Conosci la storia di Ester durante l'esilio babilonese. Il malvagio Haman complottò per convincere il re a uccidere tutti gli ebrei. Ester sventò il suo piano e invece gli ebrei riuscirono a uccidere i loro nemici.
Conosci la storia di Giobbe. Era un uomo giusto che Satana tormentò con il permesso di Dio per metterlo alla prova e rafforzarlo. Rimase fedele nella miseria e nella perdita estreme. Alla fine Giobbe fu ricompensato da Dio con una condizione ancora migliore di quella che aveva prima.
Le figure di Ester e Giobbe investono con la loro presenza la nostra Messa domenicale. L'antifona d'introito è di Ester e l'antifona di offertorio è di Giobbe. C'è un messaggio incorporato nei canti: le cose possono andare storte molto velocemente e può sorgere un pericolo mortale. Gli agenti di Satana e perfino Satana stesso sono all'opera. Dobbiamo perseverare, perché solo Dio è la nostra salvezza. Solo Lui può salvarci, ma noi, come Ester e soprattutto Giobbe, dobbiamo fare la nostra parte sia per difenderci dal Nemico, sia poi anche passare all'offensiva con la preghiera: «il Signore ha dato, il Signore ha tolto; benedetto sia il nome del Signore».
Il contesto è importante per la lettura della nostra epistola domenicale. Queste letture sono il nostro compito quest'anno, quindi non mi dilungo troppo in altri testi. Siamo ormai giunti alla fine dell'anno liturgico. Nella prima parte di questo sesto e ultimo capitolo della Lettera agli Efesini, fine della sezione “paranetica”, l'Apostolo istruisce il gregge sui rapporti tra genitori e figli (non provocare ad ira e obbedire e poi dominare e servi (l'obbedienza è dovuta ma anche il buon trattamento). Riprende la nostra lettura, descrivendo la “corazza di Dio” divenuta ormai un luogo comune. Infine, nella Lettera, Paolo fa i suoi saluti finali.
Non lo sopporto. Devo allontanarmi un po'. Il beato Ildefonso Schuster aggiunge una nota alla nostra comprensione della forte bellezza dell'antifona dell'offertorio domenicale da Giobbe 1:1.
Già nel Sacramentario Gregoriano il canto aveva anche degli “emistichi antifonici”, ripetizioni di frasi che scorrevano drammaticamente nel canto. Nel corso degli anni le antifone furono abbreviate. Gli ascoltatori, però, conoscevano la loro Scrittura meglio di noi e probabilmente potevano continuare da soli ciò che era stato cantato in passato, Giobbe 7,7: “il mio occhio non vedrà mai più il bene”. Bl. Ildefonso ha scritto:
Giobbe, disteso sul letamaio, si dichiara innocente e grida che “la sua carne non è di rame” per poter sopportare tanta sofferenza. La magnifica composizione musicale si conclude con un grido appassionato di quella felicità che è il desiderio supremo di ogni cuore. Quoniam, quoniam, quoniam non revertetur oculus meus, ut videam bona, ut videam bona, ut videam bona, ut videam bona, ut videam bona, ut videam bona, ut videam bona, ut videam bona, ut videam bona.
Ho trovato un manoscritto medievale del canto musicale, usato una volta nella grande Abbazia di San Michele in Francia. È una prima forma di notazione senza righe, ma dai segni interlineari si può capire che la linea melismatica era straordinaria nel suo pathos. Mentre il canto procede insieme a quella ripetizione, quella frase suona sempre di più come “vorrei poter vedere di nuovo cose belle”… e colpisce il dolore, la solitudine e la paura per… “finalmente vedrò cose belle”.
Può sembrare in questi giorni che non vedremo mai più cose buone nella Chiesa. Naturalmente noi fedeli cattolici sappiamo che le cose buone, e più che buone, le migliori, sono nostre nella Chiesa, nei Sacramenti. Sappiamo dove cercare le cose buone degli insegnamenti della Santa Chiesa sulla morale e sulla Fede anche se (quando) i nostri pastori non ci conducono ai verdi pascoli ma piuttosto allo zoo, o magari al macello. In questi tempi i nostri antichi catechismi e i libri spirituali, gli scritti dei Padri, i commenti e le biografie dei santi sono come un'armatura da mettere attorno a noi stessi e ai nostri cari e amici. I dardi infuocati delle insensatezze o degli errori palesi non possono raggiungere il cattolico ben catechizzato. A volte mi sembra come se la lenta e costante banalizzazione del contenuto del nostro culto liturgico (che è dottrina) e della predicazione e delle lezioni nei seminari, ecc., fosse sistematica, in vista di questi giorni, nel parlare del futuro della Chiesa, nel pronunciare ogni sorta di chiacchiere folli e farsi applaudire meccanicamente delle persone nel corso delle grandi riunioni. [vedi Sinodo... -ndT]
Vediamo la lettura dell'Epistola nella versione classica rivista:
10 [Fratelli], fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. 11 Rivestitevi dell'intera armatura di Dio, affinché possiate resistere alle insidie del diavolo. 12 Poiché noi non contendiamo contro la carne e il sangue, ma contro i principati, contro le potestà, contro i dominatori del mondo di queste presenti tenebre, contro gli eserciti spirituali del male nei luoghi celesti. 13 Prendete dunque tutta l'armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver fatto tutto. 14 State dunque fermi, cinti i vostri fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, 15 e avendo i piedi calzati con gli equipaggiamenti del vangelo della pace; 16 oltre a tutti questi, prendi lo scudo della fede, con il quale puoi spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. 17 E prendi l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio.
Non penso che questa pericope, questa sezione della Scrittura, si trovi affatto nel Lezionario del Novus Ordo. Forse in quei giorni felici con i segni della pace, le aspersioni dell'amore e il potere dei fiori, al momento di mettere insieme il Lezionario, pensavano forse che suonasse troppo militarista? Non saprei. Ciononostante mi sembra strano, poiché è sia lirico che importante.
Senza la continua protezione di Dio, diventiamo rapidamente preda del Nemico, come scoprì Ester e come apprese Giobbe. Senza la sua armatura siamo vulnerabili all’oppressione diabolica.
L'elenco delle armature sarebbe stato un luogo comune per Paolo, che conosceva abbastanza bene il libro di Isaia. Troviamo parti dell'armatura associate in modo simile in Isaia: cinti con la verità (Is 11,5), corazza della giustizia (Is 59,17), calzati con il Vangelo (v. Is 52,7), scudo della fede (Is 21,5 ), timone della salvezza (Is 59,17), spada della Parola (Is 49,2). Inoltre, il Libro della Sapienza 5:17ss ha una lista di armature: zelo per l'armatura (v. 17), giustizia come corazza e giudizio per elmo (v. 18), santità come scudo (v. 19), ira come spada (v. 19). v.20), ecc.
Paolo ha reso abbastanza semplice suddividere la nostra sezione. In Efesini 6:10–20 abbiamo l'immagine dell'armatura. Non un'armatura qualsiasi, ma l'armatura di Dio. Questo è come indossare “l’uomo nuovo” come la veste del battesimo. A cosa serve l'armatura? Difesa, certo, ma anche attacco. Dobbiamo essere “forti nel Signore” (v. 10). Bisogna essere forti per indossare l'armatura e noi dobbiamo indossare non solo una piccola parte dell'armatura, ma “tutta l'armatura di Dio” (v. 11). Non si può dire seriamente: “Crederò a ciò che dice la Chiesa!”, e poi rifiutarsi di seguire i suoi insegnamenti morali. Allora, a cosa serve l'armatura? Per «resistere alle insidie del diavolo» (v. 11). La nostra armatura non è fisica, perché la nostra battaglia è spirituale, «contro le schiere spirituali del male nei luoghi celesti» (v.12). Tutta l'armatura ci permette di “resistere ai giorni malvagi” e di rimanere in piedi (v.13). Parlando di stare in piedi, saremo calzati del Vangelo della Pace, oltre ad essere cinti di Verità e Giustizia. (vv.14-15). La Parola di Dio è elencata come l'unica arma offensiva, usata sia per proteggere che per contrattaccare contro il male (Efesini 6:17). I credenti devono pregare in ogni momento, stare attenti e perseverare (Efesini 6:18). Proseguendo con la nostra armatura difensiva, prendiamo su un braccio “lo scudo della fede” contro gli attacchi dei demoni, e l'elmo della salvezza (v. 17). Infine, uno strumento offensivo, e un'offesa forte è una buona difesa, «la spada dello Spirito, che è la Parola di Dio» (v. 17). Paolo conclude la Lettera (che non fa parte della lettura) esortando i suoi ascoltatori – nel mondo antico le lettere venivano lette ad alta voce – a perseverare nella preghiera e nella supplica, chiedendo quindi a Dio l’aiuto per i fratelli e a pregare per lo stesso Paolo, che è “ in catene» perché possa proclamare con audacia il «mistero del Vangelo» (vv. 19-20). Immagini simili si trovano in Romani 13:12: “la notte è lontana, il giorno è vicino. Gettiamo dunque via le opere delle tenebre e indossiamo l'armatura della luce”.
Vediamo un paio di frasi.
Innanzitutto abbiamo il primo imperativo: “sii forte”. Ma questa non è la forza che faremo noi stessi. Il greco è un passivo, endynamousthe, “rafforzarsi”. Quante volte gli uomini sono chiamati ad essere forti nella storia della salvezza? Giosuè (1:6). Davide (1 Sam 30:06). Dio è la nostra forza, ma la forza è anche genuinamente nostra.
Successivamente, iniziamo ad arrivare all'armatura e la parola è panoplia "armatura completa". Otteniamo una panoplia da questo.
C'è più di quanto sembri in quella frase: "Poiché non stiamo lottando contro carne e sangue". Il greco dice che “la nostra lotta non è contro la carne e il sangue”. La parola qui è pále che significa “gara di lotta”. Questo è l'unico luogo in cui appare nel Nuovo Testamento. Nei tempi antichi la lotta era comune. Il vincitore teneva fermo il suo avversario con la mano sul collo. Paolo menziona “dardi infuocati”, ma l’immagine qui implica il combattimento ravvicinato, il più impegnativo, il più a stretto contatto di tutti.
I “governanti del mondo di questa presente oscurità”, una grande parola greca κοσμοκρáτορας … kosmokrátoras. Non tutto in questo mondo è “oscuro”, infatti avendo creato la Creazione partendo dalla luce e chiamandola poi buona, possiamo distinguere che Paolo intende quelle cose che sono veramente in preda al Nemico, persone, luoghi, cose. Il Nemico si avvale di agenti, mundi rectores tenebrarum harum. Le “schiere spirituali della malvagità nei luoghi celesti” sono demoni, in contrasto con agenti malvagi.
Paolo già nel cap. 4 elenca i modi in cui Satana cerca di arrivare a noi, come l'ira incontrollata (v. 26), la falsità (v. 25), il furto (v. 28), il parlare impuro (v. 29), la "vecchia vita" (v. 22).
San Giovanni Crisostomo predicava sulla nostra Epistola:
“[Paolo] ci mostra che questo conflitto con gli spiriti maligni dobbiamo necessariamente averlo: perché il vangelo è “il vangelo della pace”; questa guerra che abbiamo contro di loro, mette fine ad un'altra guerra, quella cioè tra noi e Dio; se siamo in guerra con il diavolo, siamo in pace con Dio. Non temere quindi, amato; è un “vangelo”, cioè una parola di buona notizia; la vittoria è già ottenuta”.
L’idea di “già ma non ancora” attraversa gran parte delle nostre letture della Scrittura e dei testi della Santa Messa. C’è una tensione tra ciò che è già stato realizzato e ciò che un giorno sarà “tutto in tutti”. Ecco, proprio in questa lettera troviamo quella tensione in modo umano in Paolo stesso. Sicuramente Paolo sta descrivendo se stesso con il suo armamento contro i poteri costituiti. Paolo è in catene in attesa di essere giudicato da artisti del calibro di Nerone e Seneca. Verrà rilasciato per un certo periodo, ma per ora è prigioniero. È un guerriero imprigionato. È un guerriero prigioniero. Allora scrive del “mistero” quando chiede preghiere, per poter dichiarare, cioè parlare con coraggio.
Questo passaggio riassume ciò che Paolo stava cercando di trasmettere agli Efesini. Uno dei punti principali è che Cristo ha già vinto la Sua vittoria sui poteri delle tenebre (1:21), ma essi sono ancora operativi in coloro che non Gli obbediscono. (2:2 e 4:27). Non temiamo questi poteri ma stiamo in guardia contro di loro rispetto ai loro agenti umani e ai loro sé demoniaci.
Occorre scegliere da che parte stare. Non si può farlo da soli. Si ha bisogno di ciò che Cristo dà attraverso la Chiesa. Ci si potrebbe sentire in “catene” in un certo senso per mano dei pastori. Occorre parlare. Essere audaci.
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[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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Questo articolo era stato pubblicato fin dalla prima mattinata di ieri; ma è incorso nella solita inquietante censura e c'è voluta l'intera giornata (e svariate mail) perché lo rivalutassero e lo rendessero nuovamente visibile. La conseguenza è che molti lettori occasionali hanno peso l'opportunità di una nutriente meditazione (posto che uno strumento come il blog oltrepassa in fretta i contenuti e di solito ci si sofferma sugli ultimi) e me ne dispiace moltissimo...
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