1. I FATTI.
19 giugno 2015. Esce la seconda Lettera enciclica di Papa Francesco, che poi in realtà, essendo stata la Lumen Fidei [ne ho parlato qui] concepita e scritta fondamentalmente da Papa Ratzinger, è la sua prima.
Essa, fin dal titolo, Laudato si’ [ne ho parlato: qui e qui], oltre che per il tema, vorrebbe essere improntata, come può immaginarsi, a colui che dovrebbe essere il suo ispiratore ideale, san Francesco d’Assisi. Ma non lo è: è una Lettera tecnico-politica, non religiosa, che si muove su un terreno tecnico-politico, non religioso, dove il fine ultimo, l’obiettivo da perseguire è tecnico-politico, non religioso: « Affermiamo – dice al n. 127 – che “l’uomo è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale » (Gaudium et Spes, 63). L’uomo. Non Dio. Possibile?
Ancora una volta c’è da avanzare forti riserve sulla reale consistenza di questo legame col sublime Serafico: c’è da chiedersi se p. es. questi avrebbe mai concluso un’Enciclica non con una, ma con due preghiere, nessuna delle quali però “giusta”: una che dovrebbe essere pregata da un certo gruppo di credenti, l’altra da un altro: la prima da un gruppo al 100% inclusivista, irenico e quanto mai impregnato del falso e fuorviante “spirito d’Assisi” di woytjliana memoria, che si rivolge a un generico e imprecisato “Dio” pregato dall’insieme di tutti i credenti di tutte le religioni del mondo quali che siano; l’altra da un secondo gruppo, e questo, nella mente del Papa, di tipo più esclusivista, diciamo quasi esclusivista, se non fosse ecumenico anch’esso, cioè pancristiano, formato da cattolici, luterani, evangelici, anglicani eccetera, cioè e da cattolici e da eretici.
Ma – direbbe san Francesco, quello santo, esclusivista e strettamente cattolico e trinitario –, una preghiera da far dire ai soli cattolici, no? “Per soli cattolici”: che poi sarebbero gli unici a seguire la verità, dunque ad adorare Dio, dunque gli unici di cui Dio ascolterebbe la preghiera. Ma questo concetto si è perso da tempo, non lo crede più nessuno.
2. DUE PREGHIERE SBAGLIATE AL POSTO DELL’UNICA GIUSTA.
Che senso ha tutto questo? E, più ancora: com’è possibile che non uno dei vescovi che hanno potuto studiare il documento pontificio rilevi la contraddizione delle due orazioni, oltre alla contraddizione tra la prima di esse e il comandamento peraltro del tutto esclusivista che si ricava dalle sacre Scritture e dal millenario Magistero della Chiesa?
Il cardinale Caffarra grida: « Guai se il Signore ci rimproverasse con le parole del profeta, ‘Cani che non avete abbaiato’ ».
Ma perché mai il congiuntivo ipotetico? Il Signore vi e ci sta già rimproverando, e da tempo: è da cinquant’anni che la Chiesa abbaia alla luna! Dove sono i Cani del Signore che dovrebbero ricordare alle greggi, cristiane e non, le eterne verità da ricordare sui nuovi pessimi costumi e sulle ancor peggiori conseguenti leggi prese dalla società civile su contraccezione, aborto, divorzio, sodomia, morale matrimoniale, o sulle spaventose cause tutte ideologiche della fuga dalla Chiesa di centinaia di milioni di loro? dove i Cani del Signore che dovrebbero pur gridare a quelle greggi qual è il vero “pensiero unico” da tenere riguardo a Dio, che non è certo quello irenico, neomodernista e inclusivo propalato da cinquant’anni da un Magistero complice della falsissima ideologia liberale ovunque al potere? dove i santi e indefessi Cani che invece, improvvisamente ammutolitisi, o tramutatisi in variopinti pavoni, per non cadere in contraddizione da cinquant’anni si guardan bene dal formalizzare in dogmi le multicolori, equivoche e tutte liberaloidi novità insegnate dal Vaticano II, studiando di tenersi sempre a un livello mere pastorale, così aggirando l’onere dell’impegnativa che il sacro e infuocato carisma petrino imporrebbe di affrontare?
Il cardinale Caffarra, e tutti quei ben pochi cardinali che come lui sentono l’alito pesante di satana soffiare sopra le spalle, non han che da vedere tutto il male che già sta avvenendo nella Chiesa, e non solo, come è, a presagio di mali futuri, ma anche a castigo e prova di colpe già, e ora, in essere.
E, per tornare alla Lettera, perché mai non è stata pensata una e una sola preghiera, come da duemila anni la Chiesa le eleva ogni giorno a Dio, ovviamente specifica per soli cattolici? Possibile che a un Vicario di Cristo non venga in mente di proporre una preghiera da far dire, strettamente, solo intra mœnia, cioè da far dire solo all’interno del sacro recinto di cui è – o dovrebbe essere – il fedele e sempre vigile Custode, cioè da far dire, come sempre è stato, solo da chi fermamente crede che Gesù Cristo sia l’unico sacerdote e mediatore tra Dio Padre e gli uomini, in Lui suoi figli?
Poi uno va a vedere, legge le due preghiere, e resta ancor più perplesso: in nessuna delle due il Papa accenna a un fine teleologico, cioè a un orizzonte sub specie æternitatis, sovrastorico, evangelico, cristico, cui dovrebbe essere piegata ogni considerazione umana, figurarsi una preghiera. Anzi, entrambe paiono pervase da un generale sentimento di inglobamento “panreligioso”, tanto da « riconoscere – così la prima – che siamo profondamente uniti con tutte le creature nel nostro cammino verso la tua [di Dio] luce infinita », formula che, con quel « tutte le creature » e quel Dio spersonalizzato comodamente in pura ed eterea « luce infinita », se non può non compiacere anche il fedele buddista o induista di più stretta osservanza, lascia quanto meno perplesso il fedele cattolico, a meno che non sia, come oggi tutti, di scuola rahneriana.
3. FONDAMENTO ILLIBERALE E DETERMINISTICO DELL’ENCICLICA.
Nella seconda orazione poi, dopo parole che dovrebbero far tirare un sospiro di sollievo a fedeli, monsignori, vescovi e cardinali, perché finalmente si parla di un Cristo dal quale « sono state create tutte le cose », ecco che li si fa sobbalzare e conturbare di nuovo tutti: cos’è mai infatti quell’espressione che, riferendosi direttamente a nostro Signore, afferma senza mezzi termini, più rahnerianamente che mai: « Oggi [tu] sei vivo in ogni creatura con la tua gloria di risorto », concetto già avanzato peraltro poco prima, al n. 221: « Cristo, […] ora, risorto, dimora nell’intimo di ogni essere, circondandolo con il suo affetto e penetrandolo con la sua luce »? quando mai nei Vangeli o in san Paolo si dice che Cristo vivificherebbe con la sua gloria un universo per il quale l’Apostolo attesta piuttosto l’attesa impaziente « della rivelazione dei figli di Dio » (Rm 8,19), rivelazione che si avrà appunto solo nella Parusia?
La gloria di Cristo risorto dimora solo in chi lo accoglie, come detto chiaramente p. es. in Ap 3,20: « Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me », perché se essa invece dimorasse aprioristicamente « nell’intimo di ogni essere […] penetrandolo con la sua luce », come si spiegherebbero non dico le mancanze più lievi, che già farebbero difficoltà, ma le efferatezze dei grandi criminali della storia, le durezze di chi gli resiste con caparbietà e ostinazione, le repellenti e oceaniche immondizie morali in cui sta annegando la civiltà proprio perché ha rifiutato di seguire i comandamenti di Cristo?
Forse che Cristo ha dimorato nell’intimo di anticristi come Hitler, Stalin, Maometto, Giuda, per citare i più efferati?
Può anche essere, anzi è di fede che Egli abbia pur tentato di « circondarli con il suo affetto » e penetrarli « con la sua luce », perché questo è appunto ciò che Egli afferma quando dice: « Ecco, sto alla porta e busso », ma la cosa si ferma qui, perché Dio, autore della realtà, della verità che le aderisce perché sia correttamente riconosciuta e della libertà attraverso cui l’uomo deve sapervisi liberamente adeguare (cioè per scelta libera dell’intelletto), è il primo a rispettare la libertà umana: Egli sta alla porta e bussa, ma se non gliela apri, Egli non entra, non violenta la tua libertà, anche se quello “stare alla porta” sottintende tutto un lavorio dall’esterno fatto di affetto e di luce, ossia di mille e mille invenzioni di Dio, di questo Dio personale e straordinariamente tenero, che non abbandona neanche l’uomo più recalcitrante e criminale se non quando ormai è proprio cadavere, perché tale è la misericordia di Dio per ciascuno di noi fino all’ultimo respiro.
Ho detto “più rahnerianamente che mai”, perché le espressioni lette denunciano senza fallo essere la loro origine nell’idealistica dottrina congetturata da Karl Rahner. La teologia cosiddetta dei “cristiani anonimi” di quel gesuita, malgrado l’evidente ateoreticità dei suoi presupposti, per la seducente proposta “inclusiva” che rappresentava si impresse fortemente nelle menti della maggioranza dei Padri del Vaticano II, alla ricerca di buoni motivi per ingraziarsi il mondo, v. Gaudium et Spes 22 [precedente sul blog qui - qui - qui] (« con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni uomo »), Ad Gentes 7, Lumen Gentium 16. Papa Giovanni Paolo II poi, nella sua Redemptor hominis, XIII, 3, si premurò d’interpretare personalmente il concetto: « Si tratta – lì sostenne – di “ciascun” uomo, perché ognuno è stato compreso nel mistero della Redenzione, e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero ».
Per il gesuita, « teocentrismo e antropocentrismo non sono orizzonti filosofici incompatibili uno con l’altro, anzi costituiscono una medesima realtà enunciata da due punti di vista diversi » (Antonio Livi, Vera e falsa teologia, Leonardo da Vinci, Roma 2012, p. 215), che però egli intende unificare, v. Karl Rahner, Theologie und Anthropologie, in Idem, Schriften zur Theologie, vol. VIII, 1967, p. 43. In quel suo saggio Livi fa notare che per padre Fabro « il presupposto metafisico dal quale parte Rahner è “la priorità del verum sull’ens, ossia la subordinazione del trascendente assoluto della metafisica dell’essere », l’ens appunto, cioè la realtà, « al trascendentale di relazione dell’a priori della conoscenza” (Cornelio Fabro, La svolta antropologica di Karl Rahner [vedi anche], Rusconi, Milano 1974, p. 5) » (ibidem). Tale priorità del verum sull’ens, o, che è lo stesso, subordinazione dell’ens al verum, è, come si sa, la classica matrice dell’idealismo, cioè della perdita più irrefrenabile della realtà.
Con queste premesse, il filosofo del Senso comune ha buoni motivi per declassare la teologia rahneriana a filosofia della religione, a causa « della “attesa ontologica dell’uomo” », giacché l’“attesa ontologica” del teologo tedesco « non ha nulla a che vedere con quella conoscenza naturale di sé (come creatura precaria) e di Dio (come primo Principio e ultimo Fine) che, come ha sempre sostenuto la sapienza cristiana a partire da sant’Agostino, genera l’attesa di una rivelazione della “verità tutta intera” e la speranza di una grazia salvifica » (idem, p. 216).
Ciò comporta, per il filosofo pratese, « l’implicita negazione della libertà » (ibidem), e infatti che possibilità mai avrebbero avuto gli anticristi di cui sopra di fare le loro scellerate ma libere scelte per il male se fossero stati uniti a Cristo, e persino « nell’intimo »? E viceversa, che possibilità avrebbe avuto mai la ss. Vergine, di essere libera di scegliere tra pronunciare o non pronunciare il fatidico “sì”, se “nel suo intimo – per dirla col Pontefice – dimorava Cristo circondandola con il suo affetto e penetrandola con la sua luce”?
Una tale invadenza di Cristo non ha nulla a che fare con la cristologia del dogma cattolico, imperniata come nessuna sul distinguo degli enti, che in fin dei conti è il loro rispetto.
Cinquant’anni fa Karl Rahner. Oggi Francesco-Bergoglio: due gesuiti imprimono una concezione illiberale, idealistica, deterministica e aprioristica della fede disconoscendo il « necessario itinerario della coscienza umana, che », corregge però ancora Livi, « può arrivare all’incontro con l’evento della Rivelazione (riconosciuto come tale sulla scorta di evidenze fattuali e storiche – p. es., nel caso della Vergine, sappiamo che alle Sue sante e ragionevoli obiezioni l’Angelo porta l’evidenza fattuale e storica, dunque superragionevole, del miracoloso concepimento di Sua cugina, s. Elisabetta –, che costituiscono i “motiva credibilitatis”) solo presupponendo le evidenze del senso comune (che sono sempre, almeno materialmente, di carattere metafisico e costituiscono i “præambula fidei”) » (ibidem).
4. ANTROPOCENTRISMO RADICALE DELL’ENCICLICA.
Anche questa, come tante precedenti, è una Lettera enciclica più lunga di tutto il Nuovo Testamento messo insieme, e di certo diecimila volte meno significativa. A meno che si ritenga significativo per la fede avere attenzione « alla casa comune » intesa non come Regno dei Cieli, e nemmeno come Chiesa, ma come Terra, il pianeta in cui viviamo e che sfrutteremmo; o si ritenga significativo per la fede, come recita il III paragrafo del Cap. 6, « la conversione ecologica » da compiersi prima che sia troppo tardi. « La conversione ecologica »?! Questa direi proprio che è la prima volta che un Papa parla di “conversione” senza riferirsi allo spirito, all’anima.
Tutti i 6 capitoli, i 246 paragrafi e le 192 pagine che compongono la Lettera sono indelebilmente segnati da una doppia contraddizione: ancora una volta Papa Francesco asserisce pastoralmente verità a posteriori, cioè epistemiche pseudo-verità tutte da vagliare e verificare, che, come sollecito in La Chiesa ribaltata, Gondolin, Verona 2014, pp. 300-3, o in Che cosa può cambiare e che cosa non può cambiare nella Chiesa (il secondo dei tre capitoli di Dogma e Pastorale. L’ermeneutica della Chiesa dal Vaticano II al Sinodo sulla famiglia, a cura di Antonio Livi, Leonardo da Vinci, Roma 2015, pp. 91-4 e 151-6), se solo provasse a ratificare – ma non lo farà mai! – portandole sul braciere corrosivo del carisma dogmatico verrebbero dissolte ancor prima di nascere. Ma come si può pretendere che uno scritto steso per lisciare il pelo alle pecore dal verso giusto abbia la solidità cristallina delle parole a Erode di un san Giovanni Battista, che di lisciare il pelo a chicchessia tanto non si preoccupò, da essere chiamato alla missione di Precursore del Cristo, « Via, Verità e Vita »?
Quando torneremo ad avere Pastori che sanno di avere il sacro dovere di “lisciare il pelo al dogma” prima di lisciarlo al popolo (e, v. La Chiesa ribaltata, p. 256, a se stessi)?
« Affermiamo che “l’uomo è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale », Gaudium et Spes, 63, ripreso al n. 127 della Laudato si’. Questo antropocentrismo esasperato, raccolto, come si vede, dal Vaticano II (celebre il n. 24/d di Gaudium et Spes, per la cui analisi rimando all’Articolo 15 di questa stessa rubrica), distorce ab origine la corretta visione religiosa, perché il vero autore, il centro e il fine di tutta la vita del mondo, fosse anche quella di un ambito così poco apparentemente legato alla religione e allo spirito come parrebbe essere la vita dell’ambito economico-sociale, è ancora in primo luogo Dio, non l’uomo, come peraltro ricorda tutta la sacra Scrittura, p. es., nel V. T., « Il Signore annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli » (Sal 32,10), disegni e progetti di tutti i tipi e ambiti, anche fossero gli “economico-sociali”, o ancora: « Il Signore ha dato, il Signore ha tolto » (Gb 1,21), e, nel N.T., Lc 12,6: « Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio », o anche I Cor 3,7: « Né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma è Dio che fa crescere », sicché Romano Amerio, con mirabile sintesi, può concludere: « Il problema dell’uomo è il problema dell’adorazione e tutto il resto è fatto per darvi luce e sostanza » (Di un bisogno dei contemporanei, Lugano 1926). « Tutto il resto »: l’economico, il sociale, il politico, il legislativo, il giuridico, il militare, il didattico eccetera. Non sono forse questi i vari mezzi attraverso cui i popoli possono perseguire la pace? e i cristiani non implorano forse Dio per avere da lui la pace? e come credono di ottenerla se non implorando Dio di dargliela, realizzandola poi essi attraverso appunto quei tali mezzi, spesso così poco spirituali, sì, ma pure i più facili a essere causa di litigi, contrasti, guerre, così come, all’opposto, di pace?
Ma il capovolgimento antropocentrico e secolarista, che trascina nella polvere l’unica religione al mondo il cui perseguimento, al contrario, consiste precisamente e solo nel rendere casta e virginale – cristica, appunto – l’anima anche più abietta, purché lo voglia, permette non solo di sviare tutta l’attenzione dei fedeli da Dio all’uomo, dallo spirito alla carne, dal cielo alla terra (primo fine), ma anche di abbracciare nell’inclusivismo che si diceva tutte le religioni del mondo quali che siano (secondo fine). E infatti.
Per il suo antropocentrismo, per il suo secolarismo, che distorcono all’origine, e doppiamente, l’insegnamento che, sempre che la religione ne possa mai sollecitare l’esigenza, ci si potrebbe aspettare, la Lettera andrebbe espunta, cancellata, evirata decisamente e in toto dagli Acta Apostolicæ Sedis.
Il Papa, ancora una volta, sollecita la cristianità e il mondo a occuparsi anima e corpo di fatti, religiosamente parlando, del tutto secondari, irrilevanti, surclassati in importanza, impellenza e gravità, p. es., dalla stessa terrificante e generale apostasia in atto da decenni – per l’esattezza, da dieci lustri –, per la quale intere nazioni, cattolicissime fino al Vaticano II, si sono ritrovate di recente gioiosamente atee; o surclassati, ancora, dall’invasione di immoralità, sessuale in primis, ma non solo, vedasi il dilagare dei fenomeni di corruzione sociale, politica, mafiosa, lo strabordamento inverosimile della quantità di omicidi e di violenza su tutto e su tutti, violenza che non arretra davanti a nulla e che anzi con foga distruttiva e barbara non arretra neanche dinanzi alla purezza e innocenza dei minori, dei bambini, e, questa invasione di immoralità, anche teorizzata in vere e proprie dottrine: sulla sodomia, sul gender, sulla famiglia fuori del matrimonio cattolico eccetera; o surclassati, ancora e più di tutto, dalla perdita sempre più larga e dalla sciatteria sempre più manifesta del sacro atto di adorazione e di lode di Dio Padre, Principio di tutto, parlo della s. Messa, sacro atto che invece dovrebbe essere, e non è più, quello che anche da Amerio è ricordato (lo abbiamo visto) come il più significativo e ultimo di tutta la Chiesa, di ogni anima, di tutto il mondo.
Ecco: anteporre oggi, in un documento importante quale una Lettera enciclica, temi squisitamente tecnico-sociali a temi strettamente spirituali, come i tre qui appena accennati, specie all’ultimo, che dei tre è il più incisivo e determinante, è spostare l’attenzione e la barra della Chiesa in una direzione “carnale” che non le compete per niente, o almeno in un orizzonte per essa del tutto secondario, abbracciando così quello che possiamo chiamare amerianamente « cristianesimo secondario » – e altro non è –, un cristianesimo la cui qualità dipende dalla qualità del “primario”, del cristianesimo tout court, dipende cioè dalla fede e dalla morale cristiane.
Ma spostare la barra della Chiesa dal suo Sole alla terra che gli gira intorno è operazione evidentemente falsificatoria, che non solo non aiuta a risolvere le impellenti e gravi difficoltà spirituali in cui Chiesa e umanità versano oggi, ma le aggrava, perché toglie loro il trono che hanno di diritto, le depotenzia, le snerva del ruolo primario loro dovuto. Poi si sa che se un male non è curato per tempo, si aggrava ogni giorno di più.
Quei tre primi temi detti – ma sono solo i primi tre di tanti –, per la vorace aggressione di cui sono oggetto, da tempo attendono che un Papa se ne occupi, e seriamente, cioè prendendoli di petto, con la ferma intenzione di porvi una parola chiarificatrice e definitiva, ma i Papi degli ultimi dieci lustri glissano, e il “Papa venuto dalla fine del mondo” somiglia sempre più ai Papi rinascimentali tipo Leone X de’ Medici, che sviavano l’attenzione della cristianità dagli oggetti primari della religione – dottrinali, sacramentali e morali –, che avrebbero dovuto costituire sempre e comunque il focus delle loro più ardenti e vive preoccupazioni, ai più secondari, se non anche inutili e vacui, oltre che esposti a opinioni e obiezioni di tutti i tipi, legittime o meno che siano.
Questo sviamento dell’attenzione da ciò che dovrebbe essere in ogni ora la gemma incastonata sulla fronte di ogni cristiano, e tanto più di un Papa, a un qualsiasi tema terreno, per quanto “umanistico”, per quanto cioè possa ricevere effluvi di apprezzamento da parte dell’opinione pubblica mondiale – specie di quella atea e gnostica alla Scalfari – e delle potenti lobbies che si occupano dei grandi movimenti culturali, ecologici, economici, sociali, aggrava terribilmente la situazione spirituale in cui versa la cristianità.
Sicché abbiamo ieri i cortei magnifici e ridondanti di cocchi e carrozze dorate in cui un Papa col suo seguito squisito attirava le folle in visibilio a rimirare una Firenze in cui faceva l’ingresso trionfale, camuffata da antica Roma, Roma la clemente, per opera di artisti famosi come Piero di Cosimo, Andrea del Sarto, Pontormo, Rosso Fiorentino, Andrea di Cosimo, Francesco Granacci, Baccio Bandinelli, che avevano addobbato le strade della Città del Fiore con quinte e fondali sontuosi, mentre trombettieri e pifferai sonavano da Palazzo Vecchio e i bombardieri sparavano a salve le artiglierie, e oggi, servatis servandis – ma l’aura di “divina” munificenza è sempre la stessa –, ecco davanti a noi altrettanto inusitati cortei di cocchi e carrozze avanzare splendidi, all’interno scorgervi gentili Problematiche sociologiche accanto a regali e nuovissime Spiritualità ecologiche – sì: proprio loro, chi se le aspettava? –, benevolmente benedicenti le folle osannanti mentre a coppia sei paia di cavalli candidi di Ecologiche schiere procedono tra nugoli di fiori, di petali, di palme, e che meraviglia di festoni a Impegno per l’Ambiente, che eleganza di encarpi imbastiti di Biodiversità, che gioia quelle ghirlande di Catene alimentari! E guardate voi le meravigliose e tanto inclusive Conversioni ecologiche globali, oh, che intuizione! Rimirate come son ben precedute e altrettanto graziosamente seguite da avvincenti Sviluppi sostenibili e da variopinti e impennacchiati Cicli di produzione e di consumo; ecco poi – il vino migliore è sempre mesciuto per ultimo –, verso un gran finale che si presenta come sempre del tutto inaspettato, inusitati Modelli circolari di produzione, potenti Vulcanismi planetari, per concludere con travolgenti Ecologie integrali e scoppiettanti Variazioni dell’orbita e dell’asse terrestre: non è una meraviglia? e qui abbiamo ammirato solo i fenomeni più appariscenti e strepitosi che appaiono scorrendo or qua or là le doviziose, lussureggianti, ubertose pagine dell’immaginifico “Corteo terraqueo globale” di Papa Bergoglio, l’umile e spoglio Papa nostro Francesco.
Grandi e inventivi Papi, i Pontefici umanisti: sanno richiamare folle immense a rimirare quel che sa e può offrire la cultura se impregnata di saggezza: ieri rappresentata dal mito della Roma dei Cesari, oggi da quello di una spiritualità ecologica globale, e poco importa se nel frattempo ieri Lutero, qualche principe tedesco e altre poche anime ribelli, oggi ancora poche centinaia di milioni di altrettante anime insofferenti e secolarizzate, si ribellano alla Chiesa, voltano le spalle al Vicario di Cristo, si disperdono per il mondo, si lasciano travolgere dalle vane e mortifere seduzioni della carne lasciando dietro di sé decine di migliaia di chiese vuote da convertire in hotel, ville esclusive, centri congressi, ristoranti d’élite, con l’alternativa accarezzata da tutti gli Illuministi del mondo, oggi vittoriosi sull’odiata Chiesa di Roma, di essere prima o poi, invece, definitivamente distrutte.
6. SECONDO RISULTATO: CONFONDERSI, EQUIPARARSI CON LE NOZIONI FILOSOFICHE E RELIGIOSE DEL MONDO.
Al n. 233 vi è una nota, la 159, in cui per la prima volta in un’Enciclica papale, in un documento cioè segnatamente universale, sottolineo per la prima volta, viene indicato ai cattolici, in qualità di « maestro spirituale », un seguace di una setta religiosa notoriamente non cattolica. Trattasi di tale Alì Al Khawwas, un maomettano, e precisamente un sufita, e dunque, almeno teoricamente, certamente un eretico. E lo si vedrà. Ma non pare che la cosa abbia fatto clamore, abbia sollevato perplessità pubbliche da parte di qualche porporato, nemmeno uno: è in una nota, e la 159 è una delle ultime, chi la va mai a leggere? che importanza mai può avere?
E invece ne ha, di importanza, e moltissima. Ripeto: è la prima volta in duemila anni che il Vicario di Cristo, in un documento formalmente tra i più rilevanti del Magistero della Chiesa, riporta elogiativamente, se pur in nota, il pensiero di un autore non cattolico, per di più appartenente a una religione contro la quale indiscusse autorità come s. Tommaso d’Aquino ritennero necessario scrivere pagine severe come la Summa contra Gentiles. È la prima volta che un eretico viene assunto a ‘maestro spirituale’ della cristianità, la quale, confidente nel Depositum Fidei e nelle verità derivate, sarebbe invitata a considerarlo, meditarlo, interiorizzarlo, assimilandolo ai Maestri spirituali cattolici verso di cui il suo cuore è naturalmente trasportato. La cosa è clamorosa. Tanto più che, ancora una volta, lo sdoganamento si rivelerà pericoloso per la fede proprio come temuto.
Per carità, san Tommaso è il primo a rilevare che molte verità spirituali si possono trovare anche oltre il sacro recinto, ma, aggiunge, « se uno, p. es., conosce una conclusione, senza il termine medio che la dimostra, di essa non ha evidentemente la scienza, ma solo un’opinione » (Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, 5, 3). Il nostro, in verità, non conosce bene neanche “la conclusione”, come direbbe san Tommaso, perché vi si avvicina goffamente, scambiando – al solito degli gnostici, e i sufiti sono notoriamente gnostici – un’ipotetica relazione spirituale con la solita relazione sentimentale e dunque carnale in cui sempre incocciano i falsi maestri, che della spiritualità insegnata da Gesù non sanno afferrare neanche i lembi più icastici. Ecco qui il testo della nota:
« Un maestro spirituale, Alì Al Khawwas, a partire dalla sua esperienza – altro elemento, questo, che dovrebbe mettere in allarme il fedele cristiano, che raccoglie l’ascolto della Parola, non la propria interiore esperienza –, sottolineava la necessità di non separare troppo le creature del mondo dall’esperienza di Dio nell’interiorità. Diceva: Non occorre criticare a priori coloro che cercano l’estasi nella musica o nella poesia. C’è un segreto sottile in ognuno dei movimenti e dei suoni di questo mondo. Gli iniziati – altro elemento ancora, questo degli “iniziati”, di infinito allarme per la pecorella cattolica, che sa che Gesù non è per pochi, ma per tutti – arrivano a captare quello che dicono il vento che soffia, gli alberi che si flettono, l’acqua che scorre, le mosche che ronzano, le porte che cigolano, il canto degli uccelli, il suono delle corde o dei flauti, il sospiro dei malati, il gemito degli afflitti…” (Eva de Vitray-Meyerovich ed., Anthologie du sufisme, Paris 1978, 200; trad. it.: I mistici dell’Islam, Parma 1991, 199) ». Gnosi allo stato puro, cioè purulento maxime.
Tra le creature del mondo e Dio non vi è né può esservi continuità, e non vi è né può esservi continuità nemmeno nell’esperienza che se ne può fare. Supporre tale continuità tra creature e Dio è opera carnale, come carnale è l’errata convinzione di Spinoza, e, al più, sotto il profilo analogico che si può trovare tra creature e Dio, può essere opera “poetica”, a volte anche di alta poesia, come in Dante, o in tanti altri spiriti fini, ma per nulla affatto ‘mistica’ in senso stretto, e il sufismo non si può catalogare come esperienza ‘mistica’, perché resta nei limiti del sentimento, dell’emozione, della poesia, tutte categorie – spiritualmente parlando – di pura carnalità.
Le esperienze estatiche di san Paolo non hanno nulla a che fare con l’immaginazione poetica di Dante: il primo vide, udì e fu rapito realmente (« se con il corpo o senza corpo, non lo so, Dio lo sa », II Cor 12,3) « al terzo Cielo », cioè in un luogo reale, seppur non di questa terra, che è a dire in un luogo assolutamente non creato: reale, ma del tutto spirituale, come testimonia lui stesso: « ineffabile », cioè che non si può spiegare con le categorie dell’attuale nostra natura. Il secondo, invece, immaginò, percorse con la fantasia, si inoltrò, con i vividi ‘fantasmata’ della sua mente umile e cattolica, nei cieli descritti dalla fede, giungendo ad altezze sublimi, mai viste, incantevoli, ma pur sempre e solo mentali.
Dunque non andiamo a cercare in parole imprecise di uomini le cui nozioni spirituali sono del tutto incontrollate, fatti cui i santi ci possono avvicinare con ben altre garanzie, ricordandosi peraltro che la religione cattolica è l’unica al mondo autenticamente spirituale, ossia è l’unica religione che ci garantisce di portarci in tutta purezza in una realtà autenticamente e veramente spirituale, e altre non ve ne sono. Avvicinare spiritualità non cattoliche alla cattolica non fa altro che macchiare quest’ultima di impurità e confondere le cose, le anime che guardano stupite le cose così confuse, il mondo perso nell’entropia dottrinale che in tal modo vanamente lo infiamma, incenerendolo.
Ed ecco poi ora un secondo elemento per mostrare in che misura noi cattolici siamo qui confusi, mescolati e quasi equiparati alle altre nozioni religiose quali che siano, in un continuum in cui è caduto ogni confine, ogni distinguo, per essere assimilati, noi credenti il reale con quelli del vano, in un orizzonte inclusivista che dovrebbe, cadute le differenze, pacificare tutti in un’unica entropia panreligiosa.
Leggiamo infatti al n. 220: « Per il credente », che è a dire “A parere del credente”; al n. 235 leggiamo ancora: « Per l’esperienza cristiana », cioè “Secondo l’esperienza cristiana”, e, al n. 239, « Per i cristiani », cioè “Per quel che possano pensare i cristiani”, “Secondo i cristiani”.
Tre modi per mettere in una scatola, stringere in un sacco, relativizzare in una delle tante opinioni correnti, e lì relegarle per sempre, delle verità che per loro natura hanno invece una non picciola caratteristica: quella di essere cattoliche, cioè quella di essere verità vere, universali ed eterne.
La verità del n. 239, p. es., ricorda che « credere in un Dio unico che è comunione trinitaria porta a pensare che tutta la realtà contiene in sé un’impronta propriamente trinitaria ». Questa importante verità è riconosciuta da sant’Agostino nel suo De Trin., VI, da san Tommaso nella sua S. Th., I, 45, 7, oltre che da san Bonaventura nei testi segnalati dalla Lettera.
Che poi siano o no verità strettamente del Depositum Fidei, o da esso dipendenti nei modi illustrati in Dogma e Pastorale… cit., pp. 58-66, non ha importanza, perché in gioco è il fatto che quelle della Lettera sono verità che, stando all’Autore, hanno la loro peculiarità nell’essere credute dalla Chiesa, ed è questo ciò che qui si vuole rilevare: che se è così, se effettivamente esse sono verità cattoliche, non si può attribuire loro un valore solo ipotetico, una qualità estemporanea, cioè un valore che si attribuisce appunto a precisazioni come quelle riportate (“Per costoro”, “Secondo lui”, “A parer suo”…), precisazioni che in analisi logica sono dette ‘complementi di limitazione’, e non si possono attribuire tali complementi di limitazione perché la loro realtà supera la ragione, non sta dentro nessun limite, nessun confine, originando dalla ss. Trinità, e precisamente dal Logos.
Trovarsi però tra i piedi, in questa Lettera enciclica, dei casi di limitazione dove non dovrebbero esserci è del tutto ovvio, è “naturale”: uno scritto che si propone di rivolgersi au pair a tutte le nozioni religiose brulicanti sotto le stelle, che vuole trattare le opinioni e gli indirizzi teologici e filosofici più vari, fossero pure del tutto contrari non solo alla Rivelazione, ma alla religione in sé, non come fossero errori ed elucubrazioni insensate e spesso anche originate da intenzioni malevole, è uno scritto che non oserà più utilizzare verbi affermativi, autoritativi, e se necessario anche definitori, o espressioni capaci di ricordare la forza, mite ma irresistibile, di verità cristiane come quella menzionata. Non oserà e infatti non osa più, come qui si vede, e anzi si rattrappisce in una timidezza da relativisti spinti.
7. CONTINUARE A INSEGNARE CON LA SCIAGURATA FORMA ‘PASTORALE’ O TORNARE FINALMENTE ALLA DOGMATICA?
Ancora una volta, la forma cosiddetta ‘pastorale’ del Magistero, usata dal tempo del concilio Vaticano II, che poi veramente ‘pastorale’ non è, perché (come pure nella Laudato si’) è piegata a muoversi liberamente, quasi che tale forma di Magistero possa davvero permettersi di non verificare punto per punto la coerenza delle considerazioni che di volta in volta si vengono a fare con i principi fermi ed eterni della forma dogmatica, perde anche quel resto di diritto autoritativo ancora ben presente p. es. in Encicliche come la Satis cognitum di Leone XIII, o la Humani generis di Pio XII, cui si doveva piena obbedienza anche se in esse non era presente il carisma papale al massimo grado di pienezza, o entelechia, perché così era richiesto dai loro altissimi autori, pienamente coscienti della maestà veritativa che quei loro documenti prescrittivi, precettivi, rappresentavano in quei frangenti: il fatto è che quei Pontefici non avevano ancora compiuto la cosiddetta “opzione pastorale” perpetrata dal Vaticano II, ben consapevoli, piuttosto, di avere il dovere di pervadere i loro insegnamenti del carattere dogmatico che sempre deve impregnare il Magistero della Chiesa per diffonderne la carità, e della conseguente obbedienza da dargli, e ciò compivano utilizzando il linguaggio veritativo dovuto, quello appunto autoritativo, affermativo, apodittico, precettivo, a esso necessario, come largamente illustrato da chi scrive in Il domani – terribile o radioso? – del dogma, pp. 105-17.
Quei Papi non si sarebbero mai sognati di utilizzare espressioni astringenti, restrittive e relativizzanti come « Per il credente », o simili, perché erano ben consapevoli che credere non è un’opzione che si possa scegliere o invece cestinare, ma è un dovere teoretico per ogni uomo dotato di ragione cui viene adeguatamente annunciato l’Euangelion, il che dà alla verità creduta il valore assolutistico della realtà. E questo è il punto: sapere che ciò che si crede è reale, è la realtà vera, dà a chi crede l’autorità che la realtà da se stessa in se stessa possiede (da cui il celebre apoftegma romano: “contra factum non valet argumentum”), e all’opposto, limitare, circoscrivere, relativizzare l’autorità della cosa creduta in una opinione tra le tante, dissocia la verità dalla realtà correlata, come è giusto fare per le verità a posteriori, ma non per le verità eterne come sono quelle di fede, e Dio viene dissolto nell’ipotetico, nel soggettivo, come in Kant.
Qui troviamo la chiave dell’incapacità della Lettera di dire qualcosa di genuinamente religioso: quando un Papa relativizza a opinione personale ciò che dovrebbe essere presentato fortemente e decisamente come verità eterna, si capisce che non ha più senso parlare di verità, e che in ogni caso ‘spirituale’ e ‘temporale’ sono categorie senza significato.
Si attende una Lettera enciclica con il plurale maiestatis pontificale (v., di chi scrive, La Chiesa ribaltata, Verona, Gondolin 2014, pp. 60-7). Si attende un Magistero papale che smetta di abusare proditoriamente della forma cosiddetta ‘pastorale’ di insegnamento, che poi nemmeno pastorale è, utile solo a diffondere nozioni religiose ai limiti consentiti dai principi della fede, per non dire anche oltre tali limiti, mostrando coraggio laddove c’è solo finzione e falso ideologico, come illustrato in Dogma e pastorale… cit., pp. 103-6, perché il vero coraggio lo si avrà unicamente quando quelle cosiddette novità in cui tanto si crede – p. es. quella della concessione dell’Eucaristia ai divorziati risposati – le si porterà finalmente davanti al Trono di Pietro, e Pietro, usando tutta la pienezza del suo carisma, le porrà nel sacro braciere del dogma, provando a bruciarle, roventi, sull’infuocato e celeste calderone, così che delle due l’una: o quelle novità sono sante, pure, spirituali, cattoliche, e allora tutto il mondo le vedrà innalzarsi come lingue di fuoco altissime e potenti, e unirsi alle altre splendide lingue delle eterne norme e leggi che regolano la fede e la morale cristiane. O quelle novità sono invece pessime, impure, false e bugiarde, e allora saranno incenerite dallo stesso rovente braciere, il cui calore soprannaturale non permette a nessuna falsità di avvicinarvisi, come asserisce il Signore: « Portæ Inferi non prævalebunt adversus eam » (Mt 16,18: “Le porte dell’Inferno non prevarranno contro di essa”, cioè la falsità, la menzogna, l’ostinata non volontà di riconoscere la realtà, non prevarranno contro la Chiesa).
Altra strada, per salvarsi, per salvare, e per scrivere sante Lettere encicliche, non c’è.
RispondiElimina(ANSA) – SYDNEY, 20 LUG – Il cardinale australiano George
Pell, già arcivescovo di Melbourne e poi di Sydney, nominato da
papa Francesco 18 mesi fa prefetto della Segreteria per
l'Economia nell'ambito della riforma delle finanze vaticane, ha
pubblicamente criticato la decisione del Pontefice di porre il
cambiamento climatico in cima all'agenda della Chiesa cattolica.
Lo riferisce oggi il Sydney Morning Herald, citando
un'intervista del prelato al Financial Times di Londra.
"La Chiesa non ha alcuna particolare competenza nella
scienza", ha dichiarato Pell, notoriamente scettico verso il
cambiamento climatico. "La Chiesa non alcun mandato dal Signore
di pronunciarsi su questioni scientifiche", ha aggiunto.
La dichiarazione del cardinale segue di un mese la storica
enciclica "Laudato si'. Sulla cura della casa comune", in cui il
Papa fa appello all'umanità perché combatta il riscaldamento
globale, perché sia più motivata e migliori l'educazione per
salvare l'ambiente. "Un consenso scientifico molto solido indica
che stiamo presentemente assistendo a un preoccupante
riscaldamento del sistema climatico", sostiene fra l'altro
l'enciclica. (ANSA).
Tutto è sbagliato nella "Laudato si". Sbagliato il tono generale, che la fa essere non una tradizionale enciclica, ma una generica "lettera al mondo", sbagliata la legittimazione di due teorie scientificamente non accertate: quella del "riscaldamento globale" e quella dell'origine antropica di quest'ultimo, sbagliata da un punto di vista economico, per l'astiosa avversione al diritto di proprietà e di intrapresa, sbagliata da un punto di vista antropologico per il nativismo tribale di cui viene fatta l'apologia, sbagliata da un punto di vista politico per il terzomondismo esaltato, sbagliata da un punto di vista teologico per il radicale antropocentismo e per l'omissione di un Dio cristiano trinitario, sbagliata da un punto di vista scritturale perché dimentica della "Genesi".
RispondiEliminaUn documento ispirato da "consiglieri" denatalisti, ecologisti e anticattolici. Un documento che rappresenta una tristissima pagina della Chiesa.
Certamente non dogmatico, ma che ci deve far riflettere, anche da un punto di vista metafisico, dello stato attuale di Santa Madre Chiesa.
La creazione è atto puramente Divino. In quanto atto, azione sostanziale e libera della Volontà Divina, prescinde dalla potenza umana, anzi ne è l'assoluto indipendente agire dell'Assoluto. Perciò, potrebbe mutare temporaneamente la sua identità ma non muta la sua dipendenza da Colui che l'ha pensata e attuata, come in milioni di anni è avvenuto. Perciò chi è Bergoglio ad assolutizzare i mutamenti climatici come definitivi? Il definitivo è di Dio Assoluto, le mutazioni contingenti. Come contingente e non assoluto è Bergoglio....per grazia di Dio e per nostra matirazione paziente di fede in Dio.
RispondiEliminaE qui il card. Pell fa un appunto all`enciclica verde.
RispondiEliminaAttenzione eminenza, già che lei è nel mirino di taluni, come chiunque si distanzi dal clima enfaticamente acritico nei confronti di Bergoglio, non penso che sia irrilevante che Tornielli abbia ripreso quelle sue parole:
http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/42448/
Mi scuso con Ric, ho messo il link a Tornielli e solo dopo ho letto il tuo commento.
RispondiEliminaCon riferimento a RIC
RispondiEliminaInfatti, bastava informarsi meglio senza dar retta a sirene od uccelli del malaugurio addestrati ad arte per un proprio tornaconto. Senza cadere nel ridicolo.
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2154
..."Intervistato dal «Financial Times», il cardinale Prefetto della Segreteria per l'Economia dice: «La Chiesa non ha un mandato dal Signore per pronunciarsi su questioni scientifiche». Ma aggiunge che nel testo di Francesco «ci sono parti bellissime» "
RispondiEliminaIl "bilancino" di Tornielli? All'acqua di rose e per palati che si contentano facilmente...
Un documento che dovrebbe appartenere alla "Chiesa docente" deve avere "parti bellissime" o trasmettere e rispettare il "Depositum fidei"?
Il prof Radaelli, come si dice dalle nostre parti.. "è davvero un grande", no?Linguaggio diretto, definitorio e soprattutto cattolico. Che non si presta ad equivoci. Sì sì, no no. Grazie professore. Alessandro
RispondiElimina
RispondiEliminaSono 50 anni che si dice aver i documenti dei Papi "parti bellissime", lasciando libero ciascuno di intendere che ve ne siano altre meno belle. Il cardinale deve coprirsi le spalle, ovviamente. Nel clima attuale e' gia' importante aver avuto il coraggio di dire che occuparsi di certe questioni scientifiche non e' compito della Chiesa. S. Agostino non diceva forse che la Scrittura "christianos facit non mathematicos"? Anche se al suo tempo "mathematici" erano chiamati anche (o soprattutto) gli astrologhi. La scienza la Chiesa l'ha lasciata sempre fare a chierici che fossero particolarmente dotati, come ad esempio certi gesuiti del tempo che fu. Quando ha voluto mescolare rivelazione e scienza ha toppato, come nel caso di Galileo.
Che non fu affatto perseguitato e aveva avuto torto nella prova del movimento della terra, onde era scientificamente corretto il suggerimento di Bellarmino di considerare il moto della terra (ancora) un'ipotesi di studio. E dove ha toppato la Chiesa, allora? Quando ha voluto far abiurare Galileo facendolo giurare sulla Bibbia, come se la scelta tra l'uno o l'altro sistema solare fosse questione che dovesse coinvolgere la verita' rivelata. E anche vero che al tempo il 99% delle persone riteneva pazzi quelli che parlavano del moto della terra, pero' l'errore ci fu lo stesso, non si sarebbe dovuta coinvolgere la religione direttamente.
Mutatis mutandis, me sembra che il Papa regnante stia facendo lo stesso, impegnando la Chiesa su di un lato ben delineato del fronte. Certo qui non si parla di eresie. Pero' l'impressione della commistione sgradevole c'e' lo stesso. Che conoscenza scientifica ha il Papa del problema? Un problema assai complesso. Il surriscaldamento indubbiamente c'e'. Ma di chi la colpa? Personalmente, ritengo possibile l'attuarsi di un ciclo, che dura molti secoli. Sul quale, pero', l'azione dell'uomo potrebbe essersi innestata come concausa. E' un fatto che tutta la roba che tiriamo fuori dalla terra, in primis il petrolio, nell'intenzione del Creatore doveva restarvi dentro, si suppone. E cio' non crea uno squilibrio di fondo? C'e' poi da tener presente l'azione diretta anche se nascosta della Provvidenza, che ci punisce per i nostri peccati anche con le catastrofi naturali (v. Sodoma e Gomorra). Tre componenti, dunque, non facilmente districabili. PP
(A proposito di quanto dice il prof. Radaelli sull'antropocentrismo mi è venuto in mente questo discorso perchè qualcosa anche lì mi aveva "colpito"...)
RispondiElimina"Per terminare, vorrei dire ancora una volta: IL FUTURO DELL'UMANITA' non è solo NELLE MANI dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. E’ soprattutto NELLE MANI dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento. Io vi accompagno. E ciascuno, ripetiamo insieme dal cuore: nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessun popolo senza sovranità, nessuna persona senza dignità, nessun bambino senza infanzia, nessun giovane senza opportunità, nessun anziano senza una venerabile vecchiaia. Proseguite nella vostra lotta e, per favore, abbiate molta cura della Madre Terra. Credetemi, sono sincero, lo dico dal cuore: prego per voi, prego con voi e desidero chiedere a Dio nostro Padre di accompagnarvi e di benedirvi, che vi colmi del suo amore e vi difenda nel cammino, dandovi abbondantemente quella forza che ci fa stare in piedi: quella forza è la speranza. E una cosa importante: la speranza non delude! E, per favore, vi chiedo di pregare per me. E se qualcuno di voi non può pregare, con tutto rispetto, gli chiedo che mi pensi bene e mi mandi “buona onda”. Grazie!"
(papa Francesco luglio 2015 Bolivia, Discorso Incontro mondiale movimenti popolari)
http://www.maurizioblondet.it/draghi-hollande-renzi-salvano-leuro-fino-allultimo-di-noi/
RispondiEliminahttp://www.ilgiornale.it/news/politica/boldrini-ne-inventa-unaltra-ospitiamo-anche-i-rifugiati-clim-1153885.html
RispondiEliminaHa ragione qui si sta piu' freschi !