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sabato 24 novembre 2012

Il latino è morto viva il latino

L’Osservatore Romano del 22 novembre:

Anticipiamo alcuni stralci dell’intervento che il presidente della Pontificia Academia Latinitatis tiene in occasione dell’insediamento della nuova istituzione voluta da Benedetto xvi con il motu proprio Latina lingua pubblicato lo scorso 11 novembre sul nostro giornale. L’intervento è inserito nell’ambito della diciassettesima seduta pubblica delle Pontificie Accademie — intitolata quest’anno «Pulchritudinis fidei testis. L’artista, come la Chiesa, testimone della bellezza della fede» — che si tiene nel pomeriggio di mercoledì 21 novembre in Vaticano, nell’aula magna del Palazzo San Pio X. Nell’occasione il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, consegna il Premio delle Pontificie Accademie alla polacca Anna Gulak per la scultura e allo spagnolo David Ribes López. Come meritevole della medaglia del Pontificato, è stato scelto lo scultore italiano Jacopo Cardillo.
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Come interpretare al meglio la costituzione della Pontificia Accademia della Latinità?  Come accordarne idealmente pensiero e finalità al magistero della Costituzione Apostolica Veterum sapientia di Giovanni XXIII e della Fondazione Latinitas istituita da Paolo VI? Più in generale: come contribuire a rendere utile e addirittura necessaria una lingua morta e la relativa cultura ormai da decenni rimossa, tenendo al contempo lo sguardo rivolto avanti e indietro, simul ante retroque prospicientes?

 La cesura è intervenuta in tempi recenti: agli inizi degli anni Sessanta del ventesimo secolo, quando, dopo la scienza, anche la scuola e la Chiesa abbandonarono il “monoteismo” latino. Infatti, al grido «La lingua dei signori» (così titolava l’Avanti! un famoso fondo di Nenni), il Governo di centro-sinistra abolì l’obbligatorietà del latino nelle scuole medie inferiori, perché considerato «simbolo di educazione elitaria, e quindi di discriminazione sociale» (Traina); facendo pagare così un tributo tutto ideologico a una tradizione culturale fondativa. Quasi in parallelo, il concilio Vaticano ii decise di rinunciare in parte, nella sacra liturgia, alla lingua latina, e di adottare le lingue nazionali. Eppure, proprio in quegli anni, esattamente il 22 febbraio del 1962, Papa Giovanni XXIII firmava e diffondeva con la Veterum sapientia un accorato elogio sia della sapienza classica  sia delle due lingue: il greco e soprattutto il latino. Un doppio registro? Una doppia norma? Un messaggio contraddittorio tra concilio ed enciclica? Nulla di tutto ciò. Semplicemente, e del tutto coerentemente, si voleva ricordare ai pastori, al clero, ai futuri sacerdoti — come fa ora il motu proprio di Sua Santità — che la conoscenza della lingua latina e della cultura di Roma costituiscono un patrimonio irrinunciabile, perché in quella lingua e in quella cultura si ritrovano e si concentrano tre proprietà costitutive della fede: l’eredità, l’universalità, l’immutabilità. 

Quid nunc?  Non possiamo non chiederci oggi: latino per chi? Latino perché? Per parlare bene. Noi oggi scontiamo una vera e propria entropia linguistica: una condizione di disordine in cui le nostre parole, ridotte a vocaboli, smarriscono il loro volto e perdono la loro forza. Nel periodo del maximum della comunicazione sperimentiamo il minimum  della comprensione. C’è una lingua neutra oggi, una sorta di koinè  diafana e asettica che ci fa esclamare con Sallustio: vera vocabula rerum amisimus (“abbiamo perduto il significato vero delle parole”). 

Di fronte all’imperante sincronia e dittatura del presente, proprio la lingua latina ci può soccorrere nel recupero di un valore primario e costitutivo dell’uomo: il valore del tempo: il suo ordo verborum  si tende e ci lascia sospesi fino a quando il prima, il durante e il poi non si ricompongono. Questa trasmissione culturale, come ogni scienza, può nascere solo — con un forte senso di responsabilità comunitaria — dalla «lampadoforia», e non dalla «tremula fiaccola del singolo» (Bacone, De sapientia veterum).
Ivano Dionigi

6 commenti:


  1. Se qualcuno farà l'equazione latino - chiesa pre-conciliare?

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  2. Perchè non si tiene conto che era il greco la prima lingua parlata dalla Chiesa?

    Pensiamo anche
    alla redazione dei Vangeli

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  3. Articolo 8 (Statuto Accademia)

    § 1. L’Accademia consta di Membri Ordinari, in numero non superiore a cinquanta, detti Accademici, studiosi e cultori della lingua e della letteratura latina. Essi sono nominati dal Segretario di Stato. (???)

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  4. Perchè non si tiene conto che era il greco la prima lingua parlata dalla Chiesa?
    Pensiamo anche
    alla redazione dei Vangeli


    Il latino rimane pur sempre la lingua ufficiale della Chiesa nonché quella degli scritti di molti Padri. Pertanto, allo stato dei fatti, appare necessaria ed urgente l'attenzione da dedicare ad fovendum lo studio e la diffusione della lingua che può favorire la promozione della cultura e della civiltà di cui essa è stata all'origine.

    Dopo questa priorità, nulla toglie dal promuovere con pari dignità ed importanza anche la lingua greca, altrettanto importante per gli stessi motivi.

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  5. Essi sono nominati dal Segretario di Stato. (???)

    Non vedo il problema. Può ben rientrare in quei poteri. Importante è l'uso che ne vien fatto.

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  6. Se qualcuno farà l'equazione latino - chiesa pre-conciliare?

    Il recupero del passato e del suo patrimonio, è ineludibile. Importante è che non sia né reazionario né fossilizzato.

    Non è giusto contrapporre il latino al post-concilio così come vedere in esso l'alternativa al latino...

    Fa bene a tutti conoscerlo e assimilarlo sempre meglio per gustare più in profondità i tesori copiosi della nostra Fede cattolica.

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