Con la domenica di Pasqua giunge, sì, a compimento tutto l’itinerario quaresimale, ma soprattutto il Triduo Sacro iniziato il Giovedì Santo. Ed era proprio la Messa “in coena Domini” del Giovedì Santo che – come ricordavamo nell’articolo precedente – si apriva con il solenne introito Nos autem gloriari oportet. Un brano – ripetiamolo – tutto incentrato sull’esaltazione della croce che, da strumento di morte, diventa portatrice di vita, risurrezione e salvezza.
Ed è proprio alla luce di quell’introito del Giovedì Santo, inizio del Triduo, che noi possiamo e gustare appieno l’introito Resurrexi della domenica di Pasqua: entrambi sono composti in IV modo. L’inizio e il compimento del Triduo sono accomunati da un medesimo stile compositivo che, da modo mesto e addolorato, viene trasfigurato divenendo il canto della gioia della risurrezione.
Per capire la portata retorica di questa metamorfosi, basti sapere il IV modo viene descritto dai capitelli di Cluny come il “modo del pianto”, «simulans in carmine planctus». Il gregoriano si serve, dunque, di una sonorità che l’orecchio umano percepisce come triste e malinconica per farle acquisire, alla luce della Pasqua, una dimensione nuova: il canto del pianto umano per la morte di Nostro Signore diventa, così, il «canto nuovo» della letizia pasquale per la Sua risurrezione.
Un simile procedimento viene seguito dal canto gregoriano anche per la composizione graduale Haec dies che accompagna la liturgia dalla domenica di Pasqua fino al sabato “in albis”. Si tratta di un graduale scritto in II modo, altro modo che i teorici medievali definiscono «tristis».
Un ethos musicale talmente «triste» da venire impiegato nel lunghissimo tractus della Domenica delle Palme «Deus, Deus meus, respice in me: quare me dereliquisti?» nel quale Cristo emette il suo straziante grido di dolore: «Dio mio, Dio mio, guardami: perché mi hai abbandonato?».
Nuovamente, una melodia disperata e legata al dolore più tremendo viene radicalmente trasfigurata. E per fare ciò, il compositore si serve anche del copioso melisma posto sulla parola iniziale Haec: Questo è il giorno!
Il canto della gioia, però, nel tempo pasquale è anche rappresentato dall’Alleluia. Tale canto, che letteralmente significa “lodate Dio” (allelu, lodate + Yah, contrazione del tetragramma sacro), nei primi manoscritti compare come canto precedente il vangelo riservato solamente al giorno di Pasqua. Venne poi esteso a tutto il tempo pasquale e, ai tempi di Gregorio Magno, a tutte le domeniche dell’anno, fatta eccezione per la Quaresima.
Storicamente, il carattere dell’alleluia era di “preparazione” alla lettura evangelica seguente (come il graduale era di “meditazione” sulla lettura precedente). Da un punto di vista compositivo, invece, soprattutto nella struttura del versetto, esso si presenta come brano molto ornato e di natura virtuosistica, ben lontano dall’“acclamazione” come è (erroneamente e antistoricamente) inteso oggi.
Questo, per inciso, dimostra quanto del tutto illogica, oltre che nefasta, fu la riforma di Bugnini&Montini: ad oggi, infatti, all’interno della “messa” Novus Ordo, è del tutto naturale considerare l’alleluia un’acclamazione e non un vero e proprio canto tanto da esser stato praticamente ridotto ad un breve intervento o ritornellino il più delle volte privo del versetto. Il “messale” montiniano ha tolto, in sostanza, la funzione liturgica propria dell’alleluia di canto interlezionale prima del vangelo.
Ma tornando al nostro discorso, ben più interessante delle porcherie moderniste, occorrerà notare il messaggio simbolico che l’ alleluia propone. Quasi tutti gli alleluia, infatti, sono strutturati in maniera simile: le sillabe allelu- sono, generalmente, poco ornate, mentre sulla sillaba finale -ia sfociano lunghissimi vocalizzi detti jubilus. Questo sta a simboleggiare che sul nome DIO la musica ne trascende il concetto e il canto si trasfigura: Egli è l’impronunciabile per eccellenza e neanche la musica, nemmeno con un’infinità di note, riesce a descriverLo. L’alleluia è il canto che più ci ricorda la distanza incolmabile tra l’immanenza terrena e l’Immacolato Sacrificio, l’indispensabile distanza tra la debolezza umana e la potenza di Dio.
L’alleluia, dunque, nella sua concezione meta-sonora, diventa il canto nuovo del salmo 95: la letteratura patristica, vera fonte esegetica per il compositore gregoriano, ci insegna che dobbiamo «cantare un canto nuovo» perché nella risurrezione di Cristo «tutto è rinnovato» (Cirillo di Alessandria). E il canto della Pasqua è proprio l’alleluia.
Mattia Rossi - Fonte
Dopo il viola e il nero della Quaresima e della Settimana Santa, e dopo le fatiche delle veglie, per cinquanta giorni, il bianco della Resurrezione...buona Pasqua a tutti!
RispondiEliminaLasciamo alla terra i problemi del mondo, i problemi che ognuno di noi ha, e viviamo con il cuore e lo sguardo rivolti a Cristo, sapendo che la fede è l'unica scommessa già vinta.
RispondiEliminaSequenza "Victimae Paschali" e Alleluia - Cappella Musicale Antoniana
RispondiEliminaCantuale Antonianum
https://www.youtube.com/watch?v=ZBbLX2kkny8