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lunedì 14 luglio 2025

L’evasione dell'oralità: Il rifiuto come sintomo del crollo antropologico della scuola delle competenze

Eppure credo che esistano ancora dei veri insegnanti che esercitano l'arte maieutica. Ma si contano sulla punta delle dita. Un altro dei deficit del nostro tempo da risanare. Chi ha difficoltà a parlare dimostra di non saper ragionare, organizzando le idee per esprimerle. Ideale come soggetto manipolabile... Qui l'indice degli articoli sulla società distopica.

L’evasione dell'oralità: Il rifiuto come sintomo
del crollo antropologico della scuola delle competenze


Il recente fenomeno, divenuto virale e diffusamente commentato nel circuito mediatico, di studenti che inscenano vere e proprie "sceneggiate" per sottrarsi alla prova orale dell’esame di maturità, rappresenta ben più che un semplice atto di ribellione adolescenziale o un’espressione marginale di disagio individuale. Si tratta, in verità, del sintomo visibile di una crisi assai più profonda: la dissoluzione della forma scolastica in quanto luogo di trasmissione culturale e di formazione integrale della persona.
L’evitamento della prova orale, lungi dall’essere un fatto isolato, si iscrive in un orizzonte culturale e pedagogico plasmato da decenni di riforme ispirate a un paradigma funzionalista, tecnocratico, postumanistico. È il prodotto terminale della cosiddetta "scuola delle competenze", cioè dell’ideologia educativa imposta da Bruxelles attraverso una progettualità pedagogica riduzionista che ha disancorato il sapere dalla verità, lo studio dalla fatica, la conoscenza dalla memoria, l’intelligenza dal giudizio.
La prova orale è, per sua natura, il momento culminante della maturazione scolastica, la sede in cui la parola, incarnata e responsabile, si espone all’interlocutore e si fa atto comunicativo fondato su logos e ragionevolezza.
Rifiutare l’oralità significa allora sottrarsi non a un mero rito burocratico, ma all’assunzione della propria parola come impegno veritativo, come esercizio di libertà ordinata. La parola non detta è parola negata, e nella negazione della parola vi è la rinuncia all’incontro, al confronto, all’ascolto. È l’implosione dell’umano. In questo senso, l’"esame" è ormai inteso da molti studenti come un ostacolo e non come una soglia. E ciò è l’effetto diretto della scuola disarticolata e liquida che ha abbandonato ogni tensione formativa a favore dell’addestramento orizzontale.
Il paradigma delle "competenze", termine orwelliano che cela la scomparsa del sapere in quanto tale, ha agito come un acido corrosivo sulla struttura teleologica della scuola. In nome della valutazione delle "soft skills", delle "life skills", delle abilità trasversali, si è espunto ogni riferimento a contenuti forti, a verità esigenti, a canoni educativi capaci di trascendere l’immediato.
La scuola ha cessato di essere comunità ordinata attorno alla ricerca del vero e del bene per divenire una piattaforma di erogazione di servizi formativi a misura del mercato. E lo studente non è più soggetto educabile, ma utente, cliente, consumatore di crediti formativi e fruitore di esperienze più o meno ludiche.
Il rifiuto dell’orale, amplificato da atteggiamenti teatrali e da una retorica del vittimismo psicologico, rivela così una regressione antropologica che la scuola stessa ha contribuito a generare.
L’educazione, nel suo senso autentico, e cioè come "e-ducere", trarre fuori le potenzialità razionali e morali dell’allievo, è stata sostituita da un processo di deresponsabilizzazione sistematica, in cui l’autorità educativa è vista come oppressione, il rigore come trauma, la fatica come abuso.
Non stupisce che, in questo contesto, il colloquio venga percepito come un’aggressione all’identità fragile di giovani plasmati da "emozioni certificate", privati della capacità di argomentare, contestualizzare, narrare. Le sceneggiate, lungi dall’essere un’anomalia, sono la perfetta rappresentazione simbolica di una scuola in cui l’oralità non è più fondata sul logos ma sul patetico, sullo sfogo, sull’impulso emotivo.
Il filosofo Romano Guardini aveva indicato nella parola ragionata il tratto essenziale dell’uomo educato: chi non sa parlare non sa pensare, e chi non sa pensare non è libero. Si potrebbe dire che tutto ciò era già contenuto, in nuce, nei documenti dell’Unione Europea in materia educativa: dalla famigerata "Strategia di Lisbona" ai più recenti orientamenti sulla "cittadinanza digitale attiva", ogni documento ha progressivamente deintellettualizzato l’educazione, trasformando i curricoli scolastici in set di abilità spendibili, le discipline in contenitori intercambiabili, i docenti in facilitatori dell’apprendimento.
L’esito è sotto gli occhi di tutti: studenti che non sanno più né parlare né scrivere, che temono la parola perché essa comporta responsabilità, che rifiutano la valutazione perché essa impone un ordine di merito, e che pretendono comprensione al posto di verità.
L'"esame di maturità" è diventato così il teatro di una maturità mancata, non più prova della crescita personale, ma testimonianza di una società in cui la paura della parola, celata dietro l'opposizione al sistema, ha sostituito l’ardimento del pensiero. La scuola delle competenze, nel suo trionfo apparente, mostra in realtà la sua catastrofe ontologica: ha prodotto individui incapaci di testimoniare ciò che sono, perché nessuno ha più insegnato loro che l’uomo si definisce per ciò che afferma, e che affermare è un atto di verità, non una performance da social network.
Nella fuga dalla parola si consuma così la fine dell’educazione come atto liberante e fondativo. La "scena" di questi ragazzi non è che l’ultimo atto della tragedia iniziata nel '68.
Daniele Trabucco

11 commenti:

  1. Mettiamo in fila i colpevoli: la famiglia, la chiesa, la scuola (lo stato).

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  2. Ricordo che anni or sono lessi un articolo sulla condizione della scuola americana e tale condizione, la deboscia, caratterizzava sia insegnanti che allievi. Stupii, perché noi allora avevamo ancora un po' di eredità del passato che copriva la miseria in arrivo. Il fatto è che qui tutto è venuto meno. La quantità ha sostituito la qualità, i piaceri ed i diritti hanno sostituito i doveri, generazioni cresciute scivolate sui divani davanti alla tivvì, con le cuffie, telefonini in mano, vaccinati tutti e diventati autistici.

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  3. Ma voi lo sapete che nella favolosa Germania democratica odierna chi ha la tessera di AFD non potrà ricoprire incarichi pubblici (anche funzioni nel settore statale). Un provvedimento aberrante adottato dalla regione Renania-Palatinato.
    Ci stiamo rendendo conto di dove siamo finiti? Questo è uno dei sintomi più evidenti del fatto che l'Europa ha rinnegato le radici cristiane ed è diventato un conglomerato di barbari assatanati. Come cattolico non mi posso più riconoscere in questa Europa.

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  4. Tanto c'e' google che sa tutto..

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  5. Non condivido questo giudizio tranciante sulla scuola, fatto forse da un non adetto ai lavori. La scuola funziona, forse non tutta, ma funziona e le direttive europee sono più che ragionevoli e adeguate al mondo contemporaneo. Poi ci possono essere scuole o insegnanti che non funzionano, ma non si puó addebitare tutta l’immaturità dei ragazzi alla scuola, quando invece sono spesso la famiglia e la trasmissione di una cultura da parte della società tutta a non funzionare più.

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  6. Non so se 22 anni di ruolo, per fortuna già trascorsi, sono sufficienti per essere definito un 'addetto ai lavori'. Condivido in toto l'articolo del prof. Trabucco. Non mi è facile esprimere in poche righe la cultura addomesticata, e quindi subcultura, la costante attenzione verso gli irrecuperabili, perché poi tutti devono essere allo stesso livello e quindi infimo, il pressappochismo dei programmi ministeriali sempre più orientati all'indottrinamento, la totale cancellazione della gerarchia e quindi del rispetto, visto che un alunno o un genitore comandano più di un insegnante, ormai sotto continuo ricatto, l'assoluto predominio della burocrazia partecipativa che sopprime la 'libertà di insegnamento' che dovrebbe essere 'garantita', la totale delegittimazione del principio di autorità, sono solo pochi pensieri a braccio.
    Claudio Gazzoli
    P. S. in caso di replica gradirei nome e cognome.

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    1. @ anonimo 22,50
      Guardi, nome e cognome non lo metto per il semplice motivo che non vale neanche la pena replicare a chi critica l’attenzione verso gli irrecuperabili. Soprattutto perché ritenere che vi siano irrecuperabili non è, per quanto mi riguarda, nè un atteggiamento da insegnante e tantomeno cristiano.

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    2. dimenticavo la finalità di tutto ciò, la completa OMOLOGAZIONE verso il modello unico della rivoluzione, conseguita anche per mezzo dei contenuti. Basti guardare alle pillole di trattazione della Storia Romana, che per fortuna (proprio come ora…) sono arrivati i vandali, gli ostrogoti, gli unni e i longobardi e San Benedetto è solo un’acqua minerale o alla narrazione del cosiddetto risorgimento con i suoi eroi di cappa e spada, tutto per cancellare la nostra civiltà romano-cristiana. La omologazione dei pensieri e dei comportamenti che sopprime ogni anelito individuale, l’assenza di strumenti che possano aiutare a percepire anche una brezza leggera di verità. E non voglio neanche accennare allo scandalo inaudito che stanno dando ai bambini della scuola primaria con assurde proposte educative che fanno allibire persino il diavolo.

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  7. L'impostazione del pur pregevole articolo del prof. Trabucco sembra troppo dogmatica. Dopotutto questo nuovo triste fenomeno del rigetto della prova orale vede coinvolto solo uno sparuto gruppetto di studenti.

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  8. L' insegnamento nei tempi passati era considerato una missione. Giusto. Missione era considerato il sacerdozio, missionario era considerato il medico, missionario era considerato il giudice. In sintesi spirito, corpo, educazione e legge dovevano essere posti in mani sicure, richiedevano quindi lunghi anni di studio, intorno ai dieci, dopo il compimento degli studi superiori ed in seguito tutta la vita di queste persone avrebbe dovuto essere una vita di studio e di affinamento spirituale, non solo per un proprio equilibrio, ma per un continuo miglioramento sia di se stessi e sia del prossimo che da loro dipendeva e dipende. Spesso i sacerdoti furono insegnanti e/o medici e certamente sempre versati nel Diritto. Quando ancora la famiglia era famiglia la donna, madre o moglie o sorella, affiancava, durante tutta la sua vita, la vita dell'uomo che dedicava la sua ad una delle missioni di cui sopra. Col tempo la missione si è trasformata in professione eppoi in mestiere infine in lavoro tanto all'ora. Per carità nulla di male se la società ha puntato sul soldo e sul soldato, ma nulla di male se non si perde memoria e cognizione e pratica delle missioni verso il prossimo. Sulla famiglia non si può più contare, quindi i nostri missionari, sacerdoti e non, devono cercarsi aiuti a pagamento. E qui bisogna incominciare a fare un po' di conti. Uno che passa la vita seduto alla seggiola con la testa su fogli e cartelle e libri e carte bollate o da valutare o da compilare di quanti soldi avrà mai bisogno all'ora? Avrà una casa di proprietà? Potrà permettersi ogni due o tre anni un viaggio per le sue ricerche? E se si sposa? O si divide? Se nasceranno anche dei figli? Li infiliamo al nido 900 euro al mese? Li manteniamo con i bonus a lotteria alternata?

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  9. Polemiche con nome e cognome? È tradizione del blog lasciar mantenere l'anonimato o l'uso dello pseudonimo, purché ci si mantenga sempre entro limiti corretti e rispettosi, o comunque accettabili secondo il giudizio comune, anche nella critica più severa.
    Che poi il tono di certi interventi sia becero, in generale, questo è un prezzo da pagare al fatto di essere su di un blog, non su una pubblicazione accademica.

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