La «Chiesa ribaltata» di Enrico Maria Radaelli (sottotitolo eloquente: Indagine estetica sulla teologia, sulla forma e sul linguaggio del magistero di Papa Francesco, Verona 2014) è una di quelle opere che non si possono consumare tutte d’un fiato ma che il tempo fa apprezzare sempre di più, esattamente come i farmaci a lento rilascio la cui densità è proporzionata agli effetti lunghi. Infatti, se per un verso essa costituisce ad oggi il contributo più intelligente e più documentato sul primo scorcio di magistero di papa Francesco, è anche vero che l’opera di Radaelli non è suscettibile di limitazioni entro i soli confini temporali del magistero di papa Bergoglio, poiché in realtà essa lavora sui principi – teologici prima, filosofici dopo – di realtà come «Fede» e «Verità» per illuminare le cause prossime e remote del malessere e dei cambiamenti evidenti della Chiesa d’oggi.
Così, l’attuale magistero papale che sigilla col marchio dell’imprimatur l’indefettibilità e l’irretrattabilità delle scelte del Vaticano II, nelle mani di Radaelli diventa un’occasione per capire quelle decisive spinte – rotta definitivamente ogni residua riverenza col passato - per lanciare la Chiesa verso imprevedibili orizzonti, quelle che si usa comunemente chiamare «sfide». Sfide per un mondo che questa Chiesa vorrebbe sì cambiare, ma con gli strumenti e col linguaggio di quaggiù, in corsa con una realtà terrena che risponde alla regola dell’ etsi Deus non daretur che la costringe ad abbandonare le vie del linguaggio chiaro, preciso, lapidario e definitorio e ad accelerare verso un cattolicesimo secondario vago, opaco e vacuo sia nell’insegnamento che nella liturgia, non più “fatto di fuoco”, secondo una felice espressione dell’Autore.
Così, l’attuale magistero papale che sigilla col marchio dell’imprimatur l’indefettibilità e l’irretrattabilità delle scelte del Vaticano II, nelle mani di Radaelli diventa un’occasione per capire quelle decisive spinte – rotta definitivamente ogni residua riverenza col passato - per lanciare la Chiesa verso imprevedibili orizzonti, quelle che si usa comunemente chiamare «sfide». Sfide per un mondo che questa Chiesa vorrebbe sì cambiare, ma con gli strumenti e col linguaggio di quaggiù, in corsa con una realtà terrena che risponde alla regola dell’ etsi Deus non daretur che la costringe ad abbandonare le vie del linguaggio chiaro, preciso, lapidario e definitorio e ad accelerare verso un cattolicesimo secondario vago, opaco e vacuo sia nell’insegnamento che nella liturgia, non più “fatto di fuoco”, secondo una felice espressione dell’Autore.
Lo straordinario lavoro condotto dal Filosofo milanese sta proprio nell’aver puntato lo sguardo su quella rivoluzione (anche) «linguistica» aperta dal Vaticano II, questione mai affrontata prima da alcuno con tanta dovizia di dottrina e di prove. Un linguaggio nuovo fatto non solo di parole, di atti, di documenti e di interviste, ma anche di comportamenti, che Radaelli elenca puntualmente: dal “buonasera” di inizio pontificato, alla rinuncia del “noi” apostolico, all’abitazione in santa Marta, alla semplice talare bianca senza i segni del primato di Pietro.
Comportamenti ed atteggiamenti che, pur nella loro apparente marginalità, rispondono a precise e sistematiche scelte via via sempre più invasive anche del campo dottrinale e liturgico con l’affermarsi – dal vertice della Chiesa in giù – di una teologia dell’incontro (col Cristo), dell’evento (redentivo), dell’amore (misericordioso e salvifico), a scapito del primato del Logos, della Verità, della Fede e della loro stessa proclamazione attraverso i dogmi, col risultato di assistere ad un’inconsueta timidezza della Chiesa verso le altre religioni e il mondo laico proprio sui suoi punti di forza come le verità rivelate. Attenzione, non dualità e nemmeno contrapposizione fra «fede-dottrina-ragione» da una parte ed «esperienza cristiana» dall’altra, ma solo una precedenza, come si addice alla «vera» dottrina che diventa «vita». Fa bene dunque Radaelli ad impostare l’asse di tutta la sua opera sulla constatazione di un’ormai avvenuta «dislocazione della divina Monotriade» [qui - qui - qui]. La dominante teologia dell’incontro o dell’evento ha finito per premiare l’amore “e lo ha messo sul trono del Logos”, ha così spostato l’ordine delle Persone trinitarie fondato sul costante insegnamento della Chiesa per cui “non si ama se non ciò che si conosce” (Summa theol. I, 36,2), e con questo ha aperto la strada ad un metodo (e a un insegnamento e a una liturgia) debole e purtroppo anche sviante che trascura la conoscenza di Dio – fatta di fede e di verità attraverso la Rivelazione e il magistero della Chiesa – e che tutto giustifica per via dell’amore. A prescindere. Ma l’Autore ricorda con un refrain che percorre tutta la sua opera le parole della Lettera agli Efesini di sant’Ignazio d’Antiochia: “La fede è il principio, l’amore il fine”.
Comportamenti ed atteggiamenti che, pur nella loro apparente marginalità, rispondono a precise e sistematiche scelte via via sempre più invasive anche del campo dottrinale e liturgico con l’affermarsi – dal vertice della Chiesa in giù – di una teologia dell’incontro (col Cristo), dell’evento (redentivo), dell’amore (misericordioso e salvifico), a scapito del primato del Logos, della Verità, della Fede e della loro stessa proclamazione attraverso i dogmi, col risultato di assistere ad un’inconsueta timidezza della Chiesa verso le altre religioni e il mondo laico proprio sui suoi punti di forza come le verità rivelate. Attenzione, non dualità e nemmeno contrapposizione fra «fede-dottrina-ragione» da una parte ed «esperienza cristiana» dall’altra, ma solo una precedenza, come si addice alla «vera» dottrina che diventa «vita». Fa bene dunque Radaelli ad impostare l’asse di tutta la sua opera sulla constatazione di un’ormai avvenuta «dislocazione della divina Monotriade» [qui - qui - qui]. La dominante teologia dell’incontro o dell’evento ha finito per premiare l’amore “e lo ha messo sul trono del Logos”, ha così spostato l’ordine delle Persone trinitarie fondato sul costante insegnamento della Chiesa per cui “non si ama se non ciò che si conosce” (Summa theol. I, 36,2), e con questo ha aperto la strada ad un metodo (e a un insegnamento e a una liturgia) debole e purtroppo anche sviante che trascura la conoscenza di Dio – fatta di fede e di verità attraverso la Rivelazione e il magistero della Chiesa – e che tutto giustifica per via dell’amore. A prescindere. Ma l’Autore ricorda con un refrain che percorre tutta la sua opera le parole della Lettera agli Efesini di sant’Ignazio d’Antiochia: “La fede è il principio, l’amore il fine”.
La conseguenza è che questa Chiesa che cede vistosamente sul versante del dogma e che guarda con sempre maggior favore ad una tradizione “viva” soggetta ai mutamenti storico-temporali dei credenti, preoccupa per le scelte in campi delicatissimi, pensiamo alle prossime decisioni sulla famiglia. Ma proprio per questo - forte del principio che la verità non si impone che in forza della stessa verità - Radaelli sa essere coraggioso con questa sua Chiesa ribaltata, che si potrebbe anche definire una sorta di lunga, lunghissima lettera aperta a papa Bergoglio - per implorare dal Santo Padre l’ascolto di una voce diversa dal coro ma autenticamente voce della Chiesa di sempre; e nello stesso tempo dimostrando tutta la sua obbedienza, quasi gridando e rivendicando il riconoscimento della sua filiazione in questa Chiesa e direttamente dal Santo Padre: “Tu sei mio Padre, il mio Santo Padre, e io sono tuo figlio, un tuo figlio da nulla, ma tuo figlio, e questo solo io so: che la mia fede deve essere la tua, in tutto la tua”.
Giovanni Tortelli
Sarebbe il caso di ricordare, leggendo il libro di Radaelli "La Chiesa ribaltata", che oggi 18 aprile (1948) è stato anche il giorno del grande lavoro di PioXII che unitamente al Prof. Luigi Gedda hanno salvato il popolo Cattolico italiano ddal totalitarismo rosso. Se in quelle elezioni avessero vinto le bandiere rosse, la Chiesa doveva rinchiudersi nelle catacombe; ma il prof. Gedda col sostegno di Pio XII ha salvato l'Italia e contemporaneamente il cattolicesimo.
RispondiEliminaIn quel caso la Chiesa non era ribaltata.
Però Gedda (subito messo da parte, i suoi Comitati Civici, una sorta di "sindacati" degli elettori erano una presenza scomoda per i politicanti), Pio XII e Guareschi (altro protagonista di quel 18 aprile) sono vissuti abbastanza da pentirsi della "cambiale in bianco" concessa a De Gasperi. Come disse qualcuno, i voti dati alla DC, per costruire la diga contro il comunismo, servirono per costruire l'arco di trionfo.
RispondiElimina@ Storico:
RispondiEliminaquello che conta è, che Papa Pacelli ha salvato la Chiesa dall'ateismo stalinista, grazie ai comitati civici; e la Chiesa male o bene ha insegnato molte cose agli italiani, soprattutto la Dottrina, che altrimenti non sarebbe stato così facile insegnare.
Dopo Pacelli è successo il disastro; guardate che Chiesa abbiamo oggi; forse Papa Pacelli, (unitamente a Siri e Lefebvre si stanno girando nella bara, vedendo la loro Chiesa - Chiesa di Cristo - ridotta in queste condizioni).
Dobbiamo un grande grazie a Papa Pacelli ed al Prof.Luigi Gedda.
Poi sono arrivati i professoroni e vediamo cosa hanno combinato sia alla Chiesa Cattolica Romana che allo Stato italiano.
Giusto, non si possono rilasciare cambiali in bianco, specialmente a gente che distrugge.
La cultura medievale, innestata sulla fede cattolica e da essa strutturata aveva come emblema la CATTEDRALE. Oggi, per dirla col poeta T.S. Eliot nel dramma sul santo arcivescovo Thomas Beckett: ASSASSINIO DELLA CATTEDRALE ( sottolineo "DELLA" ).
RispondiEliminaMolti sono i motivi per leggere e apprezzare Radaelli. A me è particolarmente cara la sua sensibilità verso una "estetica della Verità" le cui radici teoretiche sono nell'intima, metafisica, consustanziale identità del Vero, del Bello, del Buono.
RispondiEliminaLa negazione modernista dello splendore, l'esaltata sciatteria dei gesti e delle parole, il pauperismo esibito e dogmatizzato, la rinuncia ai simboli carichi di significato rappresentano, in realtà, il rifiuto del Sacro, della verticalità metafisica, la manifestazione di quella "eresia dell'informe" e di quella "perdita del centro" da altri ben denunciati.
Giustamente ricorda Mic che il sottotitolo del testo di Radaelli è: Indagine estetica sulla teologia, sulla forma e sul linguaggio del magistero di Papa Francesco.
Scrive Radaelli, riferendosi all'attuale magistero: "Piegati e frantumati poi sono linguaggio, bellezza ed estetica della verità (...). Ma per rialzarli, restaurarli e ridar loro le forze bisogna partire ancora dal dogma" (pag. 119 del testo citato). Un altro suo bel libro è titolato La bellezza che ci salva.
La faticosa ricerca del Bello e del Vero vanno di pari passo. Chi troverà l'uno, troverà anche l'altro, inscindibili.
Si è perso il senso del vero, del buono, del bello. Ad ogni livello, in ogni ambito si va a tentoni non sapendo cosa si stia cercando.Poi si simula,si pretende,forse anche inconsapevolmente,di aver capito ed incontrato il Santo Vero. Questi sacerdoti in jeans e maglietta, quale pietra di inciampo sono nelle nostre strade? Nessuna. Scorrono via nascosti nell'anonimato. E son quelli che in Chiesa molto dicono sulla misericordia, sull'amore. E pregano per le famiglie. Mentre i fedeli ascoltano letture ed omelia con l'orecchio plasmato
RispondiEliminadall'attualità interpretata dai mass-media.Una Chiesa ribaltata per un mondo sottosopra. dove la suggestione, come diceva il Card. Siri, fa la parte del leone nelle teste di coloro che sanno molto.
l'orecchio formato dalle categorie dell'attualita interpretata dai mass-media.