Pubblico il seguente testo di Mons. Vincenzo Paglia ripreso dal blog di Costanza Miriano, premettendo una semplice annotazione. Capisco che il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, rivolgendosi ad una giornalista laica e di parte, fondi le sue argomentazioni su dati scientifici e su una massima di Cicerone. Penso però che un pastore non possa non richiamarsi alla legge naturale inscritta dal Creatore nell’ordine mirabile della creazione. “Maschio e femmina li creò” e dunque non possiamo abolire il genere e introdurre un tipo di società che sovverte il diritto naturale per crearne uno arbitrario.
Se non si vuole riconoscere che l’uomo è ordinato al suo Creatore, che almeno lo affermi la Chiesa forte e chiaro nella persona di un suo pastore.
Dalla parte dei legami forti
di mons. Vincenzo Paglia
Mi permetto di entrare nelle riflessioni proposte dalla Saraceno in merito al matrimonio (“Famiglie arcobaleno tra diritti e doveri”) esposte (sabato 17 maggio) su La Repubblica. L’intero discorso della Saraceno, anche se non ricorre apertamente a questa formulazione, mi pare si fondi sull’idea che il matrimonio e la filiazione siano dei diritti, a cui devono accedere tutti: il matrimonio e la filiazione per gli omosessuali, quindi costituirebbe solamente un allargamento dei diritti a una minoranza sfavorita. Per fare questo, deve ridurre il matrimonio, o meglio come lei dice il matrimonio oggi, alla “scelta libera di due persone di mettere in atto una vita in comune, basata sulla solidarietà reciproca e sull’affetto”.
Quello che lei definisce è senza dubbio un legame positivo fra le persone, ma il matrimonio è un’altra cosa. Il matrimonio, infatti, è l’istituzione preposta a regolare il rapporto fra le generazioni, ed è fondata quindi sulla differenza fertile fra i due contraenti, la donna e l’uomo. Cioè sulla relazione generatrice fra due categorie di individui non equivalenti e non intercambiabili: le donne e gli uomini. Dall’unione matrimoniale ha origine una nuova rete parentale, fondata sulla sfera giuridica che nasce dai legami naturali tra ascendenti e discendenti, come ha dichiarato Claude Levi-Strauss a Tokyo nel 1986, “i legami biologici forniscono il modello sul quale sono costruiti i legami di parentela”. E’ davvero così saggio cancellare tutto questo?
Cancellare questa istituzione, infatti, sostituendola ad un legame debole e legato alla sola volontà di reciprocità dei contraenti – quello che descrive Saraceno – costituisce una vera e propria rivoluzione antropologica delle nostre società. Significa non trasmettere alle generazioni che ci seguono il nostro modello antropologico, significa un’interruzione grave della trasmissione culturale.
Si può ben comprendere, quindi, come questo cambiamento susciti tanti timori, dia origine a tante riflessioni e a interessanti esami multidisciplinari dei legami intergenerazionali e intersessuali. Si può ben capire, allora, come un processo simile possa richiedere molto tempo. Mettere fretta al legislatore, invocando quello che è già avvenuto in altri paesi, non è un argomento convincente. Semmai è pericoloso. E’ di poche settimane fa del resto – e in parte è ancora in corso – l’aspra polemica che ha diviso la Francia sulla legittimazione dei matrimoni e della filiazione degli omosessuali: non si può certo considerare marginale un dissenso che ha coinvolto circa la metà dei francesi, e che ha visto alzarsi contro la nuova legge molti voci laiche, non poche volte anche di militanti dello stesso partito di Hollande.
Proprio al centro di questo dibattito è stato il problema dei bambini a venire, cioè delle future generazioni, che non possono manifestare, né essere ascoltate. Abbiamo il diritto di farli vivere in una situazione per forza di cose falsa – nessun bambino ha due mamme o due papà – anche se si fa ricorso alle tecniche di procreazione assistita? Pure in laboratorio la partecipazione dei due sessi è necessaria, e anche se può essere rimpiazzata da materiali e corpi anonimi non viene cancellata la differenza costitutiva nella generazione.
Non è un caso, infatti, che il matrimonio omosessuale richieda una manipolazione del linguaggio per negare la differenza fra padre e madre, richieda di scrivere nello stato civile delle menzogne – cioè che un bambino ha due madri o due padri – di cui tutti possono cogliere la falsità. Molte voci di psicanalisti si sono levate per denunciare il pericolo di questa corruzione del linguaggio, in cui alle parole non corrisponde più la realtà, nella formazione delle nuove generazioni, soprattutto ovviamente nei figli delle famiglie “arcobaleno”. A fronte di alcune inchieste che negano qualsiasi tipo di danno per i bambini allevati in famiglie omosessuali – che ovviamente sono ancora lavori di breve periodo, dato che l’esperienza di questi bambini costituisce una novità – molti sono gli accorati appelli di psicanalisti e antropologi che indicano i danni di questa scelta per le future generazioni. E non basta certo spostare le ragioni del disagio all’esterno, all’omofobia della società: la differenza fra chi è figlio di una donna e un uomo e chi non viene accettato come figlio della differenza sessuale ci sarà sempre e non ha niente a che fare con l’omofobia, ma con la realtà.
Ricorrere alla minaccia dell’omofobia per far accettare il matrimonio omosessuale non mi pare possa reggere: è evidente che è possibile battersi per la dignità di ogni tipo di legame affettivo e sessuale senza dover sostenere il matrimonio, che è un legame molto diverso dalla semplice convivenza fra due persone solidali. Come del resto sostengono anche molti omosessuali, che non aderiscono alle richieste di matrimonio e filiazione.
Possiamo quindi domandarci come mai, in un momento in cui le nostre società sono scosse dagli effetti di una gravissima crisi economica ma anche sociale e culturale, si voglia fare una così forte pressione per il matrimonio da parte della minoranza di una minoranza. Ogni attenzione alle minoranze è indubbiamente più che meritoria, soprattutto se patisce discriminazioni, ma se questo significa rivoluzionare la nostra società e la nostra cultura, credo che bisogna almeno lasciare il tempo di riflettere bene, e di discutere presentando le ragioni contrarie, senza ricevere l’accusa di essere ciechi conservatori o, peggio, degli omofobi. A mio avviso, in ogni caso, quel che è da auspicare è una famiglia (madre-padre-figli), anch’essa non isolata, ma inserita in una società che la sappia accogliere e accompagnare.
Per questo mi pare saggio citare ancora Cicerone che definiva la famiglia: “principium urbis et quasi seminarium rei pubblicae”. La sapienza cristiana, assieme alla tradizione umanistica, hanno accolto e arricchito tale antica sapienza giuridica. E le famiglie così costituite sono a tutt’oggi la risorsa più preziosa delle nostre società.
VINCENZO PAGLIA presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia
fonte: Avvenire
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Mercoledì 29 maggio, domani, alle 17 al Pontificio Consiglio per la Famiglia – piazza San Calisto 16 – parteciperò a un seminario sull’educazione, parlando della ricchezza della differenza tra padre e madre (ingresso libero). Ci saranno tra gli altri monsignor Paglia e Claudio Risè. Sarò al tavolo con un collega molto molto più illustre di me, Giuliano Ferrara, sempre geniale anche quando discutibile. Un po’ come se l’allenatore del Ponte Vecchio Calcio e Zeman venissero interpellati insieme.
Costanza Miriano
Il Paglia...(ccio) avrà ascoltato il santo padre stamattina?
RispondiElimina“Pensate a Madre Teresa: cosa dice lo spirito del mondo di Madre Teresa? ‘Ah, la Beata Teresa è una bella donna, ha fatto tante belle cose per gli altri…’. Lo spirito del mondo mai dice che la Beata Teresa, tutti i giorni, tante ore, era in adorazione… Mai! Riduce al fare bene sociale l’attività cristiana. Come se l’esistenza cristiana fosse una vernice, una patina di cristianesimo. L’annunzio di Gesù non è una patina: l’annunzio di Gesù va alle ossa, al cuore, va dentro e ci cambia. E questo non lo tollera lo spirito del mondo, non lo tollera e per questo vengono le persecuzioni”.