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lunedì 10 ottobre 2016

Tempo di ciechi condotti da furfanti.

Alcuni farisei, che erano con lui, udirono queste cose e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?» Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane. (Gv 9, 38-41)
L'articolo riportato di seguito è di Roberto Pecchioli su Blondet & Friends. Lo riprendiamo perché offre un'analisi tanto impietosa quanto lucida e condivisibile della temperie in cui ci troviamo.

Dio acceca coloro che vuole perdere, scrisse il profeta Isaia. Il nostro è un tempo di accecati e di creduloni, guidati da mascalzoni e briganti. Non occorre scomodare l’Altissimo o attribuirgli colpe che non ha : i ciechi siamo noi, che ci siamo lasciati cucire gli occhi ed abbiamo regalato il nostro cervello ad esigentissimi padroni. Ben più vera è l’osservazione di Gilbert K. Chesterton, per cui l’umanità, da quando non crede più in Dio, è disposta a credere a qualsiasi cosa. Tranne alla realtà, aggiungiamo noi.

Un sociologo francese, Marc Ferro, ha scritto un libro, L’aveuglement, L’accecamento, ovviamente non tradotto nella nostra lingua, nel quale dà una lettura della storia recente dell’Europa e dell’occidente come di una vicenda di cecità, incapacità o testarda volontà di non vedere. Con la benda sugli occhi, prestiamo fede ad una visione della realtà che ci esenta dall’assumere responsabilità, prendere posizione, un eterno film rosa il cui titolo potrebbe essere l’imbarazzante frase di certe bandiere arcobaleno: Lasciateci in pace.  Passiamo la vita ad evitare, fuggire, dimenticare, scansare la verità, abolire i fatti, vivere nell’attimo, nascondere il passato quanto il futuro.  No, l’accecamento non è opera di un Dio dispettoso o malvagio, ma di un pugno di briganti al cui servizio sta una legione di servi. Uno scrittore contemporaneo americano, Chuck Palahniuk ha espresso tutto ciò in un breve brano del romanzo Cavie: “Stiamo crescendo in una generazione di schiavi. Stiamo insegnando ai nostri figli l’impotenza.”

Un testimone acuto del nostro tempo, Renaud Camus, il francese autore della “Grande sostituzione” (altro libro non tradotto in italiano, e non è un caso) dà una versione complementare dell’accecamento e della credulità, affermando che non sappiamo neppure più credere ai nostri occhi. Come è possibile, ci chiede, che non vi accorgiate della nostra sostituzione con popolazioni extraeuropee, che sta avvenendo a tappe forzate, e, negli ultimi due anni (motus in fine velocior) con modalità impressionanti per dimensioni, arroganza e spiegamento di mezzi politici e mediatici ? L’avete davanti agli occhi, solo che usciate di casa, facciate una passeggiata, saliate su treni o metropolitane. Se non vedete, è perché i vostri occhi sono chiusi o il vostro cervello è paralizzato, sequestrato dai briganti, che vi hanno instillato assurdi sensi di colpa, strappato il senso dell’identità, estirpato l’orgoglio dell’appartenenza, trasformato in un gregge impaurito, che i servi pastori conducono a piacimento verso il mattatoio.

È una ostinata sindrome di Stoccolma, un veleno che ci hanno instillato dopo aver convinto gli europei che il loro glorioso passato, la straordinaria, variegata civiltà che hanno creato e diffuso non fu altro che una volgare storia di violenza, dominio e sopraffazione. Noi dovremmo quindi pagarne il fio, scusandoci continuamente e con chiunque, accettando senza fiatare la nostra estinzione, anzi collaborando ad essa. Cecità, ed insieme credulità dinanzi a menzogne costruite ad arte da chi, dopo la sconfitta del 1945, ci ha in pugno e non vuole che servi. Ciò che stupisce è l’accettazione di questa espiazione collettiva, comunitaria e transgenerazionale in un mondo che ha fatto dell’individualismo l’unico valore. Abbiamo ucciso il padre, seguendo la triste lezione di Freud, non vogliamo eredi ed abbiamo rinunciato ad identificarci nella nostra razza, nel nostro popolo, nella stessa famiglia di origine: ci riconosciamo però debitori e colpevoli ereditari per le azioni dei nostri migliori antenati. Non ci resta che accettare la qualifica di figurine dell’opera dei pupi, che si muovono attraverso i fili tirati dal puparo e parlano attraverso di lui. Cecità più afasia.

Lo stesso Camus, a proposito del silenzio collettivo dinanzi all’immigrazione sostitutiva, ci richiama ad un’altra verità elementare, che ignoriamo per chiusura mentale indotta : integrare degli individui è sempre possibile, ma è da escludere che lo si possa fare con grandi masse umane, o con intere comunità. Un altro accecamento, poiché i fatti, questi convitati di pietra cui volgiamo le spalle per follia collettiva, sono lì a dimostrarlo, e ci parlano delle banlieue francesi, dei tribunali islamici presenti e tollerati in Gran Bretagna e Germania, della sostanziale extraterritorialità di Molenbeek in Belgio, di Marsiglia Nord e di un numero ogni giorno più elevato di strade e quartieri in tutto il continente.

In Algeria, cinquant’anni fa, dopo la guerra e la decolonizzazione, alcuni milioni di francesi furono cacciati in poche settimane, poiché si riteneva che non potessero convivere con gli algerini indipendenti. Molti di loro erano laggiù da generazioni, ma dovettero tornare precipitosamente nella vecchia madrepatria. Ciò che fu imposto ai bianchi (il problema era la razza, non lo scordiamo!)  non può neppure essere ipotizzato a carico dei nuovi arrivati. Lo vieta non solo il politicamente corretto, ma l’intera mentalità da morti viventi dei nostri popoli, alimentata da centrali di potere finanziario, chiesa in agonia, ragione economica utilitaria.

Perdita di memoria, o memoria con reset selettivo. Un esempio: popoli di antica cultura hanno smarrito il concetto stesso di storia.  Lo capì un altro francese, Fernand Braudel, animatore del gruppo di Annales, che istituì la categoria della “lunga durata” rispetto agli eventi ed alla loro percezione. Alla massa, cui manca il senso della storia, sembra che le fluttuazioni siano pressoché impercettibili, o che increspino solo lievemente la superficie della vita. Così non è, e le accelerazioni che abbiamo vissuto negli ultimi trenta-quarant’anni avrebbero dovuto rendere tutti più attenti, ricettivi. È il contrario, ed il concetto di accecamento collettivo scoperto da Marc Ferro deve quindi essere accolto come elemento costitutivo dell’epoca corrente.

Il potere, per di più, ha costruito una falsa coscienza collettiva su nuove credenze organizzate, ed ha utilizzato con sapienza un concetto tratto da Hegel, quello di coscienza infelice, che permette di far passare nella mente dei più autentici spropositi e follie per senso di colpa. Da ultimo, tale concetto è stato riesumato in qualche misura dalla sociologia attraverso la cosiddetta “finestra di Overton” [qui - qui], ovvero i passaggi culturali, talora metastorici, che convertono in normale, giusto ed accettato anche ciò che è  assurdo o innaturale. Pensiamo, ad esempio, all’ossimoro delle nozze omosessuali o alla trasformazione delle parole: da clandestini a migranti, ed ancora rifugiati o profughi, da prostituta ad escort, sino agli orribili femminili sindaca o ministra (coscienza infelice di genere, ergo sessismo, maschilismo) od al femminicidio, che è un assassinio con l’aggravante di essere compiuto su un soggetto di sesso, anzi di genere femminile.

Marc Ferro denuncia, in verità, accecamenti di natura storica, ma la sua lezione ci è utile per capire anche i meccanismi citati. In una fiaba di Andersen un re vanitoso – oggi diremmo schiavo dell’immagine - assolda dei tessitori imbroglioni per confezionare degli abiti che lo rendano invisibile agli indegni ed agli stolti. Per timore di apparire tali, tutti lodano l’inesistente abbigliamento del sovrano, solo un bimbo ha il coraggio della realtà, e pronuncia la frase, divenuta famosa, Il re è nudo ! Nudi siamo noi, indifesi dinanzi a meccanismi che non hanno nulla di naturale, e neppure di divino.

Ferro parla di “credulità militante” come causa della cecità che ci sta conducendo al suicidio, attribuendola alla prevalenza dell’ideologia. Finito il comunismo, religione secolare per milioni di uomini, tuttavia, una sola ideologia è rimasta in piedi, il liberismo, ormai sfrenato e dissociato persino dalla sua componente di liberalismo politico. Ovvio dunque di chi sia la responsabilità della pigra credulità di massa di chi si accontenta della versione ufficiale dei fatti, quella diffusa da chi conta e può.

Una prima osservazione è semplice: le due maggiori agenzie di stampa del mondo, la Reuter e l’Associated Press sono di  proprietà di un unico gruppo, facente capo alla grande galassia dei Rothschild. Se aggiungiamo che, tra i tanti altri assets posseduti, quelli dello Scudo Rosso detengono quote di controllo della Banca d’Inghilterra, della petrolifera Royal Dutch Oil Company, sono monopolisti del mercato dell’oro e della relativa borsa ( London Bullion Market Association) ), ed hanno quote importanti del Fondo Monetario, attraverso le partecipazioni nella Federal Reserve e nella Banca Centrale Europea, per cui di fatto hanno il controllo anche della BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali, la banca centrale delle banche centrali) dovremmo concludere che le notizie che riceviamo sono, quanto meno, filtrate da interessi giganteschi.  Gli stessi oligarchi, insieme con pochi altri facenti capo a famiglie come i Rockefeller o gli Warburg, sono i padroni dei governi, ricattati dalle istituzioni finanziarie e vincitori di elezioni le cui campagne sono finanziate da loro. La storia , come ce la raccontano, è quindi inevitabilmente la versione dei fatti autorizzata da costoro. Basta rammentare come la fine del comunismo e la dissoluzione dell’Unione Sovietica ci venne rappresentata come alba di una nuova era per tutti, mentre si rivelò una bomba posta sotto la vita dei popoli, sottoposti al regime del liberismo economico più ideologico e pervasivo della storia.

La stessa URSS venne rapidamente divisa in molti stati per distruggere la capacità della Russia di riprendere un ruolo guida, privata dell’apporto di Kazakhstan, Azerbaigian, di altre repubbliche federate e, in Europa, dell’Ucraina, terra madre della stessa Russia dal XIII secolo, quella Rus di Kiev la cui conquista ispirò Il canto della schiera di Igor, il primo poema nella lingua che fu poi di Tolstoj e Dostojevsky. A noi dissero che nasceva un universo di libertà, di rispetto per i diritti dei popoli e delle persone. Ci abbiamo creduto per vent’anni, il dubbio sta affiorando da poco, ma intanto siamo nel pieno di una offensiva dei nostri padroni globali, gli Usa braccio armato del potere finanziario, nei confronti della Russia e di ogni popolo di cui interessi controllare le risorse.

Le primavere arabe sono state salutate con altrettanto entusiasmo, ed abbiamo potuto verificare i drammatici esiti dei rivolgimenti  tunisini ed  egiziani, per tacere del dramma libico provocato dagli interessi anglo francesi, con l’assassinio di Gheddafi ad opera di gruppi legati ai servizi segreti di quei Paesi. La “democrazia” americana in Iraq è stata imposta al prezzo di una guerra civile che dura tuttora, ha distrutto il paese, le sue infrastrutture e polverizzato quel tanto di tessuto civile che possedeva. Della Siria, con l’attacco forsennato ad Assad, il verminaio degli interessi turchi, sionisti e statunitensi meglio tacere, nella speranza che non conduca ad un confronto diretto russo-americano dalle conseguenze tragiche.

Altrettanta cecità, e credulità popolare, nel giudizio sull’attentato dell’11 settembre 2001 che ha inaugurato il terzo millennio, ed assoluta, totale malafede nell’interpretazione e nella stessa informazione spicciola sulla crisi del 2007/2008, di cui viene tuttora taciuto lo stretto rapporto con la globalizzazione e con la predominanza della finanza sull’economia e sulla sovranità degli Stati. La globalizzazione, al contrario, venne proposta, o meglio imposta, come un progresso tecnico e culturale, anziché come la forma nuova di un dominio e di una presa del potere da parte del capitalismo che, come Crono della mitologia greca e del celebre dipinto di Goya, divora i suoi stessi figli.

Dell’espiazione dovuta dagli europei per il loro passato di dominatori, architrave della giustificazione dell’immigrazionismo, abbiamo detto. Potremmo aggiungere l’incapacità di comprendere per tempo il risveglio islamista, che vive di risentimento, ma che si nutre soprattutto del disprezzo per il materialismo e l’immoralismo occidentale. L’Islam, nel frattempo, è penetrato profondamente in Europa, e non solo nelle vesti terroristiche di Al Qaeda o dell’ ISIS. No, tenacemente continuiamo ad attribuire tutto alla sola povertà, come se il sedicente Bin Laden fosse un proletario saudita o una religione che ha quattordici secoli ed una storia aggressiva si potesse rappresentare con le chiavi concettuali della vulgata marx-progressista del pensiero occidentale.

Pigrizia ed autentica ignoranza sapientemente indotta e largamente diffusa da chi possiede tutti i media, lo scrisse già negli anni 90 il docente universitario Harold Bloom, denunciando il basso livello delle istituzioni culturali americane in un importante saggio proposto in Italia solo da una piccola casa editrice “La chiusura della mente americana”. Insomma, ci rifiutiamo di vedere e di sentire, come le tre scimmiette della storiella, che non vedono, non parlano e non sentono, tanto per noi fa tutto il Grande Fratello globale.

Il guaio è che la cecità nostra è condivisa dalle élite che ci guidano, quelle politiche che si alternano in governi formati da bande diverse dell’unica centrale liberista, quelle economiche e finanziarie, vassalle e valvassine dei padroni che contano, dislocati per lo più in America, e, ovviamente quelle dei chierici della cultura e dei mezzi di comunicazione, impiegati di concetto alle dipendenze di chi possiede tutti i mezzi, dunque determina i fini generali e, incidentalmente, carriere e privilegi della casta intellettuale.

Auguste Comte, padre del positivismo ed iniziatore della sociologia, affermò che governare significa prevedere. In Europa, nessuno sembra eccellere per lungimiranza e visione di lungo termine. In America, le “cupole” sono indubbiamente più preparate, ma il loro impegno è volto a preservare l’egemonia USA attraverso le armi, la prepotenza, l’influenza culturale.

La cecità, e la credulità estrema di cui siamo colpevoli, consiste anche, forse soprattutto, nel non guardarsi attorno, e non riconoscere che gli interessi nostri e quelli americani sono divergenti, e, in prima battuta, vivere nella sciocca credenza che esista la democrazia. Ci sono gli interessi di pochissimi, nudi e crudi, e la loro scelta di farci digerire tutto in nome di parole astratte quanto venerate: la democrazia, appunto, i diritti umani, i nuovi diritti civili in materia etico sessuale, il progresso. Termini difficili da contestare, ancora più da smascherare per la loro indeterminatezza che acceca ed insieme appaga le greggi dormienti in cui hanno trasformato i nostri popoli.

Il fallimento delle élite divenute oligarchie, la loro evidente bancarotta morale e pratica completano il quadro. Ancora alcuni esempi di cecità accompagnata alla credulità di massa: la tenace convinzione dei comunisti europei che l’URSS fosse un paradiso; la violenta, unanime campagna di delegittimazione della scelta britannica di uscire dall’Unione Europea; la demonizzazione di una pur discutibile intellettuale della statura di Oriana Fallaci, cacciata nel cono d’ombra dei pazzi e dei reazionari – lei, ex staffetta partigiana e tutt’altro che “di destra” – per aver rivendicato la civiltà europea contro lo strisciante, progressivo cedimento all’Islam; l’indifferenza con cui venne accolta, nel 2001, la notizia dell’ammissione della Cina al WTO, che ha cambiato la mappa economica e geopolitica della Terra.

Un caso italiano di accecamento e di accettazione acritica di false verità “al ribasso” è la data dell’ 8 agosto 1991. Nessuno ricorda che cosa accadde quel giorno, ed è la prova della verità di quanto qui si afferma: una nave stracarica di 20.000 albanesi attraccò nel porto di Bari. Il dramma dell’immigrazione massiccia in Italia ebbe la sua data simbolo, come il 14 luglio per la rivoluzione francese. Non capimmo allora, né chi ci governava colse la portata degli avvenimenti. Oppure, comprese benissimo e non disse il vero alla nostra gente: minimizzazione, invocazione generica alla solidarietà ( un’altra parola abusata ed astratta in bocca a mascalzoni ed anime belle), incapacità previsionale, rifiuto di organizzare una risposta all’invasione.

Fiumi di parole di bassa sociologia, incomprensione della storia, la quale è soprattutto lunga durata, sequenza irregolare di eventi ed idee i cui nessi determinano la condizione di protagonisti o di vittime. Noi, con gli occhi bendati, ci siamo limitati ad essere spettatori passivi non di fatti, ma di notizie, anzi di news, felici di passare rapidamente al blocco successivo, allo sport o all’ultimo festival. Convinti di vivere in una sorta di bolla protetta da qualche misteriosa entità, abbiamo creduto alle versioni ufficiali, continuato a campare in un angolino della cronaca, meglio se rosa.

Negli anni Settanta, poco ascoltato dal suo stesso ambiente politico, un uomo della cultura e della tempra morale di Beppe Niccolai esortava i giovani a ragionare con le categorie della storia, allontanando le sirene della sociologia, che non spiega, ma giustifica. Contemporaneamente, in Francia, il MAUSS, Movimento Anti Utilitarista delle Scienze Sociali denunciava, con un magistrale libretto-manifesto di Alain Caillé, la ragione utilitaria che si era impadronita dell’Occidente e si poneva ormai come unico “ethos” di una civilizzazione allo stremo. Il MAUSS, sulle piste tracciate dal grande antropologo Marcel Mauss, ma anche da Karl Polanyi, dall’antropologia culturale di Malinowski a Lévi Strauss, e, paradossalmente perfino da sociologi ed economisti come Vilfredo Pareto, dimostrò che l’agire umano è determinato da molteplici cause. Il tornaconto utilitario, la ragione economica, l’interesse è solo una delle tante, con il prestigio, la religione, la sete di dominio, l’avventura, l’affermazione della propria gente, e per millenni non è stata la più importante. Solo da noi e solo da due secoli si è impadronita dell’animo umano, in alleanza con il positivismo scientifico e soprattutto con la tecnologia.

L’uomo medio europeo si è fermamente convinto, da diverse generazioni, che solo l’interesse economico sia il motore delle nostre vite e la causa di ogni avvenimento. In anticipo sul movimento francese, un uomo politico di ampia cultura, Pino Rauti, scrisse un libro che fu orientamento per una generazione di militanti, Le idee che mossero il mondo, nel quale ricostruiva ed interpretava i grandi avvenimenti storici alla luce delle idee che li determinarono. Silenzio, sonno della ragione, indifferenza hanno accompagnato tutti coloro che non si sono piegati al pensiero dominante. In Occidente non sono state innalzate forche per i dissenzienti, ma ha funzionato a pieno regime il Tribunale della Nuova Inquisizione Progressista: cattedre negate, libri non pubblicati o costretti ad una semi clandestinità che ricorda sinistramente i samizdat con cui circolavano in Russia i testi ostili al regime sovietico, derisione, supponenza, e, per contro, porte spalancate alla sottocultura della televisione commerciale, dei Bignami da terza ragioneria, alle verità prefabbricate e vendute a dispense, abbinate ai concorsi a premi.

La Grecia antica, che nel mito aveva già rappresentato ogni aspetto della civiltà che avrebbe plasmato per i millenni successivi, inventò la figura di Cassandra, la sfortunata troiana figlia di Priamo, sacerdotessa di Apollo da cui ebbe il dono della preveggenza, ma che lo stesso Dio, cui non si era concessa, condannò a non essere mai creduta. Invisa ai più per le sciagure che prevedeva, figura tragica, subì il destino terribile di chi sa e comprende, ma, con altrettanta certezza, conosce la vanità delle sue parole. Può solo affidarle al tempo ed alla storia, ed è il destino amaro di coloro che si oppongono alle idee correnti.

Il pessimismo della ragione espone all’odio, o quantomeno all’infastidito rancore della maggioranza, la quale preferisce il colore rosa, l’ottimismo di maniera e, come i gatti, ama solo chi le liscia il pelo. Jerome Klapka Jerome, il grande umorista inglese, descrisse sapientemente tale attitudine in Tre uomini a zonzo, allorché espresse la livorosa antipatia suscitata in un gruppo di gitanti da un vecchio montanaro che previde il maltempo che puntualmente si abbatté sulla zona. Che cosa ne sa della meteorologia, quell’ignorantone, e perché ci vuole impedire il nostro divertimento ? Quanto è più gradito e simpatico agli stessi turisti l’albergatore che li rassicura, è solo qualche nuvola di passaggio, e pazienza se la tempesta si è abbattuta sugli incauti: lui non ha colpa, ha fatto del suo meglio.

È una splendida fotografia della realtà. Se poi è credenza comune che solo la ragione utilitaria è il motore del mondo, come fa credere un poderoso apparato di disinformazione e diseducazione, ridiventa paradossalmente vera la convinzione rautiana secondo cui sono le idee a muovere il mondo. L’utilitarismo, da Bentham in poi, o meglio da Mandeville e la Favola delle Api, è l’ideologia dei mercanti e dei finanzieri padroni del mondo: normale che la impongano come dogma alle loro vittime, noi. Assolutamente anormale che vi si presti fede, ciechi volontari, fiduciosi nei cani che ci conducono, negli economisti armati di modelli matematici, negli esperti di tutto e di niente, negli imbonitori da circo che ripetono quella vecchia battuta da avanspettacolo “venghino, signori, venghino, più gente entra, più bestie si vedono”.

La storia, purtroppo, ha sviluppi e forme che non sono direttamente comprensibili. Esiste un rapporto tra le convinzioni popolari e la demografia, la produzione, le forme concrete di dominio, le relazioni sociali. I più lo ignorano, o non lo riescono a cogliere. Talora, si verificano delle accelerazioni improvvise, pensiamo alla caduta del comunismo, o all’attentato di Sarajevo del 1914 che innescò la prima guerra mondiale. Negli ultimi due secoli, addirittura, l’accelerazione è divenuta la norma, tanto da modificare la stessa percezione del tempo. Un filosofo come Bergson, all’inizio del Novecento, distinse e contrappose il “tempo spazializzato” della scienza, misurabile , a quello che definì ” durata reale “, il tempo cioè che scorre nella nostra coscienza.

Più recentemente, Reinhart Koselleck ha parlato di “futuro passato”, per descrivere la velocità, l’anticipazione che viviamo nel presente continuo fatto di notizie, dati, idee sempre nuove, che sconcertano l’uomo comune e lo dispongono ad affidarsi alle verità di comodo, confezionate per lui dall’apparato di potere. Quel potere che non si presenta come un Grande Fratello, pigra traduzione italiana di Big Brother, ma piuttosto come un bonario Fratello Maggiore che sa tutto, conosce il nostro bene meglio di noi e ci tiene alla larga dai guai. Pensare, appunto, è un guaio, e salta alla mente il titolo di un’opera teatrale dell’Ottocento russo, di Griboedov, Che disgrazia l’ingegno !

L’accelerazione, ci spiega Koselleck, lo spazio dell’esperienza (ciò che sappiamo, abbiamo sperimentato ed appreso dalla comunità e dalla vita) cede dinanzi all’avanzata dell’orizzonte dell’aspettativa, la tensione verso un futuro che vorrebbe farsi presente. Mutamento ed accelerazione sono troppo difficili da dominare per l’essere umano, ed ecco pronta l’interpretazione “autentica” ed unificata dei fatti, l’opinione che occorre avere, la credenza che vale in società ed apre tutte le porte. I padroni del tempo hanno chiaro che l’uomo ha bisogno di una certa dose di conformismo per vivere; la posologia corrente è da cavallo, ma, ai piani alti, sanno bene che la complessità non funziona con l’uomo comune.

Di qui il riduzionismo di matrice anglosassone, che è una sorta di pragmatismo ad uso degli imbecilli. Abbiamo bisogno di spiegazioni semplici, di soluzioni pronte, il pensiero complesso ce lo hanno sequestrato. Eppure, personalità come Edgar Morin hanno richiamato tutti, e specialmente la classe degli intellettuali, degli esperti, contro l’iper-semplificazione, moderna patologia della mente che rende ciechi alle molteplici sfumature della realtà. Malattia  è l’idealismo (ideismo, correggeva Del Noce, ovvero situare la realtà nell’idea che ci si fa di essa), come malattia è il razionalismo, che restringe ogni cosa  a formula o misura. Abbiamo parlato di civiltà-Bignami, ed è questo : ridurre il tutto a dieci paginette che, a loro volta, possano essere sintetizzate in una sola, fino ad una definizione in una frase.

Scienza e tecnica spiegano tutto, l’utile è il moderno Motore Immobile, quasi l’Atto puro cui dobbiamo inchinarci. Resta insuperabile l’intuizione di Mc Luhan secondo cui mezzo e messaggio coincidono. Il baccano mediatico, infatti, diventa messaggio in quanto esprime tutto: fatto, interpretazione, visione, commento, morale da trarre. Veloce, breve, una successione di fotogrammi (frames) che rapidamente ci trasportano altrove, dalle guerre ai diritti degli omosessuali, dall’immigrazione al Prodotto Interno Lordo, passando per il campionato di calcio, il divorzio di Angelina Jolie da Brad Pitt ai numeri del Superenalotto che simboleggiano la speranza. Una cecità programmata anche nei particolari. Infatti, deviano il rancore popolare sui governi, che contano poco o nulla, anziché sulle oligarchie finanziarie e l’apparato militare industriale multinazionale; convincono che i diritti sociali contino meno dei cosiddetti nuovi diritti civili (matrimonio gay, procreazione assistita, ormai anche l’eutanasia, il “diritto” di morire !).

La credulità sembra arretrare, nella gente comune. Lo dimostrano le manifestazioni di massa contro il Trattato Transatlantico, silenziate dai media, il voto britannico sull’Europa, l’insofferenza montante nei confronti dell’immigrazione, lo stesso fenomeno Trump in America. La risposta, finora, è desolante: curare la malattia con dosi ancora più massicce degli ingredienti che l’hanno prodotta. Le sedicenti élite sono indietro rispetto a noi poveri popolani.

La loro cecità, la loro credulità consiste nel credere allo specchio deformante che hanno di fronte . Non prestano fede ai propri occhi, non gettano lo sguardo oltre la finestra, la loro realtà assomiglia sempre più a quei balconi dipinti iperrealisti, con tanto di vasi di fiori sulla facciata di certe case. Sembrano veri finché non ci si avvicina: si chiama “trompe l’oeil”, inganna l’occhio, ed è il paradigma di quel che viviamo.

C’è necessità di un nuovo realismo, simile a quello prospettato da Carl Schmitt, di uno sguardo su tutto che riprenda a credere a quanto vedono gli occhi e trarne le conseguenze. Un concetto bellissimo è la concretezza, che non è materialismo, riduzionismo, o banale presa d’atto di qualcosa, ma è la voglia, il gusto, il dovere di cogliere i fatti, individuarne i nessi e le cause, ed agire di conseguenze, armati di un progetto. Per questo, c’è bisogno di strapparsi la benda dagli occhi, inforcando semmai occhiali che correggano tanto la miopia degli utilitaristi quanto la presbiopia degli utopisti.

Altrettanto urgente è recuperare la fiducia in se stessi, nella nostra capacità di capire, chiamare con il giusto nome ciò che vediamo, valutare gli avvenimenti senza attenersi ai libretti di istruzioni predisposti per noi dal Grande Rieducatore di potere. In Germania, la fine della prima guerra mondiale fu salutata con manifestazioni di gioia popolare, ma l’impero guglielmino aveva perduto, i soldati si erano ribellati, lo stesso imperatore aveva abdicato. I comandi, per nascondere la capitolazione, emisero un comunicato in cui si affermava che i soldati tornavano “non vinti” dai campi di battaglia, e l’armistizio era dovuto alle pugnalate alla schiena dei nemici interni.  Quel che successe dopo lo sappiamo tutti, le sue conseguenze sono tuttora sulle carni dell’Europa.

Ma la menzogna, se si combatte l’accecamento e si smette di credere alle balle ripetute sino allo sfinimento per farle diventare verità unica, non può durare per sempre. Soprattutto, non è possibile ingannare tutti e per sempre. Certo, ritornare al pensiero critico è difficile, comporta difficoltà, studio, opposizioni diffuse. È vietato essere “revisionisti”, ma in questo consistono civiltà e cultura : cercare con pazienza e senza preconcetti la verità rivedendo continuamente gli elementi di un problema, ricostruendo i fatti, e non decostruendoli o cristallizzandoli.

C’è un ostacolo terribile, che ben conosce il Potere, il quale infatti lo usa contro di noi: è il desiderio di conformismo indotto dall’esaltazione dell’uguaglianza in cui tutti vogliono essere “come tutti gli altri”. La tendenza ad accettare, quando non ad amare, ciò che è uguale, uniforme, rassicurante, già pronto e servito come il cibo precotto della mensa, si accorda con il nostro paradossale individualismo di atomi identici e massificati, api operaie di un immenso alveare impegnato a produrre il miele per un’Ape Regina che neppure conosciamo, disinteressati ai perché .

Alexis De Tocqueville fu il primo a capirlo, riconoscendo nell’umanità democratica un’invidia profonda per chi ha di più e per chi è migliore, una passione smodata per il possesso che diventa idolatria per l’uguaglianza allorché non riesce a possedere. L’esito è la tirannia dei più, tanto più drammatica in quanto la maggioranza è prima determinata, quindi manipolata dal potere del denaro, unito oggi in un’ alleanza formidabile con la Tecnologia.

“Vedo chiaramente nell’eguaglianza due tendenze: una che porta la mente umana verso nuove conquiste e l’altra che la ridurrebbe volentieri a non pensare più.” L’aristocratico francese immaginava in cuor suo che l’esito sarebbe stato quello della seconda alternativa. Possiamo smentirlo, se accettiamo la sfida della complessità e della realtà, se, innanzitutto, ci convinciamo che il nostro non è solo il tempo dei creduloni e dei ciechi, ma è soprattutto quello dei briganti. Un vecchio detto popolare consiglia : A brigante, brigante e mezzo. Un altro, più elegante perché francese afferma “A la guerre, comme à la guerre” .

Travolti da un pacifismo ridicolo (altra cecità, altra credenza ingenua…) non sappiamo ancora, o non vogliamo prendere atto che le oligarchie sono in guerra contro di noi molto più dei tagliagole islamici, peraltro largamente armati da loro.

Le guerre si possono vincere o perdere, ma è senz’altro sconfitto chi non combatte perché cieco, sordo e muto.

10 commenti:

  1. E dunque noi singoli vedenti, che possiamo fare difronte a questo mostruoso, gigante meccanismo? Possiamo sperare che il buon Dio ci dia la forza di combattere, come Davide contro Golia, possiamo sperare che intervenga Lui personalmente perchè siamo pochi, deboli, divisi, senza mezzi e al massimo possiamo fare qualcosa per svegliare chi ci sta attorno, ma anche qui serve la Grazia, perchè spesso non siamo solo circondati da ciechi, ma anche da sordi o per meglio dire da creduloni increduli, e senza la grazia, ogni nostra parola sarà vana, ogni nostro gesto non capito, ogni nostra scelta creduta assurda.
    Se ci troviamo in questa epoca, società, battaglia, Dio ci darà pure i mezzi per salvarci, forse non dalle sciabole, ma spero almeno dal cadere in stato di peccato.

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  2. Mic,
    Roberto Pecchiolo, non Alberto.

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  3. http://www.antoniosocci.com/cacciari-tempo-dellanticristo/#more-4812

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  4. Articolo molto bello, ma, se letto da un italiota media cultura, oppuranche laureato con quelle triennali vere e proprie fabbriche di nullapensanti e nullasapienti, non ci capirebbe una beneamata acca, di che si parla? La no-flying zone posta da Putin sulla Siria che, paese sfigatissimo, si trova sulla linea retta da dove dovrebbe passare il famigerato gasdotto, perciò distrutta sapientemente come fu col Libano e via andare, è un segnale forte di chi ha il dito sul famoso pulsante rosso, se in USA andrà al potere l'orrida ilare gaia, si troverà un Gavrilo Prinzip qualunque per scatenare la III GM. I nostri 'governanti' non sono ciechi, lo fanno dietro lauti compensi, nominare Rauti e Fallaci significa fare la loro fine, intelligenti pauca. Last but not least, Blair e Sarkozy tornano in pista......annamo bene diceva a' sora Lella. Anonymous.

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  5. Quest' articolo è meraviglioso. Esso rappresenta, oserei dire "fotografa" il mondo nella immane sofferenza afflittagli dal suo ''principe''.

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  6. In chiave di fede, Chi non segue il mondo non ha diritto di cittadinanza in mezzo agli uomini che amano solo la vita materiale e ,al di la di essa ,vedono ben poco. Agli amanti della verità toccano le persecuzioni e il deserto. Imitatio Christi!

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  7. Se ,una mattina verso le 8,00 girate in una città del nord a vostra scelta verrete sorpresi dal gran numero di donne islamiche giovanissime ,quasi tutte incinte, che accompagnano il figlio o i figli a scuola ed hanno un altro bambino nel passeggino. Questo spettacolo dovrebbe far riflettere i nostri politicanti.Inutile prendersela con questo o quello i responsabili di tutto questo siamo noi italiani. Noi ci odiamo ed in odio ai nostri vicini accettiamo di diventare servi in casa nostra.Riguardo agli ecclesiastici credo che alcuni siano posseduti dal diavolo.bobo

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  8. "Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà"

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  9. Non chiedeteci qual è il "nemico", né quali vesti indossi.
    Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti;
    sa essere violento e subdolo.
    In questi ultimi secoli ha tentato di operare
    la disgregazione intellettuale, morale, sociale
    dell'unità nell'organismo misterioso di Cristo.

    Ha voluto la natura senza la grazia;
    la ragione senza la fede;
    la libertà senza la autorità;
    talvolta l'autorità senza la libertà.

    È un "nemico" divenuto sempre più concreto,
    con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti:
    Cristo sì, Chiesa no.

    Poi: Dio sì, Cristo no.

    Finalmente il grido empio: Dio è morto;
    anzi: Dio non è mai stato.

    Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo
    sopra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare
    come principali responsabili della minaccia
    che incombe sulla umanità: un'economia senza Dio,
    un diritto senza Dio, una politica senza Dio...

    Il Papa deve, al suo posto, incessantemente vigilare e pregare
    e prodigarsi, affinché il lupo non finisca col penetrare
    nell'ovile per rapire e disperdere il gregge.
    S.S. Pio XII - Dal "Discorso agli uomini dell'Azione Cattolica" del 12 ottobre 1952

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  10. Grazie all'autore e a Mic per questo bellissimo articolo. E grazie all'autore per aver ricordato un pensatore e un politico a me molto caro, Beppe Niccolai.

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