Pagine fisse in evidenza

giovedì 4 febbraio 2016

Sopra la croce di Gesù non era scritto solo INRI. Ecco il vero significato dell’iscrizione ebraica

Non solo INRI, Gesù Nazareno re dei Giudei…
di Daniele Di Luciano

In Esodo 20,2 Dio rivela il suo nome a Mosè:
“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto”
La parola tradotta con “il Signore” è il famoso Tetragramma che gli ebrei non possono neanche pronunciare: “YHWH“, vocalizzato in diversi modi tra i quali “Yahweh“. Le quattro lettere ebraiche che lo compongono sono queste: “יהוה“, yod-he-waw-he. Ricordiamo che l’ebraico si legge da destra verso sinistra.

Nel Vangelo di Giovanni, capitolo 19 versetti 16-22, leggiamo:
“Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: «Il re dei Giudei», ma: «Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei»». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».”
Nonostante il brano in questione sia famosissimo, la scena che si è svolta davanti a Gesù crocifisso dev’essere stata un po’ diversa da come ce la siamo sempre immaginata. Giovanni, forse, ha provato a sottolinearlo ma il lettore, non conoscendo la lingua ebraica, è impossibilitato a comprendere.

L’iscrizione di cui parla Giovanni è la famosa sigla “INRI“, raffigurata ancora oggi sopra Gesù crocifisso. L’acronimo, che sta per il latino “Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum“, significa appunto “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei“.

Ma Giovanni specifica che l’iscrizione era anche in ebraico. Non solo: in un momento così importante l’evangelista sembra soffermarsi su dei particolari apparentemente di poco conto:
  • il fatto che molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città,
  • i capi dei sacerdoti che si rivolgono a Pilato per far modificare l’iscrizione,
  • Pilato che si rifiuta di cambiarla.
Ponzio Pilato, che era romano, probabilmente non capiva che, senza volerlo, aveva creato un po’ d’imbarazzo – se vogliamo definirlo così – agli ebrei che osservavano Gesù crocifisso con quell’iscrizione sopra la testa.

Henri Tisot, esperto di ebraico, si è rivolto a diversi rabbini per chiedere quale fosse l’esatta traduzione ebraica dell’iscrizione fatta compilare da Pilato. Ne parla nel suo libro “Eva, la donna” nelle pagine da 216 a 220.

Ha scoperto che è grammaticalmente obbligatorio, in ebraico, scrivere “Gesù il Nazareno e re dei Giudei“. Con le lettere ebraiche otteniamo “ישוע הנוצרי ומלך היהודים“. Ricordiamo la lettura da destra verso sinistra.

Queste lettere equivalgono alle nostre “Yshu Hnotsri Wmlk Hyhudim” vocalizzate “Yeshua Hanotsri Wemelek Hayehudim“.

Quindi, come per il latino si ottiene l’acronimo “INRI“, per l’ebraico si ottiene “יהוה“, “YHWH“.

Ecco spiegata l’attenzione che Giovanni riserva per la situazione che si svolge sotto Gesù crocifisso. In quel momento gli ebrei vedevano l’uomo che avevano messo a morte, che aveva affermato di essere il Figlio di Dio, con il nome di Dio, il Tetragramma impronunciabile, inciso sopra la testa.

Non poteva andar bene che YHWH fosse scritto lì, visibile a tutti, e provarono a convincere Pilato a cambiare l’incisione. Ecco che la frase del procuratore romano “Quel che ho scritto, ho scritto” acquista un senso molto più profondo.

Sembra incredibile? Pensate che Gesù aveva profetizzato esattamente questo momento. In Giovanni 8,28 troviamo scritto:
“Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono” 
Per “innalzare” Gesù intende la crocifissione. “Io Sono” allude proprio al nome che Dio ha rivelato a Mosè in Esodo 3,14:
“Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: «Io-Sono mi ha mandato a voi»“
[Fonte]

13 commenti:

  1. L'ipotesi mi sembra contraddetta dalla reliquia del Titulus Crucis che si trova in Santa Croce in Gerusalemme a Roma, che non consiste in un cartiglio con le sole iniziali delle parole, bensì con le quattro parole scritte per intero. Naturalmente ammesso e non concesso che sia il titulus della vera croce.

    RispondiElimina
  2. OT consiglio la lettura di un brano dell'intervista di Braz d Aviz su secretummeummihi. a proposito di p.Manelli, anche se in spagnolo, si capisce benissimo, l'altra è una chicca estrapolata da Magister, trattasi del discorso del vdr in data 20 novembre u.s. che avrebbe dovuto leggere ai vescovi tedeschi in visita ad limina e che lui distribuì senza guardarlo, leggetelo attentamente, lui non lo fece, ma è una piccola cioia, sicuramente non farina del suo sacco......sapienti pauca. Anonymous.

    RispondiElimina
  3. Maria Luisa Rigato, nel suo libro INRI, ritiene autentica la reliquia...

    RispondiElimina
  4. E' evidente che il "titulus" dell'immagine è una riproduzione. Ma credo che riproduca la scritta così come tramandato e riconoscibile (pur se le parole sono vergate senza interruzione, ma sono quelle) nel "titulus" conservato a Santa Croce in Gerusalemme.
    La scritta latina INRI (da sinistra verso destra è la lettura corretta, anche se fosse stata trascritta da destra verso sinistra attendibilmente vergata da mano giudea) : Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum
    la scritta ebraica (da destra verso sinistra, scritta e lettura corrette) : Yshu Hnotsri Wmlk Hyhudim

    RispondiElimina
  5. La mia riposta qua su è ai perplessi della pagina

    e anche a Nicola L. su Fb, che dice:
    interessantissmo. E' attendibile? Volevo comunque sottolineare che la foto mostra un titulus falso. Il titulus originale, per lo meno quello conservata nella basilica sessoriana, presenta anche la frase latina e greca scritte da destra verso sinistra, come l'ebraica. Mentre in questa foto la scritta latina compare scritta da sinistra verso destra.
    Interessante pure lo studio di Michael Hasemann "TITVLVS CRVCIS" (edizioni sanpaolo 2000)

    RispondiElimina
  6. L'ipotesi mi sembra contraddetta dalla reliquia del Titulus Crucis che si trova in Santa Croce in Gerusalemme a Roma, che non consiste in un cartiglio con le sole iniziali delle parole, bensì con le quattro parole scritte per intero. Naturalmente ammesso e non concesso che sia il titulus della vera croce.

    Il "titulus" della vera Croce sembra confermare la scritta INRI (riprodotta ab immemorabile, ma ricavata dalle iniziali della frase latina), così come le iniziali della Frase in ebraico riproducono IHWH.
    Ed è noto come gli ebrei siano soliti fare molte interpolazioni delle Scrittura proprio dalle iniziali delle parole... Per questo, attendibilmente, i rabbini, come ricordato dal Vangelo di Giovanni, volevano correggere la frase vergata in ebraico...

    RispondiElimina
  7. Nono sono un esperto, ma ci sono dubbi sull'autenticita` della reliquia in Santa Croce in Gerusalemme.

    http://www.bibleinterp.com/articles/2014/02/lom388011.shtml


    http://www.digizeitschriften.de/download/PPN509862098_0124/log10.pdf

    RispondiElimina
  8. i rabbini, come ricordato dal Vangelo di Giovanni, volevano correggere la frase vergata in ebraico...

    e Pilato, che era magari un pavido, ma non uno stupido, dopo tutto quello che era successo quel giorno a Gerusalemme, aveva finalmente capito l'enormità della cosa che aveva fatto.
    RR

    RispondiElimina
  9. Scusate. Per l'articolo di P.L. Maier, “The inscription of the Cross of Jesus of Nazareth”, Hermes 124 (1996): 58-75 vedere

    http://www.digizeitschriften.de/dms/img/?PID=PPN509862098_0124%7Clog10

    RispondiElimina
  10. Lupus,
    eh già, caso mai qualcuno avesse ancora dubbi sull'autore/autori di certi discorsi ed omelie belli e cattolici del VdR...
    Piuttosto in che lingua avrà parlato loro a braccio ? In Tedesco no, che lo mastica meno di me, in Italiano o portegno ? Forse è questo che ingenera tanti dubbi sui suoi pronunciamenti a braccio: una parola in Italiano ha un significato, una simile in Spagnolo, uno leggermente diverso, ed in portegno ?

    RR

    RispondiElimina
  11. Nella basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme sono conservate antichissime e preziose reliquie cristiane, condotte a Roma nel 328 da Elena, la madre di Costantino, poco dopo il loro ritrovamento della vera croce a Gerusalemme.

    C’è anche un frammento del “titulus” (immagini visibili in internet), la tavoletta che Pilato ha fatto scrivere per motivare la condanna di Gesù.

    Si tratta di una tavola di legno che sembra spezzata in due e che attualmente misura 25x14x2,6 cm e un peso di 687 g. E’ in legno di noce.

    La scritta è su tre righe: la superiore, in ebraico, è quasi completamente cancellata; la seconda è in greco e la più in basso in latino.
    La particolarità è che, oltre alla riga in greco, anche quella in latino è scritta da destra a sinistra al modo della scrittura ebraica.
    1.riga: z«nh
    2.riga: BSUNERAZA(H)N.SI
    3.riga: ERSUNIRAZAN .I
    Ogni lettera richiede all’incirca 2,2 cm di larghezza.
    A destra di chi osserva non ci sta l’intero nome di Gesù (IESOUS/IESUS) bensì la sua sola iniziale I, il che non era infrequente e spiega poi l’uso dell’acronimo INRI.
    Da notare che l’equivalente YESHU/YEHOSHUA era un nome abbastanza comune per gli Ebrei del tempo e comincia con Y.

    La scrittura ebraica riporta all'acronimo YHWH che scandalizzò molti!

    Possiamo immaginare che originariamente la tavoletta fosse più alta di almeno 5 cm e più larga, verso la destra di chi osserva, di almeno altri 4-5 cm.
    Immaginandola poi spezzata nel mezzo, longitudinalmente, le dimensioni originali potevano essere le seguenti: 60x19x2,6cm, e pesare circa 2,5 kg.

    La tavoletta con l’indicazione del motivo della condanna nella parte leggibile riporta un Nazarinus in latino e Nazarenus in greco.
    Che Pilato considerasse Gesù un galileo, per di più di uno sconosciuto paesino, è ampiamente attestato dai vangeli e giustifica anche la scritta per esteso nella condanna: scrivere semplicemente N non avrebbe significato nulla.

    Invece per gli Ebrei era motivo vero di condanna, perché le Scritture non parlano di un messia galileo…

    Altro spunto interessante del "titulus" in Santa Croce è che l’ordine delle lingue sulla tavoletta differisce da quella nel vangelo di Giovanni 19,19 (ebraico, latino, greco).
    E ancora: la riga in greco più che essere una traduzione è solo una traslitterazione in quell’alfabeto. Il greco originale (nel vangelo di Giovanni) è infatti
    Ihsous Nazoraios Basileus ton Ioudaion.
    In latino sarebbe Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum.

    Non sfugga che ipotetici falsari che avessero voluto piazzare la loro mercanzia appoggiandosi al vangelo, avrebbero certamente realizzato il loro artefatto in modo diverso da quel che si può vedere nel frammento venerato come reliquia!

    L’ordine di Pilato fu realizzato frettolosamente da un incaricato, non necessariamente perfettamente padrone delle tre lingue, e tutta una serie di stranezze sono più che realistiche in un manufatto eseguito in poco tempo e senza possibilità di correggere eventuali errori: non stavano certo lì a spaccare il capello.
    Così si spiegano traslitterazioni, lo scrivere all’inverso in greco e latino, per di più in modo approssimativo, l’abbreviazione IS. in greco e quella I. in latino…

    La reliquia attualmente a Roma non è il lavoro di un falsario, ma di chi ha fatto forse qualche sbaglio, ma in modo irripetibile ed originale.

    Inoltre "Nazaret" e "Nazareno" sono termini divenuti comuni dal IV o V secolo, con la Vulgata, mentre anticamente si diceva correttamente, secondo il latino classico, «nazarinus».
    Vale a dire che la «i» del "titulus crucis" non è sbagliata nemmeno da questo punto di vista.
    Il burocrate Ponzio Pilato non sbagliava di certo nella sua lingua, ma questo attesta che il frammento di titulus è anteriore ad ogni versione in latino del vangelo di Giovanni!

    Rif.: V. Messori (Patì sotto Ponzio Pilato) e C. Thiede (Tu chi sei Gesù),
    e R. Sangalli (Gli anni terreni di Gesù)

    RispondiElimina
  12. Da leggere anche Michael Hesemann, Testimoni del Golgota.

    Lui sostiene che il nome di Gesù (Ihsous/Iesus) era diffusissimo all'epoca (in Giuseppe Flavio -Guerre giudaiche- ricorre per almeno 14 diversi personaggi, dei quali tre addirittura sommi sacerdoti!) e quindi è un indizio di contemporaneità della reliquia il fatto che il nome non sia scritto per esteso, ma solo con l'iniziale,dedicando il resto dell'iscrizione a qualificare il condannato, come "nazareno" e "re dei Giudei".

    L'ipotesi dell'articolo di di Daniele Di Luciano si basa sugli studi di Henri Tisot.
    Carsten Peter Thiede riporta invece l'ipotesi a un erudito ebreo, Shalom Ben Chorin.
    Al di là di chi possa essere stato il primo, sul "TITVLUS" presente in Santa Croce in ebraico si legge un HNZ che non smentisce la possibilità di HaNozri e quindi all'ipotesi Yeshu H'Nozri Wmelek Hajehudim già contemplata...

    A Roma attualmente c'è circa "mezzo titulus": giova ricordare, con Hesemann, che le testimonianze antiche (il pellegrino Antonio da Piacenza visitò la Terrasanta attorno al 570 e scrisse Itinerarium) che presero visione della reliquia ancora integra la dicono di legno di noce e che diceva in latino "rex iudaeorum" mentre ciò che resta a Roma in latino riporta "I. Nazarinus R", completandosi perfettamente!

    La metà che restò a Gerusalemme è andata perduta.

    La tavoletta romana è stata dimostrata essere di noce (varietà Juglans regia che cresce in Medio Oriente). C'è della calce (il titulus fu sepolto con tutta l'area del Golgotha dai tempi di Aelia Capitolina e fino al rinvenimento), e tracce di nero nelle scanalature delle incisioni, proprio come nelle iscrizioni di reperti coevi.

    Sempre Hesemann scrive che Leah Di Segni, esperta di paleografia greca all'università di Gerusalemme, ha sostenuto che la riga in greco del testo del titulus è del primo secolo, il che è stato condiviso dai colleghi I. Roll, B. Isaac oltre che da Carsten Thiede.

    Quindi tutta la faccenda di cui parliamo è molto credibile.

    Ed è bello, visto che di solito ci amareggiamo con le miserie attuali del cristianesimo e dell'umanità intera, ritornare alla purezza di ciò che ha generato tutto...

    RispondiElimina
  13. Forse non mi sono espresso bene. Non stavo contestando gli acronimi. Mi limitavo a sottolineare che la foto non riproduce il titulus di santa Croce in Gerusalemme proprio perché tutte e tre le lingue, nel legno della basilica sessoriana, sono scritte da destra verso sinistra. In più nella basilica romana si legge "Nazarinus" e non "Nazarenus". E' ovvio che questi sono dettagli, ma tale imprecisione nella scelta di una foto, fatta dalla fonte, mi ha spinto a chiedere se questa sia attendibile.
    La questione resta, evidentemente, interessantissima, e, a ben pensarci, non dovrebbe meravigliarci neppure molto che sul capo di Cristo, nel momento del Sacrificio, perfetto, unico e redentivo vi si sia potuto leggere delle parole ebraiche le cui lettere iniziali formano l'acronimo del Tetragramma sacro. Anche Nostro Signore stesso nell'affermare la propria divinità usò espressioni identiche a quelle usate da Dio nell'Antico Testamento. "Prima che Abramo fosse, IO SONO" (Gv. 8, 58).
    Penso pure ad un altro segno misterioso: la domanda posta da Pilato a Gesù (e tale domanda è probabilissimo esser stata posta in lingua latina) anagrammandone le parole contiene la risposta: "quid est veritas" che anagrammato da "est vir qui adest". E anche in questo caso abbiamo un riferimento diretto a ciò che Gesù stesso disse di se: "io sono la verità" (Gv. 14, 6)

    RispondiElimina

I commenti vengono pubblicati solo dopo l'approvazione di uno dei moderatori del blog.