono da quelle che ci appariscono. E però se rimovessimo il. nostro subbietto, ossia noi stessi, o anche soltanto la qualità soggettiva de' nostri sensi, immantinente tutte le qualità e tutte le relazioni degli obbietti nello spazio e nel tempo, anzi lo stesso spazio e lo stesso tempo, perirebbero; giacchè esistono non in sè stesse, ma solo in quanto sono fenomeni, ossia in quanto vengono apprese da noi. Come poi esse cose sieno in loro stesse, e indipendentemente da ogni capacità ricettiva della nostra sensibilità; noi lo ignoriamo del tutto. Noi non conosciamo nulla, oltre il modo di percepir tali cose; modo, dico, proprio di noi e che non compete necessariamente ad ogni ente, benchè competa ad ogni uomo [3].» Ognuno intende da sè come, stabilito un tal principio, cada per terra ogni legittima e quantunque si voglia rigorosa dimostrazione del vero, ed ogni obbiettiva certezza de' nostri giudizii. Per solide che sieno le tue prove, l'avversario potrà sempre risponderti che esse non son fondate nell'obbiettiva verità della cosa, ma nel tuo modo di concepirle. Ciò non solo nell'ordine specolativo, ma anche nell'ordine pratico e morale. Le conseguenze si manifestano da loro stesse. Ogni certezza svanirà dalle nostre cognizioni. Il vero non sarà che relativo, non assoluto. Ed ecco l'origine del principio moderno: Delle proprie convinzioni, e dello scetticismo, che tanto lacera il petto delle presenti generazioni". La dottrina di S. Tommaso confutatrice della dottina del Kant, P. Matteo Liberatore, S.J. - http://progettobarruel.hostfree.pw/novita/10/S.Tommaso_vs_Kant.html
RispondiEliminaCome è possibile l'atto di fede se per Kant l'unica certezza che abbiamo è che "l'uomo ha a che fare soltanto con le proprie rappresentazioni e dove è per sempre impossibile ogni conoscenza delle cose in se stesse"?
Ancora il cardinale Siri, in una delle tante affermazioni di Kant che ha esposto nel testo "La mistificazione kantiana":
RispondiElimina"Affermazione K
In essa ogni atto di culto non può servire alla salvezza, non è che una superstizione religiosa; e in essa il desiderio di un'intimità con Dio non può servire alla salvezza e non è che un'inutile pretesa e fanatismo religioso; e in essa tutto il mistero liturgico della Chiesa, che sin dall'inizio, fece parte integrante del suo insegnamento, è rifiutato; e in essa ogni vita spirituale, che riavvicini interiormente l'uomo a Dio è rifiutata.
«L'illusione di compiere, con atti religiosi riferentisi al culto, qualcosa in vista della giustificazione davanti a Dio, è superstizione religiosa, così come l'illusione di voler conseguire questo fine con un'aspirazione ad una pretesa intimità con Dio è fanatismo religioso». (21)
Tale è il pensiero di Kant. Tale il suo assolutismo agnostico, la sua certezza nel negare ogni realtà spirituale. È facile redigere un elenco di affermazioni di un simile tenore, tanto chiarificatore quanto opprimente, elenco che potrebbe essere lunghissimo.
Perciò si rimane stupiti di fronte a tanto lavorio, speso per elaborare una teoria della conoscenza, così irreale e così tediosa, un metodo senz'altro punto di partenza se non l'io «ideante»; una scienza a priori dell'a priori e della critica per a priori, tanto lavorio per dimostrare che non si può conoscere quella che è l'unica fonte di conoscenza, di vita, di libertà e di vera gioia.
Quel che sorprende però, è il costatare questa ostinazione, in passato e ancor oggi, nel voler nonostante tutto, trovare nel pensiero di Kant, pensiero così antieterno, alcuni germi di cristianesimo, o almeno un sottofondo di un qualche sincero deismo. E per di più, ostinazione nel voler trovare, in questa stessa teoria di Kant, una scienza del conoscere, e nel voler ad ogni costo far credere che, in questa scienza, possono attingere verità trascendenti, per quel che riguarda il Reale, anche coloro che hanno ricevuto il Cristo.
È il dilagare, in tutti gli ambienti, di questa mentalità, a far sempre più propendere l'uomo verso gli eventi transitori, rifiutando ogni nozione dell'essere nella sua origine e finalità eterna; questo dilagare della mentalità storicista può da solo spiegare che c'è stato, e che c'è sempre, un tale sforzo per attribuire a Kant una fede o una credenza o un pensiero o un sentimento o una visione generale dell'universo che si ricolleghi, in un qualche modo a un Essere divino, a Dio e alla Persona e al Vangelo dell'Uomo-Dio, del Cristo.
Sarebbe prestarsi al medesimo vano gioco di diletto intellettuale, voler con interminabili e infinite cogitazioni, precisare se sia stata questa mentalità, che abbiamo denominato storicista, a provocare la deviazione dello sguardo interiore verso il culto della falsa ragione oppure se sia stata una deviazione dello sguardo interiore a creare questa mentalità che conduce al culto della falsa ragione. Incontestabilmente, però, c'è culto della falsa ragione. Una cosa appare certa: in questa mentalità, uomini, credenti in Dio, sono stati indotti ad aggrapparsi disperatamente ad una pretesa immagine cristiana o deista di Kant.
Questo sforzo, sforzo talvolta patetico, di collegare il pensiero di Kant con l'eterna realtà di Dio e con la realtà di Dio incarnato, di Gesù Cristo, ha provocato grandi mali nella vita e nel pensiero cristiano in genere.
Certuni hanno pensato che l'influenza del pensiero di Kant, e particolarmente della sua concezione della religione, sia terminata da molto tempo e che, ad attenuare questa influenza e ad impedirne la proiezione nell'avvenire (22), siano stati Hegel e Schleiermacher. (23) Tale opinione non corrisponde alla realtà. Anzi è il contrario".
Prima di rispondere, l'Anonimo, dovrebbe almeno avere letto il testo del cardinale Siri. In questo, parlando appena della mistificazione kantiana, il suo "nom serviam" è chiarissimo! Allora, lasciamo la parola ad un'altro grande tomista, il P. Guido Mattiussi, S.J che scrive nel libro "Il veleno kantiano":
RispondiElimina“Anzi, chi ben consideri, la nuova morale [kantiana] è una grande immoralità per la superbia di costituirci norma del bene, senza più alta regol, legislatori indipendenti da ogni altro, e fine ultimo a noi stessi ; sì che riesce una vera idolatria dell'umanesimo, di che abbiamo i frutti nella crescente empietà.
Si vede poi nelle moderne scuole, ove il Kant è il maestro più nobile, e guida a molti che ormai sono nauseati del fangoso materialismo, si vede come quei dotti vadano brancolando, se avvenga loro di por la mano su qualche cosa salda, che possa parere fondamento d'una morale, e non la trovano, e vanno tuttavia sognando, e muovono a riso o a pietà, con lo stringere qualche ombra, che li illude un momento e poi li lascia scherniti.
E i miseri ciechi non vedono r immobile edifìcio della nostra morale, a cui si sforzerebbero invano i sommi geni d'aggiugnere un sol punto di perfezione o di sublimità;, e che pone ben altro motivo ai suoi precetti, che non sia l'umanità.
Ma non è forse vero che dalla ragione dobbiamo trarre la legge naturale? E non disse bene Kant che pur chi volesse ricorrere a Dio, dovrebbe infine regolarsi col lume del suo intelletto? — Sì, ma in tal maniera, che la ragione finché procede rettamente, ci fa conoscere che cosa imponga Iddio, come Autore della natura : è promulgatrice della legge imposta dal Creatore. Dunque è norma regolata e non suprema; e, quel che più importa, trae tutta la forza d'obbligare unicamente dal divino Legislatore. Oltre a questo poi, e' è la rivelazione soprannaturale”. Il veleno Kantiano, Della nuova Critica, P. Guido Mattiussi, S.J.
All'inizio del libro, P. Mattiussi, S.J., ripete tutti gli elogi al kantismo, detti da Anonimo, per dimostrare la nullità della morale e della filosofia kantiana.
L’idea di una “legge” e di una “legge morale” esclude l’idea di se “fare tutto quello che si vuole”. Questo non sta nel testo scritto di D. Curzio. Lui afferma il “nom serviam” di Kant, come quello di Lutero in modo più sfumato. Il problema che vedo è che l’anonimo riduce il “nom serviam” ad una morale niichilista, cosa mai difesa da Lutero...
Il semplice fatto di Kant rifiutare il peccato originale, e affermare che l’uomo è buon per natura (come Pelagio), è un nom serviam.
Raccomando ai lettori del blog la lettura del libro “Il veleno kantiano” del P. Guido Mattiussi, S.J..
Cerca la vivenda di Galileo:
RispondiEliminaQuando verrà canonizzato Galileo Galilei?
http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2015/12/quando-verra-canonizzato-galileo-galilei.html?m=1
Don Curzio Nitoglia - Santa Inquisizione e Processo a Galileo Galilei
RispondiEliminahttps://youtu.be/DcLTDYwYmvM?si=-sX5oJyngZbSvvQ8
RispondiElimina"In realtà furono i bersaglieri dei Savoia ad entrare in Roma nel 1870 e ad interrompere il Concilio", precisa don Curzio
Per esser ancora più precisi: allo scoppio della guerra franco-tedesca, i vescovi francesi tornarono in Francia d'urgenza. Il Concilio fu allora sospeso. Per colpa di quella guerra. L'idea era quella di riprenderlo, ovviamente. Ma l'occupazione di Roma da parte del Re d'Italia lo impedì, definitivamente. Dunque, i bersaglieri impedirono la ripresa di un Concilio che al momento era sospeso per forza di causa maggiore. In questo senso essi interruppero un Concilio che di fatto si era già interrotto per conto suo.
Nel ricordo collettivo dei prelati stranieri, ai quali la storia d'Italia è estranea, l'interruzione del Concilio resta legata alla sola guerra franco-tedesca.
"Dunque, i bersaglieri impedirono la ripresa di un Concilio che al momento era sospeso per forza di causa maggiore. In questo senso essi interruppero un Concilio che di fatto si era già interrotto per conto suo".
RispondiEliminaIn realtà, Roma è stata presa il 20 settembre e annessa all'Italia il 9 ottobre 1870. Il Concilio è dichiarato sospeso appena nel 20 ottobre dello stesso anno attraverso il breve Postquam Dei munere del 20 ottobre 1870 di Papa Pio IX, dove non ritenendo più garantita la libertà del Concilio, lo aggiornò sine die.
Il confronto/incontro tra Cattolicesimo e Liberalismo e' alla radice dei problemi.
RispondiEliminaOggi possiamo dire, purtroppo, che il liberalismo ha fagocitato il cattolicesimo, e la Chiesa Cattolica sottomessa al Mondo lo dimostra.
Gz
Questo noi decidiamo, proclamiamo, vogliamo e ordiniamo nonostante qualsiasi obiezione contraria, che sia vuoto e nullo tutto ciò che sarà fatto da chiunque e con qualsiasi autorità sia consapevolmente che per ignoranza.
RispondiEliminaChe non sia quindi permesso ad alcuno di infrangere il nostro mandato e il nostro decreto della sospensione, proclamazione e volontà, né di opporvisi con temeraria audacia.
Se qualcuno lo osasse sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio Onnipotente e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo.
Al fine che la presente Lettera sia conosciuta da tutti coloro che li riguarda, Vogliamo che sia pubblicata e affissa alle porte della chiesa del Laterano e della basilica del Principe degli Apostoli e di Santa Maria Maggiore in Urbe e che, pubblicata e affissa, obblighi tutti gli interessanti come se l’avessero ricevuta personalmente e nominalmente.
Data a Roma, San Pietro, sotto l’anello del Pescatore il 20 ottobre del 1870 venticinquesimo del nostro pontificato
Lettera Apostolica in forma di motu proprio Postquam Dei munere
RispondiElimina# Caro Gederson,
Senza offesa, lei mi sembra caduto in un equivoco: io non difendo il pensiero di Kant ma il modo, diciamo troppo succinto, nel quale è riassunto dall'esimio don Curzio. Anzi, mi sembra di avere espresso chiaramente la mia critica, quando ho detto che l'impostazione kantiana dell'obbedienza alla legge (morale) che ci prescriviamo razionalmente, conduce anch'essa al prevalere della coscienza individuale quale fonte della legge stessa e in ultima analisi al soggettivismo. Finisce nell'errore in cui cadono tutti i tentativi di costruire l'etica prescindendo dalla Rivelazione.
Mi sono limitato a questa critica del pensiero di Kant, dovendo limitare il mio intervento, per ovvie ragioni.
Circa Galileo, mi limito a dire che, di contro al mito fasullo di Galileo perseguitato dal SAnt'Uffizio (fu sempre trattato con rispetto e bene, nell'insieme) l'attuale polemica cattolica di tipo tradizionalista ha fabbricato un altro ed opposto mito: quello di Galileo che sarebbe stato una mezza tacca, un mediocre,etc. che avrebbe goduto di una fama usurpata. Polemica che dimostra un'ignoranza abissale del contributo di Galileo allo sviluppo della fisica moderna.
RispondiElimina# Il concilio fu dichiarato ufficialmente sospeso il 20 ottobre etc
Ma quello fu il decreto ufficiale, che prendeva atto dell'impossibilità di riprendere il Concilio a causa dell'occupazione italiana di Roma. La sospensione c'era già stata, con il ritorno dei vescovi francesi in patria, visto che stava scoppiando la guerra con la Prussia.
"Il 18 luglio si ebbero 533 voti favorevoli e solo 2 contrari [alla costituzione Pastor Aeternus] dato che la minoranza, la quale sosteneva l'inopportunità e la parzialità della definizione, piuttosto che la sua infondatezza, aveva già abbandonato l'assemblea. Nella stessa seduta il concilio fu aggiornato per l'imminenza del conflitto franco-prussiano". Questo "aggiornamento" è rimasto nel ricordo dei prelati stranieri, evidentemente, quale unica causa dell'interruzione del Concilio. (G. Alberigo (a cura di), Decisioni dei Concili Ecumenici, UTET, 1978, Introduzione, p. 83).
Sì, una volta è il socialismo, una volta il fascismo, una volta il comunismo, una volta la democrazia, una volta il liberalismo... semplicemente la Chiesa non dovrebbe farsi fagocitare, plagiare dal mondo, il suo compito è ripetere quello che il suo Fondatore le ha insegnato e lei deve ripetere fedelmente, prescindendo dalle pretese novità dei tempi. Duemila anni buttati al vento, per i soliti irrequieti che cedono alla tentazione della superba onniscienza/onnipotenza, voglio ma non posso! Così le anime non si curano la Chiesa diventa altro da sé stessa il mondo va a rotoli.
RispondiEliminaOttimo don Curzio Nitoglia.
RispondiEliminaHo letto con piacere il suo scritto, che denota acutezza e chiarezza di analisi (non sempre le due cose vanno a braccetto).
Mi sovviene quanto scritto più volte dal Prof. E.M.Radaelli sulle raffinate eresie di Ratzinger.
Gz
"Il 18 luglio si ebbero 533 voti favorevoli e solo 2 contrari [alla costituzione Pastor Aeternus] dato che la minoranza, la quale sosteneva l'inopportunità e la parzialità della definizione, piuttosto che la sua infondatezza, aveva già abbandonato l'assemblea. Nella stessa seduta il concilio fu aggiornato per l'imminenza del conflitto franco-prussiano". Questo "aggiornamento" è rimasto nel ricordo dei prelati stranieri, evidentemente, quale unica causa dell'interruzione del Concilio".
RispondiEliminaIl conflitto franco-prussiano ha cominciato il 19 iuglio 1870, un giorno dopo che la Pastor Aeternus è stata votata senza la partecipazione della minoranza che già aveva abbandonato l'assemblea. Se la Pastor Aeternus è stata votata senza la presenza di questa minoranza, altri documenti potevano essere votati o no? Quello che afferma Pio IX nel Postquam Dei munere del 20 ottobre 1870 è che:
"Ma la sacrilega e repentina invasione di questa nobile città, Nostra Sede, e delle restanti regioni sotto il nostro potere temporale, questa invasione che, in disprezzo di ogni giustizia, ha violato con una perfidia e una audacia incredibili i diritti imprescrittibili del Nostro principato civile e della Sede Apostolica, ci ha gettati in quello stato di cose per cui siamo stati posti totalmente sotto una ostile dominazione e potere, cosa che Dio ha permesso per i suoi imperscrutabili giudizi.
In questo luttuoso stato delle cose, poiché ci è impedito in molti modi l’uso libero e completo della suprema autorità donataci da Dio, e poiché abbiamo ben compreso che i Padri del Concilio vaticano non avrebbero minimamente in questa nobile città, per il tempo che perdurerà questa situazione, la libertà, la sicurezza, e tranquillità necessarie per trattare convenientemente le questioni della Chiesa con Noi; e allorché inoltre nel mezzo di grandi calamità e degli avvenimenti che agitano l’Europa e sono bene noti, le necessità dei fedeli non permettono che un così grande numero di pastori siano assenti dalle loro chiese; Per questi motivi Noi che vediamo con grande afflizione del nostro cuore la impossibilità per il concilio Vaticano di seguire il suo corso in tali circostanze, abbiamo, di nostra propria iniziativa, dopo matura riflessione, deciso di sospendere la celebrazione di detto Concilio ecumenico Vaticano fino ad un’epoca più opportuna e più conveniente da definire da questa Santa Sede.
E questa sospensione noi la pronunciamo grazie alla nostra autorità apostolica per il tenore della presente e l’annunciamo pregando Dio fondatore e vendicatore della sua chiesa di allontanare infine tutti questi ostacoli e rendere presto alla sua sposa fedelissima la libertà e la pace".
RispondiElimina"Il lunedì 18 luglio, nella quarta sessione del Concilio fu approvata la costituzione Pastor Aeternus con 533 voti favorevoli e 2 contrari, nello stesso tempo fu deciso l'aggiornamento del Concilio. Durante la seduta si abbattè un furioso temporale.." Il giorno dopo la sessione scoppiava la guerra franco-tedesca (H. Jedin, Breve storia dei Concili, tr. it. herder, Roma, 1960, p. 195).
La guerra guerreggiata non scoppiò all'improvviso era nell'aria da giorni. Jedin non dice che la causa immediata della sospensione era stata la guerra, che comunque esigeva il ritorno dei vescovi francesi alla testa delle loro diocesi. Risulta comunque che il Concilio "si aggiornò" già prima dell'occupazione italiana di Roma, che l'avrebbe fatto rinviare sine die.