Quello dell’oblio del canto gregoriano dal Novus Ordo («Come cantare i canti del Signore in terra straniera?», Sal 136, è ormai, realtà!) è un problema oggettivo che, date alcune velate e sottaciute ambiguità, deve essere inquadrato con l’ausilio di qualche nozione tecnica.
Innanzitutto il canto gregoriano non è solamente canto. La vera natura del canto gregoriano è esegetica prima ancora che musicale: la totale consustanzialità tra parola e neuma, la dipendenza dell’andamento musicale-ritmico dal senso esegetico che di quel testo si vuol dare, gli espedienti retorici, dei quali la composizione gregoriana si serve, sottolineano, per mezzo del fenomeno sonoro, un preciso significato che, in definitiva, corrisponde ad una precisa interpretazione scritturale. Questo è il senso di quel bagaglio di segni (i neumi) che accompagnano i testi nei manoscritti. Se vogliamo, il gregoriano è lectio divina in musica: è per questo che la Chiesa l’ha sempre additato come “proprio”. È il canto della Chiesa perché della Chiesa è l’interpretazione delle Scritture.
Il discorso è un tantino tecnico. Cercherò, per questo, di fornire un esempio. Spero di chiarire meglio…
Prendiamo il communio della II domenica di Pasqua “Mitte manum” nel quale si riportano le parole che Gesù rivolse all’incredulo per antonomasia, san Tommaso: «Mitte manum tuam et cognosce loca clavorum, alleluia. Et noli esse incredulus sed fidelis, alleluia, alleluia» (“Metti la tua mano e senti il segno dei chiodi, alleluia. E non essere incredulo, ma credente, alleluia, alleluia”). Un brano musicalmente molto semplice che, però, inizia subito con tre termini molto forti e ognuno dei quali risulta, a suo modo, sottolineato dall’andamento ritmico. «Mitte», metti: è l’invito che Gesù rivolge a Tommaso, è l’azione grazie alla quale l’apostolo incredulo può credere, è la porta, per Tommaso, della fede e viene rimarcata con un forte stacco alla prima nota. «Manum», la seconda parola, è lo strumento con cui Tommaso approda alla fede: una grande liquescenza sulla seconda sillaba (-num) ingrandisce il termine e lo sottolinea unendolo a quello che segue. «Tuam», metti la tua mano: è l’invito che Gesù, oggi, rivolge all’incredulo Tommaso che c’è in ciascuno di noi. Sulla seconda sillaba di «tuam» c’è un neuma speciale di sottolineatura: «Mitte manum tuam» tre parole distintamente sottolineate, ma che formano un’unica frase, un'unica esortazione ad aprirsi alla fede. Anche la congiunzione che segue, «et», è fortemente allargata a creare l’attesa per la frase seguente: «cognosce loca clavorum». Un «et» molto sospensivo che, però, prelude alla dichiarazione disarmante di Gesù: “senti il segno dei chiodi!”.
Straordinaria, però, per la comprensione di cosa sia realmente il canto gregoriano, è la seconda parte del brano, «Et noli esse incredulus, sed fidelis»: essa ha la stessa, identica, melodia di «et linivit oculos meos» del brano “Lutum fecit”, il communio della domenica quaresimale detta del cieco nato. Che magnifica retorica!: in due brani apparentemente distinti fra loro (uno a metà quaresima, l’altro all’inizio del tempo pasquale) sono, in realtà, fortemente collegati da una stessa medesima melodia. È chiaro che l’intento del compositore gregoriano è squisitamente retorico: collegare e rimandare tra di loro i due brani in quanto appartenenti ad un unico ‘argomento’, la fede. Questo è il gregoriano: per usare un’immagine di Fulvio Rampi, non è una raccolta di canti, è l’immagine sonora del “corpo” paolino nel quale ogni brano, ogni membra, vive solamente in funzione e nella proiezione di un altro e al servizio dell’intero corpo.
Ecco cosa si intende per designare il gregoriano come interpretazione sonora della Parola. E qui possiamo trarne un primo dato: una Chiesa che abbandona il munus docendi, una Chiesa che “riforma” la propria liturgia elevando la “mensa della Parola” alla stregua di quella “dell’Eucarestia”, una Chiesa che, al contempo, banalizza quotidianamente la “Liturgia della Parola” attraverso, dapprima l’introduzione dei lettori laici, e poi attraverso la gaudente incentivazione di lettori all’apparenza semianalfabeti, ecco, in tutto questo che spazio può avere una lectio divina addirittura cantata?
Il secondo dato che vorrei porre alla vostra riflessione è, più precisamente, una domanda: che idea abbiamo del gregoriano?
Nell’ambito delle note dispute odierne sulla musica liturgica postconciliare, mi pare di poter rilevare, con sufficiente convinzione, quanto, intorno al canto gregoriano, si sia creato un dibattito fondato sostanzialmente su un equivoco, sul nulla. C’è la Chiesa, da un lato, che ha un’idea distorta e antiquata, potremmo dire ottocentesca, del gregoriano (basta ascoltare certe esecuzioni…), lo vede come del vecchio ciarpame impolverate e arrugginito che ormai non più funzionante al quale spetta, solamente, un posto nei programmi da concerto. Dall’altro lato, ci sono schiere di “tradizional-isti”, che del gregoriano hanno una conoscenza, nel migliore dei casi, superficiale e banale limitata a qualche brano che, magari, gregoriano non è. Si tende, cioè, a far coincidere il gregoriano con quella parte del repertorio più popolare e tardivo ancora in uso che, però, del gregoriano propriamente detto conserva ben poco: Salve Regina e Regina coeli, il Pange lingua, il Veni creator, l’Adoro te devote e i brani dell’Ordinarium (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei). Solamente un esempio: la tanto celebre “Missa de Angelis” è nata, in realtà, in epoca rinascimentale (la sua impostazione è, ormai, chiaramente tonale: le prime quattro note del Kyrie, ad esempio, contengono le tre note di un accordo maggiore).
In questi brani, codificati piuttosto tardamente, e che hanno un testo fisso, non si assiste più a quei procedimenti retorici che caratterizzano il gregoriano autentico, che fanno l’esegesi di un passo scritturale. Sarò brutale: non c’è nulla di intrinseco (ripeto: di intrinseco, di consustanziale), a parte una questione di buon gusto, che separa un Kyrie o un Sanctus gregoriano da uno di Bonfitto o Machetta, giusto per citare due must, i primi (solamente per alcuni, però) saranno giusto più belli. Ho estremizzato per farmi capire: un graduale o un communio hanno una conformazione in sé che li rende autonomamente Parola.
Terza questione. Partiamo da un caso specifico: un graduale. Il graduale, che veniva cantato dopo la lettura (il salmo responsoriale nel N.O.), è una delle forme gregoriane più complesse e virtuosistiche. È la forma nella quale, il gregoriano, gioca i suoi pezzi da novanta. I canti interlezionali, graduale e alleluia (che nel VO si susseguono) sono la risposta, il primo, e la preparazione, il secondo, alla Parola di Dio. Sono brani meditativi straordinariamente complessi, di una ricchezza incommensurabile. Bene: esistono graduali della durata di un quarto d’ora. È chiaro: sono brani che non accompagnano un rito (come un introito o un communio), ma che sono rito. Sono brani costruiti e modellati su una precisa forma rituale: quella del V.O.
È impensabile proporre, in una messa N.O. (durata media: 45 min.) un salmo della durata di un terzo del tempo totale di una celebrazione. È impensabile (provare per credere) sottrarre ad un lettore il minuto di popolarità all’ambone per la lettura del salmo. È impensabile calare certe pietre miliari in una magari arruffata messa (già in nuce dimidiata), che senso avrebbe? Bartolucci ha detto: è come disegnare la Sistina su un francobollo. Certo, non vuol dire che non si possa cantare il gregoriano nel NO, anzi: è una portentosa deriva contro la banale sciatteria della musica liturgica corrente. Bisogna, però, osservare e tener presente un’anomalia di fondo che soggiace alla costituzione conciliare.
È vero, infatti, che la Sacrosanctum Concilium definisce il canto gregoriano come “proprio della liturgia romana”(1) al quale si deve riservare “il posto principale”, ma non si premura minimamente di andare oltre. Di per sé, questa frase (è il numero 116 del documento) vuol dire tutto e vuol dire nulla. Che tale passo non fosse così efficace è stato dimostrato ampiamente dalla deriva che il repertorio sacro ha subìto. Ma vi è un altro documento, l’Istruzione postconciliare “Musicam sacram”, che ancora una volta, tratta dell’argomento in termini altrettanto ambigui.
In “Musicam sacram” si stabilisce che vi sono tre gradi di priorità nella scelta delle musiche che vedono “al primo posto” le parti «spettanti al sacerdote ed ai ministri, cui deve rispondere il popolo o che devono essere cantate dal sacerdote insieme con il popolo» (I, 7), come, ad esempio, il saluto del celebrante, le orazioni, il prefazio con il dialogo, le formule di congedo, etc. «Il secondo e il terzo [grado], integralmente o parzialmente, solo insieme al primo» (III, 28). Per secondo grado si intendono le parti dell’Ordinarium: Kyrie, Gloria, Agnus Dei e Credo. Ma più interessante è il fatto che i canti processionali di ingresso, di comunione o di offertorio, i canti interlezionali, quelli che noi riteniamo più “indispensabili”, rientrino solamente nel terzo grado che perciò, oltre ad essere all’ultimo posto di priorità, non possono essere eseguiti se non a completamento degli altri due gradi. Ecco, dunque, svelato il trucco: si lascia, sì, il primo posto a un qualcosa genericamente definito come “canto gregoriano”, ma che, in realtà, col substrato e con l’essenza esegetica costitutiva di fondo del gregoriano non condivide alcunché.
Ecco perché mi sembra che, in conclusione, l’esclusione del canto “proprio” della chiesa dalla liturgia riformata sia piuttosto naturale e, purtroppo, corrispondente a quanto denunciava Joseph Ratzinger e che, da par nostro, non possiamo che condividere: “Dietro ai modi diversi di concepire la liturgia ci sono modi diversi di concepire la Chiesa”.
Mattia Rossi
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Nota di Chiesa e post-concilio:
1. In effetti quando è stata redatta la Sacrosanctum Concilium la Liturgia Romana ancora esisteva. Dunque l'affermazione ha la sua pertinenza. Sono i "però" contenuti dal n.36 - che seguono le affermazioni di principio che tali sarebbero dovute rimanere per essere efficaci -, le fessure che hanno consentito l'irrompere della vis disgregatrice successiva culminata nel NO, che si discosta in diversi punti dalle affermazioni della SC, con una sorta di iconoclastia riservata anche alla musica sacra.
eccellente! Ma per poter capire ciò che dice M.R., è necessario avere un minimo di capacità e dunque di educazione. Penso a tanti sacerdoti,vescovi, cardinali, etc.
RispondiEliminaInoltre, se esiste una interrelazione tra sensibilità musicale e sensibilità spirituale, si può interrogare sull'origine di tale incapacità.
Forse, il minimo (come inizio e, poi, anche qualcosa di più) di educazione si può raggiungere attraverso l'apertura di cuore e l'intuizione e quindi la verifica che si tratta di un vero e proprio tesoro della nostra fede.
RispondiEliminaDel resto anche la scrutatio della Scrittura è un impegno che, insieme alla gioia e al nutrimento delle verità e delle luci scoperte, costa anche fatica data dallo studio richiesto; ma, una volta acquisiti gli strumenti essenziali, che la Chiesa ci fornisce insieme alle 'letture' esegetiche più corrette, ripaga ampiamente perché apre - con l'aiuto della grazia - ulteriori orizzonti alla meditazione e alla contemplazione.
Ma se nessuno mai ce li fa conoscere e li tiene nascosti, questi tesori alla fine rischiano di cadere nell'oblio, con grave danno per le anime.
Esistono, tuttavia, ancora delle Scholae che cercano di custodire e tener vivo questo filone aureo da disseppellire e da diffondere, soprattutto vivendolo nella Liturgia. Ed era ciò che accadeva - e speriamo torni ad accadere - quando si assisteva a celebrazioni con i frati e le suore dell'Immacolata...
Intanto un approccio concreto si può avere attraverso l'ascolto di canti registrati:
RispondiEliminaqui ce la Missa de Angelis
http://www.youtube.com/watch?v=37q9zIznj2M
http://www.youtube.com/watch?v=sKm54iQ1i-M
Nelle librerie cattoliche è possibile acquistare i CD dei canti delle abazie più note.
Un piccolo regalo in linea con questo post. La versione completa del documentario Quaerere Deum che racconta la giornata dei Benedettini di Norcia
RispondiEliminahttp://m.youtube.com/watch?v=o9fDs9_eWY4
Anonimo 7:32 giustamente nota come la carenza di educazione provochi cecità sprituale in chi dovrebbe promuovere o quanto meno accogliere il Rito Romano con tutte le sue ricchezze anche musicali, che rendono degnamente gloria a Dio mentre edificano i fedeli.
RispondiEliminaNon dimentichiamo che nella Chiesa il sensus fidei di ogni credente contribuisce al corpo mistico di Cristo e il Signore non permetterà che si spengano le luci ancora accese, in attesa del ripareggiamento della verità, per dirla con Romano Amerio.
Grazie RIC,
RispondiEliminaho letto proprio ieri su Rorate Caeli che a Norcia ci sono state proprio in questi giorni due nuove professioni di monaci statunitensi. È un'altra realtà promettente. Che il Signore li conservi.
http://hiccalix.blogspot.it/2013/06/la-sacrosantum-concilium-e-quegli.html?m=0
RispondiEliminaQui un contributo per riscoprire anche quanto previsto proprio nei documenti conciliari!
“quando è stata redatta la Sacrosanctum Concilium la Liturgia Romana ancora esisteva”
RispondiEliminaQuesta annotazione, in effetti, cara Maria, è geniale!
Quindi: esistendo ancora, all’epoca, la “liturgia romana” (del resto, quella messa celebravano al Concilio), essendo a quel tipo di liturgia riferito il passo di S.C., ed essendo, quella riformata, una messa ‘diversa’, espressione di una 'diversa' Chiesa, è da evincere che non sta scritto da nessuna parte che il canto gregoriano sia il “canto proprio” del N.O.? ;-)
Ci riflettiamo su...
Wow, questo studio di Mattia Rossi, ma come tutti gli altri, è davvero strepitoso: mai pensato e mai letto questi argomenti sotto questa luce.
RispondiEliminaGrazie!
Ori
è da evincere che non sta scritto da nessuna parte che il canto gregoriano sia il “canto proprio” del N.O.? ;-)
RispondiEliminaIo rovescerei il discorso e direi che il NO non è e non può essere la "Messa propria" del gregoriano, perché esprime un'altra esegesi, che nasce da una diversa ecclesiologia e da una diversa teologia... ;)
Lo diciamo in termini scherzosi, quasi fossero battute.
Ma in realtà c'è sconforto e amarezza nonché consapevolezza del grande Tesoro, che porta con sé ricchezze indicibili, che hanno tentato di sottrarci con la cosiddetta Riforma di Paolo VI...
Ecco perché insistiamo:
resistenza e preghiera!
Purtroppo Mattia Rossi ha ragione da vendere. Dico purtroppo perché non s'è mai vista una religione, anche tra le più false, che getta alle ortiche in pochi anni un grande tesoro di spiritualità. Del resto, se si vuol distruggere una religione, iniziare dalla teologia ci si rende subito conto che si comunica con un gruppo ristretto, ma se si inizia con lo smantellamento della liturgia allora ci si rende conto che la demolizione arriva a tutto il popolo, perché è il popolo che partecipa massicciamente alle liturgie, quindi si opera su una platea più vasta.Del resto, i frutti che il lavoro di demolizione della liturgia ha operato sulla fede in questi ultimi quarant'anni sono sotto gli occhi di tutti. Sono il direttore di una Schola Gregoriana che canta secondo le lezioni paleografico-semiologiche ben descritte dall'autore dell'articolo nelle quali si evince la perfetta consustanzialità tra la Parola ed il neuma o, per meglio dire, l'aspetto musicale. Purtroppo, le nostre esecuzioni sono quasi limitate ai soli concerti: negli ambienti N.O. la situazione è quella che ha descritto Mattia Rossi (rigetto completo); mentre negli ambienti V.O. solo qualche sacerdote illuminato apprezza il lavoro di interpretazione semiologica che evidenzia il messaggio teologico contenuto nel testo, tutti gli altri, coadiuvati anche dai laici che ruotano loro attorno, quasi aborriscono questa interpretazione, trovandola "non conforme alla Tradizione". Per costoro il concetto di "Tradizione", applicato al canto gregoriano, è legato alla prassi esecutiva romantica ottocentesca, non tenendo conto che tale prassi interpretativa nei secoli ha subito notevoli mutazioni, pertanto, decretare "Tradizione autentica" il modo di cantare dell'ultimo secolo su oltre 17 di vita liturgica del canto gregoriano, mi sembra una forte limitazione.
RispondiEliminaQuesta è la condizione nella quale una schola gregoriana, che vuole interpretare il canto gregoriano alla luce della semiologia dei codici adiastematici del X e XI secolo, viene a trovarsi: relegata nelle catacombe, sia dagli ambienti N.O. (e questo paradossalmente ci sembra pure comprensibile), sia da molti di quelli V.O. (cosiddetti tradizionali) e questo, francamente, lo comprendiamo meno.
Ci è di conforto sapere che proprio nelle catacombe s'è tenuta viva ed è cresciuta la fiaccola della fede.
Gregoriano = Baroffio.
RispondiEliminaCercatevi i suoi straodinari studi.
http://www.hymnos.sardegna.it/iter/
sia da molti di quelli V.O. (cosiddetti tradizionali) e questo, francamente, lo comprendiamo meno.
RispondiEliminaPerché gli ambienti tradizionali, purtroppo - tranne rare eccezioni - hanno perso anch'essi il contatto con le radici autentiche. Molti rami spezzati hanno impedito alla linfa intera la sua funzione vivificante.
Speriamo sia possibile recuperare.
D'altronde il gregoriano è sopravvissuto, pur con le sue evoluzioni, a tanti secoli e relative crisi arricchimenti e depauperamenti, se non riesce a sopravvivere a questa tremenda crisi, significa che davvero siamo arrivati all'abominio della desolazione.
Addirittura uno dei miei maestri sosteneva che nel gregoriano la Chiesa conserva una tradizione sinagogale che gli ebrei hanno abbandonato...
Non mi piace essere catastrofica, ma le rovine sono talmente imponenti e difficili da restaurare.
Non disperiamo. E andiamo aventi. Il Signore aiuterà chi con amore e buona volontà custodisce, difende e diffonde, ognuno per quanto può nel posto in cui è.
Per Minstrel
RispondiEliminaSu Baroffio abbiamo già pubblicato un testo di cui al link che segue.
Secondo me, comunque, anche in queste 'rivisitazioni' moderne, c'è da aver occhio ai possibili inquinamenti...
http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2013/05/musica-e-partecipazione-nella-liturgia.html
Ricordo il compianto Maestro Tito Molisani, insegnante all'AISCGRE di Cremona e al Conservatorio di Pescara che, dopo aver eseguito un concerto di Gregoriano alla presenza del suo Arcivescovo, poiché questi si complimentava assai, gli disse: "Se vuole, Eccellenza, possiamo venire nella sua Cattedrale a cantare il Graduale". "Che cos'è?" rispose l'arcifamoso arciteologo e biblista progressista, pupilla benedettiana tra i vescovi italiani...
RispondiElimina@Renzo
RispondiEliminaQuesto significa Maestro che dunque in realtà sono secoli che non si canta il "vero" Gregoriano in ambito pratico?! Pertanto il problema non è ripristinarlo come era nella messa VO preconciliare (cioè "rovinato" dalle prassi antistoriche ottocentesche), quanto piuttosto riscoprirlo alla luce delle nuove scoperte musicologiche che molti professori (Baroffio in primis) stanno portando avanti.
Concorda?
Certo non si può pensare di ritrovare completamente (o anche in parte...) un tesoro tanto immenso all'interno della teologia liturgica diversa espressa dal NO (a detta di Augé semplicemente espressione della differente teologia da Trento al CVII nella medesima Tradizione dogmatica). Certo il VO sarebbe più congeniale per tale riscoperta, ma mi sembra che parlare di riscoperta qui è fuori luogo. Bisognerebbe parlare di vera e propria SCOPERTA per tutti del vero repertorio gregoriano oramai perso DA SECOLI nella pratica liturgica.
Sto esagerando?
E allora perché non seguire quanto richiesto dal Concilio con riforma della riforma che preveda anche l'introduzione di questa SCOPERTA?
Infine una provocazione: d'accordo il Gregoriano, ma oggi come oggi la musica prosegue e alla grande.
Dio solo sa quanto mi piacerebbe cantare in una messa il O Magnum Mysterium di Morten Lauridsen. A voler fare l'analisi anche in questa composizione polifonica si troverebbero delle genialate straordinarie che legano testo e musica secondo un preciso codice stilistico.
Solo che, PROPRIO COME NEL GREGORIANO, questo codice è PER POCHI poiché non si può pensare che tutti i fedeli percepiscano tramite la musica un tale insegnamento. Certamente senza spiegazione, probabilmente anche con la spiegazione poiché non tutti possiedono quella sensibilità musicale che è necessaria per la comprensione intellettuale di ciò che il codice musica vuole veicolare!
Secondo voi sbaglio nel pensare che si sta discutendo di un aspetto talmente aulico della Tradizione cristiana che in realtà probabilmente non è mai stato veramente apprezzato in tutte le sfumature che lo rendono aulico, da quelli che di solito si definiscono "semplici fedeli"?
Caro Renzo T,
RispondiEliminaa quei sacerdoti che vorrebbero il gregoriano cantato alla maniera dell'800 acconsentirei volentieri a patto di suonare, alla comunione o all'Ite missa est, una cavatina o una polka di padre Davide. Pure quella è tradizione... ;-)
" Gregoriano = Baroffio "
RispondiEliminaGregoriano = Baroffio ? Le sue esecuzioni? Beh, le affermazioni di minstrel dimostrano che l'oblio ha effetti devastanti. E baroffio, con le sue esecuzioni mortificanti, purtroppo vi contribuisce...
Secondo voi sbaglio nel pensare che si sta discutendo di un aspetto talmente aulico della Tradizione cristiana che in realtà probabilmente non è mai stato veramente apprezzato in tutte le sfumature che lo rendono aulico, da quelli che di solito si definiscono "semplici fedeli"?
RispondiEliminaL'errore non sta nel fatto di considerare che si tratta di arte e spiritualità somme, ma nel credere che i "semplici fedeli" per avervi accesso debbano comprenderle con l'intelletto e conoscerne tutti i dettami tecnici.
Nella Bellezza, e nell'Armonia (quindi nella buona musica, specie se è Sacra), semplicemente ci si "immerge" e si gusta. E' lo spirito e la psiche che ne traggono giovamento, a prescindere dal fatto di possederne la tecnica.
Lo stesso vale per il Rito. I fedeli cattolici, non celebrano, è il Signore che celebra: i fedeli assistono, partecipano, vi si immergono, si uniscono, accolgono, ringraziano, impetrano, lodano e adorano. Il resto lo fa il Signore...
Il mistero non può essere compreso tutto e subito, ma gradualmente e ha bisogno anche dei sacri silenzi ma anche della sacre Armonie... il chiasso fa uscire da sé, lascia nella periferia...
Esempio tratto da esperienza personale:
RispondiEliminaAnni fa ho fatto un giorno di esercizi in una Trappa, seguendo tutta la Liturgia delle Ore (salmodiata dei monaci).
Ebbene, oltre al nutrimento dato dalla Parola, dalla preghiera e dalla meditazione contemplazione e adorazione sono stata abitata per giorni e giorni da una Pace indicibile, che mi cullava sul ritmo delle salmodie che mi tornava nella mente (e nello spirito) a prescindere dalle parole...
Questi sono alcuni degli effetti.
Poi, se ci si aggiunge una frequentazione e una comprensione ancor più grande dei contenuti è il paradiso già sulla terra!
Tornando ai suoni, si potrebbe parlare a lungo della differenza tra armonia e cacofonia e relativi effetti sulla psiche (e sullo spirito).
Mattia Rossi ha detto
RispondiEliminaMa vi è un altro documento, l’Istruzione postconciliare “Musicam sacram”, che ancora una volta, tratta dell’argomento in termini altrettanto ambigui...
Sul contenuto di quanto affermato negli articoli 28-31 della MS sarebbe necessario un ulteriore approfondimento. Se è vero che queste norme introducono una arbitraria gerarchia che fa scempio del repertorio è anche vero che involontariamente mettono in luce un limite concreto di cui bisogna tenere conto nell'organizzazione della liturgia. Cosa me ne faccio di una cappella gregoriana e magari di un solista preparatissimi se poi il celebrante non è in grado di intonare neanche il più banale dei recitativi liturgici? Si tratta di un problema di base: se i sacerdoti non cantano (perchè non lo sanno più fare) addio canto nella liturgia! Quante polemiche sono state condotte riguardo all'articolo 116 della SC e mai nessuno che si occupi dell'articolo precedente (che prescrive la formazione musicale e liturgica). Piuttosto che preoccuparci della actuosa partecipatio dei fedeli dovremmo interessarci al grado di preparazione dei ministri. La decadenza liturgica del NO è lo specchio della decadenza culturale e spirituale del clero!
ARCICANTOR
Ho letto anche l'articolo precedente sul gregoriano e il NO. Veramente meraviglioso. Ringrazio Mattia Rossi e Mic. Riguardo ai commenti sull'articolo precedente di un certo anonimo che parla va di "sfaciume tradizionalista" all'articolo precedente mi viene in mente una cosa divertente. Quando dovevano costruire la diga del Vajont e si iniziava a capire che la montagna soprastante (il monte Toc) non era molto stabile e rischiava di finire nel lago - come poi è successo - chiamarono un super geologo rinomatissimo che dopo un brevissimo sopralluogo disse che era solo "sfasciume superficiale". Speriamo che anche la tradizone sia solo"sfasciume superficiale" che poi si rivela un movimento inarrestabile.
RispondiEliminaE' un fenomeno del tutto nuovo, e purtroppo destinato ad estendersi, lo stuolo di sacerdoti che "nec rubricant nec cantant".
RispondiEliminaNon ci vorrebbe molto a ripristinare nella formazione dei seminari, insieme ai rudimenti del latino (già promossi da Benedetto XVI), anche un minimo di formazione ad hoc focalizzato sulla Liturgia.
Il problema è che vocazioni ci sarebbero ma questa volontà di tener conto della Tradizione manca proprio ai vertici.
...e dice bene Arcicantore: la decadenza del clero ( e conseguentemente nei fedeli) non è solo culturale, ma spirituale!
RispondiEliminaCara Mic,concordo su tutto,al di là degli aspetti tecnici,non comprensibili da tutti, la Bellezza in sè stessa è veicolo di Verità.L'ho sempre oscuramente compreso,fin da bambina,e ne ho ora trovato la conferma razionale nei libri del prof. Radaelli.Io non sono neppure riuscita a convincere il parroco sulla non -Bellezza di alcuni obbrobriosi canti (o infantiloidi o di una sensualità ripugnante). Anzi si è rivoltato come persona offesa.Leggendo questo intervento di Mattia Rossi,mi è venuto da piangere,per la commozione e la tristezza
RispondiEliminaCaro ministrel,
RispondiEliminaa tutti gli interrogativi su quale sia il gregoriano autentico, su tesi, ipotesi, eccezioni e quant'altro, riporto qui sotto ciò che molto bene, come sempre, ha sintetizzato mic, la quale, almeno credo, gregorianista non è:
"Ebbene, oltre al nutrimento dato dalla Parola, dalla preghiera e dalla meditazione contemplazione e adorazione sono stata abitata per giorni e giorni da una Pace indicibile, che mi cullava sul ritmo delle salmodie che mi tornava nella mente (e nello spirito) a prescindere dalle parole..."
Ecco tutta la sintesi di tante, a volte, nostre vacue dissertazioni: lasciarsi pervadere da semplici ascoltatori, ignoranti di gregoriano e di semiologia, dallo Spirito che da quella Parola cantata promana. Poi, dopo, chi ha il desiderio di capire ancora di più, potrà approfondire tutte le tematiche ed i tecnicismi che quello stile musicale ha in sé. Allora scoprirà che la musica gregoriana riveste la Parola di Dio evidenziando, talvolta con la diversità ritmica dei neumi, altre volte invece con lo sviluppo del melisma melodico, i concetti teologici portanti di un qualsiasi brano gregoriano. Mattia Rossi, ha fatto solo l'esempio di un communio pasquale, comparato con un altro quaresimale, ma in ogni brano, specialmente del repertorio della Messa, potremo fare una simile esegesi e analisi e rimanere felicemente "sconvolti" dal messaggio che è stato musicato. Ma questo non riguarda la totalità di un'assemblea orante: come diceva mic, all'assemblea orante è stato trasmesso un "segno sonoro" che fa comunque meditare e pregare. Pertanto, in un mondo sempre più modellato sui segni e che guarda acriticamente alle immagini e ai modelli proposti dai media ...non mi sembra poco.
Gli studi di Baroffio, non le esecuzioni.
RispondiEliminaPer il resto temo di aver ancora una visione dell'arte musicale (e del canto) troppo legata alla tecnica e all'analisi di ciò che si canta per "godermela" in modo - mi si consente? - ingenuo.
D'altra parte nemmeno potrei dato che ho volutamente studiato per poter ascoltare in modo analitico la musica...
E questo non significa che la musica non mi muova le passioni, non sono un robot. Piuttosto trovo che alcune passioni siano ingiustificabili musicalmente e grazie agli studi posso capire quando è l'emotività soggettiva a ragionare e quando invece il cosidetto "bello".
Ad esempio quando sento il canto "e sono solo un uomo" mi commuovo sempre. Ripenso a quando da bambino sentivo con speranza mista a commozione il ritornello che diceva "E accoglierò la vita come un dono e avrò il coraggio di morire anch'io" e trovarmi con lo stesso canto e mio figlio accanto ovviamente mi scatena l'universo... ma il canto in sé è chiaramente nulla di che.
Va beh, riflessioni sparse che poco centrano con il resto. Chiedo venia.
è tutto molto condivisibile, devo dire.
RispondiEliminaPerò bisogna aggiungere qualche precisazione:
1) a preferenza personale: preferisco una messa in canto con il proprio in tono salmodico, a una messa letta.
Cantare un graduale non è da tutti, specie nelle chiese minori; ci vuole un lento processo di studio, che deve durare anni per portare all'apprendimento di un repertorio minimamente ragguardevole. In un contesto così distrutto come il nostro: W LA MISSA DE ANGELIS & IL PROPRIO SALMODIATO!
Questo per fare un paradosso.
2) Un po' meno a gusto personale: "il gregoriano autentico" è una chimera. Ficchiamocelo bene in mente. Il gregoriano che qui ritentiamo autentico è quello (ottimamente ma non certo alla perfezione) ricostruito dalla scuola di Solesmes sulla base dei manoscritti più antichi. Ma ficchiamoci bene in testa che è UN'INTERPRETAZIONE, per quanto autorevole e ben fondata. Ci sfuggono ancora miriadi di aspetti per poter dire che questo è gregoriano autentico. E poi, autentico di dove? Di quando? Si cantava così davvero a S. Gallo nel sec. IX? Poniamo di sì; allora mi domando: a Cluny cantavano allo stesso modo? E in altri centri? Mi verrebbe da dire di no. Basta prendere in mano il graduale triplex per rendersi conto che le due linee di neumi non dicono la stessa cosa tra loro e rispetto alla notazione moderna. Insomma: si può dire che si osserva una certa qual concordanza sulla gran parte del repertorio ma con miriadi di varianti locali.
Quindi, direi proprio di non stracciarsi le vesti se si sente il gregoriano cantato "alla romantica" o di fronte alle forme "decadute" di gregoriano come l'editio medicea, o anche a tutto quel repertorio ancora da scoprire che va sotto il nome di canto fratto.
Ricordiamoci che l'archeologismo è uno delle fonti principali del novus ordo...
Quindi: un po' di equilibrio è richiesto sia negli studi, sia nella prassi, tenendo presente la saggezza della Chiesa che non si gioca il titolo di "editiones typicae" sui libri di canto...
Dice bene Renzo T. non sono gregorianista e molte stupende cose le sto imparando adesso da voi.
RispondiEliminaMa ho sempre amato il gregoriano e intuito, ma soprattutto sperimentato la sua azione di pacificazione ed elevazione dell'anima.
Ora che state svelando questi tesori, ne son rapita e vorrei che tutti potessimo approfondire ed attingere le risorse spirituali che portano con sé e trasmettono.
Del resto, se pensiamo che provengono da cuori e menti di generazioni di credenti abitate dal Signore, come non potersi aspettare quel che ci donano e che stanno facendo di tutto per sottrarre a noi e alle generazioni che verranno?
Mattia Rossi ha detto:
RispondiEliminaEcco, dunque, svelato il trucco: si lascia, sì, il primo posto a un qualcosa genericamente definito come “canto gregoriano”, ma che, in realtà, col substrato e con l’essenza esegetica costitutiva di fondo del gregoriano non condivide alcunché.
Purtroppo a mio avviso la realtà è anche peggiore di come è stata descritta. La Chiesa post conciliare non si è limitata ad "ammazzare" l'aureo canto privandolo della sua contestualizzazione naturale (che può essere solamente il VO)ma ha messo mano al graduale rimescolando in maniera arbitraria il repertorio. Quanti ignari cultori della notazione neumatica venerano il Graduale Triplex come una reliquia senza sapere che quello non è più il Graduale di sempre. Illusi il Gregoriano non è solamente un repertorio musicale avulso dalla liturgia è Parola di Dio sonante! E che dire poi di quell'organismo OGM del Graduale Simplex? QL'ennesimo frutto avvelenato della riforma conciliare. Nel VO abbiamo un Messale a cui corrisponde in maniera univoca il Graduale. La schizzofrenia liturgica del NO vuole invece che al messale facciano da contraltare ben due graduali senza che vi sia alcuna corrispondenza con essi! Questa non è riforma della liturgia è delirio e ananrchia!
ARCICANTOR
Oso sperare che almeno nella FSSPX abbiano custodito l'integrità anche della musica sacra.
RispondiEliminaSarebbe importante sapere quali e quante Scholae ci sono in Italia, soprattutto perché possano indirizzarvisi giovani (e qualche meno giovane) che abbiano interesse.
RispondiEliminaScusate l'OT.
RispondiEliminaL'argomento è molto interessanre e coinvolgente, però temo che stia cadendo sulle nostre povere teste UNA TEGOLA che farà tanto male e molto rumore.
SI RICOMINCIA A PARLAR SUL SERIO DI UN VATICANO III e a farlo è uno a cui non darei in prestito nemmeno un cucchiaino da caffè in plastica...un certo Boffo...
http://www.terredamerica.com/2013/08/15/boff-e-il-momento-di-un-nuovo-concilio-e-papa-francesco-e-nelle-condizioni-ideali-per-poterlo-convocare/
http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/papa-el-papa-pope-vaticano-vatican-27246/
RispondiElimina...Volevo dire BOFF e non BOFFO.
SCUSATE.
Altro che tegola, se fosse attendibile.
RispondiEliminaChissà? Vedremo.
Gentili signori, ho postato proprio oggi alcuni commenti sul tema della musica sacra nel blog di p. Matias Augé e leggo ora questo intervento di M. Rossi che mi induce a intervenire anche qui con qualche appunto. L'articolo è ottimo e condivisibile in tutto. Vorrei però integrarlo perché ne potrebbero derivare delle idee imprecise sulla prassi del repertorio. In particolare, si potrebbe essere indotti a credere che prima del Concilio Vaticano II nelle chiese si cantasse abitualmente il gregoriano. C'era un repertorio base di comune conoscenza (i pezzi citati da Rossi, la messa da morto ecc.), ma, come giustamente sottolinea l'autore, bisogna distinguere pezzi come la Messa degli Angeli ecc. e l'autentico repertorio gregoriano, in particolare quello del Proprium Missae. Proprio quest'ultimo, in realtà, non era cantato neanche prima, fatti salvi monasteri, cattedrali, basiliche et similia. Non crediamo che nelle parrocchie si cantasse il Proprio della Messa in gregoriano! Il che è ben comprensibile: si tratta di pezzi spesso estremamente complessi (pensiamo in particolare ai Graduali e agli Offertori!), che richiedono un gruppo di cantori realmente esperti. Come si faceva dunque? I testi del Proprio venivano intonati dal coro su formule standard oppure letti sottovoce dal celebrante mentre il coro eseguiva appropriati mottetti.(oppure il solo organo suonava pezzi acconci).
RispondiEliminaDunque? Il punto è che, come la liturgia, anche il canto liturgico (che della liturgia è parte integrante, non un ornamento) si è sviluppato fino alla cesura postconciliare in una dinamica di tradizione e rinnovamento: al repertorio base gregoriano o postgregoriano già citato, universalmente noto al popolo, si aggiungeva il repertorio polifonico cantato dal coro, comprendenti pezzi della tradizione musicale sacra fino a composizioni più recenti: naturalmente il coro professionale o semiprofessionale di una cattedrale poteva cimentarsi in pezzi anche di alto livello, quello di una parrocchia semplice prediligeva le lineari composizioni degli autori “ceciliani” (spesso non si trattava di capolavori, ma era musica dignitosa e non priva affatto di perle). Va poi aggiunto il gigantesco quanto misconosciuto repertorio ”popolare”, che trovava il suo momento di gloria nei Vespri, processioni, novene, mese di maggio ecc., dove l’assemblea cantava a più non posso.
Si trattava quindi di una realtù musicale composita nella quale nova et vetera, canto del popolo e canto della schola si davano la mano convivendo con equilibrio (ovviamente con tutte le eccezioni e la perfettibilità proprie di qualsiasi iniziativa umana).
Il problema del canto liturgico della nuova liturgia non sta nei documenti conciliari (anche se sappiamo bene che non vi mancano ambiguità redazionali che consentono allo stesso passo di essere letto in modo opposto dai sostenitori di opposte idee), ma nella prassi che in nome del famoso o famigerato “spirito del Concilio” è stata instaurata dopo, cancellando la tradizione e costruendo il nulla in base soprattutto a un’interpretazione deformata e demagogica della “partecipazione attiva” già invocata da s. Pio X.
Non ha senso pretendere che si canti il gregoriano del Proprium nelle normali Messe domenicali: avrebbe però senso, anzi sarebbe doveroso e “conciliare”, che alle nostre assemblee fosse restituita la possibilità di cantare il repertorio base citato e di ascoltare un coro che canta un repertorio adeguato (non ha importanza se antico o moderno: meglio se antico E moderno) in una corretta alternanza di canto e ascolto.
Naturalmente sarebbe auspicabile che anche il testo italiano dei canti del Proprio ricevessero delle adeguate intonazioni.
Altrettanto naturale è che probamente il disastro musicale postconciliare avrebbe potuto essere evitato o attenuato se si fosse prodotto per tempo un buon repertorio in lingua italiana anziché imporre il volgare lasciando la musica sacra in balia del caos.
Al commento di ??? si potrebbe aggiungere, a conferma del fatto che non tutto ciò che avveniva nel pre Concilio fosse santo e giusto, che nell'800 si suonava, nella messa, il melodramma. Abuso per abuso, però, occorre fare almeno un paio di distinguo rispetto al presente:
RispondiElimina1 allora eravamo di fronte a musiche, tutt'altro che liturgiche, ma almeno formalmente fatte bene. Oggi, al contrario, assistiamo ad una becera 'musica sacra' che, nella maggior parte dei casi, ignora l'abc della composizione.
2 allora, il melodramma, era un genere comune e proprio di tutti i livelli sociali. Era la musica dei signori a teatro ed era la musica del popolo a messa. Oggi, invece, le canzonette propinate in chiesa appartengono a qualche bambino (pochi, a dire il vero) e a qualche stagionato sessantottin o (molti più dei primi).
Già Romano Amerio,se non sbaglio,aveva colto negli anni 80 fermenti che spingevano verso un conc.Vat III.Il prof Radaelli,nel suo libro "il futuro-terribile o radioso?-del dogma"mi pare dia per scontato che ci sarà,e non fra cent'anni.e che naturalmente la sua forma sarà falso-pastorale.Di qui l'auspicio,formulato in termini appassionati,che ci sia qualche Vescovo dotato di santità,coraggio,dottrina,pronto a mettersi per traverso.
RispondiElimina@ Mattia Rossi: esatto. Per restare al secolo scorso, anche l'ultimo dei Ceciliani era un Palestrina a fronte di costoro.
RispondiEliminaChe commenti meravigliosi!
RispondiEliminahttp://www.luigiaccattoli.it/blog/?p=12379
Cara murmex,
RispondiEliminaci vorrebbero già adesso vescovi di quel calibro. A suo tempo ci furono solo Lefebvre e Castro Mayer. Oggi è una grande incognita...
magnifico. grazie mic e grazie Mattia. impagabili! grazie di cuore!
RispondiEliminae dire che il grgoriano e' troppo in alto per i semplici fedeli
RispondiEliminasarebbe come dire non mettiamo la pierta' di michelangelo a san pietro perche tanto il popolino non ne capira' mai la bellezza.
e' un pensiero che rade al minimo! e che tratta il popolino molto male.
cosi' invece si da la possibilita' a tutti indistinramente di rimanere estasiati dalla bellezza. bellezza che in questo caso non e' fine a se stessa ma utile proprio perche vera bellezza. buono e bello una volta coincidevano.
Dio stesso usa la bellezza per se-durre!
RispondiEliminaOsservatore dice:
RispondiEliminaPer quelli con interesse nella Musica Sacra..
http://www.ccwatershed.org/library/
contiene dozine di copie elettroniche di libri musicali per il Canto Gregoriano, gratis e disponibile per il pubblico...
basta copiarli alla sua unità...
Fidele dice,
RispondiEliminaMic, c'è un ottimo commento nelle citazione accompagnata da nota 25 nel
http://www.fatimacrusader.com/cr64/cr64pg77.asp
che confirma che la Madonna di Fatima appoggia i tradizionalisti, secondo i scritti di Suor Lucia...
e che il motivo per nascondere il segreto terzo è per promuovere la conformità della Chiesa ai nomi massonici moderni secolari..
All'Anonimo delle 03:51, che cita Fatima: Dovrebbe controllare che l'indirizzo di fatimacrusader non sia errato, perché non funziona. Grazie.
RispondiEliminaPerchè la maggior parte del clero è indifferente, se non addirittura contraria, al recupero del canto gregoriano nella liturgia? Presto detto: il gregoriano non è musica che si possa dare in pasto a quattro chitarristi strimpellatori improvvisati; trovare un direttore ed una cappella musicale preparati è sempre difficile e il loro mantenimento in parrocchia è costoso. E allora alle ortiche la tradizione millenaria della Chiesa e avanti con le chitarre (meglio se accordate male così si capisce che non sono stati pagati musicisti professionisti). Evviva il finto pauperismo ecclesiale, evviva questo pontificato!
RispondiEliminaMiserere nostri, Domine.
I brani più complessi (p. es. i graduali) erano di norma cantati da un solo cantore (in talune occasioni da due), il che significa che non occorre disporre di chissà quale compagine di virtuosi. Per costituire una schola decorosa è sufficiente mettere insieme tre o quattro persone (possibilmente intonate e con buona disposizione: meglio se tutti maschi o, eventualmente, tutte femmine), di cui almeno una sia in grado di leggere i neumi e guidare gli altri. Se aspettiamo che in tutte le comunità in cui si celebra la messa buona (quella antica) si formino gruppi di virtuosi del canto, il cavallo dovrà campar senz'erba!
RispondiEliminaOttimo suggerimento.
RispondiEliminaL'unica è promuoverlo dal basso.
Certamente quello postato è un buon suggerimento, ma oggettivamente la cosa non è così semplice come sembra. Non a caso prima del Concilio vigeva nelle piccole parrocchie il canto liturgico popolare, di tradizione prevalentemente orale, che, accanto a un nucleo fondamentale di melodie gregoriane, proponeva toni e melodie "popolari" (specie per l'ordinario della messa, i Vespri ecc.) che rappresentavano uno straordinario esempio di quell'inculturazione di cui si blatera tanto in quanto rispecchiavno il modo di cantare popolare tipico dei vari luoghi (quindi era diverso sulle Alpi rispetto alla Sardegna ecc.). E' superfluo ricordare che anch'esso è stato cancellato dalla nuova pentecoste...
RispondiEliminaTutto cambia..
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