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mercoledì 31 luglio 2024

Diebus Saltem Dominicis – Decima domenica dopo Pentecoste: la varietà dei doni

Nella nostra traduzione da OnePeterFive la consueta meditazione settimanale di p. John Zuhlsdorf, sempre nutriente e illuminante, che ci consente di approfondire, durante l'ottava, i doni spirituali della domenica precedente qui.
Diebus Saltem Dominicis –
Decima domenica dopo Pentecoste: la varietà dei doni


L’anno scorso, quando stavamo lavorando soprattutto sulle letture epistolari delle Messe domenicali dell’Usus Antiquior, del Rito Gregoriano, del Rito di Pio XII, del Rito Tridentino, della Messa latina tradizionale — Vetus Ordo, la X domenica dopo Pentecoste è stata soppiantata dalla Festa della Trasfigurazione. Pertanto, torniamo indietro e colmiamo il divario nella progressione dello scorso anno attraverso queste domeniche verdi estive. Cominciamo con la lettura di 1 Cor 12, 1-11:
Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio che restiate nell’ignoranza. Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare verso gli idoli muti secondo l’impulso del momento. Ebbene, io vi dichiaro: come nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire “Gesù è anàtema”, così nessuno può dire “Gesù è Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo. Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell’unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.
Questo passo è solidamente trinitario, poiché tutte e tre le Persone vi sono differenziate. Nel v. 3 abbiamo lo Spirito (Spirito Santo) di Dio (il Padre) Che informa come si può chiamare Gesù (il Figlio), “Signore”. La successiva spiegazione trinitaria è nel v. 4.

In apertura, Paolo ricorda ai Corinzi la loro idolatria. L’idolatria è contraria allo “Spirito di Dio”. È un modo di dire “Anatema… Maledetto”… a Gesù (v. 2-3). Ciò che viene in mente nei tempi moderni sarebbe invocare la Pachamama o la Nonna dell’Occidente per entrare nel “cerchio degli spiriti”. È interessante notare che questo versetto sull’idolatria non viene mai letto nel Lezionario del Novus Ordo. [Grassetto del traduttore] La pericope parallela inizia con il versetto 4, cominciando con la descrizione dei doni carismatici dello Spirito Santo. Paolo spiega poi l’azione polivalente dello Spirito Santo nella Chiesa, Corpo mistico di Cristo.

Nel versetto 4, l’Apostolo delle genti (oramai ex-gentili, vedi sopra: “quando eravate pagani”, greco éthnos) paragona la vita armonica delle azioni dello Spirito nella Chiesa alla collaborazione tra le diverse membra del corpo. Il capitolo successivo a questa lettura prosegue con la stessa immagine del corpo umano (vv. 12-27). Quindi, con il Corpo della Chiesa, lo Spirito Santo dona grazie distinte che contribuiscono al bene comune. Ci sono, come viene tradotto per tre volte, “diversità” (diairésis ogni volta) di doni (charismata). Altre versioni diranno “varietà”, “divisioni”, “distribuzioni”. Quella diairésis, come spiega lo studioso paolino Fernand Prat,
significa “divisione” più che “differenza”, ma la differenza risulta proprio dalla divisione. La differenza si riferisce ai vari carismi, ai diversi ministeri e alle diverse operazioni, ma non implica la diversità di operazioni, ministeri e carismi tra loro. Così i commentatori greci considerano queste tre parole come sinonimi o, più esattamente, come applicabili agli stessi oggetti.
Ricordando che le tre Persone della Trinità operano sempre in unità, i doni o ministeri attribuiti al Padre sono opere o operazioni o potere (energêma), grazie di guarigione e miracoli. Quelli del Figlio sono servizi o somministrazioni (diaklonía), doni spirituali per il servizio attivo dei membri della Chiesa. Le varietà maggiormente associate allo Spirito Santo sarebbero quindi i doni (charisma), come la profezia, le lingue e l’interpretazione. In qualsiasi modo le differenziamo, Paolo chiarisce che tutte queste grazie sono doni, charismata, che abbracciano le altre grazie e che lo Spirito Santo le dona ora all’uno, ora all’altro per il bene di tutti.

Quando siamo di fronte a una pericope nella Messa, a un ritaglio della Scrittura per il culto sacro, dobbiamo oltrepassare le frontiere di quella pericope per carpire il contesto e vedere in che direzione si muove. Ciò significa dedicarci tempo prima della domenica, identificare le antifone e le letture a venire e poi aprire quei passi biblici ed esaminarli. In questo modo, quando si parteciperà alla Messa domenicale e la lettura sarà parlata o cantata, si potrà acquisire con grande beneficio ciò che la Santa Chiesa ha voluto che noi avessimo per mezzo della nostra ricettività piena, cosciente e attiva, che è la forma più alta di partecipazione.

Ad esempio, il capitolo 12 si conclude con l’ammonizione a “aspirare ai carismi più grandi (charismata tà kreíttona)”. Ciò che segue in 1 Corinzi 13 è forse il più famoso di tutti gli scritti paolini:
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!
Ora si può osservare meglio il contesto che porta a queste eloquentissime parole ispirate di Paolo, in cui egli sembra dimostrare di aver ricevuto doni speciali. Ancora una volta, nel capitolo 13, l’Apostolo differenzia la varietà dei doni. Ancora una volta utilizza l’analogia del corpo umano, questa volta non nella divisione armonica delle sue membra, ma piuttosto con la crescita naturale che avviene nella maturazione. Nel capitolo 12 Paolo mette in contrasto i Corinzi col loro passato di pagani, gentili, impantanati nell’idolatria. Grazie a ciò che lo Spirito ha loro donato, essi sono come nuove creazioni, nuove persone, in armonia con se stessi e tra loro, beneficiando ora di questo dono e ora di quello, il tutto in vista della crescita nel dono superiore dell’agape, la caritas latina, l’amore sacrificale.

Infine, uno sguardo alla Colletta domenicale prefigura questa mescolanza di pericope e contesto con le sue immagini corporee e la varietà di doni per il progresso e la maturazione.

Deus, qui omnipotentiam tuam parcendo maxime et miserando manifestas: multiplica super nos misericordiam tuam; ut, ad tua promissa currentes, caelestium bonorum facias esse consortes.
Letteralmente…
O Dio, che manifesti la Tua onnipotenza soprattutto nella clemenza e nella misericordia, accresci su di noi la Tua misericordia, affinché, solleciti verso ciò che hai promesso, Tu ci renda partecipi dei benefici celesti.
Dio moltiplica su di noi tanti doni, soprattutto la Sua misericordia, che è dimostrazione di quanto Egli sia onnipotente: può chiudere la spaccatura infinita che abbiamo provocato con i peccati. Se in Paolo stiamo maturando, avanzando nella crescita attraverso i Suoi doni, nella Colletta noi, Suoi consortes, coloro che condividono il Suo destino (sors), siamo solleciti (currentes da curro, “correre”) verso ciò che Egli ha promesso, le gioie del Paradiso.
Padre John Zuhlsdorf, 27 luglio 2024

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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A I U T A T E, anche con poco,
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3 commenti:

  1. MERCOLEDI' GIORNO UNIVERSALMENTE CONSACRATO ALLA MADONNA DEL CARMINE.
    Fior del Carmelo, vite fiorita, splendore del cielo, tu solamente sei vergine e madre.
    Madre mite, pura nel cuore, ai figli tuoi sii propizia, stella del mare.
    Ceppo di Jesse, che produce il fiore, a noi concedi di rimanere con te per sempre.
    Giglio cresciuto tra alte spine, conserva pure le menti fragili e dona aiuto.
    Forte armatura dei combattenti, la guerra infuria, poni a difesa lo scapolare.
    Nell’incertezza dacci consiglio, nella sventura, dal cielo impetra consolazione.
    Madre e Signora del tuo Carmelo, di quella gioia che ti rapisce sazia i cuori.
    O chiave e porta del Paradiso, fa’ che giungiamo dove di gloria sei coronata. Amen.

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  2. "Anche se voi foste colpevoli di tutti i peccati del mondo non dovreste aggiungere a essi quello di non ammettere che la bontà di Dio è più grande ancora delle vostre colpe e capace di perdonarle".

    (Pio XII, Discorso agli sposi, La civiltà cattolica, 1941)

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  3. “Splendore senza fine, in Te s’immerge
    l’umana piccolezza dei redenti”
    (da un inno per i Vespri delle Trappiste di Vitorchiano)

    È tutto ciò che ci compete.
    Riconoscere la nostra piccolezza.

    Così che ogni ironico punto di luce
    rimandi ad un altro
    splendore,
    che non ci appartiene.

    In questo tempo di fuochi fatui.

    Quando non si riconosce più altra luce,
    che non venga da se’.

    Perché solo il lucore di ciò che è piccolo,
    porta la speranza.

    Non una luce che abbagli, senza rischiarare.

    Così il successo non è un nome di Dio.

    E nelle nostre sconfitte una strana vittoria.

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