Ricevo da Don Curzio Nitoglia, e pubblico di seguito, le sue risposte alle obiezioni poste da alcuni interventi nella discussione dell'articolo riguardante una sua Sintesi sulla validità dei nuovi sacramenti [qui]
Rispondo alle obiezioni postemi 1°) riguardo alla necessità dell’unzione nella Cresima per la sua validità; 2°) quanto alla sostanza della forma della consacrazione dei vescovi.
I sacramenti in genere
I teologi hanno discusso se l’istituzione dei sacramenti sia immediatamente e specificatamente divina (di modo che Cristo stesso ha stabilito la materia e la forma precise di ogni sacramento), oppure mediatamente e genericamente (di modo che gli Apostoli e la Chiesa possano determinare la materia e la forma di alcuni sacramenti - tranne il Battesimo, l’Eucarestia e l’Estrema Unzione - per volontà di Gesù e assistiti dallo Spirito Santo quanto alla loro sostanza e validità).
S. Bonaventura (Breviloquium, VI, 4, 1) sostiene questa seconda tesi. Mentre nella controriforma i teologi cattolici (specialmente S. Roberto Bellarmino, De Sacramentis, Venetiis, 1590) per reazione al Luteranesimo, che negava l’istituzione divina dei sacramenti, hanno difeso, forse con troppo ardore, la tesi dell’istituzione immediata e specifica di essi da parte di Gesù. Tuttavia anche molti Dottori della controriforma e del post-Vaticano I (Soto, Suarez, Franzelin e Billot) insegnano che Gesù Cristo non ha istituito tutti e sette i sacramenti nei particolari, ossia indicando esplicitamente la materia e la forma (come ha fatto per il Battesimo e la Messa), ma si è limitato a indicare il loro scopo o la grazia che debbono produrre, lasciando alla Chiesa, ossia agli Apostoli il compito di determinare il rito in specie.
La Cresima
Per quanto riguarda la Cresima e l’Ordine sacro (v. oltre) in specie (secondo Scoto, Lessio, Billuart, Soto, De Lugo, Gotti, Billot, De Guibert, Van Noort, E. Hugon e Galtier) Gesù li ha istituiti con determinazione generica, lasciando alla Chiesa la facoltà di determinare meglio gli elementi essenziali (cfr. A. Piolanti, voce “Ordine”, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1952, vol. IX, col. 223).
«La Chiesa, fondandosi sul Nuovo Testamento e sui Padri ecclesiastici, ha solennemente definito nel Concilio di Trento (DB 844) il fatto, secondo il quale Gesù ha istituito tutti e sette i sacramenti, pur lasciando libertà sul modo in cui lo ha fatto» (Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 371, voce “Sacramenti” a cura di A. Piolanti).
In breve, il Concilio di Trento non ha voluto definire ed ha lasciato libertà di opinioni teologiche diverse su questa questione. Ora se il Tridentino non ha voluto definire e obbligare non vedo come lo possano fare dei semplici fedeli.
San Paolo (I Tim., IV, 14), quanto alla materia della Cresima, parla solo dell’imposizione delle mani. Gli Atti degli Apostoli (VI, 6; XIII, 3) non precisano le parole della forma del sacramento. La Traditio apostolica di S. Ippolito (quindi la raccolta della Tradizione apostolica in materia sacramentaria e non solo un passaggio della S. Scrittura) dell’inizio del III secolo parla di preghiera, che accompagna l’imposizione delle mani.
Dunque, dalla Tradizione apostolico/patristica, dalla S. Scrittura e dal Magistero ecclesiastico ed infine dalla Ragione teologica (e non solo da un passaggio della S. Scrittura, come mi si vorrebbe far dire, in maniera oggettivamente calunniosa), costituita dagli studi dei Dottori ecclesiastici e dei teologi approvati, risulta inequivocabilmente che per la Cresima la materia del sacramento è l’imposizione delle mani, cui si è aggiunta nel III secolo l’unzione.
L’unzione è essenziale per la validità della Cresima?
Per quanto riguarda l’obiezione secondo cui l’unzione con olio è essenziale alla validità della Cresima, rispondo che la Tradizione apostolica e patristica dal II al V secolo (e non un solo passaggio della S. Scrittura) insegnano: “Si impone la mano per invitare lo Spirito Santo [a scendere sul fedele o il consacrando]” (Tertulliano, De Bapt., VIII). S. Cipriano di Cartagine scrive: “attraverso la nostra orazione e l’imposizione delle mani” (Epist., LXXIII, 9) si fa discendere lo Spirito Paraclito sull’ordinando. Anche Eusebio da Cesarea nella Storia Ecclesiastica (I, 13, 18; VII, 2) parla di imposizione delle mani assieme alla preghiera. S. Agostino d’Ippona scrive: “l’imposizione delle mani è unita alla preghiera sopra il fedele” (De Bapt., III, 16, 21). S. Leone Magno scrive: “la benedizione o imposizione delle mani sia conferita dai Ministri sacri a digiuno” (Epist., IX, 1).
S. Tommaso d’Aquino fornisce la Ragione teologica, secondo la quale l’imposizione delle mani è il simbolo naturale e quindi adottato comunemente per significare la trasmissione di un potere (S. Th., III, q. 84, a. 4, ad 1um). Quindi Gesù e gli Apostoli si son serviti dell’imposizione delle mani per infondere la grazia sacramentale specialmente nella Cresima, nell’Estrema Unzione e nell’Ordinazione.
Inoltre alcuni “obiettanti anonimi” - poco correttamente - tagliano la seguente citazione che, invece, avevo riportato: “Per la Cresima l’imposizione delle mani rimane tuttora, come prima, elemento essenziale del rito sacramentale, però non può essere separata dalla sopraggiunta nel III secolo unzione col crisma” (F. Càrpino, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1951, vol. VI, col., 1718).
Uno degli “obiettanti”, addirittura, scrive che secondo S. Alfonso Maria de Liguori e padre Felice Maria Cappello l’unzione è essenziale alla validità della Cresima, senza citare il trattato ove S. Alfonso e p. Cappello avrebbero insegnato questa tesi.
Ora S. Alfonso Maria de Liguori nella sua Theologia Moralis (Parigi, ed. Vivès, 1875, tomo III, lib., VI De Sacramentis, tratt. II, cap. II De Confirmatione, dubbio I, nn. 162-166 De materia proxima, pp. 111-118) insegna che la sentenza comune ritiene [ut habet communis] l’unzione col crisma come essenziale per la validità della Cresima, ma poi distingue tre sentenze: la prima sentenza opina [tenet /ritiene] che l’essenza della materia prossima della Cresima consista nell’imposizione delle mani da parte del Vescovo e che l’unzione con il crisma sia soltanto la materia accidentale istituita dalla Chiesa e non da Cristo (p. 111); la seconda [dicit] e la terza sentenza [fere communis /quasi comune] convergono sostenendo che la materia prossima è sia l’imposizione delle mani che l’unzione col crisma fatta dal Vescovo (p. 112). S. Alfonso, quindi, ritiene quest’ultima sentenza quasi comune [fere communis] e l’abbraccia [tuemur et extimamus /sosteniamo e stimiamo], seguendo S. Roberto Bellarmino (De sacramento confirmationis, Venezia, 1590, cap. 1 ss.), senza voler imporre la sua opinione teologica come certa o addirittura di fede e negare assolutamente la consistenza della prima sentenza, a differenza dell’obiettante, al quale manca totalmente quel senso delle sfumature e delle distinzioni che in teologia è assolutamente necessario (“primum distinguere”, insegnano gli scolastici).
Padre Cappello è anch’egli, a differenza dell’obiettante, assai sfumato. Infatti nella Summa Iuris Canonici (Roma, Gregoriana, vol. II, ed. VI, 1962, cap. III, art. I, n. 148, p. 176) scrive: “l’unzione sembra [videtur] essere necessaria per la validità del sacramento della Cresima, come insegnano più comunemente gli autori [communius docent auctores]. Invece altri autori ritengono sia sufficiente la sola imposizione delle mani [quidam censent sufficere solam manus impositionem], secondo la pratica antichissima della Chiesa”.
Quindi S. Alfonso e p. Cappello non insegnano quanto “l’obiettante anonimo” vorrebbe far dire loro.
L’Ordine sacerdotale ed episcopale
La forma romana precisata dogmaticamente da Pio XII nella Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis (30 novembre 1947) stabilisce la seguente forma nella consacrazione episcopale: «Comple in sacerdotibus tuis ministerii tui summam / Compi nei tuoi sacerdoti la perfezione del tuo ministero [sacerdozio]».”
Pietro Palazzini nel Dictionarium morale et canonicum (Roma, Officium Libri Catholici, 1965, II vol., p. 270 e 271, voce “Episcopi/Episcopatus”) scrive: «La forma del sacramento dell’episcopato consiste nella invocazione dello Spirito Santo. Ciò lo si prova con le citazioni della S. Scrittura. […]. Lo stesso insegnano la Tradizione apostolica (lib. VIII, capp. 4-5) e Dionigi l’Areopagita (De ecclesiastica hierarchia, cap. 5). […]. Inoltre la Costituzione apostolica Sacramentum Ordinis di Pio XII (30 novembre 1947) specifica e insegna: “nella consacrazione del vescovo la forma latina consta delle parole del Prefazio, delle quali sono essenziali per la validità: “Comple in sacerdote tuo ministerii tui summam / porta a perfezione nel tuo sacerdote [ordinando vescovo] la pienezza del ministero [ossia del sacerdozio]”. Tuttavia, quanto alla forma, per la liceità del sacramento il vescovo consacratore deve dire sul vescovo consacrando anche la frase: “accipe Spiritum Sanctum”».
A mo’ di riassunto, per spiegarmi meglio e non essere frainteso, la tesi esposta dal card. Pietro Palazzini, inquadrata nella Costituzione Apostolica di Pio XII del 30 novembre 1947, la quale viene recepita e non contraddetta dal Palazzini, vuol significare soltanto che la consacrazione episcopale dà la pienezza del sacerdozio tramite lo Spirito Santo, che è il perfezionatore dei doni datici da Cristo (cfr. Leone XIII, Enciclica Divinum illud munus, 9 maggio 1987, DS 3325-3331); così come nella Cresima si riceve il Paraclito, che perfeziona la grazia ricevuta nel Battesimo.
Naturalmente le parole essenziali della forma consacratoria dei vescovi, nella Chiesa latina, sono quelle insegnate da Pio XII nel 1947, ma ciò non implica che le forme di rito greco, di Tradizione apostolico/patristica (accidentalmente, ma non sostanzialmente diverse dalla forma imposta da Pio XII alla Chiesa latina), in cui si invoca soltanto lo Spirito Santo, siano invalide, come ritengono implicitamente gli “obiettanti”.
Per cui Paolo VI, avendo ripreso la forma greca e lasciato quella latina, non ha invalidato il sacramento della consacrazione episcopale, anche se sembra poco opportuno il fatto che la Chiesa latina adotti una forma sacramentaria del rito orientale e abbandoni quella di rito latino.
La consacrazione episcopale
Mons. Antonio Piolanti, I Sacramenti (Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1a ed., 1956; Città del Vaticano, LEV, 2a ed., 1990, p. 498) riprende le forme della consacrazione dei vescovi riportate dalla Traditio apostolica di S. Ippolito (III secolo) e le altre eventuali forme di rito greco.
Per i vescovi: «Da, o Padre, a questo tuo servo che hai eletto all’episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di avere la potestà del primato del sacerdozio nello Spirito». (S. Ippolito).
Le altre forme della liturgia greca per i vescovi recitano: «Signore, fortifica con la venuta del tuo Santo Spirito questo eletto».
La forma latina, precisata dogmaticamente da Pio XII nella Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis (30 novembre 1947), stabilisce la seguente forma nella consacrazione episcopale: «Comple in sacerdotibus tuis ministerii tui summam / Compi [ossia porta al vertice], nei tuoi sacerdoti la perfezione del tuo ministero [ossia del sacerdozio]». Però, questa seconda frase, che avevo già riportato nei miei precedenti articoli, è stata volutamente omessa dagli “obiettanti”, ma ciò è gravemente scorretto e persino calunnioso. Ora la calunnia pubblica va riparata pubblicamente per poter essere assolti sacramentalmente.
Paolo VI il 18 giugno del 1968 ha promulgato una nuova versione del Pontificale Romano che per il vescovo recita: «Effondi sopra questo eletto la potenza che viene da Te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida». Questa forma è quella greca di origine apostolica e quindi non può essere invalida, anche se è accidentalmente diversa dalla forma di rito latino insegnata da Pio XII.
Certamente il cambiamento fatto da Paolo VI mi sembra inopportuno e sa di “insano archeologismo” (cfr. Pio XII, Enciclica, Mediator Dei, 1947), però non invalida il sacramento. Tuttavia, stupisce e lascia perplessi che nella Chiesa latina si lasci la forma millenaria in uso in occidente e si adotti la forma altrettanto antica in uso in oriente.
Conclusione
La retta soluzione di ogni questione non dipende dai nostri gusti, dalle nostre opinioni o dai nostri comodi, ma dalla conformità del nostro pensiero alla realtà. Per la validità del sacramento occorrono la materia, la forma e l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Ora i nuovi sacramenti promulgati da Paolo VI a partire dal 1968 sino al 1972 sono provvisti di tutti e tre gli elementi. Quindi essi oggettivamente sono validi, piaccia o non piaccia.
Nelle obiezioni che ho ricevuto, sia sul mio sito che su altri, ho notato tre tendenze principali: 1°) una forte ed esplicita professione di millenarismo totale, neppure mitigato, secondo cui la Chiesa sarebbe finita e i “santi laici” avrebbero il compito di rimetterla in piedi; 2°) una certa malevolenza, che porta, oggettivamente, a distorcere la dottrina esposta per poterla confutare, facendole dire quel che non ha detto, ossia alla calunnia; 3°) infine una gran confusione, che in questi tempi di tenebre spirituali è divenuta, purtroppo, quasi la “norma”, per cui non ci si raccapezza più in mezzo a tanti errori e deviazioni più o meno espliciti.
La prima tendenza è eterodossa ed è stata condannata dalla Chiesa (S. Uffizio, 21 giugno 1944, AAS, 36, 1944, p. 212). Quindi è da evitarsi totalmente.
La seconda tendenza, ossia il calunniare, è reputata dalla Teologia morale un peccato mortale. Dunque “bisogna fuggirla, come il peccato mortale”.
Se per difendere la propria “Tesi” ci si spinge a macchiarsi, oggettivamente, di peccato grave di calunnia è meglio star zitti riguardo a certi problemi oscuri e difficili, cercando di “fare il bene ed evitare il male”. Quanto a me, dopo aver difeso la carica pubblica di sacerdote che ho ricevuto 30 anni or sono, preferisco evitare ogni altra disputa con questa categoria di persone, che - come anime - raccomando a Dio con la preghiera poiché a Dio dovranno render conto delle loro calunnie, ma che evito - come calunniatori - poiché così bisogna fare con i detrattori del buon nome altrui.
La terza tendenza è quella composta di semplici fedeli, che turbati dalla situazione ecclesiale odierna (e come non esserlo?), vanno illuminati con buoni consigli, che li spronino a “conoscere, amare e servire Dio e mediante questo salvarsi l’anima”, senza incappare in questioni ardue che li sorpassano, non son richieste ai comuni fedeli per salvarsi eternamente e aumentano soltanto il turbamento del loro animo.
d. Curzio Nitoglia
Ho letto con piacere l'articolo di don Curzio, anche se cursoriamente (a quest'ora di notte...!); coll'intenzione, a ogni modo, di rileggerlo poi con più attenzione, a mente fresca.
RispondiEliminaCondivido pienamente la conclusione, sulla validità dei sacramenti riformati.
Don Curzio poi ha ragione da vendere quando dice che c'è in giro, anche tra i cosiddetti tradizionalisti, una confusione che fa paura.
Maso
ot
RispondiEliminahttp://www.antoniosocci.com/2014/09/il-caso-descoto-e-dintorni-chi-vuole-spazzar-via-lopera-di-giovanni-paolo-ii-e-di-benedetto-xvi/
m
Bellissimo studio teologico .
RispondiEliminaGrazie .
Eccellente trattazione di don Curzio sempre preciso e con riferimenti seri.
RispondiEliminaEccellente trattazione che fa chiarezza su una materia che, effettivamente, è spesso sconosciuta.
RispondiEliminaNel libro di Mons. Piolanti, dal quale - mi sembra - don Curzio ha tratto la maggior parte degli spunti, c'è un'interessante digressione sul concetto di "intenzione". E' una spiegazione illuminante che confuta anche certe tesi esasperate secondo le quali la corruzione dell'intenzione è data pressoché per certa nei riti riformati.
In realtà la questione dell'intenzione è molto ampia e complessa, soprattutto laddove si incrocia con la questione della fede del ministro; l'intenzione di fare ciò che fa la chiesa (e non "la chiesa cattolica", precisazione importantissima che permette, ad esempio, ad un protestante di battezzare validamente)può infatti sussistere e di fatto in molti casi sussiste anche in colui che ha perduto la fede.
l'intenzione di fare ciò che fa la chiesa
RispondiEliminaAl di là della complessità del discorso sulla "intenzione" nel quale non mi addentro qui e ora, resta fermo il fatto che la Mystici Corporis e la Humani generis identificano la Chiesa di Cristo con la Chiesa Cattolica.
Il primo schema de Ecclesia della Commissione preparatoria del Concilio Vaticano II afferma: « la Chiesa cattolica romana è il Corpo mistico di Cristo… e solo quella cattolica ha il diritto di essere chiamata Chiesa ».
Nella Lumen Gentium, 8 “è” diventa “sussiste in”:
"Questa Chiesa [l'unica Chiesa di Cristo], in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica".
Sembra dunque che la Catholica è ancora la vera Chiesa di Cristo, ma in un modo diverso dal precedente ?
Questa ultima affermazione non mi torna per niente: la Chiesa è, per definizione dogmatica (è il nostro CREDO!), "Una, Santa, Cattolica". Per cui parrebbe pacifico che quando si dice "intenzione di fare ciò che fa la Chiesa", si intenda, indefettibilmente, la SOLA ED UNICA CHIESA, ossia ovviamente la Cattolica! Semmai,ipotizzo,si intenderà che anche i protestanti,avendo,per quanto riguarda il Battesimo,la retta ed esatta intenzione di "fare ciò che fa la Chiesa Cattolica" (cioè battezzare "nel nome del padre del Figlio e dello Spirito Santo"), PERTANTO, validamente possono battezzare....Il che mi pare del tutto differente dall'affermazione in commento.
RispondiEliminaLa Dominus Iesus precisa:
RispondiElimina... Con l'espressione «subsistit in», il Concilio Vaticano II volle armonizzare due affermazioni dottrinali: da un lato che la Chiesa di Cristo, malgrado le divisioni dei cristiani, continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa Cattolica, e dall'altro lato « l'esistenza di numerosi elementi di santificazione e di verità al di fuori della sua compagine » [55], ovvero nelle Chiese e Comunità ecclesiali che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa Cattolica [56]. Ma riguardo a queste ultime, bisogna affermare che « il loro valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa Cattolica »
ilfocohadaardere, sono d'accordo.
RispondiEliminaE' esattamente quel che non mi suonava in quel commento e che rischia di essere offuscato il quel "subsistit in", nonostante l'arrampicamento sugli specchi, perché penso prevalga un afflato ecumenico che esclude il "reditus"...
Scusate ma o non mi sono espresso bene o non avete colto nel segno ciò che ho accennato, più che affermato.
RispondiEliminaNessuno mette in dubbio che la sola chiesa è la chiesa cattolica.
Ma qui il discorso non verte circa l'identità della Chiesa, ma circa il contenuto dell'intenzione.
Per confezionare validamente un sacramento è richiesta l'intenzione di "fare ciò che fa la chiesa" e volontariamente non si dice "la chiesa cattolica"; il protestante che battezza volendo fare ciò che fa la chiesa e ritenendo vera chiesa la setta protestante, battezza tuttavia validamente; l'ortodosso che ordina volendo fare ciò che fa la chiesa e ritenendo vera la chiesa ortodossa, ordina realmente. Questo perché una coscienza oggettivamente erronea, può però essere soggettivamente certa e tale certezza, sebbene fondata su una concezione oggettivamente erronea, è sufficiente a confezionare il sacramento.
Se riesco vi trasmetto i riferimenti al Piolanti che sono certamente più chiari delle mie povere parole.
A. Piolanti, I Sacramenti, Firenze 1960, 237-239
RispondiEliminaL'esempio della Chiesa ortodossa potrebbbe spiegarsi col fatto che essa ha la successione apostolica.
RispondiEliminaMi scusi "anonimo",ma alla luce delle sue ultime delucidazioni, non credo né che avessimo capito male noi, né che lei si fosse spiegato male. Il discorso del suo mons.Piolanti- e lo dico da semplice fedele non certo da teologo- mi pare molto molto forzato, per non dire artificioso. Credo che questi siano veri e propri sofismi. Se la nostra FEDE ci dice senza ombra di possibile dubbio che la Chiesa è UNA, e CATTOLICA,è altrettanto chiaro che i Sacramenti sono quelli della Chiesa Cattolica! Dunque, per un principio logico di non contraddizione, l'intenzione "della CHIESA", non può che essere quello della Una, Cattolica. Il resto è puro sofismo, ed è pane di quegli "intellettuali" che si sono appropriati, forti spesso della loro superbia, delle cose di fede, spesso distorcendola, ahinoi (siamo oggi a "piangere" su questa opera di decostruzione della nostra luminosa fede),pretendendo di piegarla a concettualismi che nulla hanno ma che vedere con la ratio cristallina di un S. Tommaso d'Aquino. Questo dare spazio al soggettività addirittura degli "eretici" e scismatici, per validare i sacramenti, mi desta più che "qualche dubbio" (ripeto, da semplice fedele); poi mi chiedo: ma l'attuale tremenda crisi della Fede cattolica deriva dal sentimento e dalla schietta ragione dei fedeli, o dalle arzigogolate tesi degli intellettuali?Quegli stessi intellettuali "modernisti" che Pio XII da ultimo condannò, guarda caso disponendo che nei seminari e nelle università cattoliche tornasse la sicura, salda, filosofia tomista scolastica, che individuava come unico sicuro veicolo di conservazione di una retta e salda dottrina.
RispondiEliminasCUSATE,
RispondiEliminama chi è critico verso le tesi di don Nitoglia, dove può trovare uno spazio per confrontarsi?
Padronissimi di rispondermi che non è problema vostro, ma fate conoscere al mondo che vi sono anche loro e che potrebbero non riconoscersi nelle categorie descritte dal Padre in questione.
Esiste chi ha organizzato la propria vita in un certo modo. Ha affrontato lotte in famiglia per difendere le sue ragioni. Adesso non se la sente di essere messo anche da chi giudica una guida ed un faro, tra i reprobi (e/o i cretini). Già si sente un imbecille di suo. Uno spazio per provare a ricordare a tutti che nulla è evidente e che quindi, chi fa una scelta abbia l'umiltà sufficiente per ricordare che non può demonizzare coloro che in buona fede (va sempre data per scontata)dove e come lo può "elemosinare". Le famose "briciole" per i cagnolini dove può trovare la tavola da cui cadono?
Serafino,
RispondiEliminaSe qualcuno che tu segui dice cose diverse, non pensi che in alcune valutazioni possa sbagliare?
serafino,
RispondiEliminaSe qualcuno che tu segui dice cose diverse, non pensi che in alcune valutazioni possa sbagliare?
09 settembre 2014 16:46
Proprio perchè lo penso, mi auguro che lo pensino anche sostenitori della tesi opposta, senza darsi dell'eretico (e/o del "confusionario"/confuso) a vicenda.
Ripeto: è un'utopia sperare che si possa dire:" NESSUNO Delle parti in causa HA L'AUTORITà per imporre una visione più che un'altra, (lo diceva don Nitoglia a proposito della sua ipotesi di Velletri). Pertanto ciò io dico è un mio AUTOREVOLISSIMO PARERE PERSONALE, frutto dei miei studi, magari anche delle mie preci, delle grazie che ho avuto, etc., MA SU CUI NON POSSO IMPORRE A NESSUNO delle scelte, al massimo le posso proporre".
Serafino,
RispondiEliminami pare che don Curzio faccia delle affermazioni, a replica di altrettante contestazioni alle quali risponde documentando e argomentando.
Non mi pare che nelle sue convinzioni, sia pure espresse con vigore, possa esserci alcuna intenzione di imporle... Se ha usato alcuni termini che adesso non sto qui ad andare a verificare, suppongo lo abbia fatto in ragione del tenore della confutazione che gli è stata rivolta.
In ogni caso ognuno può esaminare, valutare e decidere usando la sua libertà.