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martedì 23 luglio 2024

Diebus Saltem Dominicis — Nona domenica dopo Pentecoste: Gesù piange

Nella nostra traduzione da OnePeterFive la consueta meditazione settimanale di p. John Zuhlsdorf, sempre nutriente e illuminante, che ci consente di approfondire, durante l'ottava, i doni spirituali della domenica precedente qui.

Diebus Saltem Dominicis —
Nona domenica dopo Pentecoste: Gesù piange

Padre John Zuhlsdorf

Il commentatore del XX secolo Pius Parsch osserva ne L’anno di grazia della Chiesa che le domeniche dopo la Pentecoste si possono dividere in tre gruppi. Il primo gruppo sottolinea le guarigioni miracolose del Signore che puntano, in definitiva, alla salvezza delle anime. Il secondo, dalla settima alla quattordicesima domenica, mette in risalto il regno di Dio contrapposto al regno del mondo. Il terzo, dal 15 alla fine dell’anno liturgico, sottolinea la Parusia, la Seconda Venuta. Parsch ricorda che esistono anche altri approcci, come ad esempio la divisione secondo le virtù teologali. Davvero il tesoro del sacro culto della Santa Chiesa contiene una ricchezza inesauribile.

Questa domenica, la nona dopo Pentecoste, abbiamo di fronte a noi l’immagine sorprendente del Signore che piange. Mentre si avvicinava la Pasqua, Gesù rimase qualche tempo a Betania, a circa un’ora da Gerusalemme, con Maria, Marta e Lazzaro, che poche settimane prima aveva risuscitato dal sepolcro. In quella prima Domenica delle Palme, mentre si recava a Gerusalemme, Egli pianse mentre osservava la città e il suo Tempio dall’altra parte della valle, sapendo già quale “inferno” li avrebbe visitati di lì a pochi anni.

Nella sua Vita di Cristo, Fulton Sheen ha scritto che, dato che volle condividere i dolori di coloro che venne a salvare, Cristo pianse tre volte. Ogni volta che appare il verbo greco klaío, come dice Sheen, “si indica un calmo versamento di lacrime”. Non sono del tutto sicuro da dove Sheen abbia preso l’accezione di klaío. Tuttavia, è logico, poiché il Signore non avrebbe mai perso nemmeno il minimo controllo sulle Sue emozioni. Né lo avrebbe mai fatto la Beata Vergine, nemmeno ai piedi della Croce.

In quella Domenica delle Palme, Gesù si recò al Tempio. Sicuramente la gente pensava che avrebbe assunto il ruolo di re-sacerdote davidico. Lì trovò il Cortile dei Gentili invaso da venditori di animali sacrificali e da cambiavalute. Le monete che recavano immagini non potevano essere usate per i sacrifici, quindi dovevano essere scambiate. Con una frusta di corde il Signore li scacciò: uno dei Suoi motivi era che ai Gentili non era rimasto nessun posto dove adorare l’unico vero Dio. Commentando questo momento drammatico, san Girolamo (+420) rimarcava che si trattava forse del miracolo più grande del Signore, considerato il numero e l’agguerrimento dei nemici schierati contro di Lui. San Girolamo riteneva che in quel momento dovesse aver brillato qualcosa della Sua divina autorità a cui non si poteva resistere.
A me, tra tutti gli altri [miracoli], sembra più meraviglioso che un solo Uomo — Che peraltro sembrò successivamente così spregevole e vile da essere crocifisso — potesse scacciare coi soli colpi della sua frusta una moltitudine così grande, rovesciare le tavole, rompere i sedili e fare altre cose che un intero esercito non avrebbe potuto fare, con gli scribi e i farisei che infierivano contro di Lui, e vedevano distrutti i loro guadagni. Perché qualcosa di igneo e di siderale balenava dai Suoi occhi, e la maestà della Sua divinità risplendeva nel Suo volto.
Nel Sermone 39, una domenica San Gregorio Magno (+604) predicò proprio su questo brano evangelico, nella Basilica Lateranense – sì, lo leggiamo a Messa da molto tempo – tracciando una linea diretta dalla Sua predizione della distruzione del Tempio alla Sua purificazione del Tempio che i sacerdoti avevano permesso che fosse servito in modo così indegno.
Qui enim narravit mala ventura, et protinus templum ingressus est, ut de illo vendentes et ementes eiiceret, profecto innutuit, quia ruina populi maxime ex culpa sacerdotes fuit… Predisse quindi i mali futuri e subito entrò nel tempio per scacciare chi vendeva e comprava, dimostrando così che la colpa della rovina di un popolo andava attribuita soprattutto ai sacerdoti. Predisse la distruzione ma colpì coloro che vendevano e compravano nel tempio, mostrando con questo intervento da dove proveniva la causa della rovina. Come emerge dalla testimonianza di un altro evangelista, nel tempio si vendevano colombe, che simboleggiano il dono dello Spirito Santo. Il Signore dunque scaccia chi vende e compra, condannando così chi compie il rito dell’imposizione delle mani a titolo di pagamento o anche chi tenta di comprare il dono dello Spirito Santo.
Cattivi sacerdoti. Disordine nelle chiese.
Mi viene in mente il destino di coloro che contrattano, connivono con gli altri, fanno accordi negli spazi sacri per portare ad alte cariche nella Chiesa coloro che non appartengono a tali luoghi.

Tuttavia, tutti noi possiamo trarre una lezione da questo momento drammatico della rabbia purificatrice di Cristo. Quando l’Arca dell'Alleanza si trovava nella tenda dell’incontro e nel primo Tempio, lì si discerneva la Presenza di Dio, la shekinah o nube di gloria. Con la scomparsa dell'Arca, il Secondo Tempio ricostruito non aveva mai avuto la presenza di Dio… finché Gesù non vi arrivò. Il Tempio, tuttavia, rimase sempre un simbolo della presenza di Dio. Così può essere per noi anche un'immagine della nostra stessa anima, che dopo il Battesimo dovrà essere il tempio dello Spirito Santo, la dimora di Dio stesso.

Com’è bella l'anima cristiana in stato di grazia! L’anima attenta, prudente e zelante si sforza di adornarsi con tutte le virtù cardinali, con le opere di misericordia, con lo studio, con l’arricchimento della fides quae creditur che cerca l’intelligenza.

Eppure, se negligente, il tempio della nostra anima può diventare una spelunca latronum… un covo di ladri, piuttosto che una domus orationis… una casa di preghiera.

Nessun merito deriva dalle azioni e dalle preghiere dell’anima in stato di peccato mortale. In un esame di coscienza approfondito, brutalmente onesto, abbiamo bisogno della sferza preventiva delle corde della grazia per riportarci alla ragione e ripulire il nostro tempio nel Sacramento della Penitenza e poi dell’azione meritoria. Come afferma il beato Ildefonso Schuster, nella sua omelia San Gregorio
paragonò l’angoscia della città assediata di Gerusalemme a quella dell’anima che, circondata da spiriti maligni, lotta con la morte ed è già sulla soglia dell’eternità. Sebbene Gesù, durante l’Ultima Cena, abbia potuto dire: “viene il principe del mondo; egli non ha nessun potere su di me” (Gv 14, 30), tutti i santi hanno tremato al pensiero di quell’ora suprema. Il modo più sicuro per prepararci alla morte è la pratica costante delle buone opere, affinché il nostro avversario non possa vantare alcuna presa su di noi.
Prendiamo tutti a cuore ciò, visto come il Signore pianse sulla sorte del Tempio e del popolo, sapendo quale “inferno” sarebbe stato inflitto loro dai romani, un monito per quanti di noi non prenderanno a cuore ciò che ha insegnato San Paolo nella lettura dell’epistola di questa domenica, da 1 Cor 10, 6-13. Paolo ci ricorda innanzitutto i momenti dell’Esodo in cui il popolo si smarrì nell’idolatria e nel mormorio. Fu abbattuto dal “distruttore” come monito “per nostra istruzione” (v.11). Paolo continua:
Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla.
Cristo piange sui nostri peccati come pianse per i peccati che avrebbero portato la distruzione alla città santa. Tuttavia, l’amore di Dio per ciascuno di noi è tale che non ci lascia mai soli nella lotta contro le tentazioni e nelle nostre sofferenze. Egli le conosce e, fino agli ultimi battiti del nostro cuore, sarà con noi purché manteniamo il tempio del nostro cuore aperto e pulito.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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A I U T A T E, anche con poco,
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(ora che sono sola ne ho un gran bisogno)
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3 commenti:

  1. "La storia ci insegna che la tentazione contro la Fede, sempre la stessa nei suoi elementi essenziali, si presenta in ciascuna epoca sotto un aspetto nuovo.
    L'arianesimo, ad esempio, che tanta forza di suggestione esercitò nel secolo IV, avrebbe interessato poco l'Europeo frivolo e volterriano del secolo XVIII.
    E l'ateismo dichiarato e radicale del secolo XX avrebbe avuto deboli possibilità di successo al tempo di Wycliff e di Giovanni Hus.
    Inoltre la tentazione contro la Fede suole agire in ciascuna generazione con intensità diversa. In alcune, riesce a trascinare interamente le anime all'eresia. In altre, senza strapparle formalmente apertamente al grembo materno della Chiesa, le imbeve del suo spirito in modo che, in non pochi cattolici che recitano esattamente le formule della Fede e pensano, talvolta sinceramente, di dare un'adesione rigorosa agli insegnamenti del magistero ecclesiastico, il cuore batte all'influsso di dottrine che la Chiesa ha condannate.
    È questo un fatto di esperienza comune. Quante volte osserviamo intorno a noi dei cattolici gelosi della propria condizione di figli della Chiesa, che non perdono occasione di proclamare la propria Fede e allo stesso tempo, nel modo di giudicare le idee, j costumi, gli avvenimenti e infine tutto ciò che viene quotidianamente divulgato dalla stampa, dal cinema, dalla radio e dalla televisione, non ai distinguono in nulla dagli scettici, dagli agnostici, dagli indifferentisti!"

    Monsignor Antonio de Castro Mayer

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  2. "Bisogna capire cosa significa Queer, a mio parere. Me lo spiegò una persona il cui nome era Michela ed il cui cognome era Murgia.... Il punto è volersi bene”.
    (Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna).

    Al cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna, ora va bene anche l'ideologia "queer" (cioè "storta", "sbieca"), quella che afferma che i due sessi non esistono, che siamo tutti "fluidi", che esistono decine di "generi", cioè quell'ideologia folle che di solito chiamiamo "gender".
    Alla Genesi ("maschio e femmina Dio li creò") il cardinal Zuppi antepone l'autorità della defunta Michela Murgia.
    E' comprensibile. Poiché chi si assomiglia si piglia, le persone malvage si pigliano. Malvagia era lei, ancora più malvagio e anticristico è il pachamamico Zuppi.
    La Chiesa conciliare prima ha abbracciato il mondo, ora si sucida.
    Martino Mora

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    1. Parole sante, caro Martino, chapeau ! ma questi prelati, questa gerarchia, ormai io l' ho cancellata dalla mia memoria, anche visiva...ho resettato completamente la rubrica e il data base modernista, conciliarista, vaticansecondista dal mio spirito, dal mio intelletto, e il mio tempo lo dedico a chi merita tutta la nostra attenzione e simpatia, in primis a Mons. Viganò

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