"Mamma, li peregrini!"
Nel nutrito ventaglio di pagine internet a carattere apologetico e tradizionalista, o per lo meno in quelle italiane più frequentate dal variegato popolo cattolico, si possono trovare molteplici ed interessanti rubriche, commenti ed editoriali che si occupano, non di rado con ottima competenza, di liturgia, di diritto canonico, di sacramentaria, di teologia e di molti altri argomenti. Manca, però, un approfondimento sereno e costruttivo su uno degli argomenti più importanti, eppure così mirabilmente silenziati dalla propaganda modernista e da un certo tradizionalismo retrivo (il quale, per inciso, non manca affatto): ci riferiamo alla riforma liturgica postconciliare per quanto riguarda la musica sacra, gli abusi che direttamente o indirettamente ne derivarono e, non da ultimo, uno sguardo sereno, storico e obiettivo sulla situazione della musica sacra negli anni precedenti al Concilio Vaticano II.
Se, da un lato, infatti, i paladini della cosiddetta "nuova musica" di Chiesa si affannano a decantare un presunto salutare cammino intrapreso con altrettanto presunto successo dopo una riforma (per alcuni versi necessaria, ammettiamolo) della musica in ambito celebrativo, derubricando con parole grossolane e tendenziose ciò che ha preceduto detta riforma ed esaltando qualsiasi novità, anche la più strampalata (purché puzzi di assemblea), e liquidando la congerie di abusi che si consumano settimanalmente nelle nostre chiese come una tappa necessaria per una piena comprensione da parte del popolo di Dio delle ministerialità che gli sono proprie, dall'altro lato, troppi tradizionalisti vagheggiano un presunto eldorado musicale perduto in tutte le chiese dell'orbe cattolico (teoria, per la verità, scarsamente dimostrabile) e una totale uniformità dei parroci e dei pastori al verbo piodecimino esistita, più che altro, solamente nei loro sogni. E bisogna anche dire che i primi hanno l'appoggio incondizionato di larga parte dei media cattolici ufficiali, sicché i secondi si arroccano sulle loro posizioni anche come reazione alle vessazioni cui per anni sono stati sottoposti, vessazioni che, in molte diocesi, soprattutto italiane, perdurano ancora oggi.
Le pagine di "Chiesa e post concilio", dunque, tengono a battesimo - e di quest'ospitalità siamo grati - una nuova rubrica di "controstoria della musica liturgica" che albergherà sotto l'insegna dell'obiettività e del liturgicamente scorretto: nessun timore di sgretolare false certezze o di suffragarne altre. E lo faremo anche a costo di inimicarci gli amici pizzomerlettari delle marcette all'elevazione - suvvia, ma che gusti orribili! - o i nostalgici canzonettari delle messe beat. Saremo, ce lo auguriamo, il "Tonus peregrinus" della trattatistica tradizionalista sul web.
Perché il nome "Tonus peregrinus"? Perché, lo abbiamo detto poco sopra, saremo (orgogliosamente) politicamente scorretti e senza timori cercheremo, in nome della Tradizione, di offrirvi una "controstoria". E l'avvento nella produzione gregoriana del tono peregrino, tono medievale di origine gallicana introdotto nel IX secolo, è stato talmente destabilizzante da essere pubblicamente additato, da un teorico come Aureliano di Réomé nel suo "Musica disciplina", come "neophyto tono". Altri, addirittura, lo definirono "barbarus": eccoci, vogliamo essere le invasioni barbariche del tanto deprimente quanto stomachevole scenario della produzione liturgico-musicale postconciliare suggellata da quella pornografia pura che va sotto il nome di "Casa del Padre" partorita in casa Cei. Tutto ciò lo realizzeremo in tandem: così come l'irregolarità del tono peregrino era data dal fatto che esso possedeva due corde di recita (La e Sol), così noi, in un'epoca nella quale si confezionano in tal modo perfino le encicliche, faremo una rubrica "a quattro mani".
Perché il nome "Tonus peregrinus"? Perché, lo abbiamo detto poco sopra, saremo (orgogliosamente) politicamente scorretti e senza timori cercheremo, in nome della Tradizione, di offrirvi una "controstoria". E l'avvento nella produzione gregoriana del tono peregrino, tono medievale di origine gallicana introdotto nel IX secolo, è stato talmente destabilizzante da essere pubblicamente additato, da un teorico come Aureliano di Réomé nel suo "Musica disciplina", come "neophyto tono". Altri, addirittura, lo definirono "barbarus": eccoci, vogliamo essere le invasioni barbariche del tanto deprimente quanto stomachevole scenario della produzione liturgico-musicale postconciliare suggellata da quella pornografia pura che va sotto il nome di "Casa del Padre" partorita in casa Cei. Tutto ciò lo realizzeremo in tandem: così come l'irregolarità del tono peregrino era data dal fatto che esso possedeva due corde di recita (La e Sol), così noi, in un'epoca nella quale si confezionano in tal modo perfino le encicliche, faremo una rubrica "a quattro mani".
In questa puntata numero zero, non volendo scostarci ulteriormente da quella che volevamo fosse una presentazione, e che notiamo fin troppo prolissa, elenchiamo, giusto a mo' d'esempio, dieci punti sui quali ruoteranno altrettante nostre indagini e riflessioni.
- Dove si sostiene che una volta la gente non partecipava col canto alle sacre funzioni perché c'erano le scholae cantorum, che cantava solo alle processioni e in qualche altra occasione, peraltro musiche con testi tristi o marziali, scritte in un italiano incomprensibile o in un latino greve che veniva biascicato.
- Dove si sostiene che le scholae cantorum cantavano male, gridavano, che erano mestieranti stonati o gente di paese che voleva salire all'organo per parlare di politica durante la predica, o - ancora peggio - dipendenti ecclesiali che andavano a messa solo per lavorare e mai per pregare.
- Dove si sostiene che nessuno conosceva il gregoriano, che si cantava solo la "Messa degli angeli" ogni domenica, eseguita pure male come altre poche antifone gregoriane ai vespri e qualche introito alla messa che veniva rabberciato alla bell'e meglio per le feste solenni.
- Dove si sostiene che ai vespri si biascicavano i salmi in una maniera incomprensibile, tanto è vero che il Concilio ha ribadito l'importanza dell'Ufficio perché il popolo di Dio aveva smesso di andarci da anni.
- Dove si sostiene che, quand'anche le musiche fossero state diligentemente eseguite, era un gregoriano mesto e aristocratico, che i canti in volgare parlavano solo di peccato, sangue, morte, vittoria, gloria, sofferenza senza alcun riferimento biblico o evangelico.
- Dove si sostiene che gli organisti erano dei notabili che lucravano sulla Chiesa per suonare ininterrottamente alle messe basse e assordare il popolo di Dio con suoni fragorosi alla messa cantata sicché non potesse né dialogare col sacerdote in canto né pregare devotamente.
- Dove si sostiene che quand'anche gli organisti fossero stati valenti e pii, la liturgia era talmente corrotta e stucchevole che essi potevano mostrare la loro bravura solo perché all'altare non succedeva nulla di interessante o di percepito come importante per la comunità radunata.
- Dove si sostiene che gli organisti e i cantori, stando in cantoria, non seguivano la messa e non partecipavano alle azioni liturgiche, che erano ignoranti di liturgia e la maggior parte degli individui di sesso maschile si recava ai vespri per poter indossare saltuariamente la cotta e la talare o addirittura il piviale (la cosiddetta fictio) perché il clero anziano non poteva cantare e il clero giovane non osava interrompere consuetudini antiliturgiche consistenti nel travestire laici cantori da preti per non svilire la cerimonia, svilendo così il sacerdozio universale.
- Dove si sostiene che il turpe popolo dei liturgisti di allora era una selva di rubricisti schizofrenici, che si limitavano a normare gli inchini e le intonazioni dei cantori senza auspicare un miglioramento del repertorio e della situazione della musica sacra.
- Dove si sostiene che, essendo i laici ignoranti di latino e i preti di musica, questa situazione si era talmente incancrenita che con nessuna difficoltà laici e sacerdoti abbandonarono il vecchio messale, fiduciosi che una liturgia rinnovata avrebbe dato la possibilità a ciascuno di esprimere il proprio carisma e di partecipare attivamente alla liturgia ecclesiale, dando vita a un fitto e prolifico movimento di composizione, esecuzione e studio di nuovi repertori, che con successo non cessano di stupire il popolo radunato nell'aula liturgica per la loro bellezza, cantabilità e facilità, seppellendo ogni traccia del passato e aprendosi a ogni esperienza locale e mondiale, anche grazie ai mirabili esempi dei nostri fratelli riformati che prima di noi compresero l'importanza della musica salvifica e del canto in volgare per unirci più strettamente a Dio nella sua santa assemblea.
Questi sono, dicevamo, solo alcuni degli aspetti che verranno trattati in questa "controstoria". E, proprio in quanto "controstoria" avremo anche modo di esaminare, perché no?, come l'impianto liturgico della messa, sul quale era innervato quello musicale, sia stato modificato e con quali conseguenze. Non rimane, dunque, che seguirci settimanalmente con pazienza e muniti di sano e santo spirito "peregrinus".
Alcune osservazioni sul logo della nostra rubrica disegnato ex novo da abile, e devota, mano pittorica.
Il nostro simbolo: la Tiara o Triregno |
La prima corona della tiara è l'organo, il re degli strumenti, "strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti", come ancora arriva ad affermare la "Sacrosanctum Concilium" (n. 120).
La seconda corona è la notazione neumatica gregoriana, così come essa nasce: è la musica che anche la Chiesa postconciliare, al netto degli "altri generi" ugualmente permessi, riconosce come "canto proprio della liturgia romana" ("Sacrosanctum Concilium", 116).
Insieme, queste due corone, rappresentano simbolicamente i nostri fari: l'organo e il gregoriano. Fari che, ci insegnano i teorici medievali, racchiudono in loro stessi la "musica di Dio": le scholae cantorum, specchio terreno dei cori angelici, e il suono dell'organo, eco terrena dell'armonia delle sfere, le due facce della musica sacra. Insieme provenienti dalla e ritornanti alla Gerusalemme celeste.
Infine, c'è la terza corona, il Calvario, simbolo, prima di tutto, del sacrificio cruento di Gesù, in secondo luogo di quello incruento che si riattualizza in ogni S. Messa, ma anche, in senso estensivo e nemmeno troppo implicito, immagine del Golgota sul quale, con dolorosa sofferenza, è immolata la musica sacra dei nostri giorni.
Pino Delsignore e Tony Dellachiesa
In questo momento sono appese ai salici le nostre cetre.
RispondiEliminaMa anche l'esilio Babilonese è finito.
Dunque recuperiamo quel che possiamo. Che i nostri tesori vengano dissepolti...
E grazie per il vostro impegno e condivisione :)
Vi ringrazio per questo contributo...
RispondiEliminaspero di vedere più regolarmente...
Romano
Dalla presentazione sembrerebbe interessante.....
RispondiEliminaQuando iniziate la vostra "peregrinatio"?
RispondiEliminaGrazie ai stimati curatori. Ma e vero che Tony Dellachiesa e un pronipote del nipote di Papa Benedetto XV?
RispondiEliminaSi torni al gregoriano. Semplicente. Questo sia il primo obiettivo.
RispondiEliminaCi farete gustare anche qualche musica?
RispondiEliminahttp://www.corrispondenzaromana.it/santa-cecilia-martire-patrona-della-musica/
RispondiEliminaCon un po' di ritardo ma con interesse saluto il varo di questa rubrica che invito a non cercare necessariamente equilibrii (che nelle intenzioni sono aurei e nei fatti democristiani)tra "pizzomerlettari" e "scatarratori". La prima è una categoria da correggere, la seconda da convertire (ovvero anientare).
RispondiEliminaL. Moscardò