Pagine fisse in evidenza

venerdì 18 luglio 2025

Lettera da Genova / “Così io, sacerdote, assisto all’autodissoluzione della Chiesa”

Così scrive a Duc in altum un sacerdote della diocesi di Genova. Un grido di dolore per una situazione che, afferma, è ormai diventata insostenibile. Una testimonianza che, purtroppo, trova riscontro anche in altre situazioni.
Lettera da Genova / “Così io, sacerdote,
assisto all’autodissoluzione della Chiesa”


Sono sacerdote della diocesi di Genova e poiché “Duc in altum” già altre volte ha mostrato attenzione per la nostra situazione mi sento incoraggiato a condividere con lei e i suoi lettori alcune considerazioni.
Da anni stiamo assistendo a un vero e proprio smantellamento della diocesi, in modo particolare dal luglio di cinque anni fa, con la nomina a vescovo di padre Marco Tasca, già superiore generale dell’ordine dei Frati minori conventuali.
Ovviamente la diocesi già risentiva di una crisi generale, presente in tutta la Chiesa universale, ma da allora ha imboccato la strada del vero e proprio auto-dissolvimento, con la trasformazione di tutte le strutture diocesane.

Il vescovo ha chiamato intorno a sé alcuni collaboratori togliendoli dalle parrocchie (il cosiddetto cerchio magico) e con loro ha iniziato a lavorare.

Al centro c’è stato il cammino sinodale: è stata creata un’equipe di laici che man mano ha preso sempre più campo. Si tratta di persone tutte di un certo livello culturale e sociale (professori universitari, avvocati, gente della Genova bene), in prevalenza di area ex sessantottina e ultra-progressista, sempre pronte a portare avanti i cavalli di battaglia del mainstream ecclesiale: spazio ai laici, marginalizzazione del sacerdote e dei sacramenti, chiesa in ascolto, chiesa dei poveri, rivendicazioni ideologiche del mondo femminile e arcobaleno eccetera. Con il paradosso che parlano continuamente di poveri pur essendo tutti benestanti e vivendo nei quartieri dei ricchi.

Il vescovo e l’equipe sinodale hanno oramai puntato su un nuovo modo di “prendersi cura” delle parrocchie, attraverso gruppi in cui i laici siano sempre più protagonisti e di fatto sostituiscano il prete, ma non tanto nelle cose amministrative (rispetto alle quali i preti avrebbero davvero bisogno d’aiuto) bensì nella gestione ordinaria della parrocchia e nella liturgia. Il modello è quello delle “fraternità di parrocchie” affidate a un prete assieme a un’equipe.

Ultimamente alcuni parroci sono stati nominati “moderatori” (qualifica che non esiste nel diritto canonico) e a loro sono state affidate più parrocchie. Tutto ciò non solo e non tanto per la carenza di clero, ma per cambiare la natura del prete e lasciare più spazio ai laici.

Cito in particolare la nomina di un prete, al primo incarico da parroco in Val Bisagno, al quale, in veste di “moderatore”, sono state affidate quattro parrocchie piuttosto distanti. E, si badi, non perché manchino i preti, ma per consentire ai laici di guidare di fatto la vita parrocchiale (il predecessore si era opposto a questo sistema).

Chi mostra riluttanza viene emarginato, mentre chi accetta si ritrova in un ruolo che fa perdere al pastore la sua identità come guida della comunità: si sminuisce il ministero di insegnare e santificare, non si capisce più quale sia la missione della Chiesa e del sacerdote. Si ripetono fino alla noia gli slogan di moda: fare insieme, camminare insieme, preferisco non avere ragione che perdere la relazione, e altre frasi melense di questo tipo.

Non è un caso che non ci si prenda più cura delle vocazioni. Il seminario, il cui rettore è noto per le magliette di Che Guevara che indossa, ormai è ai minimi storici, stravolto da un’infinità di esperienze sociali. Niente preghiera, e niente frutti.

Recentemente si è tenuta una giornata di formazione per la curia guidata da un’equipe sinodale in cui figurano donne che rivendicano maggiore presenza e protagonismo per loro e in generale per i laici. Alcune fanno parte di un movimento catto-femminista che si rende protagonista di illecite liturgie, con il prete nel ruolo di “presidente” e le donne che gestiscono tutto: una visione ideologizzata che nulla ha di evangelico. E poi ci sono le immancabili veglie contro l’omotransfobia con la presenza di sacerdoti e vicari del vescovo. In queste occasioni si parla continuamente di inclusione, ma non per convertire le persone bensì per approvare il peccato.

Da sempre buoni laici cristiani collaborano nelle parrocchie e aiutano con spirito di servizio, ma ora predominano queste élite radical-chic che hanno visto in Bergoglio un loro riferimento.

Quando parlano di protagonismo dei laici queste avanguardie “illuminate” scoprono l’acqua calda, come se in passato i laici cattolici fossero assenti. Il punto è che la loro visione è tutta ideologica, non evangelica.

In questa situazione molti preti sono scoraggiati. Vivono una realtà diocesana che nulla ha a che fare con l’identità del sacerdote e il sacramento dell’Ordine. Recentemente un sacerdote molto bravo e da poco trasferito mi confessava tutto il suo disagio: lui vuole essere prete, non “moderatore”, non coordinatore di un team, come se si fosse in un’azienda!

C’è un vero e proprio cambio dei contenuti della fede e della pastorale: in primo piano non c’è la salvezza delle anime, non c’è l’ansia di portare Cristo, bensì un programma sociale politicamente corretto che potrebbe essere quello del Partito democratico: ecologismo, parità di genere, inclusione, dialogo. E così il cristianesimo evapora e muore.

Al momento l’avvento di Prevost al pontificato non ha portato un cambio di rotta. Si continua con gli slogan, ciechi di fronte alla gravità della situazione.

Alcuni di noi cercano di restare cattolici, ma la sensazione è che si sia arrivati al limite. Fonte

4 commenti:

  1. È comprensibile il disagio di questo sacerdote e condivisibile ciò che afferma ma, la sensazione, è che resti alla superficie dei problemi senza andare alle origini, alla radice.
    È come un medico che si sente conto dei sintomi espressi da un suo paziente ma senza capire di che malattia si tratta.
    Del resto, mi chiedo, quando è entrato in seminario, non so quando, non si è avveduto di nulla?
    Il problema non è Tasca, come non era Bergoglio...
    Antonio

    RispondiElimina
  2. Sì, ormai è un sistema che deve essere smontato e rimesso in essere con le pietre, con i mattoni autentici, veri, originali, eterni.

    RispondiElimina
  3. Il problema va sicuramente oltre Tasca e Bergoglio, certo però che chi sta al comando ha la sua responsabilità e non tutti sono uguali. Basti pensare che a Genova c'era il cardinal Bagnasco, non perfetto ma abissalmente migliore di Tasca; come a Roma c'era Ratzinger, abissalmente meglio del successore...
    È ingenuo pensare che un candidato che entra in seminario si avveda di qualcosa. Sarebbe come demandare al paziente la diagnosi, che invece spetta al medico. E medici, più che il semplice prete o parroco dovrebbero essere i vescovi, i cardinali e il papa. A quel livello il panorama è desolante... Chi c'è? Strickland, Burke, Zen, Sarah, Schneider, Viganò, il mai troppo compianto Williamson, e pochissimi altri.
    Comprensibile dunque il disagio dei sacerdoti, stretti tra l'incudine di vescovi modernisti e il martello di una genia di laici e laichesse e ormai anche gaiessi e gaiesse tuttofare, aggressivi, prepotenti, e quantomeno esigenti, sempre pronti a rivendicare i loro "diritti" e ad andare a protestare in curia se il prete non acconsente ai loro capricci.

    RispondiElimina
  4. “A MORTE SUBITANEA, LIBERA NOS DOMINE”

    Così pregava il popolo cristiano durante le antiche Rogazioni. Non per paura della morte, che sappiamo essere il passaggio alla visione di Dio, ma perché la morte improvvisa priva del tempo del pentimento, dell’offerta consapevole, del viatico della Grazia.

    Morire da cristiani significa morire preparati, riconciliati, accompagnati. Non improvvisamente, non da soli.
    Per questo la Chiesa, nei secoli, ha invocato il Signore:
    – perché non ci colga impreparati;
    – perché nessuno sia strappato via senza aver detto un “sì” consapevole alla misericordia;
    – perché il momento della morte sia un atto di fede, non un vuoto.

    Oggi, in tempi in cui si moltiplicano notizie di giovani, bambini, uomini e donne colpiti da “malori improvvisi”, questa invocazione torna più che mai attuale.

    RispondiElimina

I commenti vengono pubblicati solo dopo l'approvazione di uno dei moderatori del blog.