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mercoledì 20 gennaio 2016

don Mauro Tranquillo. Europa cristiana?

Se noi cerchiamo di sapere perché l’Europa debba definirsi cristiana, se lo sia necessariamente o se possa anche non esserlo, o perché e quando lo sia diventata, dobbiamo anzitutto riferirci al concetto di Europa, e in seguito vedere in quale senso un continente possa dirsi cristiano.

Se l’Europa è un concetto puramente geografico, allora va considerata come il più piccolo e insignificante dei continenti, dai confini incerti, una sorta di protuberanza dell’Asia. Chiaramente il concetto di Europa non può essere ridotto a questo, richiama piuttosto una storia, anzi un’idea. Deve dirsi un concetto eminentemente culturale.

Per lungo tempo l’Europa, intesa come la regione geografica che oggi chiamiamo così, non si è concepita come unità a sé stante. Dobbiamo cercare dove nasca l’idea che ha unito questa regione, e ne ha fatto l’entità che oggi tutti chiamano con tale nome.

Naturalmente, è in Grecia che dobbiamo cominciare la nostra ricerca. Un’unica lingua univa quel gruppo di città dell’Ellade, ed era fattore di unità di fronte ad un mondo esterno popolato da “barbari”, fossero essi i rudi popoli delle foreste del Nord o i raffinati Persiani all’Oriente. Come si vede, in Grecia vigeva l’idea di un’unità culturale, in questo caso basata essenzialmente su una lingua comune, che rendeva chi la parlava diverso, anzi superiore a tutti gli altri.

Poi venne Roma: una nuova unità si costruisce, che pur non corrisponde geograficamente all’attuale Europa, ma piuttosto al bacino del Mediterraneo. Roma fa sua la cultura ellenistica, che già Alessandro Magno aveva esportato fuori dalla penisola greca. Non più una semplice lingua, ma questa cultura protetta dal diritto romano e dalle legioni dell’Impero diventa il criterio della civiltà.

In questo periodo i barbari, gli esclusi da questa cultura, sono proprio coloro che oggi si prendono per il cuore dell’Europa. Questa superiorità culturale acquisisce, proprio grazie ad Alessandro il Macedone e a Roma, il desiderio di espandersi, di non essere più riservata ad alcuni ma destinata a tutti i popoli. Si considera un’idea universale, che può raggiungere ogni uomo. Possiamo dire che c’è un lato “missionario” nelle guerre di Alessandro Magno o di Roma, e forse ancor prima nel colonialismo greco.

Un secondo fondamentale concetto nasce insieme a questo, anzi parallelamente ad esso, ed è quello di un potere universale, garante e artefice di tale diffusione dell’unica cultura. Badiamo bene: cultura unica che non è il risultato di un calderone in cui tutto si fonde, ma un preciso modello considerato adatto a tutti, che emana da un preciso punto di partenza geografico.

Non è un caso che Dio abbia voluto far sorgere la Sua Religione in questo contesto; anzi, tale contesto storico fu voluto da Dio come necessario alla Sua Religione. Possiamo dire che la cultura e la filosofia greca, nel piano divino, siano esistite solo per il cristianesimo, così come il sistema giuridico romano.

Si deve qui notare quanto sia inane l’obiezione di coloro che vogliono ricordare nella costituzione europea le radici classiche e non quelle cristiane. Se le radici greco-romane sono arrivate a noi non come un fossile, ma come qualcosa di vivo, lo si deve unicamente al Cristianesimo, anzi precisamente alla Chiesa Cattolica. E questo è vero non solo nel senso più materiale, dato che i codici degli autori antichi sono stati copiati nei monasteri, ma tutta la civiltà antica, trasfigurata dal cristianesimo, è stata assorbita dalla Chiesa Romana.

Il cristianesimo può dunque dirsi “inculturato” in quella società? La risposta è sì, purché sia chiaro che non avrebbe potuto né potrà mai “inculturarsi” in nessun’altra, per sua natura, o meglio per disposizione della Provvidenza. Le altre società che riceveranno il cristianesimo, riceveranno con esso tutta quella cultura, che non è più greca o romana ma semplicemente cristiana. La conversione al cristianesimo implicherà la rinuncia a tutte quelle forme di civiltà non compatibili con la vera religione.

In questo disegno provvidenziale si inserisce un secondo elemento che si può dire geografico: il ruolo della città di Roma.

Premettiamo che il cristianesimo, a differenza dell’Antica Alleanza, non ha legame alcuno con la carne e il sangue, la razza o la stirpe: in questo senso “non c’è più né giudeo né greco”, come dice san Paolo: tutti gli uomini senza distinzione, e perfino le donne, sono chiamati a rinascere dall’acqua e dallo Spirito Santo per essere a pieno titolo figli di Dio secondo la grazia.

Né il cristianesimo, proprio perché cattolico (cioè universale) può essere legato ad una particolare regione, a differenza del giudaismo antico, legato a Gerusalemme (unico luogo di culto del vero Dio) e alla Terra promessa (figura del regno spirituale che sarebbe stato fondato da Gesù Cristo). E tuttavia, anche nella Nuova Alleanza, c’è un luogo che può vantare un’“elezione divina”, una missione: evidentemente si tratta della Città Eterna, dove la Provvidenza volle che san Pietro fosse Vescovo e trovasse il martirio, quel san Pietro che da Cristo aveva ricevuto il potere supremo.

Da allora la Sede della Chiesa di Cristo non può essere che Roma, e se a Roma ci sarà sempre, secondo le promesse del Vangelo, un Vescovo cattolico, ci dovrà essere sempre un popolo cattolico. Il Papa ha in sé la pienezza del potere della Chiesa, di questo regno eterno, universale e supremo, adatto a tutti i popoli, e sarà per sempre Vescovo di quella Città. Ora Roma è in Italia, e l’Italia in Europa. Si può quindi parlare di un particolare ruolo affidato da Dio all’Italia e all’Europa.

In questo senso preciso possiamo parlare di un’Europa che non può mancare di essere cristiana, di un’apostasia non solo dei singoli cristiani, ma dell’intera società europea che manca a questo suo ruolo provvidenziale, dopo aver ricevuto tanti benefici da Dio.

Ma torniamo alla storia: nei primi secoli, specie dopo le persecuzioni, questo “corpo” della cristianità viene ad identificarsi con l’Impero Romano. Pensiamo a sant’Ambrogio o a san Leone Magno: l’idea della missione universale di civilizzazione coincide ormai con quella di cristianizzazione; la Chiesa prega con queste parole per l’Imperatore romano: “ut Dominus Deus subditas illi faciat omnes barbaras nationes, ad nostram perpetuam pacem” (“affinché il Signore Dio sottometta a lui tutte le nazioni barbare, per la nostra perpetua pace”, liturgia del Venerdì santo); e anche “Deus qui ad praedicandum aeterni Regis Evangelium Romanum Imperium preparasti: pretende famulo tuo Imperatori nostro N. arma caelestia; ut pax ecclesiarum nulla turbetur tempestate bellorum” (“Dio che hai preparato l’Impero Romano per predicare il Vangelo dell’eterno Re: porgi al tuo servo il nostro Imperatore N. le armi celesti: perché la pace delle chiese non sia turbata da nessuna tempesta di guerra”).

Quindi all’Impero viene riconosciuto un ruolo provvidenziale, quello di “apripista” della vera civiltà, quella del Vangelo, del Re eterno: sottomettendo le nazioni barbare con le armi romane, diventerà possibile la ricezione pacifica della predicazione. In quest’epoca l’Impero e la cristianità non coincidono ancora con quello che noi chiamiamo Europa: il Nord Africa e il Medio Oriente sono ancora perfettamente cattolici, la Germania e le terre oggi slave non lo sono ancora. I primi regni barbarici, sorti sulle ceneri ancora calde dell’Impero d’Occidente, divenuti anch’essi cattolici, cercano a Roma o a Bisanzio (dall’Imperatore dei Romani) la loro legittimità: hanno assorbito, in un’altra forma, le stesse idee “europee” ante litteram, e sono realmente eredi di Roma (lo saranno anche formalmente con Carlo Magno).

In quale momento possiamo dire che la cristianità con la sua missione venga ad identificarsi con quella che noi oggi chiamiamo Europa? Evidentemente con l’espansione islamica in Oriente e in Africa, e addirittura per sette secoli fino in Spagna!

Non è un caso che il termine “europeo” appaia in occasione del primo grande confronto con l’Islam. Alla battaglia di Poitiers (732), quando Carlo Martello, Re dei Franchi per volere del Papa, fermerà l’avanzata araba, il cronista Isidoro Pacensis scrive: “Prospiciunt europeenses Arabum tentoria ordinata” (“gli europei guardano verso gli accampamenti ordinati degli arabi”). Europeo coincide già con cristiano, come arabo coincide con musulmano.

In questo contesto, ad un Impero bizantino sempre più debole, orientale, separato da Roma, i Papi affiancano (e poi sostituiscono) un nuovo Impero Romano d’Occidente, a tutti gli effetti su base territoriale “europea”: l’Impero di Carlo Magno.

Siamo nell’anno 800, e il Papa provvede all’unità politica dell’Europa. All’incoronazione di quella famosa notte di Natale, in San Pietro si sentirà questa acclamazione: “Omni exercitui romanorum, francorum, teutonorum et langobardorum, vita et victoria!” (“A tutto l’esercito dei romani, dei franchi, dei teutoni e dei longobardi, vita e vittoria!”).

Qualche secolo più tardi, san Tommaso d’Aquino spiegherà nel De regimine principum come il Vicario di Dio abbia potuto spostare l’Impero dai greci ai germani, e come questo Impero sia del tutto funzionale e dipendente dalla volontà della Chiesa Romana.

Ne è l’espressione temporale, necessaria a creare le condizioni favorevoli all’evangelizzazione. Non per niente san Gregorio VII affermerà nel dogmatico Dictatus Papae che “Solo il Papa può usare delle insegne imperiali” (“Quod solus Papa possit uti imperialibus insigniis”, n. VIII).

La Chiesa non crede né alla libertà religiosa né allo stato laico, anzi condanna tali princìpi. Vuole uno stato che sia sua emanazione. L’Europa è stata l’incarnazione di quest’idea. L’Europa che conosciamo ha trovato la sua unità solo e unicamente in questo ideale. Si è divisa perdendolo.

Negli anni che seguono la formazione del Sacro Romano Impero, due princìpi lottano tra loro in Europa. Da un lato un principio unificatore, di unità non solo religiosa ma anche politica, che irradia dai Papi, che tendono a farsi riconoscere dai vari sovrani come l’unica fonte del loro potere (sotto Innocenzo III gli stati d’Europa assumono l’aspetto di una confederazione che riconosce la sovranità del Papa); unità che culmina, ovviamente, nella lotta contro il nemico esterno, l’Islam, che appare sempre più come l’anti-Europa, l’anti-cristianesimo. Nel movimento delle Crociate si ha realmente un’azione comune dei principi cristiani d’Europa sotto impulso del Papa, che esportano la loro fede e la loro cultura in Oriente, a difesa dei cristiani che stanno fuori dei confini di questo corpo. Gli Stati d’Europa marciano insieme: Impero, Francia, Inghilterra, Comuni e principati italiani (la Spagna combatte lo stesso nemico ma su un altro fronte).

Dall’altro lato, un principio disgregatore si fa strada, prende forma: i singoli regni tendono a separarsi, dapprima anche solo politicamente, dalla fonte comune dell’autorità. L’Impero, con la lotta delle investiture e quella per il dominium mundi contro l’autorità anche temporale del Papa, reclama l’autonomia politica e tende ad essere sempre meno romano e sempre più germanico; la Francia, approfittando di questa situazione, da Filippo il Bello in poi preporrà sistematicamente il proprio interesse a quello comune della Cristianità e dell’Europa, giungendo a controllare il Papato per settant’anni con la celebre cattività avignonese, e più tardi ad allearsi con i turchi contro l’Imperatore. Un principio non cristiano si fa avanti: quello dell’egoismo nazionale, quindi del sangue; il contrario del principio universale che dovrebbe essere tipico del cattolicesimo e per conseguenza, lo abbiamo visto, dell’Europa.

La cattività avignonese, cui abbiamo accennato, fa cadere il sospetto di parzialità sul Papato; anzi si diffonde l’idea di poter asservire l’istituzione divina universale ai propri fini. Seguiranno i vari scismi, con la presenza contemporanea di vari antipapi, mettendo così in crisi il centro dell’unità europea.

Con il ritorno del Pontefice a Roma e la fine degli scismi, c’è però un tempo di ripresa, un tentativo di ricomposizione dell’unità perduta: tra la metà del XV secolo e la Riforma luterana, i regni d’Europa hanno la grande possibilità di ritrovarsi. Il Papato sta recuperando la grande cultura classica, ed è pronto a rimettersi alla testa del continente. All’esterno, con la caduta di Costantinopoli (1453), l’Europa si ritrova veramente isolata, si riscopre Cristianità assediata con il nemico alle porte. In questi anni la Provvidenza manda sul Soglio di Pietro un uomo veramente “europeo”, intriso di cultura antica, conscio della gravità del pericolo turco e che conosce la vera natura dell’Europa. È il grande Pio II (Enea Silvio Piccolomini, 1458-1464), che così sintetizza, in ammirabili versi latini, la vera unità europea, quella della fede:
Virgo theutonicis multo celebrata sacellis,Mater et ipsa Dei, Mater et ipsa hominum,Virgo Latinorum spes et tutela meorum,Virgo, quam multo Gallia thure colit,Virgo nec Hispanas paulo laudata  per urbes,cui patet et caelum totaque terra patet…
“Vergine molto celebrata nei templi teutonici, / Tu Madre di Dio, tu Madre degli uomini, / Vergine speranza e tutela dei miei Latini, / Vergine che la Gallia onora con molto incenso, / Vergine, non poco lodata nelle città di Spagna, / cui è aperto il cielo, cui è aperta tutta la terra…” (Eicosast. de Maria, 1-6)

Ed è lui a tentare di riunire a Mantova l’assemblea dei Principi europei contro Maometto II, il terribile Sultano che ha preso Costantinopoli e minaccia l’Ungheria. Ma era troppo tardi, o forse troppo presto. Non c’è risposta al suo appello. Occorreva prima ridurre alla ragione i Principi italiani ed europei che non vedevano al di là del loro ombelico. Sarà il progetto, realistico, dei suoi successori. Se con Alessandro VI la spinta verso l’esterno troverà nuovo slancio, grazie alla scoperta delle Americhe che il Papa affiderà ai Re di Spagna e Portogallo perché vi esportino civiltà e fede, le guerre e il mecenatismo di Giulio II e Leone X tenteranno, con il prestigio culturale e la potenza militare unita al gioco della diplomazia, di recuperare il ruolo che spetta al Papato sulla scena europea.

In questo momento in cui tutto è ancora possibile, il movimento disgregatore trova in un monaco deviato l’arma per rompere con le pretese di Roma.

L’occasione e il pretesto di una rottura non più solo politica, ma ammantata di religione, permette a tutti i principi di acquistare l’autonomia desiderata. Con Lutero e i suoi epigoni, interi regni usciranno dall’Europa.

Nel momento in cui la minaccia islamica è più viva che mai (nel 1526 l’Ungheria cade, e Vienna è per la prima volta sotto assedio), l’Europa perde la sua unità. Come Costantinopoli aveva detto “Meglio il turbante della tiara”, così Lutero dirà “Meglio turco che papista”, impedendo a i principi tedeschi di unirsi a Carlo V contro i turchi (ma anche i francesi, prototipo dell’egoismo nazionale, si alleeranno con i turci per non favorire i loro rivali austriaci).

Lutero è figura anti-romana e anti-ellenica, barbaro, iniziatore del pensiero filosofico che proprio in Germania porterà al rigetto dello stesso principio di non-contraddizione, base del pensiero umano formulato da Aristotele.

Nello stesso momento l’Inghilterra, che era stata addirittura feudo del Papa, si sottrae all’obbedienza della Sede Apostolica, e dopo alterne vicende caccia il suo ultimo Re cattolico, Giacomo II Stuart, con la Unbloody Revolution del 1688 (sanguinosa era stata invece, e specialmente per i cattolici, qualche decennio prima, la guerra del Parlamento di Cromwell contro il Re). “Questo Regno d’Inghilterra è un Impero”, aveva dichiarato nel 1533 Enrico VIII.

L’idea universale, il concetto di superiorità culturale e religiosa che deve diffondersi, vengono abbandonati, e alla missione di civilizzare i popoli “barbari” i colonizzatori protestanti sostituiscono quella di dominio, sfruttamento e sterminio (in questo contesto nasce il moderno razzismo, di matrice tipicamente giudaica, ripreso dai calvinisti e dai protestanti in generale che si ritengono eletti e predestinati).

Roma diviene dunque il nemico. Carlo V e gli Asburgo non riescono a restaurare l’unità religiosa dell’Impero e quindi dell’Europa; la pace di Augusta (1555), con il famoso principio cuius regio eius religio, sarà definita da Pio XII “il colpo più duro che potesse essere inferto all’Occidente cristiano e alla sua civiltà”. Le ultime speranze svaniscono con la Guerra dei Trent’anni, che l’Imperatore Ferdinando non riuscirà a portare a buon fine per l’intervento deleterio della Francia di Richelieu e Luigi XIV a favore dei protestanti. Nel 1648 la pace di Westfalia compie la laicizzazione delle relazioni internazionali. Tale trattato fu duramente condannato da Innocenzo X, per la rinuncia che si faceva dei diritti della Chiesa e della religione senza nemmeno aver consultato la Sede Apostolica. L’Europa rinnegava ufficialmente le sue basi; la nuova Europa, costruita su tutt’altre basi, ha voluto ratificare la sua costituzione anticristiana proprio sotto la statua bronzea di Innocenzo X che si trova in Campidoglio: un caso o una beffa alle pretese del Papa?

Da quel trattato in poi la religione non viene più vista come fattore di unità, ma di discordia. Deve dunque essere evacuata dai rapporti fra le potenze, che cercano il loro “equilibrio” al di fuori di essa, in attesa di essere eliminata anche dalla vita interna degli Stati.

Questo rifiuto dell’autorità di Roma e quindi della civiltà porterà gli Illuministi del ‘700 a guardare con simpatia tutto ciò che non è europeo: idealizzazione dell’Islam e del bon sauvage, in cui stanno le virtù che l’Occidente avrebbe perso. Contemporaneamente Kant procede nella de-ellenizzazione della religione, privandola del suo supporto filosofico e facendone un puro postulato morale, allontanandosi così sempre di più dalle radici dell’Europa, almeno intesa come abbiamo spiegato.

In questo stesso periodo, se vogliamo citare un pensatore cattolico, ricordiamo che Giovanni Battista Vico, nella sua dedica della “Scienza nuova” alle “Accademie d’Europa”, riconosce che se c’è un’unità della cultura europea è “in forza della cristiana religione”. Scrive: “L’Europa cristiana sfolgora di tanta umanità, che vi si abbonda di tutti i beni che possono facilitare l’umana virtù non meno per gli agi del corpo che per i piaceri così della mente come dell’anima”. In questi tempi, lingua comune dell’Europa è ancora il latino, usata negli Atenei e nelle Cancellerie degli Stati, a partire dal Sacro Romano Impero. Giuseppe II, Imperatore “illuminista”, imporrà il tedesco. Solo la Chiesa Romana terrà il legame con il mondo antico e l’ideale universale conservando l’uso della lingua di Roma a tutti i livelli: se l’unità politica cessava, rimaneva il centro dell’unità spirituale.

Ogni legame con la religione, anche interno alla vita degli Stati, viene scisso con la Rivoluzione Francese: inutile dilungarsi su questo punto.La stessa Santa Alleanza, che è stata definita “il primo accordo europeo di peace-keeping” firmato in nome del Cristo, esclude Roma per forza di cose: lo zar è ortodosso e la Prussia luterana.

Con il 1870 Roma è ridicolizzata a figurare come capitale di uno Stato nazionale. I nazionalismi hanno assicurato il successo della Rivoluzione, nazionalismi che sono il contrario perfetto del cattolicesimo. Saranno l’occasione di abbattere, nella Grande Guerra, l’ultimo regno che era l’ombra dell’Impero cattolico sopranazionale, europeo in tutti i sensi, in cui stirpe e lingua contavano meno della comune civiltà: l’Austria-Ungheria.

Viviamo oggi in un’Europa completamente diversa, che dopo il bagno di sangue provocato dai nazionalismi e dalle ideologie ha cercato la pace in una nuova unità. Non in un’unità al di là del cristianesimo e di Roma, ma contro il cristianesimo e Roma, poiché non esiste neutralità davanti alla Chiesa e a Gesù Cristo.

È evidente che la base dell’unità di quest’Europa non è né la cultura cristiana, né quella ellenica o romana pre-cristiana: è quella della massoneria, mostruosa e scimmiesca controchiesa, discendente da una tradizione che affonda le sue radici nella menzogna del serpente ai progenitori: “Sarete come Dio, conoscerete il bene e il male”.

La rinnovata contrapposizione con il mondo islamico dev’essere per noi non l’occasione di cercare un’unità nella non-cultura americana o dei diritti dell’uomo che si fa Dio, che hanno messo il cosiddetto Occidente a servizio dell’Anticristo; ma in ciò che ci è proprio e che ha fatto la nostra forza: nella fedeltà alla tradizione della Chiesa Romana, alla nostra vera Tradizione, che ha origine non dal serpente ma da Dio e dal suo Cristo.

Lasciamo la conclusione a Leone XIII: 
“Se l’Europa cristiana domò le nazioni barbare e le trasse dalla ferocia alla mansuetudine, e dalla superstizione alla luce del vero; se vittoriosamente respinse le invasioni dei musulmani, se tenne il primato della civiltà, e si porse ognora duce e maestra alle genti in ogni maniera di lodevole progresso, se di vere e larghe libertà poté allietare i popoli, se a sollievo delle umane miserie seminò dappertutto istituzioni sapienti e benefiche; non ci è dubbio, che in gran parte ne va debitrice alla religione, in cui trovò ed ispirazione ed aiuto alla grandezza di tante opere” (Enc. Immortale Dei, 1885).
Don Mauro Tranquillo [Fonte

15 commenti:


  1. @ L'Autore su qualche punto semplifica il quadro storico?

    Una rapida ed efficace carrellata, che giustamente ci vuol ricordare le "radici cristiane" dell'Europa, disattese dall'attuale Unione Europea.
    Su qualche punto occorre tuttavia precisare, a mio avviso.
    1. La religione cristiana divento' motivo di divisione ben prima del Trattato di Vestfalia del 1648, che laicizzo' i rapporti tra gli Stati. Lo divento' in seguito allo scisma protestante e le conseguenti guerre di religione. La colpa di quelle guerre e' soprattutto dei Protestanti, che erano i ribelli e aggressori. Tuttavia, vi sono responsabilita' indirette della Chiesa (della sua Gerarchia) a quel tragico evento nel plurisecolare degenerare della situazione interna della Chiesa stessa, che comporto' una grave perdita di prestigio per la religione. C'era da secoli un eccessivo coinvolgimento del Papato e del clero nelle vicende temporali, con la conseguente corruzione dei costumi dei chierici, coinvolgimento non sostenuto per esempio da adeguati mezzi militari, "armi proprie" del Papa.
    2. L'Autore presenta il papato del tempo di Enea Silvio e di Giulio II come se fosse una forza politico-militare di tutto rispetto, capace di porsi alla testa di una coalizione di Stati europei anche militarmente (e non solo spiritualmente, come spetta al Papa). Ma quest'immagine non credo corrisponda al vero. Il Papato politico, come veniva chiamato, era debole da molto tempo. La sua debolezza sarebbe emersa drammaticamente nel Sacco di Roma (1527), che puni' il Papato politico per le sue colpe e manchevolezze e in pratica segno' la fine dell'indipendenza effettiva dello Stato della Chiesa, che da quel momento comincio' a diventare un anacronismo, per cosi' dire.
    3. Dire che con l'Unita' d'Italia, Roma e' stata ridicolizzata a capitale di uno Stato nazionale mi sembra eccessivo e si spiega con la probabile ostilita' dell'Autore all'idea di un'Italia unita, in quanto tale, laica o cattolica che sia. Ora, si dice che la Chiesa non poteva accettare la formazione degli Stati nazionali europei in quanto tali perche' contraddicevano l'universalita' del cristianesimo, come sistema di vita, cui si addiceva solo la forma "imperiale". Ma l'impero, anche come idea, entro' in crisi ancor prima della foermazione degli Stati nazionali, con le lotte terribili tra Papa e Imperatore, deleterie per l'Italia. La Chiesa aveva il diritto di difendersi dall'imperatore, che voleva esser lui a nominare i vescovi, e a rivendicare la propria liberta'. Ma poi si inseri' nella lotta la pretesa secolare del Papato politico di non voler mai uno Stato unitario in Italia, nemmeno uno che lasciasse intatto lo Stato della Chiesa (vedi lotta accanita contro Federico II di Svevia, che voleva unificare l'Italia a nord e a sud degli Stati del Papa).
    3. Nemmeno corrisponde al vero dire che lo scopo della I gm sia stato quello di distruggere l'Austria-Ungheria. La realta' e' piu' complicata. A. R.

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  2. Senza entrare in merito alla storiografia della nascita di questo disgraziato paese e rimanendo in ambito continentale, l'Europa non è più cristiana da un pezzo, il guaio è che non è nemmeno più Europa, spazzata via dalla rivoluzione mutandara del '68, dalle leggi coatte di distruzione di massa di esseri umani, matrimoni fra uomo e donna, famiglie regolari, ed avviluppata in stupide diatribe sull'omofobia e caxxate varie, in comune abbiamo solo una moneta distrutta dagli USA perché troppo forte, una congerie di governanti imbelli se non imbecilli, altezzosi, presuntuosamente arroganti, servi di partiti e tappetini d'ingresso su cui i soci dell'esclusivo club per miliardari Bilderberg, si strusciano i piedi, obbligati a suzzarsi mln. di finti migranti tutti mussulmani e maschi, che cominciano a fare proselitismo, visto che da noi el jefe dice essere una solenne sciocchezza, adesso stanno in ogni angolo a fare comizi col Corano in mano e c'è pure chi becca eccome, specie quegli smidollati dei nostri ragazzotti, teste vuote e pieni di sesso a gogo e alcool e droghe speedy ed altro, si raccontano bugie colossali e si nascondono verità immense per far credere che tutto è ok, sotto controllo, ogni giorno stupri, rapine, risse,omicidi, i cui principali protagonisti sono extra comunitari e che si fa in questo continente alla deriva? Si difendono i diritti di tutti meno quelli di chi effettivamente andrebbe tutelato, si depenazlizzano tutti i tipi di insulti tranne quelli ritenuti omofobi, passibili di carcere, si montano casi colossali, qui in Italia, in cui tutti urlano al rogo al rogo per normali insulti sui campi di calcio, dove, fin dalle partite dei pulcini, si odono altro che insulti, bestemmie contro Dio e la Madre, che nemmeno satana arriverebbe a tanto, e nessuno trova nulla da eccepire, ma guai toccare i gay e il verde ecologico.....dunque di che si parlava? Di Europa, un'espressione geografica di insignificante rilevanza storico politica, fagocitata dall'imperialismo relativista che non ti permette il minimo dissenso, passano, distruggono e lasciano dietro di sé rovine fumanti.Lupus et Agnus.

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  3. Vorrei ribadire l'espressione usata dall'autore "Roma e'stata ridicolizzata" all'anonimo delle 11.33 perché significa che è stata ridimensionata da caput mundi a capitale d'Italia.
    E' vero! Italia già si chiamava secoli prima il territorio comprendente le attuali province di Reggio Calabria e di Lecce.
    L'unità d'Italia come la conosciamo e' stata voluta dalla massoneria inglese per chiudere in un recinto il Papato, istituzione divina che oggi i massoni vogliono definitivamente abbattere.

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  4. Parla monsignor Crepaldi, ex segretario del Pontificio consiglio Giustizia e pace: “Se il ddl Cirinnà fosse approvato così com’è, le conseguenze sarebbero enormi. Ma anche senza stepchild adoption, la norma resta inaccettabile”. Chi va al Circo Massimo il 30 gennaio “esercita il proprio dovere di cittadino responsabile” [ma anche di credente fedele]

    http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/01/20/unioni-civili-dopo-il-momento-della-preghiera-quello-della-piazza-dice-il-vescovo-di-trieste___1-v-137256-rubriche_c584.htm

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  5. @ Roma caput mundi

    L'espressione resta infelice. Roma pontificia era "caput mundi" non in senso territoriale ma spirituale, perche' "caput" della religione cattolica cioe' di tutti i cattolici sparsi per il mondo. Il "caput" amministrativo per la Chiesa come apparato ecclesiastico mondiale e il caput spirituale, "carismatico" per tutti i cattolici. In quanto "caput mundi" Roma cattolica non aveva quindi una giurisdizione territoriale bensi' puramente spirituale. E, pur non avendo una giurisdizione territoriale mondiale, aveva anche una giurisdizione di tipo amministrativo sull'orbe cattolico, per cio' che riguarda gli affari ecclesiastici in senso stretto. Ora, dopo l'unita' d'Italia, forse che questa giurisdizione puramente spirituale del Papa su tutti i cattolici del mondo e' venuta meno? No, di sicuro. Come non e' venuta meno quella di tipo diciamo amministrativo per gli affari ecclesiastici di tutte le chiese nazionali. Quindi, Roma e' rimasta sempre il caput mundi del cattolicesimo a prescindere dalle vicende dello Stato Pontificio, temporaneamente venuto meno dal 1870 al 1929 e poi ripristinato con i Patti Lateranensi come microstato (SCV), dal punto di vista amministrativo-territoriale.
    L'Italia corrispondente alle province di RC e di Lecce non era quella del tempo di Omero? Poi le cose sono un po' cambiate, o no? I popoli "italici" erano forse ristretti al tacco e alla punta dello stivale? Quella non era la Magnagrecia?
    Se c'era una massoneria alla quale non importava proprio che noi ci unificassimo, era quella inglese. Il governo di Sua Maesta' non voleva mutamenti nello statu quo europeo e soprattutto non voleva accrescimenti da parte della Francia. La politica irrequieta di Nap. III (che pure non voleva affatto l'unita' d'Italia) spinse poi gli inglesi ad accettare il fatto compiuto per utilizzarlo in funzione antifrancese.
    Tornando alla capitale d'Italia: la sua esistenza nulla ha tolto a Roma "caput mundi" perche' sempre sede del Papato e a Roma "Citta' eterna", espressione con la quale si indicano i suoi 27 o 28 secoli di vita, dove l'eternita' e' rappresentata dalla Roma antica (imperiale etc.) e da quella cristiana, centro di un "impero" spirituale, quello della vera religione. La "Roma citta' eterna" e' quella delle due Rome, antica e cristiana. Quella capitale dello Stato italiano si fa il suo nido all'ombre delle altre due, che non per questo vengono diminuite o "ridicolizzate". A. R.

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  6. Sostanzialmente concordando con Don Tranquillo, Standing Ovation per Lupus et Agnus.
    rr

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  7. @ La Roma "ridicola" (per usare un eufemismo) allora c'era anche sotto il Papa

    Se leggiamo i sonetti del Belli ne deduciamo l'esistenza di una Roma superstiziosa, ignorante, senza fede, dalla plebe ai palazzi (la plebe analfabeta con in una tasca il coltello e nell'altra il Rosario), lato oscuro della Roma papale. "Ridicola" anzi e' espressione troppo debole: una Roma canagliesca, che scadeva nel grottesco e anche nel ridicolo. Ma con l'attribuire un carattere "ridicolo" a Roma capitale d'Italia, l'Autore, essendo milanese, ha voluto (azzardo) manifestare la sua antipatia per Roma, per Roma citta', detestata in genere da milanesi e lombardi sciolti e a pacchetti per il solo fatto di esistere. Oggi poi che ci sono i leghisti a "rompere" con la loro paccottiglia "celtica" (questa si' ridicola) ancora gli rode per le legnate prese a suo tempo dai Romani (quelli antichi). A. R. (Anonimo Romano)

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  8. Scusi AR non entro nel merito delle sue argomentazioni ma nella polemica che ha innescato sull'amore per Roma o meno da parte di lombardi e milanesi.
    Visto che rientro in questa categoria (nella prima) mi sento chiamato in causa e duole (anzi no, non duole) informarla che quello che lei sostiene è uno stereotipo montato ad arte dal solito mainstream. Al più può esserci qualche sottocultura che abbraccia quanto da lei supposto esistente in modo invece generale ("detestata in genere da milanesi e lombardi....").
    Al contrario Roma in quanto città eterna, in quanto sede di quello che fu l'impero su cui venne edificata la società cristiana è amata. Dai cattolici è poi amata anche in quanto sede della cattedra di Pietro e centro della cristianità (ancorché offuscata in questo senso ultimamente...), se scelta da Dio non può essere non amata dai suoi fedeli.
    Poi si detestano non Roma ma le inefficienze distribuite più o meno uniformemente lungo tutto lo stivale e figlie legittime e proprie di quello stato che si sente estraneo forse perché voluto con una unità realizzata in spregio a tutta la tradizione e a tutta la storia e cultura italiche e in coerenza invece con gli ideali rivoluzionari e massonici.

    Comunque l'autore dell'articolo è lombardo e non milanese. Saluti.

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  9. Comunque l'autore dell'articolo è lombardo e non milanese. E di origine MEGAELLENA.
    Il miglior commento è il seguente:
    "L'Italia era UNA di FEDE e Cultura, quando, coerentemente con le sue usanze e la sua storia, era articolata in più compagini politiche sovrane. Quando volle abbandonare tale molteplicità, perse pure la sua vera unità".(Papa Leone XIII)

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  10. @ Roma e stereotipi antiunitari

    1. In quanto "citta' eterna" e "caput mundi" del cattolicesimo Roma e' si' amata dai cattolici, ma piu' come un'idea ovvero per cio' che rappresenta, non in se'. Del resto, e' una citta' piena di difetti, perche' dovrebbe esser amata? E i Romani non sono bulli e bulletti, sin dal tempo del governo papale del resto? Per la verita' solo in parte,lo sono. Le demenziali baggianate "celtiche" della Lega coprono folcloristicamente l'avversione e l'odio per "Roma ladrona", in quanto sede del Governo "centralista", tipico del particolarismo italico, rinfocolato dalle tragiche vicende dell II g.m. e dalla presente sciagurata costituzione Repubblicana, e ben radicato in Lombardia o nel Veneto (per lo meno quello attuale, del benessere economico + decadenza dei costumi). (Ma "mani pulite" si e' avuta a Roma o a Milano? Forse a Canicatti'). Denigrare Roma in quanto capitale dell'Italia unificata lo trovo assurdo e antiitaliano. Questa denigrazione non tiene in cale l'efficienza o meno dello Stato italiano, respinge l'idea stessa di un'Italia riunita in un solo Stato, anche del tutto cattolico e senza infiltrazioni massoniche. Esprime l'idea malsana di una nazione italiana condannata al perenne particolarismo interno perche' solo cosi' potrebbe cooperare alla missione universale della Chiesa.

    2. L'opinione espressa dalla frase di Leone XIII non e' dogma di fede. L'Italia era certamente una di fede e cultura anche per merito della Chiesa, che nel lontano passato, contribui' a difendere la liberta' d'Italia contro Saraceni e Bizantini (sempre facili alle eresie) e, a volte giustamente, contro le pretese imperiali tedesche (di un impero nei fatti "tedesco" tuttavia sanzionato dal Papa). Pero' non era una come Stato, politicamente, con tutte le conseguenze negative della cosa. Non e' stato un male l'assenza di una monarchia nazionale italiana sin dal Medio Evo? Naturalmente rispettosa dei diritti della Chiesa cioe' del Patrimonio di S. Pietro (in pratica il Lazio)? Ora, la colpa principale della mancata unita' quando l'Europa era ancora cattolica di chi e' stata se non del Papato politico? Per secoli si e' attenuto alla massima di tener divisa l'Italia gia' con l'estendere il suo Stato in diagonale (grazie soprattutto all'aiuto degli stranieri) da Terracina a Imola e a non volere nemmeno un'Italia unita al di sotto e al di sopra degli Stati della Chiesa. Questa politica, iniziatasi con la Donazione di Pipino, per ottenere la quale sembra che il Papa abbia prodotto la falsa Donazione di Costantino, ebbe effetti disastrosi per l'Italia ma anche per la Chiesa e la religione. Il Papa doveva restarsene nel Lazio (Patrimonio di s. Pietro originario) e per l'unita' o meno del resto della penisola affidarsi alla Provvidenza. A. R.

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  11. Mi pare che non si denigri Roma in quanto capitale d'Italia ma piuttosto si possano muovere giustificate critiche all'unità così come prodotta, conseguita e gestita, fino ai giorni nostri.
    Se la frase di Leone XIII non è un dogma di fede, neppure lo è l'unità d'Italia come buona a prescindere e tampoco il fatto che chi la critichi sia anti italiano, essendo l'italianità più che una mera questione politica ma racchiudendo in sè l'idea di Nazione e di popolo o di Nazioni e di popoli, uniti da qualche cosa di più che non dei meri confini geografici.

    Poi eviterei di far riferimenti a "mani pulite" o sporche che siano, abbiamo numerosi evidenze di come il malcostume sia diffuso non solo lungo tutto lo stivale ma in tutto il mondo, infatti la natura umana corrotta e ferita dal peccato originale è la medesima.

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  12. @ Replica di A. R.

    1. Dire che Roma "e'stata ridicolizzata" perche' e' diventata capitale dell'Italia unita, che altro significa se non denigrare Roma in quanto capitale d'Italia? Chi imposta in questo modo la questione di Roma e dell'unita' d'Italia non muove "giustificate critiche" al modo nel quale l'Unita' e' stata fatta. Per lui l'unita' d'Italia e' una cosa ridicola, che evidentemente non si doveva fare.
    2. Non ho mai negato le critiche legittime al modo nel quale e' stata fatta l'Unita' d'Italia. Il fatto e' che l'atteggiamento degli ultramontani, neopapalini e neolegittimisti borbonici di oggi e' diverso da quello delle "critiche legittime". Queste ultime, pur criticando il Risorgimento per tanti aspetti (pensiamo p.e. a Gramsci e alla sua scuola), non mettevano in discussione l'unita' in quanto esigenza storicamente necessaria del popolo italiano, per motivi morali, politici, economici. I critici di cui sopra, invece, sparano a zero sull'Unita', dietro lo stantio e comodo refrain del complotto massonico che l'avrebbe fatta, lasciando intendere che il futuro dell'Italia deve rimetterla in discussione. Il regionalismo instaurato sciaguratamente dalla Repubblica quale grimaldello per far saltare l'unita' e ritornare in qualche modo alle "radici" preunitarie. E poi, chissa', magari nell'annus mirabilis 2017 Nostro Signore restaurera' il Papa "nei suoi Stati" nonche' i discendenti dei duchi di Parma, i Borbone e chi piu' ne ha piu' ne metta. I codini ed austriacanti, esaltati dalla beatificazione di Carlo d'Asburgo (un nemico dichiarato e acerrimo del nome italiano) sperano magari nella restaurazione dell'Austria-Ungheria, hai visto mai. La critica antirisorgimentale ha poi fabbricato miti di segno opposti a quelli della storiografia liberal-massonica di un tempo, idealizzando al di la' di ogni realta' e decenza gli Stati prenunitari e calunniando i Savoia in modo incredibile.
    Ora, chi vuole tornare all'Italia preunitaria lo fa perche' evidentemente non vuole convivere con gli altri italiani in un unico Stato. In questo senso e' legittimo parlare di atteggiamento "antiitaliano".
    3. L'italianita' e' certamente una caratteristica culturale, spirituale prima che politica, un tratto della Nazione. Ma cio' che unisce la Nazione non sono i "meri confini geografici" bensi' uno Stato per l'appunto unitario. La nazione, senza Stato, fa una brutta fine o comunque si trova ad essere in balia degli stranieri, come e' successo a noi per tanti secoli. La dipendenza plurisecolare dallo straniero, le sue dominazioni, le tante umiliazioni subite, gli antiunitari non le ricordano mai. Come mai, forse le ignorano? Non conoscono la storia? O a loro stanno bene? Se gli stanno bene allora sono antiitaliani, appunto.
    4. "Mani pulite", solo per ricordarne la "milanesita'", contro lo slogan "Roma ladrona". A. R.

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  13. Primo, mi pare che l'articolo sia un'esaltazione di Roma e della romanità, dall'inizio alla fine, al punto che l'autore concepisce come degno di Roma il solo legame con una realtà universale e sovranazionale, considerando riduttivo il farne la capitale di uno Stato particolare; non si fa alcun riferimento agli aspetti particolari o "romaneschi" che in un contesto del genere non hanno niente a che fare. Sul problema dell'unità politica in Italia e del conseguente svilimento di Roma, ricorderei ad A.R. che Pio IX si è ampiamente pronunciato sul problema, che ha implicazioni dottrinali. Ci sono diverse proposizioni condannate nel Sillabo a riguardo, contro le quali sarebbe pericoloso pronunciarsi.

    p.s. l'autore è "ambrosiano" di certo, ma come qualcuno ricordava di origini "megaellene"; e inoltre è specialmente legato alla "romanità" della Chiesa e allo studio del Papato

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  14. "Alberto Sordi"22 gennaio, 2016 20:13

    "Roma capitale d'Italia? MA ROMA è la Capitale der MUNNO! C'è VORREBBE Il permesso p' mette piede a Roma". (Indimenticabile ALBERTONE. R.I.P.)

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  15. @ Roma, universale e romanesca, italiana etc. Contro l'ultimo anonimo

    1. Gli aspetti "romaneschi" di Roma c'erano gia' nella Roma papalina, come si vede dai Sonetti del Belli e non erano aspetti particolarmente simpatici. "In un contesto del genere hanno a che fare" in questo senso: la differenza diventata abissale tra l'idea e la realta', tra l'universale che Roma rappresentava in quanto sede del Papato (caput mundi in senso religioso) e la realta' anche troppo "romanesca" della sua ormai scadente organizzazione civile, di uno Stato ridotto da secoli in pessime condizioni. Fuori di Roma, poi, cominciava il deserto, c'erano km e km di "agro" dominati dalla miseria, dalla malaria, dal brigantaggio.
    2. A questa distanza abissale tra l'universale della religione e la realta' dello Stato e della societa' si era giunti perche' nei secoli il Papato non era riuscito ad evitare questa contraddizione. Mi spiego. Indubbiamente Roma, una volta che il Papa la sottrasse gradualmente, e fece bene, all'amministrazione bizantina (quella dell'ex Ducato Romano), non poteva che essere la citta' di un'idea universale, il cattolicesimo. Idea pero' religiosa non politica, politica solo secondariamente. Lo Stato del Papa, inizialmente l'ex Ducato Romano, come dimensione non avrebbe mai dovuto averla tale da coinvolgere il Papa stesso nella lotta politica (ingrandimenti, guerre, alleanze, tradimenti, etc.) in modo tale da compromettere l'universalita' religiosa di cui Roma era portatrice. Non affermo quindi che il Papa non dovesse avere uno Stato. Era storicamente necessario ad un certo punto per lui averlo, ed e' stato un bene anche per l'Italia che l'abbia avuto, avrebbe dovuto tuttavia mantenerlo sempre entro certi limiti, entro il Lazio, cosa sufficiente per la difesa di Roma e la liberta' della Chiesa, senza cominciare la politica di espansione peninsulare e italiana che poi invece comincio', come un qualsiasi principe locale, infido e quasi sempre male armato, disastrosa per la Chiesa e di riflesso per la religione.
    3. Non credo affatto che questa tesi contrasti con quanto detto da Pio IX nel Sillabo. Egli vi condanna chi nega la legittimita' stessa del potere temporale in quanto tale (n. 75). (Ma dobbiamo dire che l'esistenza del pot. temp. appartiene alla Costituzione divina della Chiesa? Lo afferma lei?).
    4. In quanto capitale d'Italia Roma ha perso forse qualcosa come Caput mundi del Cattolicesimo? Direi proprio di no. Chi lo dice, vuol appunto denigrare Roma capitale d'It. E' "milanese", anzi pardon, "lombardo". A.R.

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