Il vento del compromesso col mondo
soffia sulla Settimana sociale di Trieste
A Trieste c’è la febbrile preparazione della 50a Settimana sociale dei cattolici in Italia, dal 3 al 7 luglio prossimi, sotto la guida del Vescovo locale mons. Enrico Trevisi. Il titolo ha un sapore laico: “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”.
E il Vescovo finora si è attenuto rigorosamente al tema. La parola «democrazia» è onnipresente e centrale in ogni iniziativa collegata all’evento. All’emittente locale tergestina (Telequattro) hanno trasmesso quattro puntate del programma “Piazze della democrazia”. E già la Cattedra di San Giusto si è esaurita nei consueti quattro appuntamenti semestrali: “La democrazia alla prova del futuro”, “La democrazia alla prova dell’economia”, “La democrazia alla prova della pace”, “La democrazia alla prova delle città”.
Ignorata la Dottrina sociale della Chiesa
Dove si vuole andare a parare? Lo spiega don Stefano Stimamiglio, attuale direttore di Famiglia Cristiana, invitato a Trieste da mons. Trevisi e intervistato su “I media: ostacolo o risorsa per la partecipazione democratica?”. Anche in questo caso, nessun rischio di andare fuori tema.
Secondo don Stefano, le Settimane sociali dei cattolici (da Toniolo in poi) sono questo: un «incontro importante, che viene fatto ogni due anni, in cui la Chiesa italiana fa una riflessione sul vivere comune, sul vivere – in questo caso – democratico». Non è proprio così. Le Settimane sociali, fondate dal beato Giuseppe Toniolo, sono «riunioni di studio per far conoscere ai cattolici il vero messaggio sociale cristiano», ovvero una guida all’azione dei cattolici nella società. Non una riflessione generica sul vivere comune o sul vivere democratico, ma sul vivere comune illuminato dalla Dottrina sociale della Chiesa, illuminato da Gesù Cristo.
Il card. Pietro Maffi (1858-1931), arcivescovo di Pisa, alla Prima Settimana sociale del 1907, fu ancora più chiaro. I cattolici – disse – sono chiamati «per procurare ed assicurare a noi ed ai nostri fratelli il pane del corpo, il pane della giustizia, il pane della carità, il pane della verità, il pane della virtù e il pane infinito delle anime», sull’esempio di Gesù Cristo, che ha moltiplicato i pani e i pesci per i discepoli e per i seguaci.
Don Stefano Stimamiglio, durante l’incontro, non si è mai riferito ad alcunché di religioso, né alla Dottrina sociale, completamente assente nel suo discorso, né ad un accenno generale alla necessità di una qualsiasi dottrina. È mancato ogni riferimento alla questione della verità, alla trascendenza, alla virtù personale e sociale, alla carità o a una qualunque caratteristica peculiare del cattolicesimo.
Il compromesso come processo irreversibile
Nelle Settimane sociali, almeno fino al secondo dopoguerra, la Dottrina sociale è sempre rimasta al centro, come insegnamento, non come principio ispiratore. Dall’inizio del XX secolo, si è discusso di movimento cattolico, di educazione e scuola, di organizzazione sindacale, di mondo del lavoro, di famiglia, di cultura, dello Stato nella dottrina cristiana e pure di democrazia. Ma di nessuna di queste tematiche se n’è fatto un assoluto o l’approdo definitivo del cristianesimo, come invece sembra accadere a Trieste.
Ne fa invece un assoluto il direttore di Famiglia Cristiana, che riassume il dramma della nostra epoca negli effetti: l’estinguersi della partecipazione alla cosa pubblica, mediante votazione democratica. Infatti – dice – «abbiamo questo tesoro, che è la Costituzione, e dobbiamo difenderlo da tutti i punti di vista». Non abbiamo come tesoro il Vangelo, che non cita mai, ma la Costituzione.
Gli apostoli sono rimpiazzati dai «padri costituenti», i quali «hanno concepito una costituzione che ha retto ottant’anni e che aveva un elemento in comune, che non era la fede – fede sì o fede no (da quando è caduto questo famoso non expedit[1] della Chiesa) –, ma era il bene comune, cioè il maggior bene possibile date le risorse disponibili». C’è quindi, secondo Stimamiglio, una Chiesa prima del non expedit (fino al 1919), fondata sulla fede e nemica della democrazia partecipata, e una Chiesa post non expedit, dove s’è imposta «la forma di partecipazione alla cosa pubblica che più ha a cuore la persona umana, senza essere confessionali».
Questo è il peccato mortale della Chiesa: essere confessionale. E la Chiesa, prima del 1919, «è passata per delle fasi in cui ha combattuto la democrazia»: considerava cioè la democrazia – afferma convinto don Stefano – «come una negazione quasi del principio teologico per cui tutto deriva da Dio e la verità non può essere oggetto di compromesso nell’arena politica». Caduto il Fascismo, la Chiesa è finalmente scesa al compromesso col mondo e si è democratizzata mediante un processo irreversibile.
Non poteva poi mancare, durante l’intervista, l’elogio della Rivoluzione francese, altro elemento che divide la storia in un ‘prima’ peggiore e in un ‘dopo’ migliore. Durante l’Ancien Régime[2], osserva l’intervistato, «il potere era incarnato dal monarca», «la partecipazione era zero e la gestione del potere politico era nelle mani di uno o di pochi». Per fortuna, la «Rivoluzione francese ha fatto fare un salto» e «la partecipazione al voto è un po’ aumentata», fino al Novecento.
Il popolo, nella società cristiana, è sempre stato coinvolto e partecipe
Il primo ad essere in disaccordo completo con questo schemino – per nulla originale, ma ripetuto senza modifiche dai democratisti contemporanei – è proprio il Toniolo e, con lui, tutti i Pontefici delle encicliche sociali. In Toniolo, la democrazia ha poco o nulla a che fare con le elezioni o la partecipazione ai suffragi universali[3]. Anzi, Toniolo (a differenza di don Stimamiglio) non parla neppure di democrazia, ma sempre e solo di «democrazia cristiana» e – sempre e solo – di un concetto politico per nulla applicabile al partito della Democrazia Cristiana storica o alla democrazia spuria e liberale di molti dei cattolici odierni.
La democrazia cristiana di Toniolo è il potere dei principi, che discende sempre da Dio e mai sale dal popolo, completamente rovesciato nel servizio al démos, cioè ai poveri, ai malati (prima) e alle persone di ogni ceto sociale (poi). Non c’entra nulla, con il pensiero di Toniolo, la decisione a maggioranza, né la scheda elettorale, né tantomeno il compromesso democratico/liberale con le ideologie politiche.
Toniolo, inoltre, non solo non distingue una Chiesa contro la rappresentanza da un’altra a favore, ma pone il massimo della partecipazione popolare e associata nel passato – nel medioevo, in particolare. I ceti inferiori, soprattutto, furono da sempre formati dalla Chiesa «a partecipare alla pubblica cosa» e la «rappresentanza» popolare si unì, col trascorrere dei secoli, al potere del principe, con grado di coinvolgimento sempre maggiore. Mai vennero meno, in ambito di Cristianità, il «petere» e l’«acclamare», ovvero i due massimi diritti del popolo. Ne vennero fuori i comuni, le corporazioni, le anse, i cantoni, le provincie unite, i fueros ed altre forme di istituzioni democratiche.
Non si trattava di una società che andava avanti a compromessi sui fini, ma l’orizzonte all’unico fine (Dio), innescava una pluralità armonica e ordinata di azioni e capacità diverse. Non ha senso allora, per Toniolo, una storia spaccata in due, dalla Rivoluzione francese o dal non expedit, dove il ‘prima’ è regresso e il dopo è ‘progresso’. Il progresso è solo dove c’è stata, c’è e ci sarà armonia tra potere politico e potere religioso (cattolico), non divisione.
Frainteso il “bene comune”
Un altro motivo di forte ambiguità è su come don Stimamiglio parla del bene comune, da lui definito (come su riportato) «il maggior bene possibile date le risorse disponibili». È una definizione assai riduttiva. Ma non basta, perché don Stefano approfondisce. Il bene comune si divide tra risorse e bisogni, con un esempio pratico: «Le risorse sono 100, i bisogni sono 170: noi possiamo spendere 100. Dove li spendiamo? Qual è l’urgenza principale? La sanità? L’economia? Il mercato delle armi?».
Ecco, il bene comune, a parere del direttore di Famiglia Cristiana, pare essere un bene esclusivamente materiale e si basa sulla suddivisione delle ricchezze. Questo, però, è il bene comune di una mentalità secolarizzata. Anche in questo caso, la Dottrina sociale della Chiesa dice ben altro: il bene comune è «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente»[4]. Va da sé che le cose vanno a perfezione sia per via naturale e materiale ma, in modo decisivo, per via soprannaturale, di grazia.
La Chiesa si occupa, appunto, del soprannaturale e della grazia. Non si occupa, invece, delle decisioni prese a tavolino, sulla base di un miscuglio tra dottrina e ideologia, in cui si decidono insieme «le regole, secondo le quali il nostro vivere viene regolato per il bene di tutti» (Stimamiglio). Un bene comune fondato unicamente su di una dimensione orizzontale non è un bene, ma un male comune. Per questo è fonte di equivoco dire – come difatti don Stefano dice – che «la politica è il bene comune, a cui si arriva attraverso un discernimento che viene dal dialogo».
È vero che il fine della politica è il bene comune, ma non è sufficiente la politica per cercarlo e trovarlo. E nemmeno è sufficiente il dialogo che, semmai, può anche essere di ostacolo: è invece necessario l’ossequio della ragione alla verità rivelata, la cui diffusione è dovere della Chiesa, così come l’ascoltare è dovere della politica.
I grandi temi ci sono già e non sono banali
Don Stimamiglio fa una prolissa e puntuale disamina delle cause che hanno determinato la disaffezione dei cattolici verso la politica. Dà un quadro preciso della crisi dell’editoria e del giornalismo, dichiara il crollo della carta stampata, denuncia lo strapotere di internet e dell’informazione gratuita, rimpiange i tempi in cui i grandi temi erano dibattuti nelle sedi del partito, nei sindacati, nelle parrocchie. Tutto vero.
E dunque, a seguire: crisi dei giovani e loro incapacità di aggregarsi, apatia. «È una generazione sfiduciata», dice. Vede la soluzione nel ritorno alla capacità di aggregarsi, nel recupero del confronto su grandi temi e nelle politiche di lungo termine. È pochino, è banale. E chi dà ai giovani i grandi temi, su cui aggregarsi? Su che cosa si dovrebbe fondare una politica lungimirante e di lungo termine?
Quali grandi temi poi? La Costituzione? La democrazia? Può un sacerdote limitarsi a questo appiattimento? E dove sono, inoltre, i veri problemi sociali, taciuti perché ritenuti di poca importanza e invece fondamentali? Sono, tra l’altro, proprio le grandi democrazie liberali che hanno immiserito la scuola pubblica, gli spazi di aggregazione, lo spirito d’iniziativa, l’economia, il sindacato – il partito, persino, ora solo macchinetta di potere a gettone. È la democrazia liberale che ha portato la corruzione a sistema. Può a un giovane ardere il cuore quando sente parlare di democrazia o di partecipazione? O non sarà forse ben altro a farlo infuocare.
Alla Settimana sociale di Trieste si parlerà di Dottrina sociale, di formazione, di evangelizzazione, d’identità, di verità, di famiglia naturale? Si parlerà di fondare le virtù personali e sociali? Si parlerà delle scuole parentali? Si parlerà della centralità di Gesù Cristo nelle realtà sociali? Perché don Stimamiglio (assieme a molti altri) tace su tutto questo?
I gradi temi e le grandi idee sono belle e pronte, in attesa di essere comunicate. Li vogliamo moltiplicare o no i pani e i pesci?
Silvio Brachetta - Fonte______________________________
[1] «Non conviene» [ai cattolici partecipare alla vita politica dello Stato italiano, ndr]: coniato dalla Sacra Congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari il 30/01/1868. L’astensionismo era proposto come opposizione intransigente al liberalismo e al democratismo risorgimentali. La Disposizione è stata ritirata da Benedetto XV nel 1919.
[2] L’Antico Regime è il nome dispregiativo che i rivoluzionari francesi attribuivano al passato: all’inizio al passato prossimo (assolutismo monarchico) ma, per estensione, al passato remoto, ovvero al passato tout court, tempo di barbarie e di superstizione religiosa. Ovviamente, i rivoluzionari di ogni tempo credono di vivere il Nouveai Régime (il Nuovo Regime), fatto di progresso e di vera libertà.
[3] Cf. Giuseppe Toniolo, Il concetto cristiano della democrazia, in «Rivista Internazionale di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie», Vol. 14, Fasc. 55 (Luglio 1897). Da questa opera traggo, in questa sede, tutte le considerazioni relative a Toniolo.
[4] Costituzione pastorale Gaudium et Spes, n. 26, Concilio Vaticano II.
Il ritiro del non expedit da parte di Benedetto XV, nel 1919, è stato un grave errore. Da allora, abbiamo assistito ad una serie di compromessi della Dottrina Sociale (supposta) Cattolica col mondo moderno e col democratismo, che di esso e l'espressione più vistosa. Non c'è bisogno che lo ricordi io: ci pensa Stimamiglio alla perfezione! Vorrei ricordare invece un prezioso studio di Adrien Loubier: Démocratie cléricale, Éditions Sainte Jeanne d'Arc (forse ancora disponibile a Chiré o alla Librairie Française). Il non expedi - l'astensionismo come opposizione intransigente al liberalismo e al democratismo risorgimentali - è più attuale che mai, a ben vedere. Comunque sia, non è un comandamento, e ciascuno è libero di collezionare tutte le fregature che vuole.
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RispondiEliminaSul "non expedit" di Pio IX.
Fu aggirato in parte già sotto il regno di san Pio X, quando cominciarono forme di partecipazione dei cattolici alla vita politica del Regno d'Italia. All'inizio il divieto era comprensibile ma durò troppo a lungo, isolando i cattolici dalla politica ufficiale e facilitando con ciò l'avanzata delle sinistre, che ebbero il potere dal 1876 (fu durante il loro governo che tentò di affermarsi la componente massonica e socialista nemica, oltre che del potere temporale, del cattolicesimo in quanto tale). La lotta contro la religione cattolica in sè non fu un obbiettivo del Risorgimento, che era piuttosto anticlericale che anticattolico, con l'eccezione di alcune frange peraltro isolate: il Risorgimento si volse ad un certo punto contro il potere temporale, che tra l'altro tagliava l'Italia in due, a partire dalla II guerra d'indipendenza, non contro la religione in sè, anche se questo contrasto influì negativamente sulla religione).
Perdendo lo Stato della Chiesa il papa temeva di diventare "il cappellano del Re d'Italia", come era successo nel Medio Evo ai papi di Avignone, tutti francesi,succubi per forza di cose del Re di Francia.
Ma poi si vide che, grazie all'ideologia liberale del "libera Chiesa in libero Stato" non c'era da parte dello Stato italiano o del Re d'Italia (che era un monarca costituzionale) l'intenzione di asservirsi la Chiesa, che potè mantenere la sua indipendenza in campo religioso e anche organizzativo, essendo piuttosto limitati i controlli da parte dello Stato. La Legge delle Guarentigie riconosceva ampi privilegi al papa, anche economici, però senza restituirgli nessuna forma di sovranità territoriale, ragion per cui i papi mai l'accettarono (giustamente, ritenendo essi necessario avere un potere temporale sufficiente a garantire la loro indipendenza dai poteri civili).
RispondiEliminaFT anche l'Alabama vota una legge che obbliga a verificare l'età di chi accede ai siti porno.
Notizia su LifeSiteNews di oggi. Sono circa una dozzina gli Stati americani (tutti repubblicani) ad aver votato leggi simili. È difficile semplicemente far chiudere i grandi siti pornografici, che possono tra l'altro assoldare stuoli di avvocati ed esperti per difendersi in nome della libertà di parola, dovrebbe intervenire il Congresso.
Ma si possono colpire le loro attività con una legge come questa sulla verifica dell'età. Chi clicca sul relativo sito non deve semplicimente dichiarare di essere maggiorenne, deve dimostrarlo mettendo i suoi dati in chiaro sul sito. Cosa evidentemente sgradevole per gli interessati e difatti sembra che in questi Stati gli affari dei siti porno stiano andando male, il calo di visite è stato impressionante e ha provocato la chiusura di diversi siti.
Anche la componente adulta dei visitatori, che dev'essere notevolmente ampia se non maggioritaria, sicuramente non ha piacere a dover mettere in pubblico nome e cognome per poter accedere al porno.
Interventi simili contro il porno anche in Italia? Su questo fronte non sembra che il CD abbia intrapreso delle iniziative. O forse ha fatto qualcosa? Per introdurre l'obbligo della verifica dell'età del visitatore probabilmente non è necessario passare per il Parlamento.
Basterebbe inserirlo nel processo con il quale ogni anno gli utenti rinnovano il loro sistema di sicurezza internet (antivirus protection,safety search). In che modo? Semplicemente obbligando la compagnia che mette in sicurezza il sistema al blocco totale di ogni accesso a siti porno, sbloccabile solo se l'utente interessato dimostra di non esser minorenne, con l'esporre i suoi dati, venendo così allo scoperto.
In tal modo gli affari dei suddetti siti verrebbero sicuramente a subire un duro colpo, come negli USA.
IL CORAGGIO DI CREDERE
RispondiEliminaOggi è l'anniversario della scoperta a Gerusalemme della Vera Croce, evento reso possibile grazie all'opera di Sant'Elena che si dedicò anima e corpo alla ricerca delle reliquie della Passione.
L'opera era complessa anche perché, sotto l'imperatore Adriano (117-138), era stato edificato a sfregio sopra il Santo Sepolcro un tempio a Venere; sebbene la tomba venne interrata e quindi si preservò dalla devastazione, vi era comunque il problema di un'ulteriore struttura che complicava gli scavi.
La memoria del punto in cui alcune reliquie erano state sepolte, presumibilmente durante la Guerra giudaica (durante la quale la comunità cristiana dovesse fuggire a Pella, in Giordania) si era persa; pochi sapevano esattamente dove fosse il luogo esatto e fra questi c'era Yehuda, un rabbino della città.
Sant'Elena provò a convincerlo a collaborare ma Yehuda rifiutò categoricamente; per gli ebrei, è sempre bene ricordarlo, NSGC è un falso profeta e un anticristo, quindi per Yehuda non aveva senso collaborare coi cristiani.
Sant'Elena passò alle cattive facendolo torturare: preso di peso, venne calato in un pozzo vecchio e secco dal quale uscì, non prima di aver indicato esattamente il luogo.
Quando le reliquie vennero trovate e avvenne il miracolo della resurrezione del fanciullo sul quale i legni della croce erano stati adagiati, Yehuda si arrese e, compresa la sua cecità, si fece battezzare dal vescovo di Gerusalemme san Macario, assumendo il nome greco di Ciriaco, che vuol dire "Del Signore".
Ciriaco divenne presto una figura cardine della comunità cattolica di Gerusalemme tanto che, alla morte di Macario, Ciriaco venne consacrato vescovo della città da nientemeno che il papa stesso, san Silvestro I, che gli diede le redini della diocesi. San Ciriaco resse l'episcopato per Trent'anni: la sua figura suscitava le ire degli altri ebrei che, in segreto, lo odiavano.
Quando venne l'impero di Flavio Giuliano detto l'Apostata (così chiamato perché, seppur appartenente al clero cattolico, si fece pagano neoplatonico), vi fu da parte dell'imperatore una politica di favore all'ebraismo, con l'intento di provocare le ire dei cristiani, politica che passò anche dal fallito tentativo di ricostruire il tempio di Salomone.
Approfittando del generale clima di favore, un gruppo di ebrei penetrò in casa sua, trovandolo a conversare con sua madre (anch'ella convertitasi): catturati entrambi, li sottopose a torture. Lei venne appesa per i capelli ed ustionata a morte con delle fiaccole mentre lui venne prima mutilato della mano destra, supplizio che il santo commentò dicendo "Accetto questa pena perché quella mano ha scritto contro Cristo".
Gli versarono in gola del piombo fuso, cosa confermata anche dalla sua mummia, che nella parte tracheale mostra elevate quantità di questo metallo nella mucosa. Probabilmente colpiti dal fatto che fosse ancora vivo (la mummia infatti mostra segni di guarigione), lo tennero in custodia finché lo colpirono con una lancia al petto.
Il corpo di San Ciriaco, divenuto patrono di Ancona, è conservato in Italia.
Si legge nella Storia dei Greci che quando Adamo si ammalò, mando il figlio Set a cercargli una certa medicina. Set, arrivato nelle vicinanze del paradiso terrestre, fece presente all'angelo che lo guardava attraverso la porta, la malattia del padre. L'angelo staccò un ramo dall'albero del quale Adamo, contro il comando di Dio, aveva mangiato il frutto, e lo diede a Set dicendogli: «Quando questo ramo farà frutto, tuo padre guarirà». Sembra che il prefazio della messa di oggi si richiami proprio a questo, quando dice: «Donde sorgeva la morte, di là risorgesse la vita». Però Set, quando fu di ritorno, trovò Adamo, suo padre, già morto e sepolto: allora piantò il ramo vicino alla sua testa, e il ramo crebbe e diventò un albero maestoso.
RispondiEliminaSi racconta che dopo molto tempo, la regina Saba vide quell'albero «nella casa del bosco» (cf. 3Re 7,2), cioè nella reggia di Salomone. Essa durante il ritorno alle sue terre scrisse a Salomone - ciò che non aveva avuto il coraggio di dirgli in persona - di aver visto nella casa del bosco un grande albero, al quale doveva essere impiccato un tale, per la cui morte i giudei sarebbero andati in rovina loro e mandato in rovina anche le loro terre e il loro popolo. Salomone, impressionato e pieno di paura, tagliò quell'albero e lo seppellì nelle viscere, nel profondo della terra, proprio nel luogo dove poi fu scavata la piscina detta Probatica (cf. Gv 5,2). Avvicinandosi il tempo della venuta di Cristo, il tronco, quasi preannunciandone la presenza, affiorò sull'acqua, e da quel momento l'acqua della piscina incominciò ad agitarsi alla discesa dell'angelo (cf. Gv 5,2-4).
Nel giorno della Parasceve [venerdì santo] i giudei cercavano un tronco sul quale inchiodare il Salvatore: e finalmente lo trovarono nella piscina, lo trasportarono fino al Calvario e su di esso inchiodarono Cristo. Così quel «legno portò il suo frutto», in virtù del quale Adamo ricuperò salute e salvezza.
Questo tronco, dopo la morte di Cristo, fu di nuovo sepolto nelle viscere della terra. Dopo lungo tempo, fu ritrovato dalla beata Elena, madre di Costantino: per questo la festa di oggi si chiama «Invenzione (ritrovamento) della santa Croce». Ecco dunque che «l'albero ha dato finalmente il suo frutto» Dice la Sposa del Cantico dei Cantici: «Mi siedo all'ombra di colui che tanto desideravo, e il suo frutto è dolce al mio palato» (Ct 2,3). E Geremia: «Il respiro della nostra bocca, l'unto del Signore, è stato preso per i nostri peccati; a lui abbiamo detto: Alla tua ombra vivremo fra le nazioni» (Lam 4,20). L'ardore del sole, cioè la suggestione del diavolo o la tentazione della carne, che affliggono l'uomo, devono rifugiarsi subito all'ombra del prezioso albero e lì sedere, lì umiliarsi, perché solo lì c'è refrigerio e speciale rimedio contro la tentazione. Il diavolo, che per causa della croce ha perduto il suo potere sul genere umano, ha il terrore di avvicinarsi alla croce.
S. Antonio di Padova, Sermoni, Inv. S. Croce
RispondiElimina# Il coraggio di credere...
Nelle vicende della vita di S. Ciriaco si sono inseriti anche elementi leggendari? Sembrerebbe di sì, a giudicare dal racconto pubblicato nel commento.
Giuliano l'Apostata era appartenuto al clero cattolico? Non l'ho mai sentito, da dove viene questa notizia? Ammiano Marcellino non ne parla.
Era figlio di un fratellastro di Costantino imperatore e probabilmente era stato battezzato (forse per questo l'appellativo di Apostata o semplicemente perché rovesciò la politica filocristiana degli imperatori precedenti). Nell'anno 337 ancor giovane si trovava nella villa di Macellum in Cilicia (Anatolia) con gli altri parenti della casa imperiale e sopravvisse alla strage degli stessi ordinata da Cosstantino in persona nel 337. Un truce ed oscuro episodio: Costantino ordinò che fossero giustiziati senza processo la moglie e un figlio, rispetto a lei figliastro. Forse cospiravano contro di lui.
Giuliano studiò retorica e grammatica, come si usava a quei tempi, ed ebbe il permesso di recarsi ad Atene dove studiò il neoplatonismo.
E' risaputo che era stato ordinato diacono.
RispondiEliminaAmmiano Marcellino, esegeta del paganesimo, è normale che non ne parli .
Quando si narrano eventi dove i "Fratelli Maggiori" non fanno bella figura, qualcuno cerca sempre di dipingere almeno parte di tali eventi, come frutto di elementi leggendari .
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/2013/01/17/684/
RispondiEliminaNella dottrina politica tradizionale cattolica, che si rifà soprattutto, ma non solo, ad Aristotele, la democrazia è una delle forme possibili di reggimento, assieme a monarchia e aristocrazia. E non è detto che sia la migliore. Per analogia all'ordine divino, da sempre si è sempre preferita la monarchia, come in San Tommaso. L'infatuazione dei cattolici per la democrazia è una forma di cedimento al mondo moderno e ai suoi miti menzogneri. Tra l'altro è miserabile l'apologia cattolica della Rivoluzione Francese. Persino Benedetto XVI aveva messo in guardia dai gravissimi rischi di relativismo che la democrazia comporta. Al primo referendum "democratico" della storia vinse Barabba, non Cristo.
RispondiEliminaSilente
RispondiEliminaAncora su Giuliano imperatore e dintorni
"È risaputo che era stato ordinato diacono". Allora lei saprà certamente indicarmi la fonte dalla quale l'ha appreso. Su Giuliano imperatore ho letto in passato anche la biografia dell'abate Ricciotti. Forse ne parlava? Io non me ne ricordo. Ammiano Marcellino è stato un grande storico, etichettarlo come "esegeta del paganesimo" per via del suo esser ancora pagano, significa applicare le solite etichette.
I "fratelli maggiori" non c'entrano. Nelle vite dei Santi si sono spesso mescolati elementi leggendari. La faccenda della resurrezione del bambino grazie alle reliquie della S. Croce non è molto credibile.
La resurrezione del bimbo non è molto credibile?
RispondiEliminaAllora è poco credibile anche la Presenza Reale nell'Eucarestia.
Si tratta di molto di più della resurrezione di un bimbo .
Sul Corriere di oggi, Alessandro Cecchi Paone racconta il sostegno convinto di Silvio Berlusconi alla Sovversione omoerotista:
RispondiElimina"Quando Francesca Pascale stava ancora con Silvio Berlusconi, lui mi chiamò a d Arcore e ci disse: 'Le battaglie non si vincono solo da una parte, non dobbiamo lasciare questa battaglia alla sinistra'. E ci fece prendere le tessere dell'Arcigay e di Gaylib".
Complimenti.
Le parole di Cecchi Paone confermano soltanto ciò ch abbiamo capito da un pezzo. Al di là del teatrino destra-sinistra, berlusconiani-antiberlusconiani (un immenso simulacro per gonzi) il grande capitale - quindi anche il defunto Berlusconi - e la sinistra liberal sono in perfetta simbiosi, sugli obiettivi essenziali, da ameno mezzo secolo. Dittatura sanitaria (2020-2022) compresa,
La sinistra e il capitale vogliono le stesse sovversive schifezze, perchè comune è l'accecamento spirituale e il materialismo economico ed antropologico che accomunano l'una e l'altro.
Il regno del denaro nutre per la famiglia e la vita perlomeno lo stresso disprezzo delle ideologie folli dell'omo-femminismo, che esso stessa foraggia.
Ritorna in mente la profetica frase di Oswald Spengler: "La sinistra fa sempre il gioco del grande capitale. Qualche volta persino senza saperlo".
La destra attuale, invece, è una sinistra in leggero ritardo.
La triste realtà è una sola, ahimè: se non crolla questa marcia plutocrazia, umanamente non se ne esce.
Martino Mora
Quindi per questo dubbio personaggio, gli omosessuali non dovrebbero esistere? Non sono cittadini come gli altri?
EliminaChe schifo questi commenti astrusi e violenti.
Gli omosessuali esistono e non si possono ignorare. Nessuno manca loro di rispetto; ma non possono pretendere di discriminare chi non lo è e pensa che, se esercitata, la loro fornicazione sia contro natura e li rscchiuda in una situazione di peccato.
EliminaPoi il Signore ci ha creati liberi; ma perché rimaniamo orientati a Lui che ha inscritto la legge naturale nel creato e nella coscienza retta delle creature, rese capaci di seguirla, per mezzo della redenzione operata dal Figlio, che ha preso su di Sé il peccato del mondo. Tutti i peccati, non solo quelli legati alla sessualità mal vissuta.
Questo vento di compromesso è la tentazione connaturata alla Storia umana ed è su questa tentazione di compromesso che bisognerebbe fondare ogni indagine, ogni insegnamento, ogni pedagogia, ogni politica che voglia essere cristiana, meglio cattolica. Nei fatti ogni tradimento, ogni eresia, ogni apostasia del lontano passato e del presente non sono che una ventata, una tempesta, un uragano di compromesso. Lo stesso modernismo, scientismo e tecnicismo inclusi, non sono che venti possenti del compromesso con il mondo. Allora che fare? Prima di tutto capire e riconoscere questo compromesso con il mondo come la tentazione massima a cui sono esposti tutti gli uomini, i popoli, le società, dacché mondo è mondo. Poi trovare il modo, oggi domani e dopodomani, di resistere vittoriosamente a questa tentazione. Il modo pedagogico per resistere sta primo, nella conoscenza storica di questa tentazione che si aggiorna di giorno in giorno rimanendo sempre uguale a se stessa; secondo, creando una alternativa eterna a questa tentazione sempre ritornante, alternativa fondata sulla retta Fede vissuta con pienezza ed entusiasmo. La pienezza e l'entusiasmo si seminano, si coltivano di giorno in giorno quando verifichiamo nella vita personale che la nostra Fede è veritiera nella teoria e nella pratica, cioè giusta, buona, bella. Questa Fede, vissuta con umile gagliardia, è quella capace di dar vita ad una cultura alta, spirituale, alternativa al mondo, al suo sapere materiale ed occulto, in grado quindi di risanare chi dal mondo si è lasciato avvolgere, sedurre, incantare. Questa capacità di risanamento riguarda ogni singolo aspetto del vivere personale e sociale e dipende da ogni singolo fedele cattolico che resiste alla maxi tentazione di compromesso mondano, con sapiente gagliarda umiltà.
RispondiEliminaa.m.