Per riuscire ad esprimere, per quanto possibile, la sublimità del Suo mistero, nel XXXIII canto del suo Paradiso Dante pone sulle labbra di san Bernardo, cantore della Vergine, una serie di locuzioni paradossali o antinomiche. La creatura che più di ogni altra è stata elevata all’ordine soprannaturale e associata agli ineffabili scambi d’amore della Trinità santissima non poteva essere se non la più umile davanti a Dio, la più trasparente alla Sua grazia, la più libera da qualsiasi ripiegamento su se stessa, caratteristico delle anime ferite dal peccato originale. Se è vero che tutto questo è dipeso anzitutto da una liberissima elezione, in virtù della quale Ella era stata prescelta da tutta l’eternità perché, in vista dei meriti di Colui che da Lei sarebbe nato, fosse esente da qualsiasi macchia, è anche vero che la prescienza divina non poteva ignorare la perfetta corrispondenza alla grazia con cui l’Eletta avrebbe cooperato in modo essenziale al compimento del piano di salvezza: madre del Verbo incarnato, Sua inseparabile compagna nella Passione redentrice, ricettacolo purissimo dello Spirito Santo nel cuore della Chiesa nascente.
Nella dolce e mite Sovrana, nostra amabile Madre nell’ordine della grazia, è sommamente evidente come l’universo intero, uscito dalle mani di Dio per un traboccamento non necessario di vita e d’amore, sia totalmente orientato a Lui al fine di rendergli, mediante l’uomo suo culmine, l’onore e la gloria che Gli sono dovuti. L’exitus del mondo dall’amorosa volontà divina che lo ha tratto dal nulla si compie in un reditus che lo riporta a Lui perfezionato dalla grazia, la quale cerca accoglienza da parte della creatura che, sintesi del visibile e dell’invisibile, è immagine vivente del Creatore e, dopo aver abusato della sua libertà, una volta redenta ha il compito di ricondurre alla fonte tutte le cose, santificate e rinnovate con la sua cooperazione. Tale è la sublime vocazione del cristiano, nel quale l’Altissimo manifesta pienamente la Sua gloria con il coinvolgimento della libertà seconda in un’unione sponsale sempre più intima.
L’essenziale orientamento della creazione, con l’uomo alla sua testa, a Colui che ne è origine e fine non è più percepito, attualmente, con la necessaria forza e chiarezza. Al contrario, la traiettoria naturale dell’essere creato sembra decisamente capovolta: anziché risalire all’Artefice mediante le sole creature ragionevoli, il mondo assurge a termine e scopo a cui tutto sarebbe finalizzato, compresa la religione. Se il più celebre leader spirituale arriva ad affermare che «il lavoro è sacro», c’è da chiedersi se la parola sacro significa ancora qualcosa oppure – più profondamente – se il lavoro non ha preso il posto, nella mente di tanti, di ciò che attiene a Dio… e a Lui soltanto. In realtà il lavoro, come qualsiasi altra attività umana, soffre di un’inevitabile ambivalenza che si radica nel peccato: l’empio lo vive come fattore di idolatria e di ingiustizia, il santo come occasione di offerta a Dio e di servizio al prossimo, cioè come strumento di santificazione.
Se poi si propone di pregare perché il Creatore aiuti gli uomini a prendersi cura della casa comune, si ha la netta impressione che l’abitazione sia diventata il fine ultimo, e per chi l’abita e per chi l’ha edificata. Finora avevamo creduto che una casa servisse a chi ci vive, il quale gode della perizia del costruttore e gliene rende omaggio. Nessuno di noi finalizza la propria esistenza a chi gli ha fatto l’appartamento, certo, ma orientarla a Chi ci ha dato la vita su questa terra e ci promette la vita in cielo è giusto e ragionevole, oltre che santificante. Parliamo di Colui senza il quale non esisterebbe assolutamente nulla, né noi potremmo distinguerci in alcun modo dalla natura incosciente pensando o volendo alcunché. Tutto esiste per l’uomo, ma l’uomo esiste per Dio.
«Tutto è vostro. Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3, 22-23). In Gesù, Dio umanato, tutto è unificato e ricapitolato; attraverso di Lui, in virtù dello Spirito Santo, tutto risale al Padre, dal quale tutto discende. Dopo aver assunto la natura umana allo scopo di redimerla, il Verbo ha preso degli elementi della creazione, trasformati dal lavoro umano, per cristificare gli uomini redenti onde renderli atti alla vita eterna, che si colloca a un livello dell’essere semplicemente irraggiungibile per le creature. L’Eucaristia, in questo senso, rappresenta il culmine della santificazione del cosmo nell’ordine presente: la natura e il lavoro sono posti al servizio del pieno e definitivo compimento dell’umanità nel Regno di Dio, al quale essa è ordinata. In questa prospettiva, se qualcuno mi parla di un “processo di identificazione di Gesù con il pane” che sarebbe iniziato con la moltiplicazione dei pani e dei pesci (che in realtà non sarebbe stata altro che un inesauribile condividerli tra migliaia di persone…) e sarebbe culminato nell’Ultima Cena, mi viene la pelle d’oca.
Il pane del miracolo era semplice cibo che saziò la fame del corpo; il Pane eucaristico è la Persona del Figlio fatto uomo, immolato sulla croce, risorto e asceso al cielo, che ci nutre per la vita eterna. La moltiplicazione fu mera prefigurazione dell’illimitata dispensazione del Sacramento in ogni tempo e in ogni luogo; tra l’una e l’altra c’è un abisso ontologico che nessun “processo” avrebbe mai potuto colmare. L’Eucaristia non è punto di arrivo di un’evoluzione, ma frutto di un intervento puntuale della potenza creatrice di Dio, che nel Verbo incarnato, con la sola parola, ha trasformato il pane e il vino nel Suo corpo, sangue, anima e divinità, così come, nel medesimo Verbo, ha tratto il mondo dal nulla e in esso ha suscitato prima la vita, poi la vita cosciente. Gesù non si è identificato con un elemento materiale, ma lo ha preso – come già aveva assunto la carne per operare la nostra redenzione – per servirsene a un fine soprannaturale.
Questa volontà ostinata, propria del pensiero moderno penetrato nella Chiesa, di abolire la distanza incolmabile tra Dio e il mondo, tra il Creatore e la creatura, tra l’Essere infinito e l’essere finito, una volta assunta come prospettiva in cui reinterpretare la dottrina cattolica in “dialogo” con la cultura contemporanea, semplicemente la svuota e la distrugge. Si ha coscienza di questo, quando si dicono e scrivono certe cose? Possibile che nessuno se ne accorga e denunci la deriva del “magistero”? In questo naturalismo imperante siamo andati oltre l’idolatria: non ci si limita più a divinizzare la natura, ma si pretende di porre l’uomo e Dio stesso al suo servizio. Può esserci qualcosa di più blasfemo di questa inversione? È questa una liberazione dell’uomo o il suo completo asservimento a ciò che gli è inferiore, o meglio a quel Dio dell’universo che, nella cabala ebraica, designa Lucifero? Può forse venire da questa visione gioia, pace e speranza, o non piuttosto l’angoscia soffocante e la cupa disperazione che dilagano nella società odierna?
Per amore di Dio e per la nostra vera liberazione, in vista della beatitudine senza fine, volgiamo lo sguardo alla Regina del mondo e lasciamoci attirare da Lei per ritrovare il nostro vero orientamento, la via del cielo.
Mirabile completa edificante sintesi delle verità fondanti e delle derive da cui guardarsi.
RispondiEliminaPREGHIERA ALLA MADONNA
RispondiEliminadi Padre Matteo da Agnone
O dolce Madre, o Regina, o Signora nostra, se tu ci vedi nei peccati rialzaci, se in grazia mantienici. Se nella via di Dio ci fermiamo, spronaci, se camminiamo, confortaci.
Tu sei nostra mediatrice, come il Figlio è il nostro mediatore tra il Padre e l’uomo, così tu sei mediatrice tra l’uomo e il Figlio.
Tu sei la nostra fortezza, vedi la guerra che ci assale.
Tu sei la nostra stella, vedi la tempesta che si leva.
Tu la luna, vedi la notte tenebrosa nella quale ci troviamo.
Difendi, indirizza, illumina il cuor mio, affinché, tenendo la via retta del Cielo, godiamo prima Dio, e poi Te nei secoli dei secoli. Amen.
RispondiElimina@ Una postilla sul concetto del lavoro
Eccellente sermone, ricchissimo di spunti di riflessione. Molto giusto ricordare il lavoro come strumento di empieta' per chi lo usa solo per arricchirsi, come che sia. Di contro, il lavoro bene inteso, come strumento di santificazione. Aggiungerei un'altra concezione sbagliata del lavoro alla prima, anche se alquanto diversa: quella dei Protestanti, del lavoro come strumento di giustificazione di fronte a Dio, come prova dell'esistenza della predestinazione alla salvezza secondo l'etica calvinista (secondo il celebre saggio di Max Weber). Che storicamente tale concezione, per quanto errata, abbia prodotto dei frutti dal punto di vista dello sviluppo civile, alimentando ceti e comunita' con una "etica del lavoro" all'insegna dell'onesta', della disciplina di vita, di una certa severita' di costumi, non credo si possa negare. Tuttavia, quest'idea che il lavoro, anzi il successo nel lavoro sia la prova dell'elezione divina e' del tutto assurda anche dal punto di vista del semplice buon senso, anche prescindendo dai risvolti teologici. Infatti, non avviene spesso purtroppo che commercianti e imprenditori onesti falliscano, non per colpa loro? Allora bisogna dire che il fallimento economico e' la prova che andranno all'Inferno? Anzi, che erano gia' predestinati ad esso? Assurdita' palese. antenore
" Diventate cristiano ed io vi faro' cavaliere "!
RispondiElimina"Cristiano ". Ce ne vuole per essere " cristiano ".
S.Luigi IX sia il modello dei governanti e capi di stato che si definiscono " cristiani ".
http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=1133:2013-11-14-21-37-08&catid=62&Itemid=82
Propongo un giornata di digiuno perche' la Vergine Maria confonda tutti quelli che hanno pianificato questa ennesima bestemmia affinche' non abbia corso e vada tutta in crusca , http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/lopera-dello-scandalo-si-masturba-scena-crocifisso-1163373.html
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