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domenica 14 aprile 2013

Mattia Rossi. Le rotture liturgiche di Francesco non sono francescane

Una voce "fuori dal coro", di cui ci facciamo voce. 

Tra le ultime novità del neonato pontificato bergogliano, oltre alla recente nomina del francescano padre Carballo a segretario della Congregazione Istituti di vita consacrata, abbiamo notato, nella messa di domenica scorsa di insediamento del “vescovo di Roma” Francesco, il ripristino del pastorale argenteo (by Lello Scorzelli) di Giovanni Paolo II e il conseguente accantonamento di quello dorato di Benedetto XVI.[1]

E sul Corriere della Sera di lunedì, un’entusiasta Alberto Melloni salutava questa scelta: contro la ferula di Scorzelli “si sono scagliate le psicosi dei tradizionalisti che vedono tutt'attorno le ossessioni che popolano le loro anime”. Evviva, evviva? Ma, allora, sarà, forse, il caso di ricordare qualche elemento sfuggito. Innanzitutto l’ininterrotta volontà di papa Francesco di dare demagogici segnali di discontinuità che si manifestano proprio nella rinuncia o sostituzione di abiti o simboli: niente mozzetta (segno della potestà del vicario di Cristo), croce di ferro, niente scarpe rosse (che però simboleggerebbero il martirio di Pietro), niente omelia sul trono (che però imiterebbe Cristo che predicava seduto), niente paramenti preziosi (sul quale ho già trattato sul Foglio del 4 aprile scorso), e ora niente ferula d’oro di B-XVI.

Informalità nella liturgia
Ecco, appunto, lo scomodo B-XVI: il “terribile” Papa tedesco conservò le abitudini liturgiche del predecessore Wojtyla per alcuni anni. Il “retrogrado” B-XVI fu però l’unico ad aspettare così tanto tempo prima di dar vita ad un proprio manifesto liturgico. Lo abbiamo visto con casule a dir poco bizzarre, un pallio chilometrico e, appunto, la ferula scorzelliana. Papa Ratzinger, pian piano, non recuperò un guardaroba per il semplice estetismo (al quale, però, sembrano ora appellarsi i sostenitori di un’auspicabile falcidia della suppellettile sacra tradizionale): lo fece per rendere visibile la continuità della lex orandi. Lo fece per chiarire che non ci deve essere un “prima” e un “dopo”: i paramenti, la lingua, il gregoriano e anche la ferula sono gli stessi da sempre come da sempre è l’istituzione chiesa. Non ci deve essere un papa che agisce diversamente dai suoi predecessori. E quello che, invece, sembra importare in questi pochi giorni di pontificato di papa (ops, “vescovo-di-Roma”) Bergoglio è proprio la discontinuità e la separazione dal predecessore con il quale, la ferula dorata piononesca, costituiva l’ultimo appiglio. [Ho inserito, a destra, un'immagine diversa ricordando che la forma è anche sostanza]

E non si creda, infine, che tutto questo sia in nome di un francescanesimo. Il poverello d’Assisi seppe richiamare i suoi fratelli nella distinzione tra povertà personale e lussuosità del culto. Nella “Prima lettera ai custodi”, Francesco ammonisce: “I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, debbano averli di materia preziosa. E se in qualche luogo il santissimo corpo del Signore fosse collocato in modo troppo miserevole, secondo il comando della Chiesa venga da loro posto e custodito in un luogo prezioso, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione”.

E ancora, Tommaso da Celano, nel suo “Memoriale” narra che Francesco “un giorno volle mandare i frati per il mondo con pissidi preziose, perché riponessero nel luogo più degno possibile il prezzo della redenzione, ovunque lo vedessero conservato con poco decoro”. Una liturgia francescanamente d’oro che ora, para-francescanamente, sta sparendo. 
Mattia Rossi
© IL FOGLIO, 12 aprile 2013
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1. L'ufficio delle celebrazioni liturgiche ha fatto succesivamente conoscere che il Papa alternerà le due diverse ferule

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