Leggo notizia dell'intervento, nell'intervista rilasciata a Radio Vaticana, tenuto mercoledì scorso a Maynooth, in Irlanda, dal cardinale prefetto della Congregazione per i vescovi, Marc Ouellet, al Simposio teologico sul cinquantesimo anniversario dell'apertura del concilio Vaticano II. [qui un accenno de L'Osservatore Romano di oggi]
L'incontro ha preceduto il Congresso eucaristico internazionale, che si apre domenica 10 giugno a Dublino e che verrà chiuso, domenica 17, dallo stesso porporato, che vi partecipa come legato pontificio. Del Congresso Eucaristico certamente riparleremo; ma oggi mi soffermo su questa prima occasione di riflessione e approfondimento.
Ebbene, rimango sconcertata e non faccio altro che proporvi questa mia riflessione che in parte già esprime molte delle perplessità che quel linguaggio enfatico, nuovo e innovatore, ma con "radici aeree", suscita in un'anima credente formata alla Fede cattolica. Ne riprendo l'incipit e poi riporto la mia riflessione proprio su questa tematica.
Per raggiungere questi obiettivi [rinnovare il rapporto della Chiesa con il mondo moderno e rilanciare così la sua missione universale], i Padri conciliari avviarono una riflessione di fondo sull'ecclesiologia nella speranza di definire meglio la natura profonda della Chiesa, la sua struttura essenziale, il senso della sua missione in un mondo in via d'emancipazione rispetto alla sua influenza e alla sua tradizione.L'ecclesiologia di comunione è il frutto di questa riflessione, che è maturata nel corso della progressiva ricezione dei testi conciliari, con notevoli divergenze a seconda che l'interpretazione teologica o pastorale privilegiasse la riforma nella continuità oppure la rottura con la Tradizione. È così che dopo aver favorito la “spiegazione” e la “ricezione” del Concilio, è apparso necessario orientare la sua interpretazione, cosa che ha fatto il Sinodo del 1985, dichiarando che « l'ecclesiologia di comunione è l'idea centrale e fondamentale dei documenti del Concilio ».
La delusione aumenta leggendo, sempre oggi, che Sandro Magister - in un davvero inopportuno pronostico che naturalmente auspichiamo prematuro - definisce il porporato papabile. È, tra l'altro, ben nota la sua propensione nei confronti dei movimenti. Del resto anche il suo intervento in Irlanda esprime una grande enfasi sui cosiddetti carìsmi, come se anch'essi fossero una scoperta del concilio, ignorando che la Chiesa non è solo Istituzione, ma è tutta carismatica, se il carìsma è un dono dello Spirito Santo. È nota altresì la sua propensione particolare per un movimento che non è un movimento. Con queste premesse, non sembrerebbe rimanere molto spazio ad una autentica restaurazione. Tutto continuerebbe come prima più di prima...
Le insidie della Collegialità. Le due ecclesiologie
Il 21 novembre 1964, per la chiusura del terzo periodo del Concilio ecumenico, Paolo VI afferma: « La realtà della Chiesa non si esaurisce nella sua struttura gerarchica, nella sua liturgia, nei suoi sacramenti, nei suoi ordinamenti giuridici » ...il che segna sostanzialmente il passaggio da una Chiesa, vista come gerarchica, come società perfetta, a una Chiesa vista come comunione di fratelli. Da una Chiesa sempre tesa a difendere i suoi spazi e i suoi diritti, a una Chiesa che vuole essere solo lievito nella pasta. Lievito all’interno delle sue strutture, lievito all’interno delle altre religioni. Da una Chiesa vista come chiusa in se stessa preoccupata della sua conservazione – ma così era realmente? – a una Chiesa come comunità aperta al mondo, popolo di Dio in cammino. Un principio che gli sembrò doversi esplicare in quanto fin allora implicito nell’ecclesiologia cattolica fu quello della collegialità, divenuto uno dei maggiori criteri di riforma della Chiesa.
Il problema nasce dalla contraddizione tra la democratizzazione che scaturisce da questa nuova visione di Chiesa e la sua costituzione divina. Viene inadeguatamente applicato alla Chiesa il principio che regola le comunità civili, ignorando la differenza tra esse e Chiesa di Cristo: le comunità civili prima si pongono in essere e poi si danno e formano il proprio governo. In ciò esercitano la loro libertà, mentre in esse stesse si fonda originariamente e fontalmente ogni giurisdizione comunicata alle autorità sociali. Al contrario, la Chiesa non si è data da se stessa né ha formato da sé stessa il suo governo, ma è stata fondata in toto da Cristo il cui disegno preesiste all’esistenza stessa dei fedeli. La Chiesa è dunque una società sui generis in cui il capo è anteriore alle membra e l’autorità viene prima della comunità.[1]
Quindi una dottrina che ponga la sua base nel popolo di Dio democraticamente concepito e nel sentimento e nell’opinione del popolo di Dio, è antitetica a quella della Chiesa dove l’autorità non è chiamata ma chiama, e dove tutti i membri sono servi del Cristo, obbligati al precetto divino.
Sui poteri del Pontefice e sul suo rapportarsi alla collegialità dunque molto influisce l’ambiguità della Lumen Gentium alla quale Paolo VI, messo sull'avviso dai Padri del Coetus Internationalis Patrum, cercò di rimediare con la Nota Praevia stesa sotto la supervisione del Cardinal Ottaviani. E tuttavia tale nota, con molta coerenza progressista posta in calce alla Costituzione, viene sistematicamente "saltata" essendo, appunto, "praevia"...
La Chiesa è per sua natura gerarchica. E il potere del Papa (CIC, can.331), in virtù della sua funzione di Vicario di Cristo, ha nella Chiesa un potere ordinario supremo, pieno, immediato e universale, che può sempre esercitare liberamente. Il potere gli deriva dalla sua funzione e non da una sorta di presidenza del collegio episcopale. Del resto, il can. 1404 recita: Prima Sedes a nemine iudicatur.
La dottrina del Vaticano I e del Vaticano II nella Nota praevia definisce il Papa principio e fondamento dell’unità della Chiesa, giacché è conformandosi a lui che i vescovi si conformano tra di loro. Non è possibile poggino la loro autorità su un principio immediato che sarebbe comune alla loro potestà e a quella papale. Ora con l’istituzione delle Conferenze episcopali e con gli organismi Sinodali la Chiesa è un corpo policentrico a vari livelli nazionali o provincie locali. Conseguenza immediata è un allentamento del vincolo di unità che si manifesta con ingenti dissensi su punti gravissimi.
La nuova ecclesiologia conciliare sancita da Lumen Gentium si armonizza con la “Pastor æternus” circa la giurisdizione universale del Romano Pontefice, però azzarda un avventuroso allargamento di questa mediante la dottrina della collegialità vescovile come organo di governo accanto e analogo a quello del Sommo Pontefice. Nonostante la “Nota esplicativa previa”, mons. Gherardini osserva che « dottrina della Chiesa è quanto la sua Tradizione, dagli Apostoli sino ad oggi, presenta e propone come tale: la collegialità non ne fa parte ».
Lumen Gentium, al n.19 dichiara: « Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio (cfr. Mc 3,13-19; Mt 10,1-42); ne fece i suoi apostoli (cfr. Lc 6,13) dando loro la forma di collegio…»
Non mancano perplessità se si pensa che il termine “collegio” per designare l'episcopato non ricorre né nella Sacra Scrittura né nella Tradizione della Chiesa antica. Apostoli vuol dire ‘mandati’: il Signore li manda due a due non in "collegio"... C’è anche da osservare che il “collegio” si fonda su una potestà giuridica e morale, mentre si diviene vescovi per via sacramentale, ovvero mediante un quid che è nel contempo fisico e mistico come l'unità della Chiesa.
Dalla discussione sul testo dello Schema del 1963 può notarsi l’uso differenziato dei verbi, dal quale si può si può ricavare una diversa posizione di Pietro e degli altri Apostoli, rispetto all'atto di fondazione della Chiesa. Infatti condere e aedificare furono introdotti per differenziare il verbo fundare, prima riferito indistintamente a Pietro e agli Apostoli. Non mancano affermazioni come questa: « Appare chiara l'intenzione di una differenziazione e di una priorità di Pietro per quello che concerne l'essere fondamento della Chiesa rispetto agli Apostoli, anche se, non comparendo nel testo il verbo “fundare” neppure per indicare la funzione di Pietro, possiamo essere legittimati a credere che questo si sia voluto riservare solo a Cristo, pietra angolare ».[2]
La collegialità, per effetto della creazione di strutture sovra diocesane come le Conferenze Episcopali, rischia di diminuire non solo l'autorità del pontefice ma anche quella dei singoli vescovi nelle loro diocesi. Inoltre non è peregrina l'osservazione che se i vescovi, per diritto divino, costituiscono un vero e permanente collegio in senso stretto, con a capo il romano pontefice, ne deriva come prima e non unica conseguenza che la chiesa in modo abituale dovrebbe essere governata dal Papa con il collegio episcopale. In altre parole, il governo della Chiesa, per diritto divino, non sarebbe monarchico e personale, ma collegiale. Non mancano interventi nei quali si ricorda che alcune difficoltà nascono dal fatto che la parola "collegio" per designare l'episcopato non ricorre né nella sacra scrittura né nella tradizione della Chiesa antica Apostoli vuol dire 'mandati': il Signore li manda due a due non in "collegio"...
Secondo le posizioni più tradizioniste i vescovi non potrebbero costituire un vero e proprio collegio poiché questo si fonda sulla potestà giuridica e morale, mentre si diviene vescovi per via sacramentale, ovvero mediante un quid che è nel contempo fisico e mistico come l'unità della Chiesa.
In effetti si manifesta una duplice inconciliabilità nel principio del rapporto tra primazialità e collegialità basti pensare alla tesi dell’unico soggetto (collegio dei vescovi o romano pontefice) e i dati del magistero che, pur senza posizioni dichiarative parlano di due distinti soggetti (LG 22). All’interno stesso di questa suddivisione, la stessa inconciliabilità si coglie tra le esigenze metafisiche dell’autorità nella vita sociale e la realtà ecclesiale compresa alla luce della rivelazione cristiana.
Lumen Gentium, al n. 22 evidenzia una tensione che, ultimamente, manifesta la difficoltà di « collocare all'interno di una concezione collegiale del ministero episcopale che scaturisce da un'ampia prospettiva storico-salvifica della Chiesa come communio la dottrina del Vaticano I, la quale si distingue per una visione della Chiesa apologetica, giuridica e astorica ed inoltre concentrata sul Papa ».[3]
Ecco da dove si enuclea il pregiudizio e il fraintendimento che hanno portato alle due diverse ecclesiologie: Chiesa Società Perfetta versus Chiesa Comunione.
I novatori hanno voluto mettere in risalto della Chiesa preconciliare la Chiesa congregans (istituzione) e dalla Chiesa congregata (l’insieme delle persone), mettendone in risalto gli elementi istituzionali di Società Perfetta con accentuazione sulla storicità e sulla struttura, senza cogliere le immense ricchezze che il Magistero, i Padri e le esperienze dei Santi ci hanno lasciato e che costituiscono un patrimonio inalienabile dal quale si è voluto fare quasi un punto e accapo. E così si è partiti dalla critica all’istituzionalismo e alle sue istanze di centralizzazione, al giuridismo con l’attenzione alle leggi ed al clericalismo con le differenze ontologiche e sacrali di ministero. Il tutto visto come generante divisione tra fedeli e clero: i fedeli visti come la massa di persone che deve seguire i dogmi e la fede, le leggi e il diritto, in un gradino più basso rispetto al clero.
La Chiesa in tutte le epoche risente di -ismi di vario genere, dai quali la sua, che è anche la nostra, storia terrena non è mai esente. Ma assolutizzare certi aspetti per giustificare la rivoluzione Copernicana operata dal concilio è stata un’operazione prevenuta e ideologica. Di certo era necessario aggiornare ciò che era rinnovabile e meglio organizzabile, non rifondare la Chiesa.
La Chiesa in tutte le epoche risente di -ismi di vario genere, dai quali la sua, che è anche la nostra, storia terrena non è mai esente. Ma assolutizzare certi aspetti per giustificare la rivoluzione Copernicana operata dal concilio è stata un’operazione prevenuta e ideologica. Di certo era necessario aggiornare ciò che era rinnovabile e meglio organizzabile, non rifondare la Chiesa.
Si pretende dunque che la visione Chiesa-comunione sia la scoperta del Vaticano II e vada a sostituirsi a quella di società perfetta ed oggi appare dominante come se più vicina alle assonanze bibliche specificamente neotestamentarie, come se potesse finalmente sintetizzare alla perfezione tutto il rapporto con Dio fino al concilio non esattamente compreso. Ma il rischio più grande è quello di ricondurre tutto ad un'interpretazione puramente psico-sociologica, ai bisogni e alle attese umane. Acquista valore la Chiesa locale, come se l’universalità della Chiesa e tutto il suo mistero prima del concilio non le appartenesse a pieno titolo.
Paolo VI usa l'espressione “comunione strutturata” mentre affronta la questione dell'appartenenza alla Chiesa in ordine alla salvezza. E, a partire dal concilio, sono stati scritti tomi per sviluppare la nuova ecclesiologia e le sue implicazioni in ordine alla collegialità. Ne raccolgo un piccolo florilegio.
- Per W. Kasper si tratta di « una tipica formula di compromesso che sta ad indicare la giustapposizione tra l'ecclesiologia sacramentale della "communio" e l'ecclesiologia giuridica dell'unità ».[4]
- Per capire il senso di « comunione gerarchica occorre superare ogni antinomia tra una “chiesa giuridica” e una “comunità d'amore” e occorre tener presente che la Chiesa è nello stesso tempo realtà animata dallo Spirito Santo e realtà strutturata. In essa dunque lo Spirito Santo è "un principio di ordine, ma non di rigido legalismo, ma della legge viva dell'amore ».[5]
- Sembra ribadire questa idea anche il Sinodo Straordinario del 1985, quando afferma che « l'ecclesiologia di comunione è anche fondamento per l'ordine nella Chiesa e soprattutto per una corretta relazione tra unità e pluriformità della Chiesa ».[6]
- Paolo VI ripropone l'aspetto giuridico di cui è costituito il vincolo della comunione gerarchica in un contenuto che non garantisca semplicemente l'esercizio dell'autorità nella Chiesa in vista del mantenimento sostanziale della sua unità e integrità, ma esprima il mistero di comunione della Chiesa in base ad una comprensione di esso in chiave sacramentale. Nel Vaticano II il concetto di comunione gerarchica era servito « per legare il ministero episcopale alla Chiesa universale o, più concretamente alla comunione con il Papa e il collegio dei vescovi » Tant’è che nel Sinodo dei vescovi dell’ottobre 1969 Paolo VI afferma « perché abbiamo riscoperto la comunione ecclesiale, che al livello apostolico chiamiamo collegialità »; ma si era già all'interno di un ripensamento dell’ecclesiologia secondo la cosiddetta “nuova coscienza comunionale” della Chiesa. Si apre una fase di ricerca ed elaborazione teologica che ancora non perviene, né può pervenire ad acquisizioni ecclesiologiche risolutive.
- W. Kasper, dopo aver segnalato “il compromesso” a cui è pervenuto il Vaticano II per ottenere l'assenso della minoranza, annota che tale compromesso dietro cui sta una giustapposizione tra l' “ecclesiologia sacramentale della communio” e l’ “ecclesiologia giuridica dell'unità” « non soddisfa del tutto perché il problema che esso cela è profondo ». Appellandosi al principio della continuità della tradizione, egli sostiene l'esigenza di una « sintesi creativa tra le tradizioni del primo e del secondo millennio » [tradizioni o Tradizione?], dal momento che questa sintesi l'ultimo concilio non è riuscito a compiere.[7]
È precisamente in questi frangenti che occorre situare l'intento ecclesiologico perseguito da Paolo VI. Il suo contributo è orientato a tale nuova sintesi ecclesiologica non ancora data.
A questo livello la comunione appare capace di contenere unite tutte le diversità che in essa sorgono e che essa assume, inoltre appare in grado di abbracciare la totalità delle sue manifestazioni senza con ciò contraddirsi. Ecco il germe dell’inclusivismo. Assistiamo ad una produzione notevole di materiale magmatico: molte parole e concetti elaborati, concepiti e redatti col linguaggio colloquiale, mai definitorio – ormai fatto proprio dalla cultura egemone – forieri di confusione e disorientamento risolvibili sono rimanendo agganciati alla Tradizione perenne.
Possibile che nessuno si sia mai detto che la Chiesa, fin dal suo nascere ad opera del Salvatore, se non fosse stata e rimasta “comunione” dei Suoi in Lui, non sarebbe mai stata la Chiesa?
Concludo questo excursus riagganciandomi all'insegnamento ecclesiologico di S. Agostino e successivamente sviluppando alcune attualissime riflessioni sotto il profilo ecclesiologico.
Il grande Vescovo d'Ippona ebbe il merito di fronteggiare una situazione terribilmente critica: l'unità della Chiesa infranta dallo scisma dei donatisti e minacciata da altri gravissimi errori, come quello manicheo e quello pelagiano. Egli ebbe ragione degli uni e degli altri riaffermando la dottrina di sempre e riproponendo, quindi, il volto genuino della Chiesa di Cristo, come era pervenuta fino a lui sulle ali sicure della Tradizione cattolica. All'antichiesa di Donato, infatti, contrappose vittoriosamente la Chiesa d'oggi, di ieri, di sempre: la Cattolica. I nostri tempi, è evidente, non sono quelli di sant'Agostino, ma il suo intento di ritrovare l'unità della Chiesa nei valori trasmessi dalla Tradizione ecclesiale è ancor oggi esemplare. Lo ripropongo in un momento in cui quell'unità sembra entrare in crisi.
Agostino adottava l'uso onnicomprensivo del termine « Catholica » nel presupposto che fosse inequivocabilmente riferito all'« Ecclesia », non in quanto sinonimo, ma nella consapevolezza della « ratio Ecclesiae », perché la Chiesa - lasciando da parte la vexata questio tra substistit in ed est - o è cattolica oppure non è Chiesa. Se anche al tempo di Sant'Agostino non mancavano le eresie che rendevano cogente il problema, allora la Chiesa non era inquinata dal suo interno e le eresie erano riconosciute e rigorosamente condannate.
Ed è così che emerge in tutta la sua trasparenza e autenticità il volto della Chiesa, detentrice e custode della Verità, che nell’universalità di tempo e di spazio realizza l’assoluta compresenza fra se stessa e Cristo Signore, il « Christus totus » di Agostino.
Attingo ciò che segue da un piccolo ma denso trattato nel quale Mons. Gherardini ha l'abilità di affermare la dottrina perenne proprio attraverso il vigore e la capacità intellettuale, illuminata dalla 'Sapienza', del vescovo di Ippona. Tant'è che l'Autore stesso dice: « Ho voluto, infatti, un’esposizione “ordinaria” insieme e “cursoria” del pensiero agostiniano sulla Chiesa, per non sovrapporre nessun altro pensiero ad esso e per non filtrarlo al setaccio degl’interpreti. A tener banco è Lui, Agostino ».[8]
Attingo ciò che segue da un piccolo ma denso trattato nel quale Mons. Gherardini ha l'abilità di affermare la dottrina perenne proprio attraverso il vigore e la capacità intellettuale, illuminata dalla 'Sapienza', del vescovo di Ippona. Tant'è che l'Autore stesso dice: « Ho voluto, infatti, un’esposizione “ordinaria” insieme e “cursoria” del pensiero agostiniano sulla Chiesa, per non sovrapporre nessun altro pensiero ad esso e per non filtrarlo al setaccio degl’interpreti. A tener banco è Lui, Agostino ».[8]
Un elemento messo in risalto da Mons. Gherardini è l'intuizione di Agostino sulla genesi della Sposa di Cristo dal costato trafitto del Signore, con una immagine significativa: come Eva fu tratta dalla costola di Adamo dormiente, così dal fianco squarciato di Cristo morente scaturì la Chiesa con i suoi sacramenti dai quali essa è formata o, per dirla con san Tommaso, « è fabbricata ». È così che l’Ecclesia divenne Sposa diletta di Cristo, suo Capo: « un medesimo colpo di lancia determinò la presenza della Chiesa nella sua qualità di corpo ».
Ed è così che recuperiamo, in tutta la sua ricchezza semantica e misterica, l'immagine della Chiesa come “Corpo Mistico di Cristo” nel Christus totus: due parole chiave per esprimere il Mistero condensato dagli insegnamenti del Santo vescovo, ben consapevoli della limitatezza e del sapore tutto vetero-testamentario di quella di “Popolo di Dio”, privilegiata dal Concilio.
La Chiesa è Una, Santa, Cattolica e Apostolica, nonché Romana.
Una: unica la Chiesa come unigenito è il Figlio di Dio, avente un’unica SposaSanta: «Chiesa [...] santa, la madre vostra, che dovete onorar amar e predicare come la Gerusalemme celeste, la città santa di Dio». La Chiesa è Corpo, ma è anche Madre Santa che esige figli santi di ogni popolo e nazione, che ricevono non più un'identità etnica, ma teologale: «la Chiesa dei santi e non degli eretici: dei santi, designata da Dio prima che facesse la sua comparsa, e additata poi perché fosse riconosciuta [...] Prima nei Libri Sacri, poi fra le genti».Cattolica: universale, che significa essere dovunque, con tutti, per tutti, sempre e per sempre, in eterno… «Gli eretici son su tutta la faccia della terra, ma non tutti dappertutto. Gli uni qui, gli altri là. Tuttavia non mancan mai [...]. La superbia è la loro unica madre, così come la madre di tutt’i fedeli cristiani, sparsi in tutt’il mondo, è la nostra Chiesa cattolica. Nessuna meraviglia: la superbia ingenera lacerazioni, la carità produce l’unità» . Nessuna meraviglia: la superbia è sempre presente, lo sarà ancora, fino alla fine dei tempi e con essa gli errori e purtroppo anche gli orrori, da quelli generati. La gramigna mischiata al grano, le tenebre coabitanti con la luce.Apostolica: è la Chiesa degli Apostoli che è giunta fino a noi e permane in eterno: un unico corpo, un'unica Fede, un unico Capo. Una realtà oggettiva, viva e organica, custode e, quindi, trasmettitrice (missionaria) dell’integrità dottrinale. «L’esser e il rimanere apostolica è dunque la condizione per la quale la Chiesa è e resta una santa cattolica».Romana: la Chiesa ha sede a Roma per volontà del suo Fondatore e per le vicende storiche nelle quali è entrato il Provvidente Progetto di Dio.
Poter attingere con fedeltà assoluta alle fonti Agostiniane ci permette di comprendere il presente alla luce del passato e del futuro sapientemente prefigurati e ci aiuta a sciogliere dubbi e interrogativi particolarmente drammatici, oggi.
« La Chiesa, e l'ipponense con essa, non condannano per il gusto di condannare: la Chiesa lo fa «per proteggere la debolezza dei suoi figli» contro l'irrompere dei lupi rapaci, Agostino, anche quando alza il tono della voce è mosso dal desiderio di guarire più che d'esacerbare i dissidenti. non può, tuttavia, transigere sulla dottrina, che egli è chiamato a difendere, non modificare e tanto meno a tradire. È la dottrina per tutti e per sempre, cattolica come la voce della Chiesa che la trasmette e che, anche in forza di tale dottrina e non soltanto in ragione dello spazio entro il quale si diffuse è La Cattolica. È quella fondata da Cristo ed è come Cristo la volle e fondò: aperta e destinata al mondo intero, dotata di una Parola impermeabile innanzi al mutare dei tempi e delle culture, titolare di poteri sempre identici a se stessi dall'uno all'altro capo della terra: « Ricevete la potenza dello Spirito Santo che verrà in voi e sarete i miei testimoni in Gerusalemme ed in tutta la Giudea e Samaria fin all'ultimo confine del globo terrestre [At 1,8]. Se, insieme con la Chiesa sparsa dovunque, riconoscerai la paternità di queste parole, capirai pure con chi sei in comunione, val a dire il carattere cattolico della Chiesa e di riflesso la sua stessa cattolicità ».[9]
Il posto e il ruolo della Chiesa nella storia non dipende dalle sue scelte e non cambia in base alle medesime; le fu indicato e conferito una volta per sempre dal suo stesso Fondatore, il quale la inviò “in tutt’il mondo” perché fosse ad esso presente “fin alla sua consumazione”, “presso tutte le genti, e tutte evangelizzasse e battezzasse nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo”, assicurando che solo “chi avrà creduto e sarà stato battezzato si salverà, ma non chi non avrà creduto” (Mt 28,18-20; Mc 16,15-16; Gv 14,23).
Afferma mons. Gherardini: « Se per un verso tutto ciò non pone la Chiesa al rimorchio della storia, per un altro non comporta per la Chiesa stessa un deficit di storicità». Egli non rileva soltanto « il dasein della Chiesa, la sua appartenenza anche alla città terrena, la sua immanente storicità perfino come fattore di cultura progresso e civiltà, ma anche e soprattutto la sua trascendenza: il fatto cioè in base al quale, nel tempo e nello spazio, è la Città di Dio, il teatro dei “mirabilia Dei”, il principio ed il centro della storia salvifica, la continuazione sacramentale del Verbo incarnato in mezzo a noi ».[10]
La Chiesa, dunque, nella storia si pone come strumento degl’interventi di Dio che ne fanno una “storia di salvezza”, portatrice di una Presenza all’uomo, al suo destino, agli avvenimenti del suo esserci: la storia cioè del compiersi, mediante l’azione della Chiesa, del regno di Dio fra gli uomini di ogni tempo. È una storia contrassegnata, dal carattere escatologico, di cui l’attesa caricava e carica il senso cristiano della storia, che conferisce alla Chiesa un valore di storia globale, in netta opposizione al particolarismo della concezione giudaica. « La Chiesa, infatti, non solo coestende al mondo le vibrazioni del suo senso escatologico, ma ingloba se stessa nel divenire del mondo, pur senza mai appartenergli e sempre trascendendolo, inculturandosi in esso ma non ad esso acculturandosi. »[11]
La tesi dell’anticoncilio e dei tradizionalisti alla riconquista di Roma è il cavallo di battaglia di quel « progressismo ormai un po’ logoro che da un cinquantennio vede ad ogni angolo la reazione in agguato, la presenza cieca ostinata ed antistorica dei nostalgici che s’oppongono al Concilio, ne cancellano la natura d’evento e di nuovo inizio, ne misconoscono o non ne comprendon il messaggio e vorrebbero neutralizzarne la benefica incidenza nella storia della Chiesa. A tal fine, risuona anzi un grido d’intimidazione e d’allarme: giù le mani dal Concilio, il Concilio non si tocca ».[12]
Si è imposta una concezione della storia asservita all’ideologia, che ignora la situazione che, da cinquant’anni a questa parte, si è spaventosamente ridotta ad una piaga:
- il dissenso è pubblicamente ostentato dagli stessi vescovi, come dimostra, per es., la vicenda dell’enciclica “Humanæ vitæ” e del motuproprio “Summorum Pontificum”;
- il Vaticano II è ufficialmente invocato com’elemento pacificatore all’interno della Chiesa, dilaniata, guarda caso, dalla cosiddetta ermeneutica del Concilio, nonché dai problemi della sua ricezione ed applicazione;
- la sirena ammaliatrice del mondo moderno e della sua cultura ha portato e porta la Chiesa in rotta di collisione con la fonte della sua sopravvivenza nel tempo e nello spazio, la Tradizione, con la conseguenza che i suoi connotati non son più quelli della Chiesa una santa cattolica apostolica romana, ma la nuova Chiesa in cerca del suo domani;
- la Liturgia, che dovrebbe sintetizzare la ragione del credere e del pregare, ha conosciuto e tuttora conosce il fenomeno d’una selvaggia creatività che neutralizza l’unità della Chiesa;
- l’associazionismo spontaneo ed incontrollato, nelle sue espressioni più macroscopiche come quelle del cammino neocatecumenale, strangola la comunione e la lascia in brandelli;
- la libertà scatenata e sfrenata ha colmato l’ambiente ecclesiale dei miasmi irrespirabili del peccato in genere ed in particolare di quello più purulento e vergognoso, la pedofilia;
- intere cristianità, nel nuovo mondo e nella vecchia Europa, son in preda in via di diritto ed in via di fatto a vere e proprie apostasie e scismi;
- già Paolo VI nel 1968(7) e Giovanni Paolo II nel 1981(8) avevan parlato con accenti impressionanti d’autodemolizione della Chiesa e d’una sua crisi dirompente tanto quanto imprevista là dove, in conseguenza del Vaticano II, nelle attese comuni c’era una nuova Pentecoste; da parte sua l’attuale Pontefice, anche da cardinale e non una volta sola, ha messo il dito sull’evidenza paradossale d’una Chiesa che lacera sé stessa.
E di fronte a quest’opera di così sistematica autodemolizione e lacerazione, dovuta non soltanto a teologi d’avanguardia, ma anche – almeno in alcuni casi – ai vertici stessi ed a coloro nelle cui mani il Signore pose la Chiesa, ad essi affidando il compito di pascerla e governarla, c’è chi grida all’untore e mette in guardia contro i tradizionalisti alla riconquista di Roma. Mancanza di senso critico, indubbiamente, ma non certo di fantasia ».[13]
In tutto quanto delineato ci sono le linee guida ed il fine: l'unità della Chiesa, che nel corso dei secoli è sempre stata aggredita, ma ha sempre saputo al suo vertice usare il bisturi e risorgere più rigogliosa e luminosa, come un albero dopo una sapiente potatura.
Ed oggi? Le cesoie, appaiono sotterrate e nessun San Domenico “contro gli sterpi eretici percuote”. Parafrasando Dante: gli sterpi stanno divenendo selva selvaggia. Ed è da qui che nasce la differenza tra le antiche e le nuove eresie: l'eresia si sviluppa incontrastata all'interno della Chiesa. E gli operai son affaccendati in tutt'altro e non c'è chi li riprenda.
Secondo i teologi che vanno per la maggiore, se un Papa afferma senza impegnar l'infallibilità e senza adeguatamente motivare che i documenti del concilio sono in continuità col precedente magistero bisogna credergli sulla parola. Insomma dal devoto ossequio dovuto al magistero autentico si passa all'obbligo di adesione con un’estensione illegittima del carisma dell'infallibilità. Difficile riuscire a farlo capire a chi se ne serve come di una clava per indurci di nuovo al silenzio.
Ma, per Grazia del Signore, sono sempre di più e con maggiori articolazioni e motivazioni, le voci che si alzano nell'impegno di promuovere il ripareggiare la Verità, per dirla con Romano Amerio.
1. Romano Amerio. Iota unum, Lindau 2009, 470
2. G. Ghirlanda "Hierarchica communio", 299
3. H: Richof "Il vaticano II e la "collegialità eposcopale", 26
4. W. Kasper Teologia e Chiesa, 295
5. G. Philips, la Chiesa e il suo Mistero, 242
6. Relazione finale II. C. EV 9/1800, pp.1760-1763
7. W. Kasper, Teologia e Chiesa, 295
8 Brunero Gherardini, La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Lindau 2011
9 ibidem
12. ibidem
13. ibidem
Maria Guarini
____________________1. Romano Amerio. Iota unum, Lindau 2009, 470
2. G. Ghirlanda "Hierarchica communio", 299
3. H: Richof "Il vaticano II e la "collegialità eposcopale", 26
4. W. Kasper Teologia e Chiesa, 295
5. G. Philips, la Chiesa e il suo Mistero, 242
6. Relazione finale II. C. EV 9/1800, pp.1760-1763
7. W. Kasper, Teologia e Chiesa, 295
8 Brunero Gherardini, La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Lindau 2011
9 ibidem
10. Brunero Gherardini, La Chiesa e la storia. Articolo scritto per confutare la tesi sostenuta dallo storico Giovanni Miccoli sulla cosiddetta Chiesa dell’anticoncilio. I tradizionalisti alla riconquista di Roma – è il titolo del suo libro, Ed.Laterza, Bari 2011 – riportato qui
11. ibidem12. ibidem
13. ibidem
Nel concilio v2 ha agito una grande potenza d'inganno che si è servita di alterazione profonda del linguaggio, per corrompere e traviare prima i pastori, poi l'intero Gregge.
RispondiEliminaLa Madonna aveva avvisato nel 1917 su questo enorme pericolo che incombeva all'orizzonte, ma si preferì imbavagliare i suoi moniti, perchè si viaggiava verso magnifiche e progressive sorti mondialiste-dialogiche di amore universale che scavalca tutte le differenze.
Oggi nessuno crede più che esista una Verità assoluta, a cui tutti devono fare omaggio, non si capisce più il senso della parola "Verità".
Regno del RELATIVISMO, incontrastato dagli stessi supremi pastori che lo hanno promosso a seguito del concilio aperturista al mondo (=il mondo è bello perchè è vario....bisogna amarlo com'è, senza volerlo convertire: accettare tutte le diversità, dialogare con esse: ecco la nuova evangelizzazione, che viaggia senza freni verso la chiesa mondialista, dove Cristo non deve più essere segno di contraddizione nè pietra d'inciampo per i diversi).
I confini della nuova chiesa-in-fieri, lanciata dal cv2, tra pochi anni, dovranno coincidere con tutto il mondo, sorvolando cu "ciò che divide", cercando solo ciò che unisce ; ma che cosa ci unisce a tutti ? è ovvio: la "comune umanità", come abbiamo visto ad Assisi1-2-3.
Ognuno ha la sua verità, che deve essere rispettata, è qui che siamo "pari", veritieri o menzogneri che siamo, cristiani o pagani, non fa differenza.
Tutte le idee ed opinioni hanno "qualcosa di vero e santo", tutto è permesso, tutto è vero, tutto è credibile, tutti siamo giusti, salvi e santi, santi reali o potenziali (mentre pecchiamo a iosa, senza pentirci) non importa.
Quindi, che significa "ripareggiare" la Verità, se essa è stata resa invisibile e inconoscibile a tutti quelli che prima la professavano e terstimoniavano senza confusioni o commistioni con menzogne ?
Se la Verità è stata oscurata proprio da coloro che dovrebbero manifestarla, insegnarla e indicarla al Gregge ignaro come UNICA meta, (non pluralista e multifacciale, come si è fatto ad Assisi!)
Personalmente, preferisco dire "rendere giustizia alla Verità": infatti se la Verità è confusa, mistificata, calpestata, le si fa violenza e ingiustizia, con la scusa di "renderla più accessibile".
In realtà l'hanno nascosta ai nostri occhi, coprendola con fiumi di parole inutili, fumose e ingannatrici.
Falsificando le parole si è compiuta una iniquità permanente su tutto ciò che la Chiesa aveva sempre insegnato, proprio con quei Santi, Padri e Maestri della Dottrina perenne qui opportunamente citati.
Col pretesto del concilio INVENTORE di cose già note, si è nascosto iniquamente il Magistero di due millenni (e qui lo dimostra Kasper che falsifica tradizioni/Tradizione....)
PS a margine: anche per questo l'omelia del Papa mi lasciava l'amaro in bocca: lì si esalta conciliarmente la comunità, l'enfasi dell'essere Chiesa/essere in tanti, l'emozione di essere in comunione (v GMG).
Ma, mi chiedevo sconcertata: l'adorazione silenziosa che posso fare io, in una chiesa semideserta, mentre altri rari fedeli silenziosi entrano ed escono per adorare alcuni minuti Gesù nascosto (così dicevano i Santi anche bambini) nel Tabernacolo, ha forse meno valore di quella comunitaria, magari animata da chiassosi-enfatici gruppi di preghiera tipo RnS, con le loro invocazioni sentimentali e ridondanti, tutte centrate sulla "guarigione", (spesso più del corpo che dello spirito, di tipo magico-miracolistico, atto ad eccitare nei cuori il "voglio tutto e subito", "Signore dammi questo e quest'altro, come piace a me, possibilmente....ecco ecco, il Signore sta passando, lode lode al Signore guaritore" ecc.) ?
Ouellet riprende anche il tema dell'adorazione approfondito dal Papa nell'Omelia del Corpus Domini e si esprime in questi termini:
RispondiEliminaUno dei compiti importanti della teologia, e soprattutto della pastorale di oggi, è d'integrare le devozioni eucaristiche nate nel Medioevo in una visione ecclesiale della comunione eucaristica. Alcuni sostenitori di un'ermeneutica della rottura lasciano a volte intendere che le pratiche moderne di adorazione del Santissimo Sacramento, processioni eucaristiche e messe private non aiutano a capire lo stretto legame tra la celebrazione eucaristica e la comunione ecclesiale. L'eccessiva semplificazione a tale riguardo non favorisce la comunione ecclesiale in quanto provoca polarizzazioni nefaste e non riconosce i valori presenti nella pietà eucaristica moderna.
Mi pare punti l'attenzione sull'accentuazione della "visione ecclesiale della comunione eucaristica", cioè l'aspetto comunitario della devozione, che prevale su quello individuale, costruito sul rapporto personale di ogni anima credente col Signore... è questo che fa comunità ed è nel Signore che si crea la comunione. Esiste un "noi": coloro che appartengono alla famiglia del Signore (famulis suis ai quali mostra le sue meraviglie e ai quali sovviene, assumendoli in Sé). Ma il Signore conosce le sue pecore ad una ad una e le MIE conoscono ME cognosco oves meas et cognoscunt me meae...
La comunione ecclesiale non è favorita da dati esteriori, integrando le visioni medioevali con quella moderna... non c'è niente da integrare, c'è solo da annunciare la Verità e insegnare che tutto nasce e si compie a partire dal Santo Sacrificio, del quale più non si parla.... La Vera comunione è quella dei Redenti: prima di essere uniti l'un l'altro in Cristo attraverso il ricevere il Suo Corpo e il Suo Sangue, siamo stati riscattati a caro prezzo sulla Croce, ed è questo di cui non si parla più, puntando l'accento enfaticamente sulla mensa della Parola e sulla mensa dell'Eucaristia, messe sullo stesso piano. Nella Parola abbiamo una Presenza mediata: il dono, nelle Sacre Specie, invece, c'è il Signore in persona, il datore dei doni...
Prima di accogliere "il pane disceso dal cielo" e nutrirci di Lui, dobbiamo in Lui e con Lui offrire al Padre la nostra vita e passare dal Calvario, perché l'altrettanto enfatizzato "mistero Pasquale" (che è il mistero di sempre e non è stato riscoperto dal concilio) è completo solo se nasce da lì...
In che senso poi processioni eucaristiche e messe private non aiutano a capire lo stretto legame tra la celebrazione eucaristica e la comunione ecclesiale.
Le messe non sono mai private! Ogni volta che si celebra una Santa Messa, anche se fosse presente solo il Sacerdote, è convocata tutta la Chiesa ed è su tutta la Chiesa che ne fluisce la grazie incommensurabile! Se si perde questa, di 'visuale', ci si appiattisce su metodi e strategie, ma non si insegnano più le saporose sapienti verità cuore della nostra fede!
Il card. Ouellet è un vecchio arnese della nouvelle théologie, scrive a ripetizione su 'Communio' (http://www.communio-icr.com/authors/indexall.html): cosa aspettarsi di diverso da un tale personaggio? La vecchia banda dei nouveaux théologiens, assai più pericolosa di quella un po' casereccia della Magliana, colpisce ancora.
RispondiEliminaL'ecclesiologia di comunione è stata ovviamente elaborata per fini ecumenici (eliminando di fatto il Papato, favorisce la falsa riunificazione ecumenica progettata dalla suddetta 'banda').
Vedo poi che il sublime card. Ouellet è anche Legato pontificio per il Congresso Eucaristico in Irlanda. Bene: lì potrà cogliere altri copiosi frutti dell'inesauribile superconcilio, ammirando estasiato la massa di ex fedeli trasformati in eretici (il 62%, stando ad un recente sondaggio)che non credono più alla Presenza reale.
Se questo pastore può dire a Radio Vaticana:
RispondiElimina"...La nostra Chiesa del Québec ha sperimentato decenni di secolarizzazione e aveva bisogno di una sorta di grazia e di rinnovamento; il Congresso eucaristico ha portato, in effetti, maggiore unità nella Chiesa locale, maggiore collaborazione tra vescovi e sacerdoti, tra religiosi e laici; ha contribuito anche a promuovere i carismi ed a rafforzare il legame con la Chiesa universale. In concreto, ne è risultata la creazione di due seminari e anche di un seminario maggiore, che sono venuti ad aggiungersi al seminario diocesano. Questo nuovo seminario, che si chiama Redemptoris Mater, è quello dal quale usciranno sacerdoti per altre diocesi del Canada o di altri Paesi. Questo è stato un frutto del Congresso eucaristico ed è per questo che io penso che sia stato un punto di svolta. Avevamo pensato che la fede cattolica ed il suo messaggio centrale fossero in qualche modo superati, invece si è dimostrato che è ancora viva e promette bene per il futuro...."
Mi chiedo COME possa essere definito un frutto del Congresso Eucaristico un seminario RM= neocatecumenale, nel quale i sacerdoti apprendono insegnamenti e prassi "altre" e a celebrare l'abominevole sincretistico rito, manipolato da un laico, tuttora sub-iudice?
Vedo la nostra Chiesa in una paurosa china di dissoluzione.
Sono addolorata, non disperata, perché so che il Signore non ci abbandonerà; ma la Tradizione è piuttosto in apnea, mi sembra...
Se questo poi è addirittura un papabile e da questo possiamo misurare la situazione, beh, c'è poco da stare allegri!
Continuiamo a pregare...
Oggi più di tutto dobbiamo pregare per questi sacerdoti e Vescovi, affinché siano credibili per se stessi e per noi fedeli ma soprattutto tornino ad essere pastori che riuniscano il gregge senza disperderlo tra rivoli di carismi che creano confusione.
RispondiEliminaRosy
Cara mic certo che non fanno piacere queste cose.
RispondiEliminaD'altronde Nostro Signore fece sapere a Suor Lucia: "Fate sapere ai Miei ministri, dato che essi seguono l'esempio del Re di Francia nel ritardare l'esecuzione delle Mie richieste, che essi lo seguiranno nella sciagura. Non sarà mai troppo tardi per ricorrere a Gesù e Maria". Si riferiva alla consacrazione della Russia.
(http://www.fatima.org/it/essentials/message/itmesschurch.asp)
Come interpreti queste parole? Io ancora ho un po' di difficoltà...
davvero c'è il rischio di avere questo come Papa?
RispondiEliminaCaro Viandante,
RispondiEliminaanch'io ho un po' di difficoltà, dopo aver letto l'articolato e documentato libro di Socci, ad accettare la versione annacquata di Fatima di Bertone & C.
Versione annacquata, significa che il messaggio della Santa Vergine resta sostanzialmente inascoltato.
Dovremmo cercare di fare noi del nostro meglio con la preghiera, la fedeltà e la penitenza...
davvero c'è il rischio di avere questo come Papa?
RispondiEliminaLa notizia viene da Magister. Il problema e che sono quasi tutti come lui, se non peggio...
Sono rammaricata di dire queste cose; ma se passo in rassegna molti dei più noti vescovi europei di cui sono note anche le esternazioni (penso ai francesi, austriaci, tedeschi, belgi, per ricordarne solo alcuni) il panorama mi pare desolante...
A questo punto per non cadere nello "zelo amaro", mi sembra cosa buona e giusta riprendere l'esortazione di Rosy...
RispondiEliminaSi entra Papi e si esce cardinali.
RispondiEliminaNonsottovalutiamo, comunque, al di là delle espressioni di questo cardinale, il valore della visibile comunione nella celebrazione della Messa e nelle processioni. Naturalmente parlo di Messe veramente tali e processioni che sfilano devotamente e non le carnevalate, che ho vissuto anche quest'anno.
Pure Ouellet neocat, e chi lo dice a quelli di MIL??!!
RispondiEliminaPure Ouellet neocat, e chi lo dice a quelli di MIL??!!
RispondiEliminatranquillo, loro sono piuttosto imbambolati nell'ultimo anno.
E pensare che avevano pure un ruolo non da poco...
Il card. Ouellet ha spalancato le porte al cammino neocatacumenale nel Quebec, ha aperto un seminario RM e ha detto ieri in un`intervista che è un frutto del Congresso Eucaristico di quattro anni fa, tenutosi in Canada, nel Quebec.
RispondiEliminaIo mi chiedo come si possa definire frutto di un Congresso Eucaristico un seminario di cui si sa che i seminaristi non celebreranno la Liturgia Cattolica, ma quella inventata da un laico spagnolo dopo aver rigettato la Liturgia cattolica, perchè adottarla sarebbe una catastrofe per le sue catechesi(ipse dixit).
Coerenza, coerenza, dove sei?
Coerenza, coerenza, dove sei?
RispondiElimina----------------
Luisa, cerca attentamente in Vaticano e forse avrai la risposta.
domandina:
RispondiEliminachi di voi si fiderebbe di poter fare un patto "leale" con persone che a parole dicono una cosa e con le azioni fanno l'opposto dei ciò che hanno detto ?
o che affermano un giorno una cosa e il giorno dopo il contrario, ritenendo di conciliare gli opposti ?
'''''''''''''''''''''
a Pastorelli:
la coerenza non può diventare l'ago nel pagliaio, una caccia al tesoro nascosto. Guai a tutta la Chiesa se siamo a questo punto !
Le pecore non devono impazzire per fare a nascondino a cercare il pastore sicuro e affidabile, (coerenza tra fatti e parole) divenuto oggi introvabile.
A che gioco giochiamo
?
"cerca attentamente e FORSE troverai....?"
ah bene ! mi sembra quasi di leggere i famosi giochini-passatempo su La settimana enigmistica, con la vignetta in cui cercare l'oggetto smarrito e invisibile, nella confusione grafica !
i pastori mica sono incaricati di divertirsi a porre enigmi e rompicapo insolubili agli agnelli che Cristo ha affidato loro !
o no ?
*- se questo è il tipo di cardinali che Roma sceglie nomina e promuove, per di più probabile candidato pontefice,
RispondiElimina*- se questo tipo di prelati e pastori è ben gradito al Vicario di Cristo, che concorda con le loro vedute e opinioni,
-> COME si può pensare che la FSSPX, rientrando a Roma possa criticare queste scelte e gli indirizzi di simili alti personaggi?
come potete illudervi che i vescovi tradizionali possano osare avanzare la minima critica agli errori e alle eresie che Roma permette e avalla da decenni, come nuove evangelizzazioni, senza mai correggerle coi fatti, espellendo il male dal Corpo Mistico, bensì coltivando e allargando la piaga, con deboli allusioni e parole fumose e volatili, che non sono mai ammonimenti ai peccatori ed erranti ?
Se Roma non corregge MAI, per volontà conciliare di ultra-tolleranza, COME POTRA' la FSSPX correggere qualcosa ?
ha forse essa autorità maggiore di Roma ?
come potranno combattere qualcosa che viene esaltato come BUON FRUTTO dalle più alte autorità della Chiesa ?
quando vi accorgerete del terribile miraggio insito in quella "battaglia da dentro" che è già perduta di fronte all'avanzata inesorabile di questi fatti concreti, abominevoli agli occhi di Dio, perchè INIQUI, in quanto esaltano come veri, giusti e buoni discorsi e comportamenti pieni di inganno e menzogna ?
come fate a non vedere che la vera battaglia per la Fede è quella che si fa per custodirla scrupolosamente ognuno nella propria anima, come le VERGINI PRUDENTI, difendendola dal nemico artefice di inganni, che viene lodato e promosso proprio dai CUSTODI E PASTORI del Gregge ?
come si fa a fidarsi di persone che approvano gli ingannatori, chiamando il falso col nome di VERO, E BUON FRUTTO il marciume eretico, quindi facendosi complici di inganni, a danno del Gregge di Cristo ?
avete paura di porvi queste domande e procedere con retta ragione alle risposte inevitabili ?
esse si riassumono, a confronto, con quella certezza di S. Paolo:
"SO IN CHI ho riposto la mia Fede!"
e noi, oggi, e la FSSPX, e tutti i veri cristiani cattolici, in CHI dobbiamo riporre la nostra Fede, se non nel Signore Gesù soltanto ?
come possiamo riporre fiducia in persone dal doppio pensiero e DOPPIA parola e cuore diviso, che pretende di servire due padroni -Cristo e il principe degli inganni, con tutti i suoi seguaci- che lodano ed esaltano gli ingannatori, definendoli "nuovi evangelizzatori" ?
Ester: "Ma, mi chiedevo sconcertata: l'adorazione silenziosa che posso fare io, in una chiesa semideserta, mentre altri rari fedeli silenziosi entrano ed escono per adorare alcuni minuti Gesù nascosto (così dicevano i Santi anche bambini) nel Tabernacolo, ha forse meno valore di quella comunitaria, magari [...]?"
RispondiEliminaHo omesso la parte finale perché è una pugnalata al cuore. Mi sbaglierò, ma personalmente ritengo che la maggioranza dei cattolici di oggi risponderebbe affermativamente a questa domanda di Ester: “sì, ha meno valore”, magari citando il Vangelo “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, trascurando invece “Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. Guardandomi attorno, e osservando un mondo dove prevalgono autocompiacimento, esternazione, esibizionismo e ostentazione, dove nemmeno alla presenza reale di Nostro Signore o di fronte alla morte (leggi ‘funerale’) si è capaci del silenzio, ritengo inevitabile per chiunque sia orientato all’interiorità e all’introspezione sentirsi un po’ come un pesce fuori dall’acqua. Rileggendo i due versetti del Vangelo sopra citati, apparentemente contrapposti, a me pare sensato pregare mio Padre nel segreto prima di – eventualmente – riunirmi con altri nel Suo nome. Se prima non faccio il possibile per accogliere il Signore nel mio cuore, cosa mai potrei portare? La mia esperienza? Forse utile, ma non indispensabile. La mia preghiera? Quale, se prima non chiedo lo Spirito al Signore? Da ex NC mi sono posto molte di queste domande nel periodo immediatamente successivo alla mia non facile uscita dalla comunità. Ho sinceramente cercato il Regno dei cieli (“Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”, “il regno di Dio è dentro di voi!”) e posso dire che a dispetto di tutti i miei peccati, errori e limiti, il Signore non abbandona i suoi figli. Sembrerà strano, ma quella che viene chiamata ‘comunione’, la riesco a sentire nei confronti di Ester (per esempio) che non conosco, e non ho mai visto né sentito, rispetto ad un contesto come uno di quelli da lei citati.
Mi scuso per i versetti del Vangelo, per la citazione dei quali non ho alcun titolo, spero di non averli inconsapevolmente utilizzati in modo strumentale; se l’ho fatto si tratta di semplice ignoranza.
Stefano S.
P.S.: “Avevamo pensato che la fede cattolica ed il suo messaggio centrale (!) fossero in qualche modo superati (!!)”: se la mia interpretazione di questa frase è corretta (non mi è chiaro se si tratta o meno di un plurale maiestatis), la ritengo a dir poco addolorante.
rispondo ad una delle perplessità, precise e giustificate di domandina, ma il discorso va generalizzato:
RispondiEliminacome potete illudervi che i vescovi tradizionali possano osare avanzare la minima critica agli errori e alle eresie che Roma permette e avalla da decenni, come nuove evangelizzazioni, senza mai correggerle coi fatti, espellendo il male dal Corpo Mistico, bensì coltivando e allargando la piaga, con deboli allusioni e parole fumose e volatili, che non sono mai ammonimenti ai peccatori ed erranti?
Personalmente non mi illudo in questo senso e credo che non si illuda neppure mons. Fellay come non si illudono tutti i cuori sacerdotali e i fedeli che amano la Chiesa e sono in sintonia con lui.
Ciò che fa la differenza, e non è poco, se pensiamo che al momento NON ESISTE, è la 'pastorale' tradizionale che comunque la FSSPX potrebbe mettere in atto senza vincoli, continuando a fare quello che già fa, con le garanzie fornite da Roma, altrimenti non accetterebbe la regolarizzazione.
Il resto lo fa il Signore. Ma se questa pastorale non entra in campo, la fede cattolica 'spuria' diffusa da altri resta l'unica campana... E la tattica giusta, oggi, appare non sempre quella di contestare direttamente l'errante (lo facciamo noi dal nostro piccolo angolo per mettere in luce e denunciare le discrasie che ci fanno male come credenti e stridono con la nostra fede cattolica). Questo perché la contestazione diretta crea un muro contro muro che non porta da nessuna parte e la pastorale e la cultura egemone sono quelle e sono loro che gridano più forte.
Non è detto comunque che non ci possano essere occasioni in cui questa contestazione diretta diventa necessaria. Ma va fatta con carità oltre che con fermezza. Non accusando, ma mostrando la verità.
Attuare tuttavia il comportamento di fare la propria parte predicando e santificando, continuando ad approfondire le 'pecche' del concilio e loro conseguenze, già è molto rispetto a quello che c'è oggi. E molte anime potrebbero giovarsene, avvertendo la differenza che vien loro mostrata sul campo. Tenendo anche conto del moltiplicatore di efficacia costituito dalle indicibili Grazie del Signore che fluiscono e accompagnano la Santa Messa integra, che tuttavia ha bisogno anche della dottrina corrispondente, molto annacquata, se non oltrepassata nel resto della Chiesa visibile.
D'accordo con Mic sulle difficoltà che la Fraternità incontrerà e sulla necessità di lottare dall'interno. Del resto cosa facciamo noi, e non solo qui, ma nelle nostre comunità aperte al pubblico, con gl'interventi in conferenze, nel colloquio coi sacerdoti? E lo facciamo da 40 anni almeno.
RispondiEliminaQuanto al valore dell'adorazione, non credo che dipenda dal numero, ci mancherebbe altro! La pietà individuale, però, non può sostituirsi a quella comunitaria, ma sono complementari. La Messa celebrata davanti a due vecchiette ha lo stesso valore d'una Messa celebrata in piazza S. Pietro. Tuttavia la Messa comunitaria dà l'immagine visibile dell'unità della Chiesa intorno a Cristo-sacerdote. Come nella processione del Corpus Domini: la popolazione (quella che ci crede naturalmente) porta in trionfo Cristo stringendosi al suo Pastore.
Ma si deve sempre discutere su
questioni che son ormai di patrimonio comune?