Nella nostra traduzione da Catholic Thing una corroborante riflessione sulla preghiera.
Dialogo con Dio
Padre Thomas Kuffel
La preghiera, quella sfuggente conversazione con Dio, confonde molti di noi, come dice san Paolo: «Noi non sappiamo nemmeno che cosa sia conveniente domandare» (Rm 8,26). È lo Spirito che prega in noi «con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26), scrutando i nostri cuori e rivelandoci i segreti più intimi, le paure, i sogni, i desideri. Questa rivelazione interiore inquieta la nostra coscienza, perché ci mette davanti alla realtà della nostra colpa.
Ma nello stesso tempo ci svela anche la profondità dell’amore del Padre, Che ci raggiunge attraverso Gesù e lo Spirito — e proprio questa immensità ci intimorisce, perché ci fa sperimentare la potenza e la presenza della Sua purezza, che purifica i nostri cuori indeboliti. L’Amore divino è totalmente inconcepibile: come spiega san Paolo, «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d’uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano» (1 Co 2,9).
Ciò ci intimorisce. Non riusciamo a comprendere la larghezza, l’altezza e la profondità dell’Amore divino che vuole entrare nella nostra vita. Eppure, questa è la preghiera: non tanto un nostro parlare con Dio, quanto Dio che parla direttamente a noi, come fece con Mosè, faccia a faccia.
Una tale intimità sconvolge il nostro equilibrio. Sentendoci indegni a causa del peccato, ci nascondiamo dall’Amore divino come Adamo ed Eva, vergognandoci perché il peccato ci disumanizza. Invece di esporci, ci ritraiamo; invece di convertirci, fuggiamo. Ci immobilizziamo, nudi davanti a Dio e incapaci di fidarci di Lui, perché in fondo non ci fidiamo di noi stessi.
La preghiera espone il nostro io più profondo, non solo alla coscienza, ma al Padre, e questo ci rende dolorosamente consapevoli di noi stessi. Tuttavia, il Padre ci parla cuore a cuore non per intimidirci, ma per confermarci. La conferma — l’affermazione del nostro essere amati — è lo scopo della preghiera: farci percepire quanto siamo preziosi agli occhi del Padre.
Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, Giovanni Paolo II riflette sul nostro incontro con la trascendenza divina:
La preghiera può progredire, come autentico dialogo d’amore, fino al punto di rendere la persona completamente posseduta dal Diletto divino, vibrante al tocco dello Spirito, riposando filialmente nel cuore del Padre. (n. 32)
Attraverso la preghiera, il Padre ci parla rivelandoci come Suoi figli. Ci dona la Sua identità, e noi diventiamo una cosa sola con Lui, partecipando della Sua vita. Nella preghiera Egli ci manifesta il Figlio, venuto per cercarci, nutrirci e salvarci dai nostri dubbi interiori. Non siamo più smarriti e abbandonati, ma ritrovati e irradianti d’Amore divino.
Durante la preghiera, il Padre ci rivela il Suo amore che conferma, insegnandoci non solo che cosa significhi essere figli, ma soprattutto come esserlo. Egli, per mezzo del Figlio e dello Spirito, si infonde nel nostro essere più profondo. Questa grazia — il dono di Sé che trasforma la nostra vita — ci converte: ci libera dal vivere soltanto per i beni creati e ci spinge a cercare la sorgente di ogni tesoro terreno, il Padre stesso. Colmati di grazia, noi, come Maria, irradieremo il Cristo glorificato.
Lo Spirito Santo apre per noi i Suoi tesori, svelando la nostra bellezza e bontà se ci rendiamo disponibili alla Sua grazia. Aprirsi allo Spirito significa accogliere «la potenza, la ricchezza, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la benedizione» (Ap 5,12) di Cristo che abita in noi, se Lo seguiamo.
San Paolo insegna: «Che Egli vi conceda, secondo la ricchezza della Sua gloria, di essere potentemente rafforzati mediante lo Spirito Suo nell’uomo interiore, e che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori» (Ef 3,16-17).
La Sapienza scopre la ricchezza della Sua gloria. Essa, come una lampada che illumina l’intelletto, tocca l’anima rendendoci ricchi di grazia — cioè della vita e dell’amore di Dio. Questa ricchezza ci fa comprendere i pensieri divini e accogliere i doni dello Spirito, così da poter interpretare rettamente le verità divine, perché noi «possediamo lo Spirito» (1 Co 2,13).
Possedere lo Spirito attraverso la preghiera «ci rende un dono eterno» (Preghiera eucaristica III) restituito al Padre [sempre e solo nel Figlio: è Lui il vero dono, nel quale possiamo offrire il nostro -ndT].
Attraverso la preghiera, lo Spirito Santo insuffla la vita divina nei nostri cuori. Il cuore, abisso assetato di vita divina, partecipa dell’amore redentore di Dio quando si mostra docile allo Spirito. La docilità — la capacità di accogliere i doni e le verità divine — dà forza alle nostre debolezze, luce ai nostri dilemmi, coraggio nelle prove, pace nei conflitti e, soprattutto, sicurezza nei momenti di dubbio.
Come ha affermato Giovanni Paolo II: «Lo Spirito Santo non solo ci rende capaci di pregare, ma ci guida “dal di dentro” nella preghiera» (Dominum et vivificantem, 65). La Sua presenza conferisce alla preghiera una dimensione divina, poiché «Colui che scruta i cuori conosce quale sia il desiderio dello Spirito, perché Egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio» (Rm 8,27).
La preghiera, suscitata dallo Spirito Santo, invoca l’amore del Padre. Ogni preghiera è dunque un’invocazione che permette allo Spirito di agire nella nostra vita, donandoci forza per sopportare, intelligenza per risolvere, o intuizione del disegno divino di salvezza.
Invocare Dio richiede fiducia. Senza fiducia, avverte San Giacomo, le nostre preghiere restano inascoltate — non perché non preghiamo, ma perché preghiamo nel modo sbagliato (Gc 4,3). Le nostre intenzioni sono distorte: invece di ordinare la nostra vita secondo la volontà di Dio, pretendiamo che Dio ordini la Sua secondo la nostra. Così deformiamo la preghiera, che da ricerca, bussare e chiedere per ricevere ciò che lo Spirito vuole donarci, diventa una pretesa.
Dobbiamo quindi servirci costantemente delle ispirazioni dello Spirito, seguendo il consiglio di san Paolo: «Pregate incessantemente nello Spirito, con ogni sorta di preghiera e supplica; vegliate a questo scopo con ogni perseveranza, intercedendo per tutti i santi» (Ef 6,18).
La vera preghiera, dunque, cerca continuamente la giustificazione — il desiderio di essere giusti agli occhi di Dio, non presuntuosamente giusti da soli. Essa guida la nostra santificazione, trasformando la peccaminosità in santità. Lo Spirito ci prepara così alla glorificazione. Nella gloria esulteremo, perché noi, nella Chiesa, sposa di Cristo, colmati di grazia, compiremo «le opere giuste dei santi» (Ap 19,8).
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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