Continuiamo ad ascoltare un giovane nostro collaboratore, che ha una sua tribuna: Infinito quotidiano, dalla quale ha sempre molto da dirci.
“Ci viene chiesto «come parlare di Dio?». Ora, parlare non è soltanto parlare di qualcuno o di qualcosa, ma è sempre anche parlare a qualcuno. La nostra domanda invece non sembra preoccuparsene. Non ci dice a chi parlare (di Dio). Suggerisce una parola senza un interlocutore particolare, senza un indirizzo personale. Lascia intendere che la qualità della persona alla quale ci si rivolge sia indifferente (la qualità e non la quantità, dal momento che si suppone che il valore non abbia importanza, ma che occorra tuttavia raggiungere il maggior numero possibile di persone).Eppure, è evidente che non si parla di Dio allo stesso modo con un marxista o con un salafita, con un adulto o con un bambino, con Ornella o con Robert. Parlare nella stessa maniera all'uno come all'altro vorrebbe dire straparlare, passare cioè dal fraintendimenti al malinteso. L’indirizzo è una dimensione essenziale della parola. Quando questa non è indirizzata a qualcuno, chi parla non parla meglio di un pappagallo e chi ascolta non ascolta meglio di uno spaventapasseri (ma avrei potuto anche dire di una televisione e di un telespettatore, che sono il modello di ogni comunicazione senza destinatario proprio). Il primo si sfoga, piuttosto che compiere un atto di parola e il secondo prende ciò che vuole, piuttosto che compiere un atto di ascolto. Il discorso diventa una recitazione meccanica o una performance oratoria. Si cerca di compensare con l'addestramento il mancato indirizzamento (intendo dire che una sofistica brillante cerca di mascherare il rifiutò di conversare con qualcuno). Invece di permettere la formazione del dialogo, ci si abbandona alle formalità della retorica o alla formattazione dell'ideologia.” [F. Hadjdadj – Come parlare di Dio oggi?]
Prendo spunto ancora da questa luminosa lettura. E le domande da porsi sono tante. I mezzi di comunicazione moderni e la relativa evangelizzazione che su di essa si basa, non punta alle persone singole, ma alle masse. Anche priva dei social network quello che oggi interessa è riempire le piazze, gli stadi, i palazzetti dello sport, le spiagge o ogni spazio superiore a quello di una chiesa. È la folla quello che interessa. Non si coglie più la differenza tra l’annuncio della fede e il concerto di una popstar. Se le cose si eguagliano, non essendo la stessa cosa, una delle due tende a essere tradita e, alla fine, annullata. Chi ci rimette è la fede perché usa mezzi non suoi. La si maschera bene con tutti gli orpelli della modernità, ma essa non è più sé stessa.
Ci si può tingere i capelli e fare tutti i lifting che si vogliono, ma se si hanno ottant’anni, anche riuscendo a dimostrarne cinquanta, sempre ottanta li si ha. Si può ingannare l’apparenza, non la sostanza. E la fede, se la si maschera, non è più sé stessa, ma una caricatura. O la si trasforma nella fede in un idolo.
L’evangelizzazione, dunque, deve puntare alle persone. Agli esseri umani singoli. Con la loro storia, i loro perché, le loro domande, i loro silenzi, la loro gestualità e umanità. Tutto questo non può e non potrà mai essere trasferito in nessun account o profilo digitale. Anzi, la digitalizzazione appiattisce tutto, rendendo due persone una serie di 0 e 1. Messi in ordine diverso, ma sempre una serie uguale, omogenea, che non risponde alle necessità.
Annunciare Cristo risorto, se ha bisogno certamente di alcune formule definite e chiare, deve essere annunciato ad una persona singola. Il Dio cristiano sa contare fino a uno diceva Andrè Frossard. Ed è a quell’uno che dobbiamo rivolgerci. Dio non ha creato una popolazione, ma un uomo e una donna. Dai quali nascono persone singole, uniche. La fede è un annuncio a un tu, non ad un voi. E questo deve essere chiaro pure a tutti coloro che, ingannandosi e ingannando, credono di essere sani e santi per il semplice motivo di rivolgersi ai giovani.
Francesco Colafemmina, a tal proposito, scrive sul suo blog che “la categoria "giovani" è una categoria in continuo mutamento e al suo interno enormemente frastagliata, dunque ridurla ad un'unica dimensione significa inevitabilmente falsificarla.” Noi invece ci accontentiamo di qualsiasi cosa purché sia rivolta ai giovani. Aldilà dell’ignorare il fatto che esistono anche gli adulti e gli anziani, così si spacciano per buone le peggiori idiozie e eresie, con la scusa che esse sono per i giovani.
Ci si può tingere i capelli e fare tutti i lifting che si vogliono, ma se si hanno ottant’anni, anche riuscendo a dimostrarne cinquanta, sempre ottanta li si ha. Si può ingannare l’apparenza, non la sostanza. E la fede, se la si maschera, non è più sé stessa, ma una caricatura. O la si trasforma nella fede in un idolo.
L’evangelizzazione, dunque, deve puntare alle persone. Agli esseri umani singoli. Con la loro storia, i loro perché, le loro domande, i loro silenzi, la loro gestualità e umanità. Tutto questo non può e non potrà mai essere trasferito in nessun account o profilo digitale. Anzi, la digitalizzazione appiattisce tutto, rendendo due persone una serie di 0 e 1. Messi in ordine diverso, ma sempre una serie uguale, omogenea, che non risponde alle necessità.
Annunciare Cristo risorto, se ha bisogno certamente di alcune formule definite e chiare, deve essere annunciato ad una persona singola. Il Dio cristiano sa contare fino a uno diceva Andrè Frossard. Ed è a quell’uno che dobbiamo rivolgerci. Dio non ha creato una popolazione, ma un uomo e una donna. Dai quali nascono persone singole, uniche. La fede è un annuncio a un tu, non ad un voi. E questo deve essere chiaro pure a tutti coloro che, ingannandosi e ingannando, credono di essere sani e santi per il semplice motivo di rivolgersi ai giovani.
Francesco Colafemmina, a tal proposito, scrive sul suo blog che “la categoria "giovani" è una categoria in continuo mutamento e al suo interno enormemente frastagliata, dunque ridurla ad un'unica dimensione significa inevitabilmente falsificarla.” Noi invece ci accontentiamo di qualsiasi cosa purché sia rivolta ai giovani. Aldilà dell’ignorare il fatto che esistono anche gli adulti e gli anziani, così si spacciano per buone le peggiori idiozie e eresie, con la scusa che esse sono per i giovani.
Riflessione molto interessante ma troppo presto sommersa dalla liturgia.
RispondiEliminaE ci sono anche coloro che non devono essere evangelizzati, individualmente o in "gruppo", penso agli ebrei, non preghiamo più per la loro conversione, Kasper nel 2002 disse:
RispondiElimina"Gli ebrei non hanno bisogno di doventare cristiani per essere salvati.Se seguono la loro coscienza e credono nelle promesse do Dio come le comprendono nella loro Tradizione"
Oggi, facendo una ricerca ho trovato questo testo di un sacerdote svizzero, Alain René Arbez, impegnato nel dialogo con gli ebrei, è responsabile delle relazioni con il giudaismo in Svizzera.
Ha scritto questa preghiera:
"Prego per il popolo ebreo, portatore dell`alleanza con il vero Dio.
Non prego affinchè gli ebrei si convertano al cristianesimo.
Prego affinchè gli ebrei approfondiscano il loro giudaismo.
Non prego affinchè gli ebrei si convertano a Gesù.
Prego affinchè si convertano al Dio d`Israele padre del popolo ebreo di ieri e di oggi, e padre di Gesù che era ebreo."
Per quel sacerdote la promozione dei valori del Vangelo ha essenzialmente come scopo di proporre alle mentalità pagane delle nostre società un cammino di umanità nella conversione al Dio della Bibbia.
Per lui sarebbe un paradosso spingersi sino a proporre agli ebrei di scoprire il Dio d`Israele quando i fondamentali della fede cristiana sono stati ricevuti dal giudaismo.
Insomma exit il Signore Gesù che ci ha detto:
"Io sono la via, le verità e la vita."
Non per tutti, non per gli ebrei.
Ma non c`è rottura, no.
Cara Luisa,
RispondiEliminapurtroppo è lo stesso principio in base al quale arrivano a rifiutare il battesimo a musulmani convertiti dicendo che basta essere dei buoni musulmani...
Perdita totale di identità, che significa appartenenza al Signore.