Il contenuto di questo articolo di Costanza Miriano merita attenzione e anche una possibile risposta. Rinvia per questo a : http://www.cavmangiagalli.it/
Ieri mattina ho parlato al telefono con una donna che grazie al suo lavoro ha salvato dalla morte oltre dodicimila bambini. Con la voce rotta e stanca mi ha detto che ieri non era andata al suo lavoro, non sapeva se ce l’avrebbe fatta a tornare.
Quella donna si chiama Paola Bonzi. Da ventotto anni dirige il Centro di Aiuto alla Vita (CAV) della Clinica Mangiagalli di Milano. Le donne che decidono di abortire in quella clinica vanno a parlare con lei, perché la legge 194, che pure è una legge profondamente sbagliata, almeno prevede che ci sia un colloquio (che in realtà in molti ospedali non si fa davvero) per verificare se i motivi che spingono una mamma a uccidere il suo bambino possano essere rimossi. Questa donna con i suoi bellissimi occhi azzurri non vede (ha perso improvvisamente la vista quando era incinta), ma in compenso vede benissimo col cuore, e sa abbracciare le persone, sa dire “è una cosa buona essere vivi, è una cosa buona che tu sia venuta qui, le tue difficoltà io provo ad affrontarle con te, ti sono vicina”. È aiutata da un gruppo di volontari, pronti a tutto per salvare la vita di un bambino. A volte bastano le parole di Paola e dei suoi per permettere a una donna di ascoltare la sua voce interiore, la voce che, se non soffocata, dirà sempre a ogni mamma di difendere suo figlio. A volte le parole fanno scattare la molla del coraggio che trasforma ogni donna in una leonessa pronta a tutto per il suo cucciolo.
Altre volte le parole non bastano. Servono gesti di carità incarnata, e al CAV della Mangiagalli si faceva anche questo; pannolini, latte in polvere, busta della spesa, a volte anche una sistemazione per dormire, per vivere, un appartamento.
Adesso però mancano i fondi, e Paola sta per gettare la spugna. Perché è vero che la parte più grossa del suo lavoro è aiutare a riconoscere che dentro la pancia c’è un figlio, e non un grumo di cellule, ma senza la possibilità di un aiuto concreto a chi è davvero disperato, davvero alla fame, non se la sente di andare avanti. “Mi faccio solo del male”, ha detto “perché so che lì, seduta davanti a me, c’è una donna che ha suo figlio vicino al cuore, e so che ha già prenotato la camera operatoria, e domani il figlio sarà ucciso, e io non riesco fermarla. Non dormo più la notte, faccio sogni orribili, so che il CAV non è una cosa mia, e non dovrei prendermela tanto, ma non posso fare a meno di soffrire per quei bambini.”
Ha bussato a tutte le porte, ha detto ovunque ha potuto che i figli sono l’unico investimento sicuro, più del mattone, dell’oro, più di tutto, perché fra venti anni saranno loro a sostenerci. Ha detto che invece un aborto è un costo per la società, perché poi bisognerà fare i conti con la sindrome post aborto, con donne depresse, distrutte, bisognose di cure, a meno che qualcuna di loro non abbia il coraggio di chiedere perdono a Dio ed essere guarita dalla sua misericordia (ne ho conosciute alcune meravigliose, donne rifiorite, anche sante, a cui molto è stato perdonato perché molto hanno amato). Nessuno l’ha ascoltata, però, nessuno le ha dato niente. Il CAV è già in forte perdita, i conti sono più che in rosso, e se nessun grande finanziamento arriva chissà che non si muovano tante formichine, ognuna con la sua briciola.
Stranamente non ho visto le donne di “Se non ora quando” scendere in piazza per protestare contro i tagli che hanno più che dimezzato il fondo Nasko, quello che permetteva di aiutare le donne in difficoltà economica che rinunciano ad abortire finanziandole con 250 euro al mese per 18 mesi. Il fondo ora è stato ridotto a 100 euro al mese. Eppure dovrebbero arrabbiarsi anche loro, le femministe, le paladine dell’autodeterminazione femminile. Perché se una donna è non dico costretta – il bisogno non basta a spiegare tutto – ma fortemente condizionata dal suo bisogno economico finendo per uccidere suo figlio in grembo, certo non è libera. È libera quella che realizza il desiderio profondo di ognuna, dire alla vita, quando bussa, se bussa, io sono qui.
Paola, e le tantissime persone che in tutto il paese lavorano nei centri di aiuto alla vita, eroiche, generose, dicono semplicemente questo: io sono qui, vicino a te.
Dedicato a quanti ci accusano di non fare nulla di concreto.
RispondiEliminaIl rispetto per la vita è anche farsi carico per quanto e come possibile, delle difficoltà, spesso estreme, che spingono alcune donne al drammatico atto di rifiutare il bimbo che portano in grembo.
RispondiEliminaE' duro dirlo e pensarci, ma è duro e terribile soprattutto viverlo.
Ed è uno dei tanti aspetti e problemi della vita e del nostro tempo su cui non possiamo essere indifferenti. Il nostro difendere la Verità che senso ha se non quello di difendere la Vita, quella vera, che passa anche da iniziative come questa?