Riprendiamo una recente recensione di Silvio Brachetta su Vita Nuova.
“Fa’, o Dio, che ti conosca e ti ami”
È importante attingere «almeno qualcosa dall’abisso della stessa sapienza divina», dice San Bonaventura da Bagnoregio nel Sermone di Pentecoste, così come si attinge «una stilla da un recipiente», una goccia d’acqua da un secchio – «velut stillam de situla». Assetati della sapienza, ci accontentiamo anche di bagnare le labbra a «quel principio fontale pieno di misericordia, che è il paterno lume». E di questo tenore, la clarissa Chiara Alba Mastrorilli raccoglie altre dodici orazioni del Dottore Serafico, nel suo piccolo e immenso libro per i tipi della Velar.
Suor Chiara Alba, del Monastero Santa Chiara in Lovere, sa il fatto suo sul rapporto fede e ragione, per via della non esibita laurea in scienze religiose – di cui, celata nel dialogo diretto, bisogna scovarne l’esistenza sul web – e per via dei suoi molti lavori su Tommaso da Celano, Chiara e Francesco d’Assisi, Ugo da San Vittore e Dante Alighieri, passando insomma dal Medioevo fino ad Heidegger. Suor Chiara Alba segue dunque in questi autori la via sapienziale, dove bonaventurianamente la ‘sapientia’ è ‘sapida scientia’, scienza gustosa di Dio, dell’uomo e del cosmo.
In queste orazioni, Bonaventura dà il meglio, quanto a sintesi della sua prassi teologica, poiché nemmeno nella preghiera rinuncia al suo speciale ministero dell’insegnamento, umile e faticoso. Non è nemmeno possibile, nel Serafico, tracciare un confine preciso tra orazione e speculazione, tanto in lui questi due ambiti sono congiunti. Per l’evangelizzazione, Bonaventura chiede a Dio la «riforma della volontà», l’«illuminazione dell’intelletto» e l’«umiltà nell’azione», manifestando così l’insensatezza del primato di una facoltà umana sull’altra. E fa queste richieste consapevole di non essere «del tutto acceso di carità, ornato di santità e neppure illuminato dalla verità della Scrittura». Per questo il santo Dottore chiede allo Spirito Santo di guidare e governare «sia chi parla che chi ascolta», consapevole di non poter dire «nulla di edificante» senza Dio.
Più chiaramente, Bonaventura confessa di essere nulla e di potere nulla al cospetto di Dio: «Se sussisto – dice – è per tua virtù e dono», perché «senza di te non posso far niente». Egli invoca sempre i sette doni dello Spirito Santo, per la santa Croce di Gesù Cristo. E grida al Padre: «Ti prego, Dio mio, fa’ che ti conosca, fa’ che ti ami, per goderti eternamente! E se non lo posso fare pienamente in questa vita, aumentino almeno la mia conoscenza e il mio amore per te, in modo che ci sia poi la gioia perfetta; qui nella speranza, là nella realtà».
" Signore Gesu' Cristo , Figlio di Dio, abbi pieta' di me , peccatore ! "
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=aO0pSpYtvAs
http://www.acistampa.com/story/una-veglia-mariana-per-la-verita-sulla-donna-2481#.VqXkJ-ZuJ8c.twitter
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