Il problema di fondo, da non ignorare, sta nel prevalere del sentimento sulla ragione di conio vaticansecondista. Quella che sapientemente Romano Amerio chiama: La dislocazione della divina Monotriade; quando l'azione, l'amore e la volontà prendono il sopravvento sull'idea, sul pensiero, sulla verità, sulla conoscenza [vedi]. In fondo lo riconosciamo nell'agire e nel 'sentire' che precedono il conoscere, da cui invece dovrebbero scaturire, nel prevalere della prassi con esclusione della ragione: prassi a-teoretica, senza alcun approfondimento e spiegazione, divenuta ormai lo stile apodittico in senso autoritarista dei pastori a partire dal Trono più alto, che non appare più un Trono... ma paradossalmente lo diventa quando si tratta di introdurre cambiamenti rivoluzionari che stiamo subendo come fatti compiuti e che vanno oltre il nostro sensus fidei cattolico.
A seguire, trovate un approfondimento dell'analisi sulle ulteriori nefaste carenze del discorso del Cardinale Zuppi, le cui motivazioni derivano da quanto precede. (M.G.)
Il kairόs nella crisi della cristianità:
tempo opportuno o racconto consolatorio?
Nel discorso inaugurale dell’Assemblea CEI, il cardinale Matteo Zuppi ha proposto una lettura suggestiva della fine della cristianità parlando di kairόs, tempo favorevole, occasione propizia. È un passaggio che merita attenzione, perché introduce un tema biblico decisivo e apre interrogativi profondi sul modo in cui la Chiesa interpreta il proprio presente.
Nella Scrittura il kairόs non è un momento qualunque. Non indica un periodo storico più interessante di un altro. È il tempo qualitativo in cui Dio agisce nella storia e chiede all’uomo una risposta. È il tempo dell’urgenza, della metanoia, del discernimento severo. Non è ottimismo. È chiamata. Non è clima. È giudizio salvifico. Quando Gesù proclama «Il tempo è compiuto» indica il kairόs come irruzione del Regno che obbliga a prendere posizione.
Nel linguaggio ecclesiale recente il kairόs è spesso diventato sinonimo di “opportunità offerta dal mondo contemporaneo”. L’attenuazione del riferimento biblico ha trasformato un concetto teologico forte in una categoria motivazionale. Il kairόs non viene presentato come “tempo che chiede verità”, ma come “tempo che invita all’accompagnamento”. Viene percepito come stagione favorevole per un cristianesimo più mite, più accogliente, più immerso nei processi sociali.
Il passaggio del discorso di Assisi si colloca proprio qui: la fine della cristianità viene descritta come una possibilità per ritrovare l’essenzialità evangelica. È un’intuizione legittima. Solo che rischia di apparire incompleta. Se la fine della cristianità è un kairόs, allora è anche un tempo che chiede alla Chiesa di annunciare con maggior limpidezza la verità, non un tempo che la spinge a limitarsi a curare le ferite del mondo.
Il kairόs biblico chiede una scelta. Esige un atto. Rende evidente ciò che è conforme al Vangelo e ciò che non lo è. Non offre un rifugio sentimentale. Chiede di vedere la realtà con lucidità spirituale. In un tempo di crisi culturale ed ecclesiale, interpretare la fine della cristianità come kairόs richiede un supplemento di verità: non basta dire che è un’occasione. Bisogna dire cosa chiede, cosa illumina, cosa corregge.
Una Chiesa che vede in questo tempo un kairόs senza riconoscere la necessità del giudizio rischia di trasformare un concetto teologico in un gesto di incoraggiamento. Il kairόs non consola. Convoca.
Se il kairόs è solo un’occasione per essere più presenti nella società, si riduce a una categoria sociologica. Se è un tempo che Dio apre, allora diventa una chiamata a ritornare alla forza apostolica della verità. La Chiesa italiana attraversa un momento in cui la prossimità sembra occupare tutto lo spazio pastorale. In questo contesto il kairόs dovrebbe essere letto come invito a ricentrare la fede, non a distribuirla in forme sempre più attenuate.
Dire che questo è un kairόs significa riconoscere che Dio sta chiedendo un passo ulteriore: non abitare semplicemente la storia, ma mostrare la forma cristiana della storia. Non limitarsi a confortare, ma annunciare. Non accompagnare in silenzio, ma indicare la via. Il kairόs non nasce per addolcire la crisi. Nasce per convertirla.
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L’omissione programmatica:Cosa Zuppi non ha detto ai vescovi sulla crisi della fede
Un’analisi critica del discorso di Zuppi: quando l’approccio sociologico rivela un preciso modello di Chiesa e mette in ombra la responsabilità dottrinale dei pastori.
Cari amici, rileggendo attentamente il discorso che il Cardinale Zuppi ha rivolto ai vescovi italiani, emerge una lettura accurata delle fragilità sociali del Paese. Il Presidente CEI descrive la lontananza, la solitudine e la ricerca spirituale soffocata dal clima culturale. Dentro queste analisi generose si nota però una serie di omissioni decisive che, considerate insieme, delineano una precisa visione programmatica per il futuro della Chiesa in Italia.
La prima omissione riguarda la crisi della fede. Non si tratta solo di distrazione o indifferenza. Molti fedeli, molti sacerdoti e molti vescovi riconoscono che le radici della crisi sono dottrinali. L’analisi proposta dal Presidente si concentra sulle conseguenze (la lontananza) senza toccare la causa reale: la perdita di chiarezza nell’insegnamento della verità cattolica. L’assenza di riferimenti alla confusione teologica favorisce un disorientamento crescente. Non è stato evocato il dissolvimento del senso del peccato né il compito primario di proclamare Cristo come unico Salvatore. La scelta di un approccio prevalentemente sociologico rischia di trasformare la pastorale della vicinanza in un gesto senza fondamento, esposto a un relativismo elegante e consolatorio.
Un’altra omissione riguarda il modo in cui vengono descritti i “lontani”. Non sono solo persone trascinate dall’indifferenza culturale. Esiste una parte non secondaria di battezzati che si allontana perché non riconosce più la Chiesa. Quando la Chiesa non mantiene la distinzione tra sacro e profano, tra grazia e psicologia, tra Tradizione e improvvisazione pastorale, la ferita che si crea non nasce dal mondo, nasce all’interno. La confusione liturgica e disciplinare è una ferita reale, ancora più profonda perché non nominata.
C’è poi il grande processo sinodale, presentato come “stile permanente” e come cammino imparato. La descrizione proposta ignora l’angoscia con cui molti sacerdoti vivono questa stagione. Per molti la sinodalità non è un dono, ma una pressione organizzativa che genera un senso di smarrimento e di delegittimazione. Il discorso non ha ricordato che nessuna sinodalità regge senza un fondamento dottrinale solido. Senza questo fondamento, la sinodalità si trasforma in una deriva assembleare e rischia di indebolire il ruolo episcopale nel suo compito di governo e magistero.
Molto spazio è stato dedicato alle fragilità sociali e alla ricerca soffocata. Ciò che non è stato indicato è che questi fenomeni sono sintomi di un crollo educativo senza precedenti. L’Italia vive un deserto generazionale che si manifesta nella catechesi ridotta a intrattenimento, nello smarrimento delle scuole cattoliche, nella fatica delle famiglie, nella fragilità della formazione sacerdotale. Il discorso non ha toccato la radice del problema: senza insegnamento della Verità non esiste educazione cristiana.
Viene poi valorizzata la dimensione del dialogo, dell’ascolto e dello “stato d’animo amico”. Queste sono realtà preziose. Rimane il fatto che non è stato ricordato ai vescovi il loro compito fondamentale: governare, insegnare e santificare. L’Italia ha bisogno di pastori che proteggano la dottrina, garantiscano una liturgia degna, discernano con fermezza, correggano gli errori, sostengano i fedeli contro le ideologie culturali. Il ruolo del vescovo non coincide con quello di un facilitatore di processi, ma con quello di un padre che guida.
Sul tema dell’evangelizzazione è stata evocata la parola “attrazione”. Manca però la definizione della missione cristiana nella sua sostanza. L’annuncio non consiste nel semplice esserci. Inizia con la conversione e richiede un cambiamento reale di vita. La Chiesa non è una ONG, non è una piattaforma di dialogo, non è una società civile spiritualizzata. La sua vocazione è l’evangelizzazione nella verità. Il discorso è stato un grande invito alla presenza, senza un altrettanto chiaro invito alla conversione.
Tutto questo suscita una domanda legittima. Queste omissioni sono accidentali? Ascoltando alcune interviste di rappresentanti della CEI, sembrano omissioni programmatiche, destinate a sostenere un modello di Chiesa preciso: relazionale più che dottrinale, dialogante più che profetica, pastorale più che magisteriale, sociologica più che teologica, rassicurante più che correttiva.
Continuo a sperare che si tratti di omissioni accidentali. Il motivo è semplice: se non lo fossero, il risultato sarebbe una Chiesa che consola senza convertire. Una Chiesa che offre carezze senza offrire verità. Una Chiesa che parla di ferite senza sanarle. Una Chiesa che si riconosce nelle emozioni del mondo senza condurlo alla luce di Cristo.
Una Chiesa che si limita a “esserci” smarrisce la propria vocazione più profonda: essere la Chiesa che conduce tutti, tutti, tutti a Gesù Cristo. Una Chiesa che non annuncia la verità non salva. Semplicemente accompagna. E un accompagnamento senza verità non sottrae l’uomo al caos. Lo lascia in balia del proprio smarrimento.
don Mario Proietti

https://www.facebook.com/share/p/1AFdUDYFGq/. : grandissimo mons. Vescovo Strickland ! un coraggioso combattente per la causa di NSGC, un membro attivo e deciso della Resistenza Cattolica Antimodernista,...mons. Viganò non è più solo nel denunciare il tradimento e l'apostasia della gerarchia ecclesiastica, dalla Prima Sede in giù. Leggendo le sue parole c'è da rimanere ammirati, col fiato sospeso. Grazie monsignore, Dio la conservi e la protegga, assieme a mons. Viganò, a don Lorenzo Maria Pompei ed a tutti gli altri coraggiosi sacerdoti ancora feeli a Cristo ed alla Sua santa Chiesa, quella preconciliare. LJC Catholicus
RispondiEliminaNel celebre musical "Un mandarino per Teo" (quello della canzone soldi, soldi, soldi) il kairos è rappresentato dal premere semplicemente un bottone. Morirà un mandarino sconosciuto (lontano da lui in Cina), ma Teo (del tutto irrintracciabile dalla legge come responsabile) sarà ricco per tutta la vita. Il notaio che propone il kairos è il diavolo.
RispondiEliminaMons. Zuppi e tutti quelli come lui il bottone lo hanno premuto, convinti che tutto sommato non debbano renderne conto a nessuno. Con tutti quei soldi possono fare tanto bene nel mondo, aiutando tanta gente alla quale, come a loro, del mandarino cinese importa poco o nulla.
Nel musical però la coscienza di Teo pesa come un macigno.
Qui invece dopo l'esecuzione ci si scusa innocenti. Che male c'è?
Stiamo facendo tanto bene. Ormai il legame è reciso. Non lo sa nessuno!
Abbiamo l'opportunità di trafficare i nostri talenti.
Abbiamo aperto un resort lussuoso per poveri: tepore per tutti.
Una mensa da campo: tiepidezza del brodino.
Indirizzo: via Laodicea, 2025 a Babilonia
Il sale perde anche pubblicamente il suo sapore.
RispondiEliminaIn sintesi, secondo il presidente della Cei, per duemila anni la Chiesa, quindi Gesù Cristo, ha sbagliato tutto e ha nascosto il vero Vangelo.
Il quale rinasce grazie al "kairos" della scristianizzazione della società, con la Chiesa che finalmente impara dal mondo e lo segue, adattando ad esso Gesù Cristo e il suo Vangelo.
Da cui le reinterpretazioni, i "ripensamenti" della fede, le riforme, gli abusi liturgici, e i nuovi fedeli scristianizzati, che "ritornano alla vera fede" adattata alla moda del tempo, politicamente corretta, senza peccato (se non quelli contro madre terra e immigrazione clandestina), senza inferno e senza fatica di conversione, che incoraggiati dalla gerarchia, invitano in modo caritatevole i fedeli rimasti cattolici ad uscire dalla Chiesa che segue il kairos del mondo scristianizzato.
Non fa una grinza!
Dunque disse bene San Pio da Pietralcina:
"Ricordati… quando verranno quei tempi: i Comandamenti di Dio, preghiere del mattino e della sera, Santo Rosario, Sacramenti, catechismo, i santi e fate tutto nella fede dei nostri padri, nella fede dei nostri padri!… nella fede dei nostri padri!!… E NON ASCOLTATE PIÙ NESSUNO".
Soprattutto non ascoltiamo le guide cieche e chiunque, anche il Papà, osi narrare un Vangelo diverso da quello che la Chiesa ha sempre insegnato.
Monsignor Zuppi evoca lo spirito di Marco (Pannella) e della consorella Emma (Bonino).
RispondiEliminaQuindi è esperto del suicidio assistito dell'Italia abortista (e vaccinista).
In questi ultimi tre lustri la CEI ha taciuto sul tema in tutti i modi in cui poteva tacere.
Nel 2012 in Italia nascevano 562000 bambini
Nel 2016 erano scesi a 473000
Nel 2020 erano 405000
Nel 2024 370000.
Nel frattempo i morti sono saliti da 580000 a circa 700000 l'anno.
A chi gestisce centri per immigrati può far comodo far tornare i conti con l'accoglienza. Ma un saldo demografico negativo di 300000 italiani l'anno non merita alcun sussulto? Ah già dimenticavo: "non bisogna far figli come conigli"...
Il discorso del card. Zuppi sul significato del "kairòs" è solo aria fritta cucinata in salsa pseudo-erudita.
RispondiEliminaDi quelli come lui ha già profetizzato san Paolo, in una delle sue ultime lettere :
"Perché verrà un tempo in cui gli uomini non sopporteranno più la sana dottrina, ma solleticati
in ascoltar cose piacevoli, si circonderanno di una folla di dottori secondo i loro capricci e, distogliendo l'orecchio dalla verità, si volgeranno a favole. " ( 2 Tim, 4, 3-4).
La fine della cristianità è un problema psichico di Zuppi. Vallo a dire ai cristiani in Africa che si fanno due ore di viaggio per la S.Messa domenicale (durata almeno 3 ore), vallo a dire ai cristiani in Libano, vallo a dire ai cristiani arrestati in Inghilterra, solo per fare alcuni esempi, che la cristianità è finita.
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