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domenica 20 luglio 2025

Marcello Veneziani/ E l’Italia perduta fu ritrovata a Fiume

L'articolo risale al 2019, ma quanto è più in tema oggi che la nostra identità e la nostra storia sono sempre più misconosciute anche da chi speravamo le difendesse. Basti pensare ad Amatrice (e dintorni), dopo anni, ben lontana dalla rinascita e a 10 miliardi, ennesimo stanziamento per l'Ucraina. Ma purtroppo questa è solo la punta dell'iceberg di un eurocentrismo tecnocratico anticristiano e dunque antiumano.

E l’Italia perduta fu ritrovata a Fiume

Chiamateli pazzi, ridicoli, anacronistici. Chiamateli neofascisti, come hanno già fatto le tv e i croati, per prendere le distanze e sentirsi a posto con la coscienza. Ma quei tre ragazzi fermati a Fiume, perché hanno innalzato la bandiera italiana sul Palazzo del Governatore, nel centenario dell’impresa dannunziana di Fiume, a me fanno simpatia, forse invidia. Anzi ammirazione. Ho incerte notizie sull’accaduto, non so nulla di loro, ma ne avessimo di ragazzi pronti a rischiare per una causa persa, e nobile; non per i soldi, non per i selfie, ma per quel pazzo amore che è l’amor patrio, per memoria storica e gloria letteraria. Ne avessimo di ragazzi fuori formato, anzi extra format.

Si, per carità, so che queste imprese sono puramente dimostrative, del tutto inutili, non producono frutti e creano qualche fastidio alle diplomazie. Ma le imprese più inutili sono le più nobili, le imprese assurde sono quelle che lasciano il segno e restano impresse nel tempo. Ricordate le imprese di D’Annunzio, i volantini su Vienna, le imprese marine e sottomarine, e poi il pitale lanciato dai dannunziani su Montecitorio. Per carità “repetita non iuvant”, ma è bello vedere dei ragazzi nati nel duemila che considerano la storia una cosa viva, aperta come una ferita, controversa, da scrivere e non solo già scritta, digerita, evacuata e sparita.

Colpisce, anzi sorprende, che nel tempo dell’oblio, della smemoratezza storica e del passato così remoto da essere ormai rimosso, ci sia qualche ragazzo che si ricordi di D’Annunzio, di quegli eroi, di quell’avventura d’italianità e magari di quella Costituzione del Carnaro che fu davvero e non per modo di dire, la più bella del mondo. Perché la scrisse un poeta insieme a un grande sindacalista, perché era scritta sulla propria pelle, con i propri versi, con una grande tensione ideale e civile, perché voleva conciliare l’amor patrio con la giustizia sociale, Un amore per l’italianità a volte pomposo, magari retorico, ma sempre scontato sulla propria pelle.

Si, per carità, so bene che rivendicare l’italianità di Fiume oggi è insensato. So benissimo che l’Italia è momentaneamente assente, lasciate un messaggio e vi richiamerà se sarà un domani possibile. Nel tempo dell’Italia spappolata e distesa a tappetino, che bacia la pantofola agli eurocrati, si allinea al politically correct, si intruppa nell’euroconfomismo, l’Italia che si para le chiappe e s’inchioda alle poltrone, ci sono ragazzi che vogliono andare contro la corrente, vogliono testimoniare una grottesca passione per quel mezzo cadavere glorioso che è il nostro Paese. Ragazzi non so chi siate ma, per dirla col linguaggio storico, preistorico o eterno, avete reso onore all’Italia.

Un abisso, voi dite, tra il nostro oggi coi suoi problemi e quei cent’anni fa, venuti da guerre e gesta, gesti ormai irripetibili; vero, ma un abisso più grande separa i moventi della politica del nostro tempo e le motivazioni ideali, un po’ insane, convengo, che spingono due ragazzi a riaprire una pagina di storia in piena pagliacciocrazia trasformista. D’Annunzio criticava il “Cagoia” che era al governo, come aveva con ignominia ribattezzato Nitti; non aveva visto questi…

Ma che vai a impicciarti di Fiume-Rijeka, come la chiamano i croati, ora che si accinge a diventare per il 2020 capitale europea della cultura, che vai a creare incidenti diplomatici, sussurra la gente anche al sindaco di Trieste Roberto Di Piazza, e al governatore della Regione Abruzzi, Marco Marsilio, che ricordano il Poeta-Soldato e lo scultore Alessandro Verdi che ha scolpito la statua dedicata a D’Annunzio, bollata come scandalosa dai croati e dai loro “collaborazionisti” nostrani. Assurdo, anche se poi, se è diventata capitale europea Fiume lo deve alla civiltà italiana, europea, veneziana e anche all’eroica impresa di D’Annunzio e dei suoi duemilaseicento legionari. Un’impresa che in quel tempo piacque a tanti, e non solo ai nazionalisti e ai fascisti, anzi generò qualche imbarazzo in Mussolini; piacque a Gramsci, colpì Lenin, attirò militari, eroi, frati e poeti da tanti posti del mondo. Arrivò Guglielmo Marconi, arrivò F.T. Marinetti, il mondo si trovò di fronte a una festa politica che fu un ’68 ante litteram ma in versione epica e letteraria: gli occupanti non venivano dal benessere ma dalle trincee, avevano visto la morte in faccia e non la tv dei ragazzi. Avevano scritto opere destinate a restare, non manuali per la guerriglia o commenti ai pensierini di Mao…

Fiume vuol dire poi foibe, gli italiani uccisi, deportati e cacciati da casa loro, Fiume vuol dire battaglie di piazza e di trincea per rivendicarne l’italianità.

Nessuno pensa che si possa affrontare il futuro tornando al passato, nessuno ha nostalgia delle guerre e delle violenze. E nemmeno dei nazionalismi; qui si parla di civiltà italiana, si parla di lingua, di Dante, di D’Annunzio, di opere d’arte, di città con l’impronta italiana, cattolica ed europea, ci sono linguaggi retaggi e paesaggi evocatori.

Si tratta di capire che non possiamo vivere di solo presente, non possiamo accontentarci di Conte e del circo quotidiano in tv; vogliamo collegarci al passato, ricordare la storia, fare paragoni, leggere criticamente gli eventi, dirci orgogliosi dei nostri geni letterari e dei nostri eroi. Perché solo rispettando il passato sarà possibile avere il futuro. Il Fiume della storia scorre implacabile, non si ferma mai; ma come l’acqua che scorre è pure la tradizione di un popolo che sgorga e fluisce di generazione in generazione, si modifica nelle forme e nei linguaggi del tempo ma si trasmette. A ricordarci chi siamo, chi fummo, e, si spera, chi saremo.
Marcello Veneziani, La Verità 13 settembre 2019

3 commenti:

  1. ... o Semprerinascente, o fiore di tutte le stirpi,
    aroma di tutta la terra

    Italia, Italia,
    sacra alla nuova Aurora
    con l’aratro e la prora!

    (Gabriele D'Annunzio, Elettra, Canto augurale per la nazione eletta, 1904)

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  2. Ce bel article de Marcello Veneziani m'a remis en mémoire le poignant exemple de Roberto Sarfatti, fils aîné de Margherita, médaille d'or de l'héroïsme militaire, mort au champ d'honneur à 17 ans — il avait menti sur son âge pour pouvoir s'engager…

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  3. Oggi nessuno si ricorda di come nacque la questione di Fiume.
    Fiume era abitata da croati, ungheresi, ebrei e italiani. Gli italiani erano la maggioranza della popolazione. Negli ultimi giorni di guerra, mentre l'impero austro-ungarico si stava dissolvendo in seguito al crollo dell'esercito sul fronte italiano e all'avanzata delle truppe dell'Intesa dai Balcani, in seguito al crollo della Bulgaria, un referendum organizzato dagli italiani di Fiume chiedeva l'annessione di Fiume al Regno d'Italia. Stava nascendo un Regno dei serbi, croati e sloveni e gli italiani di Fiume non volevano esser governati dagli slavi. Dopo la perdita del Veneto nel 1866, l'imperatore Francesco Giuseppe promosse una politica tendente a ridurre la presenza italiana nelle zone slave dell'impero e nella vallata dell'Adige, qui a favore dell'elemento tedesco, nel quale si affermarono in seguito tendenze pangermaniste che consideravano Trento città tedesca e volevano il confine con l'Italia addirittura nella pianura padana. La burocrazia austriaca rispettava sempre la forma. In Dalmazia i cancellieri croati dei tribunali scrivevano spesso i cognomi italiani aggiungendovi una -c in modo da farli apparire croati. Per dire, un Pasini diventava Pasinic. L'autorità austriaca imponeva di ripristinare il nome italiano corretto. Ma questa correttezza non impediva la politica antiitaliana di cui sopra, appoggiata anche dal clero indigeno locale.
    Ma perché la presa di posizione della maggioranza italiana di Fiume diventò un casus belli tra l'italia e i suoi Alleati? Nei compensi previsti a nostro favore nel Patto di Londra, quando decidemmo di entrare in guerra con l'Intesa, non si parlava di Fiume. Quindi non ci spettava. Però la volontà della maggioranza italiana di Fiume non contava nulla? I rappresentanti italiani alla Conferenza della Pace a Versailles sostenevano che doveva esser presa in considerazione.
    Violentissime furono le liti fra i nostri politici a Parigi e i capi alleati. Durissimo contro di noi fu il presidente americano Wilson, che non era alleato all'Intesa ma "associato", per far capire che gli USA non combattevano per conquiste territoriali ma solo per la libertà e la democrazia da far godere agli altri popoli.
    A noi venivano riconosciuti tutto l'arco alpino, dal Brennero in poi (il Brennero confine naturale e strategico irrinunciabile per noi italiani, chiave di accesso alla vallata dell'Adige), Trieste, l'Istria. Volevamo adesso anche Fiume? Ed insistevamo anche nel pretendere una parte della Dalmazia, come stabilito a Londra? Si cercava anche di denigrare il nostro contributo alla vittoria alleata, che fu in realtà determinante, non meno di quello degli altri (due settimane dopo Caporetto avevamo fermato da soli gli austro-tedeschi sul Piave e sul Grappa, in due settimane di feroci combattimenti, il nostro fronte aveva tenuto, le 11 divisioni alleate mandate di rinforzo rimasero in riserva, preziosa riserva).
    Fu così che la stampa italiana, nel furore della polemica, cominciò a parlare di "vittoria mutilata", non furono i neonati fascisti ad inventare questo slogan.
    In questo clima si ebbe il colpo di mano di D'Annunzio, costretto alla fine a sloggiare dall'intervento del Regio Esercito, nel 1921 (cito a memoria). Fiume divenne una sorta di territorio libero ma successivamente passò all'Italia in cambio di concessioni territoriali in Dalmazia, a vantaggio dello Stato jugoslavo. In Dalmazia conservammo Zara, città anche questa a maggioranza italiana.
    La Regia Marina voleva una o due basi sulla costa dalmata e in Albania, stante la natura esposta della nostra costa adriatica, piatta ed indifendibile per centinaia di km.
    Historicus

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