S. Agostino: Ars docendi |
Grandi fiumi possono nascere da piccole fonti, scriveva il poeta latino dei Remedia Amoris e, a pochi giorni dalla nascita della nuova istituzione. già “fiumi” di richieste di adesione investono gli uffici del Pontificio Consiglio della Cultura, ha confermato il suo presidente. Il motu proprio del Papa Latina lingua è stato pubblicato solo lo scorso 11 novembre, ma già multae guttae implent flumen anche nel grande mare della Rete: Hodie una cum Ivano Dionigi novam aperiemus academiam pontificiam latinitatis a Benedicto conditam, hora XVII, via Conciliationis v, si legge nel tweet con cui Ravasi ha annunciato la nascita dell'ottavo dicastero.
In fondo la brevitas del latino, una lingua senza articoli, geneticamente e strutturalmente temporale, incentrata sulla forza dinamica del verbo, si accorda benissimo con la concisione imposta da Twitter, il più giovane dei social network, come la giovane età dei premiati durante la seduta «Pulchritudinis fidei testis» si è accordata perfettamente alla solennità dell'evento. Nell'occasione, infatti, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, ha consegnato il Premio delle Pontificie Accademie agli artisti Anna Gulak e David Ribes López; la medaglia del Pontificato è andata a un venticinquenne, lo scultore italiano Jacopo Cardillo.
La giovinezza perenne dei classici è un tesoro prezioso per ogni epoca, ma dev'essere riscoperta, coltivata e protetta, ha ribadito il rettore dell'Alma Mater di Bologna, Ivano Dionigi, presidente della Pontificia Academia, durante il suo intervento di saluto nella lingua di Cesare, Tacito e Seneca. Molte cose possono essere fatte per raggiungere questo scopo, ad latinam linguam fovendam: il verbo foveo significa appunto tenere al caldo, proteggere, coltivare e custodire. Nessuna generazione deve sottrarsi a questo compito perché, solo il presente “esiste” davvero, come diceva sant'Agostino; «ciò che hai ereditato dai padri -- ammoniva Goethe, molti secoli dopo -- conquistalo per possederlo».
Una conquista difficile se non ci sono insegnanti “vocati” a educare, ha detto Pupi Avati, accademico dei Virtuosi al Pantheon invitato a partecipare alla seduta pubblica delle Pontificie Accademie, presentando Guardando oltre, gli «auguri del cinema italiano a Benedetto XVI», il video che ha regalato al Papa in occasione del sessantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. «Ascoltando il suono delle parole latine scandite stasera -- ha detto il regista italiano -- mi sono sentito precipitare in un tempo remoto, ai tempi del liceo San Domenico di Bologna. Con una certa inquietudine». Per chi non ha avuto la fortuna di incontrare maestri capaci di comunicare la passione per ciò che insegnano, ha continuato Avati, il latino ricorda solo l'attimo di terrore che precede l'interrogazione; «l'opera del maestro non deve consistere nel riempire un sacco, ma nell'accendere una fiamma» come ha scritto recentemente il cardinale Ravasi su «Avvenire».
«A 74 anni -- ha continuato il regista nel suo intervento di saluto -- posso dire di aver raggiunto la terza e forse la quarta età, e mi sono accorto che la vecchiaia è la stagione della vita che contiene tutte le altre. Noi siamo anche il bambino, l'adolescente, il giovane che eravamo. Col passare del tempo, l'ellisse della vita si allontana dall'età matura, l'età deleteria del razionalismo in cui eliminiamo la categoria del “per sempre”».
«Il soggetto del mio prossimo film -- ha aggiunto il regista -- l'ho scritto in tre notti. Per raccontare il dramma di un bambino lasciato a se stesso dai genitori, è bastato tornare con la memoria ai miei 11 anni e immedesimarmi con questo dolore».
«La fede -- ha concluso Avati -- è l'unica cosa che mi promette il “per sempre” delle cose che amo e che ho amato. Quello che desidero ritrovare alla fine della vita ha il volto di mio padre e mia madre che mi aspettano a casa, nella cucina di via San Vitale 51».
Silvia Guidi
_____________________________________(©L'Osservatore Romano 23 novembre 2012)
Pero'questo post recita: Flumina pauca vides de magnis fontibus orta" ("Si vedono fiumi esigui nati da fonti copiose"). Un lapsus freudiano?
RispondiEliminaLuciana Cuppo
"Nessuna generazione deve sottrarsi a questo compito perché, solo il presente “esiste” davvero, come diceva sant'Agostino; «ciò che hai ereditato dai padri -- ammoniva Goethe, molti secoli dopo -- conquistalo per possederlo»."
RispondiEliminaE, invece hanno cercato di buttarlo alle ortiche. Per uno che 'custodisce' ce ne sono mille che disprezzano o sono indifferenti...
Per Luciana Cuppo.
RispondiEliminaIn effetti aveva colpito anche me.
Non lo credo un lapsus freudiano, ma la consapevolezza della cultura egemone, che sta divenendo sempre più esplicita.
A meno che Ravasi non abbia voluto cogliere la fotografia della situazione.
Grandi fiumi possono nascere da piccole fonti
RispondiEliminaMi pare che, invece, la giornalista abbia dato l'interpretazione più ovvia e che ci si potesse attendere nella circostanza; ma che non corrisponde al testo originale...
Mic scrisse: [L'interpretazione] non corrisponde al testo originale.
RispondiEliminaIl testo originale CON IL SUO CONTESTO, recita:
Flumina pauca vides de magnis fontibus orta,
plurima conlectis multiplicantur aquis, cioe':
Vedrai pochi fiumi nati da fonti copiose; i piu' si accrescono raccogliendo via via le acque.
Ma eliminando il contesto il senso cambia e, se non erro ,risulta quello che ho tradotto piu' sopra, cioe': si vedono fiumi esigui nati da fonti copiose, il che non brilla per logica.
Ma eliminando il contesto il senso cambia e, se non erro ,risulta quello che ho tradotto piu' sopra, cioe': si vedono fiumi esigui nati da fonti copiose, il che non brilla per logica.
RispondiEliminaAppunto...
Dobbiamo pensare che se il senso globale poteva esser dato per scontato nel CONTESTO in cui è stata fatta, la citazione e la sua divulgazione monca non aiuta la comprensione dei più. Anzi, risulta ambigua...
Al di là di queste prime osservazioni, mi auguro che l'Accademia possa dispiegare tutta la sua efficacia, anche se l'ambiente in cui nasce e si dovrebbe svolgere la sua opera non è dei più accoglienti.
RispondiEliminaLe attività che promuove mi sembrano importanti e potrebbero dare i frutti che promettono.
Possiamo sperare accada quel che promette la seconda parte del distico: che ci siano più acque confluenti insieme che rendano copioso il fiume...
RispondiEliminahttp://biesseonline.sdb.org/bs/articolo.aspx?newsID=8499&fb_source=message
Il segretario dell'Accademia intervistato da Tornielli:
RispondiElimina....
Don Roberto, che senso ha istituire un’Accademia per il latino nell’epoca di twitter? Non rischia di essere un’operazione nostalgica?
«Le rispondo anzitutto con un’osservazione: Twitter è uno strumento che impone una comunicazione rapida. Il latino, a confronto delle lingue moderne, per esprimere un concetto, in genere, adopera meno parole. Se dico in inglese “the corruption of the best one is horrible”, in latino, al posto delle otto inglesi, sono sufficienti tre parole: corruptio optimi pessima. Il latino è una lingua che aiuta a pensare con chiarezza, precisione e sobrietà. Tuttavia, il motivo principale che ha spinto il Santo Padre ad istituire questa Accademia è ancora più profondo: non si può e non si deve spezzare il legame con le radici della cultura umanistica che si è espressa in latino, nata nel mondo greco-romano, fiorita con il Cristianesimo, approfondita dall’Umanesimo, e che ha prodotto un patrimonio eccezionale di scienza, di sapienza, di fede».
Una questione di cultura, dunque...
http://vaticaninsider.lastampa.it/in...apa-poe-19643/
Nel motu proprio è scritto che la nuova Pontificia Accademia dovrà collaborare con il Pontificio Istituto Superiore di Latinità che ha sede proprio presso la Pontificia Università Salesiana da cui proviene il segretario. Ci sarà lo zampino di Bertone?
RispondiEliminaCi sarà lo zampino di Bertone?
RispondiEliminaChe importanza ha?
L'essenziale è che la Chiesa, e soprattutto i sacerdoti, recuperino la dimestichezza con la sua lingua ufficiale, e soprattutto con i testi originali di molti Padri della Chiesa.
Nella Veterum Sapientia di Giovanni XXIII (1962) non si manca di rammentare che il latino resta un lingua immutabile - e dunque fissata in registri ben definiti e sottratti alle evoluzioni nel tempo delle lingue nazionali - citando Pio XI: «Infatti la Chiesa, poiché tiene unite nel suo amplesso tutte le genti e durerà fino alla consumazione dei secoli... richiede per sua natura un linguaggio universale, immutabile, non volgare». Indispensabile per esprimere i concetti con chiarezza e solidità di pensiero. Ecco perché resta perennemente valido per comunicare il pensiero con certezza, forza, precisione, e ricchezza di sfumature. Per questo è tuttora insostituibile nell'esercizio del magistero, soprattutto nelle definizioni dogmatiche, per le quali non si ammettono ambiguità ed inoltre nelle parti principali della liturgia, nelle quali le res humanae, transeunti, sono immerse nel mistero ma anche nella fecondità delle res divinae, eterne ed immutabili.
Vedo l'ostacolo più grande, in Italia, al promuovere l'uso di latino, e il pregiudizio commune tra quelli di madrelingua italiana di usare un linguaggio più dotto italiano quando parlando e esprimendosi...
RispondiEliminaSe non vogliono usare un italiano dotto, derivato dal Latino, sarebbe in vano che parlono o fanno un Tweet ogni tal volta in Latino...