La recente elezione di papa Francesco I (13 marzo 2013) ha fatto risorgere il tema della “Chiesa dei poveri”, che andava molto di moda negli anni Sessanta/Settanta ed era stato portato avanti dagli ‘ultra progressisti’ del neomodernismo[1], soprattutto dall’arcivescovo latino-americano Helder Camara, dal cardinale belga Leo Suenens[2], dal cardinale di Bologna Giacomo Lercaro e dalla “Scuola di Bologna” (Dossetti, Alberigo, Bettazzi), ma che poi era passato in secondo ordine, almeno in Italia.
Questa idea è molto più vecchia di quanto non si pensi. Basti pensare al Pauperismo dei “Fraticelli” del XIII secolo con la loro teoria delle due Chiese: una corrotta, ricca, carnale con a capo il Papa; l’altra, la vera Chiesa, spirituale, povera e dei soli poveri, pura e santa anche in tutte le membra umane che la compongono, ossia gli Spirituali e i loro seguaci. Essi vennero condannati da papa Giovanni XXII nel 1316 (v. Costituzione Gloriosam Ecclesiam, DB 484-490). Nel campo sociale i Fraticelli, criticando il lusso e le ricchezze della Chiesa ufficiale, hanno contribuito a toccare il diritto di proprietà.
Verso la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, vari pensatori progressisti[3] del modernismo classico[4] (vedi Ernesto Buonaiuti) hanno cercato di presentare – “da sinistra” – una Chiesa “cristiana” primitiva dei soli poveri, collegiale o democratica, sovversiva, anarchica, ostile all’Impero di Roma e a qualsiasi potere politico, la quale sarebbe stata snaturata dalla Chiesa romana, ricca, petrina, papale e costantiniana, essenzialmente gerarchica, anzi monarchica. Questo snaturamento del cristianesimo primitivo sarebbe stato il frutto della filosofia greca e del diritto romano.
Verso la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, vari pensatori progressisti[3] del modernismo classico[4] (vedi Ernesto Buonaiuti) hanno cercato di presentare – “da sinistra” – una Chiesa “cristiana” primitiva dei soli poveri, collegiale o democratica, sovversiva, anarchica, ostile all’Impero di Roma e a qualsiasi potere politico, la quale sarebbe stata snaturata dalla Chiesa romana, ricca, petrina, papale e costantiniana, essenzialmente gerarchica, anzi monarchica. Questo snaturamento del cristianesimo primitivo sarebbe stato il frutto della filosofia greca e del diritto romano.
La stessa teoria è stata formulata – “da destra” – anche da neopagani (vedi Julius Evola) o da uomini d’ordine, i quali, però, hanno visto in questo snaturamento un fatto positivo (Charles Maurras) in quanto avrebbe consentito alla Patria, Nazione, Regno, Impero e al Principe rinascimentale di Nicolò Machiavelli (†1527) di servirsi della Chiesa romana come collante o cemento per mantenere l’ordine e l’ obbedienza delle masse.
Nella storia chi per primo ha cercato di dipingere Gesù come un rivoluzionario è stato il Sinedrio, ma Ponzio Pilato dopo aver interrogato Gesù non diede retta a questa calunnia (Gv., XIX, 11; Lc., XIII, 1; Rom., XIII, 1). Successivamente il giudaismo talmudico presentò anche i cristiani come sovversivi e rivoltosi per farli condannare da Roma e Roma con Nerone, sotto l’ influsso nefasto della sua seconda moglie Poppea, la quale era una giudaizzante, iniziò nel 64 la persecuzione dei cristiani[5].
Furono, invece, proprie dell’ eresia montanista (II secolo), condannata dalla Chiesa con papa Zefirino, quelle caratteristiche sovversive ed antiromane che erano già state degli zeloti e del giudaismo più intransigente e che avevano costretto Roma a sedare la rivolta col ferro e col fuoco (70 d. C. e 135). Perciò l’ Imperatore Marco Aurelio nel 170 circa scatenò una persecuzione che aveva di mira il Montanismo, ma che toccò praticamente anche il cattolicesimo romano[6].
La contraffazione della vera religione
Gli uomini di Chiesa dopo la svolta del Vaticano II hanno mutuato dalla “nuova teologia” neo-modernistica alcune idee che riecheggiano la vecchia concezione a-dogmatica e a-gerarchica del “cristianesimo delle origini” e della “Chiesa dei poveri” sia dal punto di vista dottrinale che da quello spirituale: vedi i vari “Movimenti” tipo “Comunità di S. Egidio”, il “Cammino Neo-catecumenale”, il “Rinnovamento dello Spirito” e il neo “Pentecostalismo cattolico”, che si propongono di edificare una Chiesa spirituale o “giovannea” a-dogmatica, sentimentalistica, carismatica, liberale, latitudinarista, ecumenista, che purtroppo sembra oggi prevalere pro tempore su quella petrina o costantiniana. Questi “movimenti” sono caratterizzati non sempre dal pauperismo, ma tutti da uno spirito comunitario che tende al collegialismo collettivistico, senza istituzioni o gerarchia e dominato dal “profetismo” o carisma di alcuni leader[7].
La testa di ariete di cui si è servito il modernismo per deformare la Fede dei cristiani è stato il Novus Ordo Missae, il quale ha fatto vivere la dottrina del Vaticano II dai fedeli, che altrimenti non sarebbero stati toccati, se non in piccola parte, dai Decreti conciliari. «In Liturgia – scriveva il card. F. Antonelli – ogni parola, ogni gesto traduce un’idea che è un’idea teologica. Dato che attualmente la teologia è in discussione, le teorie correnti tra i teologi avanzati cascano sulla formula e sul rito con questa conseguenza gravissima che, mentre la discussione teologica resta al livello alto degli uomini di cultura, discesa nella formula e nel rito, prende l’avvio per la sua divulgazione nel popolo» (N. Giampietro, Il card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970, p. 125 s.)
Come il Sessantotto ha cambiato la mentalità dell’uomo contemporaneo non tramite i libri, ma mediante la prassi, l’azione, la musica, la moda, la stampa rosa, così il neo-modernismo ha cambiato il cristiano contemporaneo tramite la Nuova Messa, il sentimentalismo che emana da essa, i nuovi ornamenti liturgici, le musichette sincopate, la nuova architettura delle chiese e la secolarizzazione dell’abito ecclesiastico, il rito faccia a faccia, il quale è più simile ad una “cena” che al Sacrificio della Croce. “Vale più la pratica [la Nuova Messa] che la grammatica [i Decreti conciliari]” recita il proverbio popolare. Marx avrebbe parlato del “primato della prassi sulla teoresi”.
La svalutazione dell’intelletto e della volontà dal punto di vista naturale è accompagnata nell’ordine soprannaturale dal ridimensionamento delle Virtù infuse di Fede e Carità soprannaturale per dare il primato all’esperienza religiosa o al sentimento e alla filantropia pauperistica, giungendo ad un falso misticismo già condannato dalla Chiesa sotto il nome di “Quietismo” nel XVIII secolo, il quale pretende che non si debbano esercitare le Virtù né la vita ascetica, ma occorra solo seguire l’impulso dello Spirito senza lottare contro il peccato o le cattive inclinazioni. Si cade così in uno stato di esaltazione religiosa o superstiziosa, che è la contraffazione della vera Religione. L’irrazionalismo, il sentimentalismo, l’emozionalismo, l’ anti-intellettualismo, la svalutazione della libera volontà sono il comune denominatore di questi movimenti pseudo-spirituali nati durante e dopo il Vaticano II.
“Sento; quindi credo”
Il sentimentalismo religioso (quello che oggi porta le masse a idolatrare papa Francesco I) è uno dei pericoli più gravi che minaccia il mondo cattolico e specialmente ecclesiale perché distrugge la Fede rendendola un atto puramente soggettivo e non più un atto soprannaturale di adesione dell’intelletto, mosso dalla volontà con l’aiuto della Grazia, alle verità o Dogmi oggettivi e reali.
Dal punto di vista naturale il sentimentalismo distrugge la ragione e rende l’uomo un animale istintivo ed emozionale e perciò abbassa la retta ragione ad un livello inferiore a quello raggiunto dalla metafisica classica greca, dal diritto e dalla morale naturale romana, riportando la civiltà europea, che ha le sue origini appunto nella metafisica classica, nel diritto romano e nella scolastica, al livello primitivo, selvaggio o tribale. Nel campo religioso favoleggia di una pretesa “Chiesa dei poveri”, quando in realtà tra i Discepoli di Gesù ve ne erano anche di ricchi come Giuseppe d’Arimatea, che gli cedette il suo sepolcro nuovo dove Gesù fu sepolto e dal quale risorse, e la Chiesa è stata sempre la Chiesa di tutti, dei ricchi come dei poveri, insegnando ai primi il buon uso della ricchezza e ai secondi ad accettare ed amare la povertà. È per questo che si può parlare di (tentata) tribalizzazione della Chiesa, esattamente come il Sessantotto con la Scuola di Francoforte (Adorno e Marcuse) e lo Strutturalismo francese (con Lévy-Strauss, Ricoeur, Lacan, Sartre) ha tribalizzato l’uomo contemporaneo rendendolo un selvaggio, un cavernicolo o “una bestia parlante”. Se Cartesio diceva: “Penso; quindi esisto”, oggi si pensa e si dice: “Sento, ho emozioni, esperienze; quindi esisto”, anzi: “quindi credo”.
Dal sentimentalismo immanentistico deriva il pan-ecumenismo, che è un’altra caratteristica, assieme al pauperismo, al filo-giudaismo ed al collegialismo da cui sembra affetto papa Bergoglio. Infatti l’essenziale è “sentire” soggettivamente qualcosa di vagamente e astrattamente “spirituale”, che non si identifica in nessuna dottrina di nessuna Chiesa o Religione positiva, ma emerge dal subconscio di ogni uomo, il quale sente il bisogno del “miracolistico”, come insegnano Kant (Critica della Ragion pura) e, sulla sua scia, il Modernismo filosofico (v. San Pio X, Enciclica Pascendi, 8 settembre 1907). In tal modo tutte le credenze religiose sono ridotte ad un principio unico: la soggettività della verità e la relatività di tutte le sue forme e quindi anche del dogma.
In questa ottica non vi sono più eresie, eretici, vera Religione e false religioni, Chiesa di Dio e sette, ma solo “fratelli apparentemente separati, ma sostanzialmente uniti”. Questo tipo di super-ecumenismo ha avuto il suo apice – praticato e non più solo teorizzato – negli incontri “interreligiosi” di Assisi (27 ottobre 1986- 2011).
Il “primato dell’azione” ultimo stadio del modernismo
Il modernismo demolisce tutta la religione cattolica e non solo qualche suo dogma, onde S. Pio X lo qualifica non un’eresia, ma “il compendio di tutte le eresie”. Esso infatti sostituisce l’opinione o l’arbitrio soggettivo del singolo all’autorità del magistero ecclesiastico e della gerarchia. Onde dall’agnosticismo teologico si passa all’ateismo o addirittura al nichilismo religioso (vedi “la teologia della morte di Dio”), con la conseguente abolizione di ogni religione positiva e specialmente di quella unica vera che è e rimane la cattolico-romana.
La gravità del modernismo sta soprattutto nella sua tattica: esso cerca di trasformare la Chiesa dall’interno e segretamente alterando pian piano la nozione stessa di religione, di Fede, di dogma e di verità oggettiva mediante l’ immanentismo o soggettivismo che è l’anima della filosofia moderna, la quale va da Cartesio (†1650) sino a Hegel (†1831) (vedi Padre Cornelio Fabro voce “Modernismo”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1952, vol. VIII, coll. 1188-1196).
P. Fabro fa notare che volutamente i modernisti hanno espresso raramente e in maniera sistematica i loro princìpi, per poter passare inosservati ed evitare condanne, in modo da trasformare la Chiesa dal suo interno. Essi preferiscono il metodo storicistico, che dà la preferenza allo studio della storia della Chiesa, dei dogmi e della Bibbia, al metodo teoretico (ivi, col. 1191), onde tra Rahner (teoretico) e Ratzinger (storicista) più intrinsecamente modernista è il secondo, anche se apparentemente più conservatore (“L’estremismo malattia infantile del modernismo”, parafrasando Lenin). Ed ora il primato della prassi di papa Bergoglio è ancora più avanzato della teoresi di papa Ratzinger. Questo primato dell’azione porterà –temiamo – a un super-ecumenismo ancora più avanzato di quello di Benedetto XVI, poiché non avrà nessuna remora dottrinale (neanche neomodernistica), ma si accontenterà inizialmente di agire assieme (anche con i “tradizionalisti”), per poi portare chi “agisce assieme” a “pensare assieme” in maniera modernistica, senza che all’inizio sia stato richiesto un assenso dottrinale alla “nuova teologia”.
Tale è il frutto della soggettivizzazione della Fede che ha trasformato la religione cristiana in una vaga religiosità immanentistica, antropocentrica e antropolatrica, che riduce ogni realtà ad istinto soggettivo, sulle orme della pseudo-riforma luterana.
Il Programma dei modernisti, risposta all’enciclica Pascendi, (2a ed., Torino, 1911, p. 127) asserisce di non rifiutare né la S. Scrittura né la Tradizione, ma solo l’ interpretazione o ‘ermeneutica’ scolastica e soprattutto tomistica di esse, poiché sorpassata dal soggettivismo della filosofia moderna. Onde, quando oggi si asserisce la “ermeneutica della continuità”, si è in sintonia col Programma dei modernisti e vale anche per questa “continuità”, asserita ma non dimostrata, il commento di p. Fabro[8] (ivi, col. 1195): «A nulla valgono le proteste di alcuni modernisti di accettare integralmente la dottrina cattolica, perché il modernismo ha nel ‘principio di immanenza vitale’ il veleno corrosivo non solo dell’essenza e delle verità di Fede, ma del valore oggettivo di qualsiasi verità assoluta di fatto e di ragione e ritorna al principio di Protagora che “l’uomo è misura di tutte le cose”».
Il modernismo, aderendo al soggettivismo, ha rigettato in blocco il sano realismo greco-cristiano, che ha per fondamento la distinzione dell’uomo dal mondo e da Dio e la distinzione dell’ordine naturale da quello soprannaturale, e con il sano realismo ha eliminato il valore logico ed ontologico dei princìpi primi per sé evidenti e con essi la sana logica ed ogni metafisica (C. Fabro, ivi, col. 1195). Tuttavia, col Fabro, dobbiamo concludere che «il modernismo, pur derivando per canali molteplici dal soggettivismo del pensiero moderno, non presenta alcuna consistenza teoretica perché non s’impegna [né vuole impegnarsi] a fondo con nessun sistema o filosofia determinata, così che si risolve in un fenomeno di ‘contaminazione teoretica’ e di superficiale concordismo» (ivi). L’importante è l’azione; questo è l’ultimo stadio dell’ immanentismo modernistico, che oggi sembra aver trovato in Francesco I il suo campione. Nel loro Programma i modernisti, pur riconoscendo di condividere la sfiducia di Kant nella ragione, affermavano che il loro atteggiamento era diverso perché spiegava ogni tipo di conoscenza, inclusa quella religiosa, in funzione dell’azione e quindi dell’esperienza soggettiva di ognuno nei vari campi; perciò nella sfera religiosa quel che conta è «l’influenza del divino che si compie nelle profondità più oscure della coscienza» e che – aggiungiamo noi con San Pio X – ogni credenza religiosa può vantare e nessuno può dimostrare falsa appunto perché soggettiva.
Di qui il "Nuovo Tempio Universale" che nascerà dall'unione o miscuglio di tutte le pratiche "religiose" e spirituali, compresa la "Chiesa dei poveri e "l'esperienza della Tradizione"[9] che si amalgama con tutte le altre "esperienze tradizioni e sentimenti religiosi".
(Continua nell'edizione cartacea...)
_____________________________________
[1] Condannato da Pio XII, con l’Enciclica Humani generis, 1950.
[2] Lo Spirito Santo nostra speranza, Alba, Paoline, 1975.
[3] Alcide De Gasperi, il fondatore della Democrazia Cristiana, in un discorso del 1944 citato il 15 agosto del 1975 dall’allora Segretario della DC Benigno Zaccagnini, paragonò Cristo a Marx in nome della comune origine israelitica, dell’ispirazione internazionalistica, del messianismo e dello spirito di rivolta contro lo Stato (cfr. Il Borghese, 3 settembre 1975).
[4] Condannato da San Pio X Enciclica Pascendi, 1907.
[5] M. Sordi, Il Cristianesimo e Roma, Bologna, Cappelli, 1965, p. 171.
[6] U. Benigni, Storia sociale della Chiesa, Milano, Vallardi, 1906, vol. I, pp. 32-33.
[7] G. Ebeling, Teologia e Annuncio, Roma, Città Nuova, 1972; W. Smet, Pentecostalismo cattolico, Brescia, Queriniana, 1975; R. Laurentin, Il movimento carismatico nella Chiesa cattolica, Brescia, Queriniana, 1976; F. Spadafora, Pentecostali & Testimoni di Geova, Rovigo, IPAG, V ed., 1980; E. Zoffoli, Verità sul Cammino Neocatecumenale, Udine, Il Segno, 1996; A. Castro Mayer, Carta pastoral sobre Cursillos de Cristiandad, San Paolo del Brasile, Vera Cruz, 1972.
[8] B. Gherardini, Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Editrice Mariana, 2009.
[9] Espressione poco felice, che si presta ad abbassare la Tradizione apostolica dogmatica, morale e liturgica, fonte della divina Rivelazione assieme alla Sacra Scrittura, al livello di "esperienza religiosa". Onde la verità non è più conformità dell'intelletto alla realtà oggettiva ("adequatio rei et intellectus"), ma adeguazione dell'intelletto alle esigenze mutevoli della vita umana (adequatio intellectus et vitae"), specialmente di quella sentimentale a scapito di quella raziocinativa e volitiva. Inoltre questa espressione rischia di mettere esotericamente sullo stesso piano la Tradizione divina con quelle spurie gnosticheggianti ed iniziatiche.
Perché Benedetto XVI viene definito un modernista?
RispondiEliminaL'ermeneutica della continuità non vuol dire forse negare che nelle intenzioni del CVII ci sia la rottura col passato?
E le azioni di BXVI in particolare sulla liturgia non indicano un amore e un'attenzione per la Tradizione?
grande mic ! non vedevo l'ora che lo pubblicassi! sottoscrivo ogni parola dell'articolo!
RispondiElimina"Come il Sessantotto ha cambiato la mentalità dell’uomo contemporaneo non tramite i libri, ma mediante la prassi, l’azione, la musica, la moda, la stampa rosa, così il neo-modernismo ha cambiato il cristiano contemporaneo tramite la Nuova Messa, il sentimentalismo che emana da essa, i nuovi ornamenti liturgici, le musichette sincopate, la nuova architettura delle chiese e la secolarizzazione dell’abito ecclesiastico, il rito faccia a faccia, il quale è più simile ad una “cena” che al Sacrificio della Croce. “Vale più la pratica [la Nuova Messa] che la grammatica [i Decreti conciliari]” recita il proverbio popolare. Marx avrebbe parlato del “primato della prassi sulla teoresi”."
RispondiEliminasecondo me questo e' uno degli aspetti piu' difficili da combattere. mentre a parole dicono cose ortodosse nella prassi fanno cose eretiche in nome di un fantomatico ecumenismo che non ha ragione di esistere . proprio come discutevamo ieri nei commenti al precedente articolo:"Tauran: “Dialogo interreligioso: non competitori ma pellegrini verso la verità”". e' una vera e propria tecnica posta in essere con astuzia. con un ben preciso scopo. e papa Francesco in questo mi sembra il campione. si predica il primato petrino e poi si pratica l'ecumenismo e il pneumatismo pragmatico dei protestanti. a me pare evidente, poiche' appunto come dicevamo ieri la prassi non coincide con le parole.
Caro Sebastian,
RispondiEliminaLa tua domanda merita attenzione.
Vado di corsa e non riesco a risponderti come vorrei. Ma lo farò al più presto.
@ Sebastian
RispondiEliminaE' sufficiente che tu legga con attenzione l'ultimo discorso fatto al clero da Benedetto XVI il 14 febbraio
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2013/february/documents/hf_ben-xvi_spe_20130214_clero-roma_it.html
Ma non intendo cavarmela solo così.
Ne riparleremo.
Mic, grazie.
RispondiEliminaHo letto il discorso, ma continuo a non capire...
Benedetto evidentemente parla in modo entusiasta del Concilio. Basta questo per considerarlo modernista?
In questo caso, bisognerebbe considerare tradizionalisti solo quelli che non accettano il CVII.
Però se non sbaglio la tua posizione è di accettazione del CVII, ma in continuità con la Tradizione e il Magistero. Che è poi quello che disse Benedetto, anche in questo discorso. Il problema sta nell'applicazione del concilio, non nel concilio in sé:
Vorrei adesso aggiungere ancora un terzo punto: c’era il Concilio dei Padri – il vero Concilio –, ma c’era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i media. Quindi il Concilio immediatamente efficiente arrivato al popolo, è stato quello dei media, non quello dei Padri.[...]
E così anche per la liturgia: non interessava la liturgia come atto della fede, ma come una cosa dove si fanno cose comprensibili, una cosa di attività della comunità, una cosa profana. E sappiamo che c’era una tendenza, che si fondava anche storicamente, a dire: La sacralità è una cosa pagana, eventualmente anche dell’Antico Testamento. Nel Nuovo vale solo che Cristo è morto fuori: cioè fuori dalle porte, cioè nel mondo profano. Sacralità quindi da terminare, profanità anche del culto: il culto non è culto, ma un atto dell’insieme, della partecipazione comune, e così anche partecipazione come attività. Queste traduzioni, banalizzazioni dell’idea del Concilio, sono state virulente nella prassi dell’applicazione della Riforma liturgica; esse erano nate in una visione del Concilio al di fuori della sua propria chiave, della fede.
Caro Sebastian, il discorso è lungo e complesso e mi stai dando lo spunto per un nuovo articolo che conto di elaborare al più presto.
RispondiEliminaIntanto, nel post successivo, ti trascrivo una precedente riflessione che riguarda proprio il punto da te evidenziato della Liturgia, perché si rende necessaria una premessa:
dal fondamentale discorso del 22 dicembre 2005 appare chiaramente che la "continuità" sostenuta e proclamata da Benedetto XVI è posta in contrapposizione della "rottura" di molte applicazioni conciliari, peraltro determinata dalle ambiguità di testi proprio grazie alle quali i novatori hanno avuto la meglio. E tuttavia la "continuità" da lui promossa ha cambiato di paradigma (il dato è 'sottile' e non immediatamente percepibile; ma ora decriptato - come sviluppo in questa premessa - e soprattutto verificato negli effetti ormai evidenti).
Benedetto, attribuendo la "ermeneutica della riforma" alla continuità del nuovo-soggetto chiesa anziché all'oggetto-rivelazione, attenua se non elimina l'autorità della tradizione preconciliare, perché di fatto attribuisce al termine Tradizione il concetto di 'vivente' in senso storicistico, che la vede legata alla mutevolezza delle situazioni contingenti legati ai cambiamenti dei tempi me dunque al divenire. Invece la Tradizione è 'viva' e in essa sta il VERO progresso, perché non è chiusa al nuovo, ma aperta alla novità delle nuove scoperte ed approfondimenti eodem sensu eademque sententia del dono mirabile ricevuto e custodito fedelmente, mentre il cosiddetto "progressismo" è aperto alle novità che troncano dalle radici e perdono la fecondità della linfa vitale che esse trasmettono. E non è certo ricordando questa -per noi- ovvietà che acquistano una maggiore commestibilità quelle parole del papa... Ho detto e sostenuto che il nodo è qui. Ed è un nodo molto difficile da sciogliere perché chi potrebbe farlo è della stessa risma ma con minore infarinatura tradizionale.
Cito: «...“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino », che vede il soggetto-Chiesa nel suo aspetto mutevole sostituire l'oggetto-Rivelazione da parte del Signore che è lo stesso ieri oggi e sempre, che la fonda.
"... La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime, che - come la Vergine Maria - accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo; offrono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell’Incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi e tutti i luoghi."
L'affermazione è sacrosanta. Ciò che può lasciarci meno tranquilli è la possibilità di accentuare il discorso sulla Chiesa in divenire... È ovvio che noi lo interpretiamo nel senso che il divenire riguarda ogni generazione e le espressioni dell'Incarnazione manifestate dalla Chiesa; ma non la sua identità e la sua essenza. Però, se lo rapportiamo al famoso unico soggetto-Chiesa messo al posto dell'oggetto-Rivelazione nell'altrettanto famoso discorso del 22 dicembre del 2005 sopra citato, le nostre perplessità non possono che aumentare. E constatiamo che mentre il Papa-uscente lo teorizza, il Papa-regnante sembra applicarlo direttamente.
E alla fine dobbiamo riconoscere che è comunque un parlare e un agire ambiguo, caratteristico di questa Chiesa post-conciliare... Dipende da chi e da come lo interpreta: il che non garantisce nessuno!
Sebastian, non é facile liquidare in due parole simili questioni. La figura del papa é complesssa e più di una volta appare contradditoria. A volte segue regionamenti pienamente ortodossi, altre introduce idee nuove, e già questo potrebbe essere un indizio, trattandosi di un modo di esporre e vedere le cose tipicamente modernista (come dissero papi preconciliari).
RispondiEliminaUn punto che se desideri potrebbe aiutarti é la lettura del sillabo, che, come sicuramente sai, contiene le asserzioni moderniste condannate dalla Chiesa fino al Concilio e la lettura che dà invece il cardinal Ratzinger del Concilio quando lo definisce un "antisillabo".
Già questo potrebbe aiutare a capire che fine ha fatto il modernismo all'interno della Chiesa e potrebbe spiegare
le molte giravolte fatte da molti prelati per cercare di salvare capra e cavoli (scusa l'espressione) cioè sostenere a parole i dogmi preconciliari e nello stesso tempo approvare la prassi postconciliare che non supporta gli stessi dogmi (o molto diluiti).
In questo senso la continuità che tu riprendi da papa Benedetto, non solo va declamata, va anche provata: e li iniziano i problemi.
Sicuramente però mic sarà più esauriente di me.
In questo caso, bisognerebbe considerare tradizionalisti solo quelli che non accettano il CVII.
RispondiEliminaEsatto:
Sui 60 docuemnti del Vat II, l'unico che non presenta punti (particolarmente) discutibili e/o malsonanti è quello che si occupa dei mezzi di comunicazione.
E, ora, veniamo al discorso sulla Liturgia, che è un elemento centrale, ma c'è dell'altro, che poi svilupperò.
RispondiEliminaA ben vedere Benedetto XVI, nonostante abbia fatto molti sforzi per sanare le banalizzazioni e ridare sacralità alla liturgia, non ha mai fatto nulla per riformare la sostanza del rito (la cosiddetta "riforma della riforma" è ben presto tramontata). La responsabilità diretta è di uomini di Curia come Cañizares, ad esempio, ma in realtà il restyling operato dal Papa uscente - strano e inedito appellativo! - non è mai andato oltre l'esteriorità. Un pontificato tutto sommato amletico sotto molti aspetti.
In ogni caso la riforma di Papa Benedetto non è mai andata nel senso del ritorno alla messa usus antiquior, che tuttavia egli ha provvidenzialmente liberalizzato sia pure senza promuoverla in alcun modo. Ci ha dato il Summorum, ma poi è arrivata la doccia fredda dell'Universae, senza contare la generalizzata avversione dei vescovi, peraltro mai corretta in itinere. Del resto è noto come ritenesse incoerente chiamarla "Messa Tridentina", cosa che considerava incongrua perché convinto che la liturgia dovesse evolversi; il che è ovvio, ma organicamente e non attraverso stravolgimenti come quello operato da Paolo VI.
Il problema è che Benedetto, mentre affermava che non dovesse esserci né rottura né fissismo, poiché però anche la liturgia è "vivente", non aveva un grande attaccamento alla liturgia tradizionale e ciò proprio perché quel "vivente" è purtroppo da lui inteso in senso storicistico.
Ne è riprova come ne parla nell'ultimo discorso ai sacerdoti del 14 febbraio, nel quale ci lascia parole sulla Messa antica fin troppo simili ai peggiori pregiudizi che cozzano con la dottrina, la teologia e la fede viva anche attuale legate alla liturgia tradizionale e non trovano riscontro nella mia esperienza (preconciliare e non soggettiva) della liturgia!
E forse spiegano come mai non ha mai visitato la Parrocchia personale o non ha mai presenziato (non c'era bisogno che il Papa celebrasse!) ad una messa usus antiquior... Pensavamo per non incorrere negli strali del modernisti; ma dopo quelle parole, che peraltro cozzano con alcune affermazioni dei suoi libri, le nostre illusioni sono cadute!
"...Dopo la Prima Guerra Mondiale, era cresciuto, proprio nell’Europa centrale e occidentale, il movimento liturgico, una riscoperta della ricchezza e profondità della liturgia, che era finora quasi chiusa nel Messale Romano del sacerdote, mentre la gente pregava con propri libri di preghiera, i quali erano fatti secondo il cuore della gente, così che si cercava di tradurre i contenuti alti, il linguaggio alto, della liturgia classica in parole più emozionali, più vicine al cuore del popolo. Ma erano quasi due liturgie parallele: il sacerdote con i chierichetti, che celebrava la Messa secondo il Messale, ed i laici, che pregavano, nella Messa, con i loro libri di preghiera, insieme, sapendo sostanzialmente che cosa si realizzava sull’altare. Ma ora era stata riscoperta proprio la bellezza, la profondità, la ricchezza storica, umana, spirituale del Messale e la necessità che non solo un rappresentante del popolo, un piccolo chierichetto, dicesse “Et cum spiritu tuo” eccetera, ma che fosse realmente un dialogo tra sacerdote e popolo, che realmente la liturgia dell’altare e la liturgia del popolo fosse un’unica liturgia, una partecipazione attiva, che le ricchezze arrivassero al popolo; e così si è riscoperta, rinnovata la liturgia... (Discorso ai Sacerdoti romani 14 febbraio 2013)
... segue
RispondiEliminaA questo punto, mentre occorre sgombrare ogni equivoco sull'actuosa participatio, fatta passare per una scoperta del concilio, ci sono molti che la Santa e Divina Liturgia Romana non l'hanno mai abbandonata e non solo grazie alla Fraternità di San Pio X. Per quanto mi riguarda, l'ho ritrovata nel 2007 con grande commozione e gioia spirituale; ma dentro di me vivevo il NO con lo spirito precedente, ricevuto nella Chiesa e non dai "libri devozionali", che - non so in Germania - ma io non ho mai visto usare durante la messa: ho ancora il mio bel messale degli anni '60! E, finalmente, sono riuscita a dare un nome ai miei disagi e alla mia sofferenza, sfociati nell'approfondimento e nello sviluppo dei temi riguardanti la questione liturgica a 50 anni dal Concilio in un piccolo saggio che sarà pubblicato tra breve.
E dunque possiamo concludere che Benedetto XVI denunciava gli abusi e le innovazioni arbitrarie, ma di fatto era orientato ad una evoluzione progressiva e, mentre proclamava la continuità, di fatto praticava la rottura.
Ed ora? Qualche notazione sull'impatto iniziale col nuovo pontificato. Chi intende celebrare il Santo Sacrificio non dovrebbe porsi il problema della 'povertà' delle casule e se l'altare è ad populum o ad Deum. Di fatto il nuovo Papa in poche ore sembra aver travolto 8 anni di pontificato di Papa Benedetto e ci mostra un "pauperismo" che non ha nulla a che fare con la sobrietà: anche la "povertà" francescana ammette la "Bellezza" e la cura degli arredi Liturgici che rispecchiano la Bellezza del Creatore e gli danno il rispetto e l'onore che gli sono dovuti, che 'passano' attraverso la cura delle 'forme' nell'interiorizzazione da parte dei fedeli. Mentre la sciatteria non fa altro che perpetuare banalizzazione e desacralizzazione.
Abbiamo avuto un primo esempio con l'altare posticcio alla Sistina, che Benedetto aveva rimosso. Gli altri esempi sono ormai cronaca quotidiana. Semplici ma non innocui gesti che stravolgono tutta l'azione di recupero sugli adeguamenti liturgici. Se prima potevamo fare affidamento e richiamarci almeno all'esempio del Papa, oggi non è più così e ne prenderanno atto con rafforzata iconoclastia centinaia di Vescovi e sacerdoti che non hanno seguito la testimonianza di Benedetto XVI e che anzi ne hanno snobbato gli insegnamenti.
Dunque, al momento il mio timore è che il nuovo corso impresso alla liturgia rientri in una visione monca, che ritiene valida la Tradizione biblica ed accessoria quella dei secoli trascorsi, con conseguente relativizzazione anche della liturgia e una concezione del cristianesimo fortemente antropocentrica espressa dalla malcelata avversione verso la pietà (che non è devozionismo) tradizionale. Finché queste visuali distorte circolano in laici ignoranti o in qualche vescovo ideologizzato, ci si può anche non allarmare. Ma diventa grave se sono portate avanti da chi riveste una maggiore responsabilità; il che rischia di distruggere quanto ancora rimane.
Quanto, poi, alla distinzione tra il concilio mediatico e quello reale:
RispondiEliminaVorrei adesso aggiungere ancora un terzo punto: c’era il Concilio dei Padri – il vero Concilio –, ma c’era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i media. Quindi il Concilio immediatamente efficiente arrivato al popolo, è stato quello dei media, non quello dei Padri.[...]
c'è solo da chiedersi: chi è che ha applicato il Concilio, i media o i novatori che ne sono stati protagonisti e stanno ancora portando avanti la cultura egemone?
Certo, anche oggi vediamo come attraverso i media 'passano' esclusivamente le accentuazioni progressiste (lo abbiamo ampiamente visto analizzando il fenomeno nei confronti del papa attuale); ma poi sempre più de facto, se non de iure (ed è questo il grande inganno), quelli che continuiamo a vedere applicati sono proprio gli aspetti deteriori del concilio...
In questo caso, bisognerebbe considerare tradizionalisti solo quelli che non accettano il CVII.
RispondiEliminaEsatto:
Sui 60 docuemnti del Vat II, l'unico che non presenta punti (particolarmente) discutibili e/o malsonanti è quello che si occupa dei mezzi di comunicazione.
Pur condividendo la consapevolezza che i documenti conciliari sono disseminati di ambiguità e di elementi di "rottura", mi trovo più in consonanza con la posizione di mons. Schneider, nonché con quella di Papa Benedetto, su una "lettura di continuità" che è possibile, se
correttamente applicata non in senso storicistico, bonificando e chiarendo in maniera autoritativamente definitoria i punti controversi.
Il problema è che sia il linguaggio che ogni intendimento definitorio, attualmente sembrano aver raggiunto livelli di quasi non-ritorno. Siamo all'agire senza più teoresi, all'enfasi della prassi senza le dovute spiegazioni.
Il passare del tempo sta inesorabilmente aumentando lo iato generazionale, come già ripetutamente denunciato.
Ciò non toglie che la Tradizione continua ad essere custodita e diffusa in contesti minoritari ma vivi e sappiamo per fede che giorno verrà che la verità potrà essere ripareggiata.
sulla pietà popolare papa Francesco ha detto ieri parole molto belle, una doccia fredda sui novatori degli anni '70.
RispondiEliminaAmletico Benedetto----amletico Francesco. Poveretti....figli entrambi di questo secolo, figli entrambi dell'ambiguità conciliare.
Forse vi ho stancao, nel ripostare sempre queste mie righe.
RispondiEliminaFatmelo sapere. In tal caso vorrà dire che le manderò altrove:
----- Original Message -----
From:
To
Sent: Thursday, October 11, 2012 11:33 AM
Subject: Il mio modesto contributo alla commemorazione dei 50 del Vaticano
II più una novella su un possibile mondo senza il Vat.II
Ovvero: REPETITA JUVANT
L'unica lettura del Vaticano II, alla luce della tradizionE è quella che
potrebbe informare ed essere alla base di un ipotetico pronunciamento
dell'ex Sant'uffizio, più o meno così articolato:
"SACRA SUPREMA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE"
Con la presente sentenza e decreto, che riveste la stessa, precisa, identica
importanza e cocenza delle sentenze della Sacra Rota, pertanto è necessario
che ciò che si sentenzia sia da tutti accolto e ritenuto, si porta a
conoscenza, in modo PUBBLICO, UFFICIALE & SOLENNE, del popolo cristiano che
TUTTI, SINGOLI & CIASCUNO gli atti ed i documenti del Concilio Vaticano II,
sono da considersi dei puri, semplici e meri elenchi di CONSIGLI (buona
parte dei quali, alla prova dei fatti, si sono rivelati essere anche
consigli SBAGLIATI).
Tutti coloro che daranno ad essi atti e documenti e, a maggior ragione, a
quelli successivi, che si presentino come presunte attuazioni degli stessi,
valore diverso da quello, appunto, di puri, semplici e meri elenchi di
consigli, sappiano di essere caduti vittime di un ERRORE CAPITALE, contrario
alla mente della Chiesa, nonché alla volontà esplicita del Concilio stesso.
[..] Non c'è
arrampicata sugli specchi che possa smentire i FATTI.
Ciò che potete leggere al link che segue, sono delle mie idee su :"Un mondo
senza Vaticano II"
http://www.fmboschetto.it/Utopiaucronia/PioXIII.htm
DIO ci benedica
vostro
UomochenonfuMAI
Ritengo utile una precisazione, riguardo alla liturgia preconciliare.
RispondiEliminaE' ovvio che, pur in presenza di una 'forma' mirabile del Rito, potessero essere presenti aspetti di celebrazioni che presentavano elementi di trascuratezza sia da parte di alcuni celebranti che di alcuni fedeli. Credo che sia un problema di ogni generazione e non riguardi l'essenza del rito, anche se di per sé il NO presenta, invece, già intrinsecamente elementi di banalizzazione e di desacralizzazione.
È missione altissima dei Sacerdoti, come fedeli dispensatori dei misteri divini, guidare le persone alla piena consapevolezza ed attiva partecipazione interiore ed esteriore, perché nella liturgia Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia e realizza ancora il Vangelo.
Ed è compito di ogni generazione e di ogni fedele accoglierne e viverne il senso profondo e unico.
Non per fare il bastian contrario, ma non posso concordare con il giudizio laudatorio a favore del DC "inter mirifica". Proprio negli anni del Concilio, infatti, il maggior esperto mondiale di media e comunicazione di massa, "incidentalmente" cattolico a 36 carati, Marshal McLuhan, diceva l'esatto contrario di quanto semplicisticamente viene affermato in tal documento, e lo diceva pour cause.
RispondiEliminaOggi nessuno è più disposto a considerare neutri i mezzi di comunicazione di massa e moralmente rilevante solo il loro utilizzo, si è capito rapidamente come essi siano tutt'altro che indifferenti ai contenuti che veicolano. Non arriverò a dire che siano intrinsece mala, ma certo neppure neutri, come appunto pretende il DC di cui parliamo. Di fatto i direttori spirituali più avveduti sconsigliano non solo la visione, ma proprio il possesso dei televisori, e per esperienza personale posso testimoniare l'efficacia di tali suggerimenti.
Mi astengo dal giudizio sugli altri documenti conciliari, ma quello su IM non può essere positivo, come minimo si è presa una cantonata colossale, che peraltro ha avuto effetti gravi. Si pensi anche solo al taglio "mediatico" dato a tutto il Concilio e ciò che da quel taglio è derivato (anche qui se ne è parlato spesso con cognizione di causa), lo si confronti con le idee naiv e superficiali esposte in IM e si avrà oltre che il quadro di una situazione certo non esaltante anche una raffigurazione non imprecisa della mens conciliare.
Un saluto a tutti
Mi vengono chiesti chiarimenti sui motivi dell'affermazione: "Ci ha dato il Summorum, ma poi è arrivata la doccia fredda dell'Universae "
RispondiEliminaVorrei ricordare che alcune perplessità sulla Universae Ecclesiae, la Istruzione che ha seguito il Summorum Pontificum, da tutti attesa nella speranza di vedervi contenuti dei correttivi efficaci ai diffusi ostracismi all'applicazione del motu proprio da parte di vescovi e sacerdoti, le abbiamo già espresse qui:
http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2011/11/universae-ecclesiae-osservazioni-sulle.html
Mi astengo dal giudizio sugli altri documenti conciliari, ma quello su IM non può essere positivo, come minimo si è presa una cantonata colossale
RispondiEliminaGrazie, Giampaolo, e ben ritrovato!
le tue validissime osservazioni chiamano in causa l'attenzione che abbiamo già data al falso e al giusto ottimismo, conseguente a quest'altra esternazione contenuta in una Lectio di Benedetto XVI dell'8 febbraio.
«...Quindi, abbiamo motivo di non lasciarci impressionare - come ha detto Papa Giovanni - dai profeti di sventura, che dicono: la Chiesa, bene, è un albero venuto dal grano di senape, cresciuto in due millenni, adesso ha il tempo dietro di sé, adesso è il tempo in cui muore”. No. La Chiesa si rinnova sempre, rinasce sempre. Il futuro è nostro. Naturalmente, c’è un falso ottimismo e un falso pessimismo. Un falso pessimismo che dice: il tempo del cristianesimo è finito. No: comincia di nuovo! Il falso ottimismo era quello dopo il Concilio, quando i conventi chiudevano, i seminari chiudevano, e dicevano: ma … niente, va tutto bene … No! Non va tutto bene. Ci sono anche cadute gravi, pericolose, e dobbiamo riconoscere con sano realismo che così non va, non va dove si fanno cose sbagliate. Ma anche essere sicuri, allo stesso tempo, che se qua e là la Chiesa muore a causa dei peccati degli uomini, a causa della loro non credenza, nello stesso tempo, nasce di nuovo. Il futuro è realmente di Dio: questa è la grande certezza della nostra vita, il grande, vero ottimismo che sappiamo. La Chiesa è l’albero di Dio che vive in eterno e porta in sé l’eternità e la vera eredità: la vita eterna ».
Ormai è fin troppo chiaro che dopo il concilio l'accento è stato posto sul falso ottimismo, conseguente a quell' ottimismo a priori da cui è partito il Concilio (proprio da quell'iniziale trionfalistico "Gaudet Mater Ecclesia!"), che dava per scontata la positività delle aspirazioni dell'uomo contemporaneo.
Ne è conseguita la nefasta sottovalutazione dei problemi concreti presenti nella Chiesa e nel mondo, dovuta a insufficiente approfondimento della realtà con cui si entrava in relazione [vedi anche recenti critiche di Benedetto alla Gaudium et Spes e le nostre].
Un ottimismo a priori, che ha indotto tra l'altro le derive antropocentriche e che già cinquant'anni fa è risultato da un preciso atto di volontà. (B. Dumont, Il conflitto irrisolto).
Il problema nasce quando quelle che Benedetto chiama "cose sbagliate" non vengono riconosciute e non viene loro dato il giusto nome e non vengono corrette. La Chiesa rinasce sempre di nuovo ad opera del Signore, ma non è un automatismo che non ci coinvolge responsabilmente: è una Grazia che precede accompagna e consolida il nostro impegno. Ma poi, se non assecondata, potrà anche arrivare il momento in cui « se questi taceranno, parleranno le pietre! » (Lc 19,40) E dicendo "questi" il Signore si riferisce apertamente ai suoi discepoli!
Di quella Lectio di Benedetto XVI parlavamo qui
RispondiEliminahttp://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2013/02/risonanze-sulla-lectio-divina-di.html
Credo sia importante ripercorrerla per intero.
Ci sono diversi spunti di riflessione e diversi "indizi" di "modernismo" che, a noi illusi e quindi delusi, è apparso temperato da uno stile (e anche da altri elementi presenti in alcuni scritti e diverse omelie) ancora tradizionale.
Mi viene in mente la formula coniata da Juan: tradizionale nella 'forma' e novatore nella 'sostanza'.
"E alla fine dobbiamo riconoscere che è comunque un parlare e un agire ambiguo, caratteristico di questa Chiesa post-conciliare... Dipende da chi e da come lo interpreta: il che non garantisce nessuno!"
RispondiEliminastravero.... e io che sono cattivo e penso sempre male aggiungo che il parlare ambiguo e' voluto! i sacerdoti sanno come parlare chiaramente....ma non lo fanno.
cara (se posso permettermi, perchè ormai ti sento come amica)mic, anche io sono illuso e deluso... ancora ricordo l'irriverente titolo dell'unita(o manifesto, non ricordo se una o l'altra testata) :"pastore tedesco"... era evidente la paura sarcastica dei lupi che temono un guardiano pronto a combattere per le pecore che gli sono affidate, e questo mi fece ben sperare. e ti confesso che ancora non ho capito Benedetto16. non ho capito la sua rinuncia e per questo mi sono limitato a prenderla cosi come e'.non ho il discernimento per farlo. ho sempre il dubbio che dietro la sua rinuncia ci sia molto di piu'. credo anzi ancora che Benedetto 16 sia stato legato al concilio vat2 , ma che col tempo abbia maturato altro nel suo cuore, perche animato dalla buona fede che stento ad attribuire a molti prelati. buona fede che spinge a rivedere se stessi e non la Parola di Dio. credo che nel tempo si sia reso conto che forse alcune sue posizioni fossero dettate piu' dall'amor proprio verso la sua umana sapienza, e non divina ispirazione. e se fosse che, maturate certe "nuove"convinzioni rispetto alle sue precedenti posizioni, abbia fatto questa scelta, per essere il pastore di chi nutra seri e motivati dubbi sul cv2? se avesse lasciato che i comandanti in seconda si ammutinassero per riprendere il comando al momento opportuno? poteva andare a vivere dove voleva, ma ha scelto di tornare in vaticano e questo è un fatto se non anche un segno; quale re che sedesse sul trono accetterebbe nel palazzo il re che ha appena abdicato?se papa Francesco 1 dovesse sentire la presenza del vescovo emerito troppo ingombrante e gli dovesse chiedere gentilmente di allontanarsi? e se Benedetto non dovesse ascoltare l'invito , come andrebbe letto il fatto? chi dovrebbe ubbidire a chi? e noi a chi dovremmo ubbidire? chi non si sente almeno un poco turbato mi permetto di dire che forse non ha capito bene la gravita' situazione. in fondo noi possiamo avere una visione delle cose da buco della serratura che solo la grazia può illuminare.
RispondiElimina
RispondiEliminahttp://romualdica.blogspot.it/2013/04/la-relazione-indissolubile-tra-la.html
Al di là dell'essere o meno "ratzingeriani", queste cose ci mancheranno ...
Al di là dell'essere o meno "ratzingeriani", queste cose ci mancheranno ...
RispondiEliminaNon ci mancheranno, ci mancano...
Grazie Mic per le tue precise risposte. Credo di iniziare a capire il vostro punto di vista (tuo e di altri che intervengono su questo blog).
RispondiEliminaUn'altra cosa. Tu dici:
Benedetto, attribuendo la "ermeneutica della riforma" alla continuità del nuovo-soggetto chiesa anziché all'oggetto-rivelazione, attenua se non elimina l'autorità della tradizione preconciliare, perché di fatto attribuisce al termine Tradizione il concetto di 'vivente' in senso storicistico, che la vede legata alla mutevolezza delle situazioni contingenti legati ai cambiamenti dei tempi me dunque al divenire. Invece la Tradizione è 'viva' e in essa sta il VERO progresso, perché non è chiusa al nuovo, ma aperta alla novità delle nuove scoperte ed approfondimenti eodem sensu eademque sententia del dono mirabile ricevuto e custodito fedelmente, mentre il cosiddetto "progressismo" è aperto alle novità che troncano dalle radici e perdono la fecondità della linfa vitale che esse trasmettono.
Dunque l'attribuire questa continuità alla Chiesa come soggetto, piuttosto che alla Rivelazione come oggetto, significa mutare la sostanza (l'oggetto-rivelazione), mantenendo costante la forma (il soggetto-chiesa)... Ho capito male?
E' questo che intendi per visione storicistica della vitalità della Tradizione?
Caro Sebastian,
RispondiEliminadobbiamo preliminarmente intenderci sul senso proprio (che ora sembra cambiato) del termine Tradizione.
Preciso che la mia fonte sono gli insegnamenti di Mons. Gherardini: illustre esponente della Scuola Romana, monda non dagli insegnamenti del Concilio, ma dagli afflussi renani nel Tevere portati dallo stesso.
Ebbene, la Tradizione (dal latino tradere/traditio) indica sia l'atto/fatto del trasmettere sia il contenuto trasmesso.
Deriva direttamente dall'uso ebraico delle "spiegazioni dei maestri sull'interpretazione e l'applicazione della Torah". Implica un processo e la tecnica del maestro che trasmette/consegna (masar) - del discepolo che riceve (qabbel-da cui qabbala) - ciò che a sua volta dovrà ritramettere fedelmente (shanah=ripetere-trasferire).
Ora, il contenuto non può essere fedelmente trasmesso se si introducono nova cioè "cose nuove" che lo adulterano, ma lo è soltanto se si interviene nove, cioè spiegando e interpretando "in modo nuovo", più ricco o più comprensibile o più aggiornato, ciò che è già dato interamente. Dunque il contenuto non può essere cambiato, ma solo esplicitato : "lo Spirito vi ricorderà quod et tradidi vobis: tutto quello che vi ho insegnato" (ed è questa l'opera del Magistero, che implica anche l'Autorità derivante dalla Successione Apostolica).
Ora, se tu all'oggetto-Rivelazione e quindi al contenuto-immutabile (perché dato dal Rivelatore/Rivelazione insieme, cioè il Signore che "è lo stesso ieri, oggi, sempre"), sostituisci il soggetto-Chiesa-in-perpetuo-divenire, capisci bene che hai ribaltato il concetto di Tradizione e lo hai reso mutevole in senso storicistico e dunque, come si usa dire da 50 anni, "vivente" non perché reca in sé la Vita e la fecondità di Chi ce lo ha consegnato e affidato, ma nel senso storicistico di "mutevole" secondo le esigenze dei tempi e quindi soggetto al divenire della storia.
E' questo che avviene se la continuità viene posta (discorso del 22 dicembre 2005) "nella riforma: rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa" e non nell'oggetto-Rivelazione.
E mi viene in mente ora che
in questo modo si corre il rischio di identificare la Chiesa - che è l'organo di trasmissione - con l'Origine, che è il Signore che l'ha costituita l'anima e la sostiene, ma resta il Signore... E la stessa parola "riforma" ti dice quanta componente di mutevolezza ci sia in questa dizione. Tenendo conto che, se le parole hanno ancora un valore, "riforma" è una cosa, "aggiornamento" è un'altra, perché il termine "rinnovamento" (di per sé accettabile) vien usato per spiegare cos'è la "ermeneutica della riforma"...
E' sottile, ma ingannevole, secondo me.
.. segue
RispondiEliminaOra c'è un altro dato che proviene dal discorso di congedo del Papa uscente ai sacerdoti. Egli ha detto:
"... La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime, che - come la Vergine Maria - accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo; offrono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell’Incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi e tutti i luoghi."
L'affermazione è sacrosanta. Ciò che può lasciarci meno tranquilli è la possibilità di accentuare il discorso sulla Chiesa in divenire... È ovvio che noi lo interpretiamo nel senso che il divenire riguarda ogni generazione e le espressioni dell'Incarnazione manifestate dalla Chiesa; ma non la sua identità e la sua essenza. Però, se lo rapportiamo al famoso unico soggetto-Chiesa messo al posto dell'oggetto-Rivelazione nell'altrettanto famoso discorso del 22 dicembre del 2005 sopra citato, le nostre perplessità non possono che aumentare. E constatiamo che mentre il Papa-uscente lo teorizza, il Papa-regnante sembra applicarlo direttamente.
Torno a ripetere che alla fine dobbiamo riconoscere che è comunque un parlare e un agire ambiguo, caratteristico di questa Chiesa post-conciliare... Dipende da chi e da come lo interpreta: il che non garantisce nessuno!
Grazie, ora mi è più chiaro.
RispondiEliminaSono felice se sono riuscita a chiarire e ti sono molto grata per avermelo detto :)
RispondiElimina