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martedì 2 luglio 2024

Diebus Saltem Dominicis – 4a domenica dopo Pentecoste: Qualcosa dal nulla

In ritardo rispetto al solito. Ma eccola, nella nostra traduzione da OnePeterFive, la meditazione settimanale di padre Zuhlsdorf che ci accompagna fino alla liturgia della settimana successiva. Questa è riferita alla IV Domenica dopo Pentecoste qui. Mi spiace per questa sfasatura. Spero di riuscire a essere più puntuale con le successive.

Diebus Saltem Dominicis –
domenica IV dopo Pentecoste: Qualcosa dal nulla

Nei primi tempi della Chiesa romana una delle pietre miliari del calendario dell'anno liturgico era il "compleanno" degli apostoli Pietro e Paolo, vale a dire la festa del loro martirio e della nascita a una nuova vita in cielo, il 29 giugno. L'immagine della nascita è comunemente usata in riferimento alla morte dei santi. Molti pellegrini accorrevano a Roma per questa festa. La vicinanza della domenica alla festa dei santi Pietro e Paolo probabilmente influenzò la scelta del Vangelo che è la chiamata di Pietro in Luca 5.

Sicuramente anche in molti di noi risuona il grande grido di Pietro alla scoperta di sé, al riconoscimento della nostra indegnità, dei nostri peccati. Eppure, sempre di nuovo, dal nulla Dio crea meraviglie. Ha creato il cosmo fisico e il regno spirituale angelico mentre, prima, c'era il nulla. Ha preso la terra e ha creato l'uomo. Ha preso l'uomo fatto di terra e ha creato la donna. Ha preso la nostra Caduta e ne ha fatto la felix culpa, la “felice colpa”.
Nelle letture dell'Epistola da Romani 8 Paolo descrive il gemito sotto l'effetto del peccato originale di tutta la creazione, che attende la liberazione da quella schiavitù. Nei sacramenti, infatti, pregustiamo la liberazione di tutta la creazione [a partire da noi -ndT]. Istituendo i sacramenti, Cristo ha elevato la materia ad una nuova dignità in vista della nostra santificazione. Nel nostro Vangelo, Cristo prende gli sforzi inefficaci degli uomini, che faticano nell'oscurità, e riempie sovrabbondantemente le loro reti. Il che si realizza, sulla parola di Cristo: «sulla tua parola getterò le reti» (v. 5). La parola di Cristo ha portato poi ad un'altra delusione, quella di Pietro. “Cadde alle ginocchia di Gesù”. Il verbo è prospípto, “cadere in avanti, prostrarsi, avventarsi addosso o contro”. Pietro si gettò a terra e si prostrò alle ginocchia del Signore. Questo è il vero inizio della libertà.

A volte Dio tarda a concedere grazie e consolazioni per provarci, per rafforzarci, per correggerci. Persevereremo? Se Pietro e i suoi compagni, i futuri apostoli Giacomo e Giovanni, non avessero perseverato nella notte oscura della frustrazione, non si sarebbero trovati nel luogo e nel momento giusto per il loro incontro con il Signore. Se non avessero perseverato nelle prove dopo la Pentecoste, non ci sarebbe stata la Chiesa, lo strumento attraverso il quale Dio ha voluto liberarci dai nostri peccati e portarci alla gioia del Cielo.

Oltre alla perseveranza, gli Apostoli furono anche aiutati, come leggiamo negli Atti e nelle Lettere di Paolo. Leggiamo ripetutamente nella vita dei santi come essi abbiano ricevuto non solo le grazie di Dio ma anche l'aiuto umano. Comprendere che, da soli, siamo inadeguati, ci rende liberi di chiedere aiuto anche noi, offrendo così agli altri l’opportunità di fare qualcosa di buono. Nel racconto evangelico, il peso dei pesci nelle reti era così grande che «facevano cenno ai compagni dell'altra barca di venire ad aiutarli» (v. 7). Si sono impegnati e hanno aiutato. Non è una sorpresa, ovviamente. In genere le persone si mobilitano per una buona causa. Il che è connesso anche a noi, almeno ai nostri lati positivi.

Tirare su quelle reti, così pesanti che le barche avrebbero potuto affondare, avrebbe richiesto un bel po' di olio di gomito. Possiamo immaginare che gli aiutanti che hanno svolto il loro buon lavoro fossero felici per i destinatari della pesca miracolosa. Tuttavia, non è impossibile che alcuni di loro fossero invidiosi. Tiravano su con altrettanta forza, ma con cuori diversi. Questo mi porta a una conclusione.

Nella vita ci sono coloro che fanno molte opere buone, ma queste non sono meritorie per loro perché fatte in stato di peccato mortale. Ed anche, essere orgogliosi o egocentrici riguardo alle nostre buone opere non tornerà a nostro vantaggio. A livello superficiale, le buone opere andranno a beneficio dei destinatari, il che è positivo. Tuttavia, se non vengono compiute con cuore puro e con amore verso Dio e il prossimo, risultano aride. Papa Benedetto XVI lo ha sottolineato nella sua prima enciclica Deus caritas est. Nel sottolineare che la Chiesa sarà sempre obbligata a impegnarsi in opere di carità, la preoccupazione primaria della Chiesa non è “solo il pane”, ma piuttosto la salvezza delle anime. Quando la salvezza delle anime è oscurata, quando l’amore di Dio è assente o tiepido, quindi “vomitabile” (cfr Ap 3,16), la Chiesa è poco più di una ONG, e probabilmente non è molto brava in questo.

Quando i cuori umani sono egoisti, o tiepidi, o duri, le nostre opere – oggettivamente buone – non sono per noi meritorie. Mi viene in mente la frase della Sequenza Lauda Sion [vedi] che abbiamo cantato per il Corpus Domini in ordine all'accoglienza dell'Eucaristia da parte di chi è in stato di grazia e di chi non lo è. È lo stesso atto di accoglienza, ma i risultati sono molto diversi.

Pietro è nato in questo mondo, figlio di Giona. È nato al Cielo appeso a testa in giù su una croce in vista in cima all'obelisco oggi visibile davanti alla basilica che porta il suo nome. Pietro rinasce anche a Gennezaret sul mare di Galilea, quando si prostra alle ginocchia del Signore proclamando la sua indegnità. Questo è un buon punto di partenza per tutto ciò che intraprendiamo. Inoltre, è un buon punto di conclusione per tutto ciò che facciamo, buono o cattivo. Le nostre perdite e i nostri guadagni, i nostri fallimenti e le nostre vittorie, tutto si deve ricondurre a un’umile e prostrata meraviglia nei confronti dell’amore incessante di Cristo.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

4 commenti:

  1. Forse è una sciocchezza , ma mi chiedo cosa significhino quei 153 pesci grossi, varie le interpretazioni, anche oggi c'è chi dice che non significa nulla, ma ció non puó essere: ed allora potrebbero essere 153 Papi santi?

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  2. Sui 153 grossi pesci

    https://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_345_testo.htm

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  3. https://utenti.quipo.it/base5/poetico/sagostino153p.htm

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  4. “E (Gesù)non fece molti miracoli a causa della loro incredulità”

    Che sia chiaro, quanto lo è nel Vangelo di San Matteo.
    Se manca la fede non ci possono essere i miracoli. Dio li può fare a prescindere da tutto e tutti, lapalissiano, ma nell’economia divina non li opera - di norma - in mancanza di chi chiede e crede.
    Ci si può girare intorno alla cosa quanto si vuole, ma questo è il punto.
    State attenti a chi, deluso, vi verrà a dire che non basta la fede... perché lui/lei (che hanno tanta fede...) non sono stati esauditi.
    Be’, se un cristiano ha veramente tanta fede non va certo a minare quella degli altri che magari sperano ardentemente. Il punto è che avere fiducia in Dio significa anche lasciargli più che volentieri l’ultima parola, con la certezza che Lui non spreca le nostre suppliche, i nostri fioretti e le nostre offerte.
    Nell’Atto di abbandono di don Dolindo, Gesù dice: “Mille preghiere non equivalgono a un unico atto di abbandono, non dimenticatelo mai. Non c’è novena migliore di questa: O Gesù, mi abbandono a te. Gesù, prendi tu il comando”.

    Non c’è contraddizione!
    Perché chi si abbandona placido ha così tanta fiducia nel Signore da intenerirLo, cosa che normalmente non avviene usando solo le parole.
    La preghiera ci cambia, non cambia Dio, anche se può fargli cambiare i piani, diceva don Dolindo, perché tanto il Suo fine è la nostra salvezza e la salvezza ha strade infinite; proprio come quelle di Dio.
    RB

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