"Sul Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), noi non abbiamo bisogno né dell'ermeneutica della continuità, nell'ermeneutica dell "evento", ma solo dell'ermeneutica della Veritá". Qui l'indice degli articoli su Pio XII.
Dal Pontificato "metafisico" di Pio XII alla transizione
post-dogmatica incarnata dal "papabile" card. Pietro Parolin
Nel tempo presente, in cui la Chiesa Cattolica si appresta a celebrare un nuovo Conclave a seguito della morte di Papa Francesco avvenuta il 21 aprile 2025, si impone una riflessione non meramente storico-contingente, bensì metafisicamente orientata, circa il fondamento del "munus petrinum" e i criteri ultimi che dovrebbero reggere l’elezione del successore di Pietro.
Nell’epoca della dissoluzione delle forme e del prevalere della "praxis" sulla "theoria", il confronto tra Eugenio Pacelli, Pio XII (pontefice dal 1939 al 1958), e il cardinale Pietro Parolin, entrambi Segretari di Stato, non si configura come una mera contrapposizione di modelli gestionali o sensibilità ecclesiali, ma piuttosto come la polarizzazione di due archetipi teologici, due antropologie implicite, due concezioni metafisiche della Chiesa, dell’autorità e della verità. È solo a partire da questa altezza speculativa che può rendersi intelligibile la posta in gioco del presente momento ecclesiale, il quale, lungi dall’essere una semplice fase di transizione, assume i tratti di un "kairos" drammatico, nel senso forte che la teologia patristica conferiva a tale termine: un’ora di decisione definitiva nella storia della salvezza.
Quello di Pio XII fu l’ultimo grande pontificato integralmente edificato sulla consapevolezza ontologica della verità rivelata. Lungi dal concepire la verità come una funzione dell’ermeneutica storica o del dialogo intersoggettivo, egli la assunse nella sua portata metafisica, come "adaequatio rei et intellectus", adeguazione dell’intelletto all’essere e, dunque, partecipazione creaturale a un Logos increato, principio ordinatore del cosmo e della storia, fattosi uomo per la redenzione dell'uomo. In questa visione, tipicamente tomista, l’atto di fede non è un’espressione esistenziale, quanto un’assenso razionale e libero a una verità divina oggettivamente proposta e garantita dalla Chiesa, assistita dallo Spirito Santo. Il dogma, in tale orizzonte, non è forma culturale o codice simbolico, bensì articolazione formale del mistero nell’intelletto umano, struttura semantica dell’invisibile e, in quanto tale, irriformabile nella sua sostanza.
La Lettera Enciclica "Humani Generis" del 1950 rappresenta, in tal senso, un apice speculativo della teologia del Novecento, laddove Pio XII denuncia le infiltrazioni di un pensiero immanentista e storicista nelle scienze sacre, chiarendo che «l’intelligenza umana, per sua natura, è capace di attingere con certezza la verità» (HG, n. 2) e che, pertanto, l’adattamento del messaggio cristiano alle categorie mutevoli della filosofia moderna conduce alla dissoluzione del dogma. Il presupposto metafisico di tale affermazione è chiaro: il reale è intelligibile e la rivelazione non è soggetta al tempo, dal momento che si innesta nel tempo come giudizio trascendente su di esso. Da ciò discende un’ontologia della Tradizione: la Chiesa, nella sua essenza, è "res supernaturalis", organismo soprannaturale fondato su un principio trascendente, e non realtà fluida suscettibile di continua rinegoziazione conciliare o sinodale.
È in questa luce che si può comprendere la "ratio" profonda dell’azione di Pacelli, anche nei momenti più drammatici della storia del XX secolo. Il suo magistero, la sua prudenza, la sua dottrina, non sono spiegabili se non come effetti di un’adesione radicale al principio metafisico della non-contraddizione e alla necessità di custodire l’essere ecclesiale nella sua identità ontologica. La Chiesa è, prima di tutto, ciò che è: "non potest mutari in aliud", non può mutarsi in altro da sé, pena la propria auto-distruzione. Questa consapevolezza ontologica informa ogni sua decisione, ogni suo atto magisteriale, ogni suo silenzio eloquente: la teologia di Pio XII non è dialogica, ma sacrale; non empirica, ma metafisica; non dialettica, ma analogica.
Al polo opposto si colloca, nella sua figura ecclesiologica e nel suo habitus mentale, il cardinale Pietro Parolin, espressione perfetta di un paradigma teologico post-metafisico, per il quale l’essere è sostituito dalla relazione, il dogma dalla prassi, l’autorità dalla procedura. Formatosi in un’epoca in cui il pensiero cattolico si è sempre più piegato a una forma di razionalità funzionale e operativa, Parolin rappresenta quella che potremmo definire una "seconda secolarizzazione intraecclesiale", nella quale i princìpi teologici sono implicitamente subordinati all’efficacia diplomatica e all’equilibrio delle forze.
In tal modo, il criterio della verità è eclissato a favore del criterio della sopravvivenza e l’ecclesiologia si trasforma in una forma di governance, più attenta alla gestione delle differenze che alla proclamazione dell’unità nella verità. Questa metamorfosi non è priva di implicazioni ontologiche. Essa presuppone, pur senza esplicitarlo, un passaggio dal primato dell’essere al primato dell’evento, nel senso heideggeriano e rahneriano del termine. L’essere ecclesiale non è più colto come partecipazione a un ordine oggettivo, ma come divenire storico dell’autocomunicazione divina. È la Chiesa stessa a diventare "narrazione", "racconto", "processo aperto".
In tale contesto, la figura del pontefice non si configura più come "vicarius Christi" nel senso metafisico del termine, quanto come facilitatore di dinamiche sinodali, garante di una pluralità che tende a dissolversi nella indeterminatezza. Il suo silenzio sulle ambiguitá dottrinali, la sua disponibilità al compromesso, come nel caso dell’accordo sino-vaticano del 2018, non sono incidenti di percorso, ma esiti coerenti di una teologia dell’adattamento.
L’elezione di Parolin al soglio pontificio, in tale prospettiva, non significherebbe solo la prosecuzione del pontificato di Francesco in chiave più moderata, ma la cristallizzazione istituzionale di un modello ecclesiologico fluido, post-dogmatico, storicista. Un modello in cui la missione della Chiesa non è più quella di "tradere quod et ipse accepit" (cfr. 1 Cor 11,23), ma quella di negoziare permanentemente il proprio statuto in un mondo plurale e ostile. La verità, in tale paradigma, non è "ipsum esse subsistens", bensí significato situato, costrutto ermeneutico, orizzonte linguistico. La Tradizione non è più "memoria Dei", ma dinamica partecipativa. Il pontefice non è più il "katéchon" che trattiene il mistero dell’iniquità (cfr. 2 Ts 2,6), ma l’amministratore della differenza.
In questa ora della storia, solo un ritorno alla verticalità del pensiero, alla teologia come metafisica dell’evento rivelato, potrà salvare la Chiesa dal naufragio della sua identità. Non un uomo di mediazione, non un tecnico del consenso, ma un uomo della Tradizione, nel senso forte e metafisico del termine: un uomo che sappia custodire ciò che è perché è stato ricevuto e che comprenda che l’essere della Chiesa non si fonda su se stessa, ma sul Cristo, Verbo eterno e immutabile. È questo il vero centro dimenticato: "centrum meum Deus", diceva sant' Agostino; ma questo centro, oggi, è offuscato dal molteplice, dall’inautentico, dal provvisorio.
Che il Conclave, fissato per il 07 maggio 2025, non elegga un burocrate, né un diplomatico, né un esperto di equilibri. Punti, invece, su un testimone dell’Essere, su un "servus Veritatis". Solo così la Chiesa potrà tornare ad essere ciò che è: "Ecclesia Dei", corpo mistico del Logos, sacramento dell’eterno nel tempo.
Daniele Trabucco
Che il Conclave, fissato per il 07 maggio 2025, non elegga un burocrate, né un diplomatico, né un esperto di equilibri. Punti, invece, su un testimone dell’Essere, su un "servus Veritatis". Solo così la Chiesa potrà tornare ad essere ciò che è: "Ecclesia Dei", corpo mistico del Logos, sacramento dell’eterno nel tempo.
Tutto è pronto nella Stanza delle Lacrime (o, anche, Stanza del Pianto) della Cappella Sistina nella Città del Vaticano per vestire il nuovo Pontefice.
RispondiEliminaIn questa stanza infatti il nuovo Vescovo di Roma indossa per la prima volta la tonaca papale. Si tratta di una piccola sacrestia, sulla sinistra dell'altare della Cappella Sistina.
Durante gli anni, l'organizzazione ecclesiastica ha preso coscienza che le prime reazioni dopo l'elezione potrebbero essere inaspettate e dunque è stata realizzata la cosiddetta Stanza delle Lacrime in Vaticano - altrimenti ribattezzata Stanza del Pianto. Un luogo riservato e dignitoso, al quale pochissime persone hanno accesso, esattamente dove si svolge il conclave.
Il Papa neo-eletto può entrarci solo dopo aver sostenuto il dialogo latino vis à vis con il Decano (oppure il suo vice oppure il primo dei cardinali vescovi), durante il quale si recitano le seguenti formule: "accetti la tua elezione, avvenuta canonicamente, a Sommo Pontefice?" e "con quale nome vuoi essere chiamato?"...
https://youtu.be/05jM28LBOFQ
Allora la Stanza delle Lacrime al Vaticano è una sorta di spogliatoio in cui il nuovo Papa trascorre i suoi ultimi momenti da cardinale ed entra in contatto con il nuovo ruolo.
Non solo. Lì, indossa per la prima volta i suoi nuovi abiti. In particolare, le talari bianche vengono preparati in tre taglie, per vestire fisicità diverse.
La Stanza delle Lacrime resta un luogo inaccessibile del Vaticano, quasi segreto e poco chiacchierato, ma soprattutto umile - in contrasto, quindi, con il prestigio della Cappella Sistina a pochissimi passi. Lì, si consumano l'emozione e il giusto timore del cambiamento.
Preghiamo per il Papa, amiamo la Chiesa e amiamo il Pontefice, Successore di Pietro.
«Pio XII amava concretamente e non a parole, tutti gli esseri umani soprattutto quelli che soffrivano. Questo amore lo spingeva a voler soffrire come loro, ad imporsi le stesse privazioni cui erano costretti. Durante la guerra sapeva che molti uomini soffrivano la fame, ed egli si privava del cibo che avrebbe potuto avere in abbondanza. Quando cominciarono i bombardamenti, molta gente restò senza casa e fu costretta a affrontare i rigori del freddo senza riscaldamento, con pochi vestiti in condizioni di grave indigenza. Pensando a quelle famiglie, Pio XII, durante la guerra, non volle che il suo appartamento fosse riscaldato. Aveva le mani e i piedi gonfi, pieni di geloni. Faticava a scrivere a macchina, a tenere la penna in mano, non stava bene di salute, ma non volle il riscaldamento. Quando in Italia cominciò a scarseggiare lo zucchero e il caffè, mio zio smise di prendere caffè e fino al termine della guerra non bevette più una sola tazzina di caffè. Le scorte di zucchero e di caffè che c'erano in Vaticano e quelle che arrivavano, le mandava agli ospedali della città per gli ammalati.
RispondiEliminaIn pubblico mio zio voleva sempre apparire perfetto, impeccabile. Rappresentava la Chiesa, sentiva in modo elevatissimo il senso di questa suprema dignità. Il suo comportamento e i suoi abiti, esteriormente, erano impeccabili come quelli di un sovrano. Ma in realtà egli era poverissimo. Dopo la sua morte, scoprimmo che il suo corredo di biancheria era misero: aveva soltanto tre camicie, logore e rattoppate, alle quali cambiava spesso i polsini inamidati perché, quelli, si vedevano. Aveva due o tre paia di scarpe che faceva continuamente aggiustare e risuolare. Durante gli anni della guerra diede ai poveri tutto quello che aveva, tutto il denaro che riceveva. Quando morì, non lasciò niente a nessuno, perché non aveva niente. Come tutti hanno potuto constatare osservando le fotografie pubblicate dopo la sua morte, dormiva in una camera disadorna, su una branda di ferro.»
(Intervista a Giulio Pacelli, nipote di Pio XII)
Essere o non essere. L'essere necessita il Credo e la sua regola, il non essere recita mille parti in commedia, meglio in tragedia.
RispondiEliminaEssere o avere. Fu anche ipotizzato che questa fosse la grande alternativa che si apre davanti alla vita dell'uomo. Forse in parte, sì.
segue
RispondiEliminaI media, rotocalchi, cinema, televisioni instillarono nei popoli l'illusione che una vita avrebbe potuto diventare mille vite da vivere all'impronta, come capita capita. Senza regola alcuna. Importante diventò la narrazione, qualsiasi narrazione, detti e contraddetti, senza memoria, che nei fatti si consumò per gran parte della umanità. Ognuno scelga.
"Finisca presto questo sabba intorno a San Pietro. Per un cristiano è uno spettacolo raccapricciante. Al mondo la Chiesa interessa solo a ogni morte di Papa, e per il motivo più sbagliato: appunto il Papa. Che è un uomo, non è Dio. Che quando va bene (l’ultima volta non è andata benissimo) non fa che ribadire le parole di Dio, del Padre e del Figlio, facilmente reperibili in ogni Bibbia. Il Papa è un argomento per atei perché non è vero che gli atei non credono in nulla, credono in un mucchio di cose e innanzitutto nel potere. Dunque il Vaticano li attira terribilmente. Nessun cristiano è attratto dal Vaticano, nessuno si è mai convertito al cristianesimo per il Vaticano, il Vaticano è un male (forse) necessario, solo un malvagio può esserne affascinato.
RispondiEliminaPer un cristiano questa lunga rimozione di Cristo è insopportabile. Questo festino di idolatri, di indovini, questo pandemonio di selfisti, giornalisti, collezionisti di cardinali, cuculi della Chiesa cattolica, scommettitori, adoratori del Cupolone, ammiratori della scenografia e della sartoria, spettatori della coreografia... Finisca prestissimo".
100% Camillo Langone
Vedremo chi sarà eletto papa, anche se c'è poco da illudersi. Temo che la questione del "papa eretico" tornerà presto d'attualità.
RispondiEliminaProbabilmente il 2025 segna il sospirato cambio d'epoca a ottant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Non c'è Merz, Macron, Starmer, Von der Layen o Breton che tengano. Il vento ha fatto il suo giro e il terreno sta franando sotto i piedi dell'elite che ha comandato in un crescendo rossiniano negli ultimi decenni. Bergoglio è stato anch'egli l'apogeo del multiculturalismo nella sua veste religiosa, pericolosamente esposta ad uno strisciante sincretismo.
RispondiEliminaE' un'aria nuova e per certi versi antica quella che si comincia ad avvertire, anche qui nella dolente e ansimante Europa, un'aria frizzante che arriva dagli States, quasi una primavera di bellezza che rifiorisce dopo decenni di verticale abbrutimento.
Anche le apparentemente impermeabili mura vaticane stanno già annusando il vivificante profumo che giunge da oltre atlantico. Sarà impossibile resistergli.
E così sia!