La Chiesa non nasce e non finisce col Concilio [Vaticano II], così come non può rimanere arroccata al pre-Concilio.
Trovate di seguito:
Trovate di seguito:
- Introduzione a cura di Maria Guarini
- Appello di Mons. Gherardini a Benedetto XVI
- Recensione di p. Serafino Lanzetta del testo Concilio Ecumenico Vaticano II. UN DISCORSO DA FARE, Casa Mariana Editrice, Frigento 2009
Proprio in ragione di un’evoluzione della comprensione della verità e non di una mutazione della verità in sé, il Vaticano II fa parte dell’unica vita della Chiesa, n’è un momento solenne ed espressivo di tutta la storia che lo ha preceduto e in questo modo diventa anche profezia per il tempo che verrà. La Chiesa «non è una successione di quanti, ma una sua ininterrotta ed armonica durata, della quale ogni Concilio Ecumenico è un momento essenziale, organicamente – direi perfino “biologicamente” – collegato con quelli che l’avevano preceduto, costituendo con essi il patrimonio “biologico”, grazie al quale la Chiesa ha finora vissuto, vive e vivrà»
Nonostante l'ostinato silenziamento e la drammatica damnatio memoriae, cui la gerarchia egemone le ha sottoposte, non sono mancate le vigili sentinelle alla quali continueremo a dar voce: i molti studiosi a partire da Romano Amerio, Mons. Spadafora, Roberto De Mattei (sul piano storico), Mons. Gherardini e Mons. Schneider (sul piano teologico e pastorale) ed altri, compreso Mons. Lefebvre. Non dobbiamo permettere che la delegittimazione da parte dei corifei attualmente in auge ne offuschi o addirittura ne vanifichi l'impegno sapiente e con esso il nostro impegno che anche da loro trae linfa e fondamento.
Per questo pubblico di seguito l'Appello rivolto da Mons. Gherardini a Benedetto XVI, a conclusione del suo Libro: Concilio Ecumenico Vaticano II UN DISCORSO DA FARE, Casa Mariana Editrice, Frigento 2009, a suo tempo fatto proprio da numerosi studiosi teologi e pastori, assolutamente attuale e da non scindere dai Dubia dei 4 Cardinali e dalla recente Dichiarazione pubblica di Mons. Schneider, per i motivi esposti qui e relativi rimandi, proprio oggi che il tarlo modernista che da tempo erodeva la Chiesa si impone con spavalderia.
Torno a sottolineare che quest'ultima iniziativa costituisce un momento 'forte', un momento di grande afflato ecclesiale che va riallacciato anche all'Appello inviato da un gruppo di 45 studiosi, prelati e sacerdoti cattolici al Collegio dei Cardinali : L’esortazione apostolica Amoris laetitia: una critica teologica, con il quale è stato chiesto a Papa Francesco di “ripudiare” le ritenute “proposizioni erronee” presenti nell’Amoris Laetitia. Appello seguito dalla Dichiarazione di fedeltà all’insegnamento immutabile della Chiesa sul matrimonio e alla sua ininterrotta disciplina, sottoscritto in partenza da 80 personalità cattoliche, che ha raccolto migliaia di adesioni. Senza dimenticare la primissima autorevole richiesta di chiarimenti, quella di Mons. Athanasius Schneider : Il paradosso delle interpretazioni contraddittorie di «Amoris laetitia». Dunque la sanior pars dei nostri Pastori non manca di un popolo che guarda a loro come punti di riferimento certi e provvidenziali.
Di seguito alla Supplica che intendeva "aprire il discorso da fare" a conclusione del testo di Mons. Gherardini, ne pubblico la magistrale recensione di Padre Serafino Lanzetta, già FI. Vi rimando anche all'intervento di Mons. Athanasius Schneider - sostanzialmente in linea con lo stesso "discorso da fare" -, nel corso del Convegno sul Vaticano II - 16-18 dicembre 2010 [sintesi sul Convegno qui].
Per questo pubblico di seguito l'Appello rivolto da Mons. Gherardini a Benedetto XVI, a conclusione del suo Libro: Concilio Ecumenico Vaticano II UN DISCORSO DA FARE, Casa Mariana Editrice, Frigento 2009, a suo tempo fatto proprio da numerosi studiosi teologi e pastori, assolutamente attuale e da non scindere dai Dubia dei 4 Cardinali e dalla recente Dichiarazione pubblica di Mons. Schneider, per i motivi esposti qui e relativi rimandi, proprio oggi che il tarlo modernista che da tempo erodeva la Chiesa si impone con spavalderia.
Torno a sottolineare che quest'ultima iniziativa costituisce un momento 'forte', un momento di grande afflato ecclesiale che va riallacciato anche all'Appello inviato da un gruppo di 45 studiosi, prelati e sacerdoti cattolici al Collegio dei Cardinali : L’esortazione apostolica Amoris laetitia: una critica teologica, con il quale è stato chiesto a Papa Francesco di “ripudiare” le ritenute “proposizioni erronee” presenti nell’Amoris Laetitia. Appello seguito dalla Dichiarazione di fedeltà all’insegnamento immutabile della Chiesa sul matrimonio e alla sua ininterrotta disciplina, sottoscritto in partenza da 80 personalità cattoliche, che ha raccolto migliaia di adesioni. Senza dimenticare la primissima autorevole richiesta di chiarimenti, quella di Mons. Athanasius Schneider : Il paradosso delle interpretazioni contraddittorie di «Amoris laetitia». Dunque la sanior pars dei nostri Pastori non manca di un popolo che guarda a loro come punti di riferimento certi e provvidenziali.
Di seguito alla Supplica che intendeva "aprire il discorso da fare" a conclusione del testo di Mons. Gherardini, ne pubblico la magistrale recensione di Padre Serafino Lanzetta, già FI. Vi rimando anche all'intervento di Mons. Athanasius Schneider - sostanzialmente in linea con lo stesso "discorso da fare" -, nel corso del Convegno sul Vaticano II - 16-18 dicembre 2010 [sintesi sul Convegno qui].
Per completezza, rammento che mons. Gherardini, in mancanza dell'auspicato riscontro, ha successivamente tratto le sue conclusioni in due testi: Il Discorso Mancato, Lindau 2011 e Il Vaticano II. Alle radici di un equivoco, Lindau 2012 [vedi].
Egli esprime la sua convinzione che il Discorso da fare, secondo il titolo questo suo lavoro, non è per il cristiano d’oggi, per i preti, per la Chiesa stessa, un’opzione fra molte, ma una vera necessità e dispiaciuto che, nonostante l’incrociarsi delle cosiddette ermeneutiche, il Discorso sia mancato, spiega la ragione di questa omissione, che individua non tanto nelle correnti postconciliari, quanto nell’orientamento assunto fin dall’inizio da alcuni Padri conciliari.
Tra lo spirito con cui essi intrapresero la celebrazione del Concilio ed i sedici documenti maturati nel corso di esso c’è una logica perfetta: il rifiuto, infatti, degli Schemi ufficialmente preparati, con il quale il Concilio prese l’avvio, non poteva ingenerare che quei documenti, con quel loro indirizzo, quelle loro aperture. E da queste, proprio perché tali, non poteva scaturire che un atteggiamento di rottura col passato. Ciò, sia ben chiaro, non comporta un no al Concilio, del quale l’Autore individua quattro distinti livelli, assegnando ad ognuno di essi un diverso valore [vedi anche].
Nonostante la necessità di ricorrere alla chiarezza per dir le cose come stanno, resta il fatto che il Vaticano II è un Concilio autentico, il cui insegnamento e le cui innovazioni, pur in assenza di valore dogmatico, costituiscono un innegabile magistero conciliare, e quindi supremo e solenne.
Mons. Gherardini individua le radici dell’equivoco antropocentrico, punto nodale della rivoluzione conciliare. nella dichiarazione sulla libertà religiosa, in quella sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, nel decreto sul dialogo ecumenico et alia.
Di fatto l'antropocentrismo ha contaminato tutta la cultura moderna e il pensiero conciliare che ha prevalso ed ora impera incontrastato. Ed è così che nulla «nel modernismo e nella sua assatanata reviviscenza neomodernista è risparmiato del tesoro di verità ricevute e trasmesse», ovvero la Sacra Scrittura, i dogmi, la Liturgia, la morale. (M.G.)
Egli esprime la sua convinzione che il Discorso da fare, secondo il titolo questo suo lavoro, non è per il cristiano d’oggi, per i preti, per la Chiesa stessa, un’opzione fra molte, ma una vera necessità e dispiaciuto che, nonostante l’incrociarsi delle cosiddette ermeneutiche, il Discorso sia mancato, spiega la ragione di questa omissione, che individua non tanto nelle correnti postconciliari, quanto nell’orientamento assunto fin dall’inizio da alcuni Padri conciliari.
Tra lo spirito con cui essi intrapresero la celebrazione del Concilio ed i sedici documenti maturati nel corso di esso c’è una logica perfetta: il rifiuto, infatti, degli Schemi ufficialmente preparati, con il quale il Concilio prese l’avvio, non poteva ingenerare che quei documenti, con quel loro indirizzo, quelle loro aperture. E da queste, proprio perché tali, non poteva scaturire che un atteggiamento di rottura col passato. Ciò, sia ben chiaro, non comporta un no al Concilio, del quale l’Autore individua quattro distinti livelli, assegnando ad ognuno di essi un diverso valore [vedi anche].
Nonostante la necessità di ricorrere alla chiarezza per dir le cose come stanno, resta il fatto che il Vaticano II è un Concilio autentico, il cui insegnamento e le cui innovazioni, pur in assenza di valore dogmatico, costituiscono un innegabile magistero conciliare, e quindi supremo e solenne.
Mons. Gherardini individua le radici dell’equivoco antropocentrico, punto nodale della rivoluzione conciliare. nella dichiarazione sulla libertà religiosa, in quella sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, nel decreto sul dialogo ecumenico et alia.
Di fatto l'antropocentrismo ha contaminato tutta la cultura moderna e il pensiero conciliare che ha prevalso ed ora impera incontrastato. Ed è così che nulla «nel modernismo e nella sua assatanata reviviscenza neomodernista è risparmiato del tesoro di verità ricevute e trasmesse», ovvero la Sacra Scrittura, i dogmi, la Liturgia, la morale. (M.G.)
In conclusione di “Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare” (2009)
Brunero Gherardini, Supplica al Santo Padre
Beatissimo Padre,
so bene che questa comunicazione diretta è anomala e gliene chiedo scusa.
Il ricorrervi dipende anzitutto dalla fiducia che ispira la sua Persona e, in pari tempo, dall'aver Ella stessa raccomandato a tutta la Chiesa, come principio interpretativo del Vaticano II, l'ermeneutica della continuità, sulla quale, se me lo consente, vorrei brevemente parlarLe.
Fin ad oggi mi son sempre scrupolosamente guardato dall’interloquire con chi ha la responsabilità della Chiesa; ho, sì, richiesto qualche raro telegramma in particolari circostanze, ma nulla di più.
Anche il nostro personale rapporto all'interno del dibattito teologico è stato solo episodico; è mancata, per mia scelta, una reciproca frequentazione. Raramente infatti m'espongo, mai mi propongo.
Raccogliendo però il suo invito sull'ermeneutica della continuità, faccio oggi un'eccezione e sottopongo alla Santità Vostra alcune mie riflessioni a tale riguardo.
Per il bene della Chiesa - e più specificamente per l'attuazione della "salus animarum" che ne è la prima e "suprema lex" - dopo decenni di libera creatività esegetica, teologica, liturgica, storiografica e "pastorale" in nome del Concilio Ecumenico Vaticano II, a me pare urgente che si faccia un po' di chiarezza, rispondendo autorevolmente alla domanda sulla continuità di esso - non declamata, bensì dimostrata - con gli altri Concili e sulla sua fedeltà alla Tradizione da sempre in vigore nella Chiesa.
Non so se questo scritto perverrà nelle mani della Santità Vostra, né se vi perverrà così com'è stato concepito e come il benemerito Editore l’ha tipograficamente realizzato, anziché in qualche sintesi d'ufficio che non ne metta in risalto le connessioni logiche.
Da parte mia, proprio queste connessioni ho collocato a supporto della presente supplica, dettata dalla mia profonda convinzione circa l'improrogabile necessità che il dettato conciliare venga preso in esame in tutta la sua complessità ed estensione.
Sembra, infatti, difficile, se non addirittura impossibile, metter mano all'auspicata ermeneutica della continuità, se prima non si sia proceduto ad un'attenta e scientifica analisi dei singoli documenti, del loro insieme e d'ogni loro argomento, delle loro fonti immediate e remote, e si continui invece a parlarne solo ripetendone il contenuto o presentandolo come una novità assoluta.
Ho detto che un esame di tale e tanta portata trascende di gran lunga le possibilità operative d'una singola persona, non solo perché un medesimo argomento esige trattazioni su piani diversi - storico, patristico, giuridico, filosofico, liturgico, teologico, esegetico, sociologico, scientifico - ma anche perché ogni documento conciliare tocca decine e decine d'argomenti che solo i rispettivi specialisti son in grado di signoreggiare.
A ciò ripensando, da tempo era nata in me l’idea - che oso ora sottoporre alla Santità Vostra - d'una grandiosa e possibilmente definitiva mess’a punto sull'ultimo Concilio in ognuno dei suoi aspetti e contenuti.
Pare, infatti, logico e doveroso che ogni suo aspetto e contenuto venga studiato in sé e contestualmente a tutti gli altri, con l'occhio fisso a tutte le fonti, e sotto la specifica angolatura del precedente Magistero ecclesiastico, solenne ed ordinario. Da un così ampio ed ineccepibile lavoro scientifico, comparato con i risultati sicuri dell'attenzione critica al secolare Magistero della Chiesa, sarà poi possibile trarre argomento per una sicura ed obiettiva valutazione del Vaticano II in risposta alle seguenti - tra molte altre - domande:
- Qual è la sua vera natura?
- La sua pastoralità - di cui si dovrà autorevolmente precisare la nozione - in quale rapporto sta con il suo eventuale carattere dogmatico? Si concilia con esso? Lo presuppone? Lo contraddice? Lo ignora?
- È proprio possibile definire dogmatico il Vaticano II? E quindi riferirsi ad esso come dogmatico? Fondare su di esso nuovi asserti teologici? In che senso? Con quali limiti?
- È un "evento" nel senso dei professori bolognesi, che cioè rompe i collegamenti col passalo ed instaura un'era sotto ogni aspetto nuova? Oppure tutto il passato rivive in esso "eodem sensu eademque sententia"?
È evidente che l'ermeneutica della rottura e quella della continuità dipendono dalle risposte che si daranno a tali domande. Ma se la conclusione scientifica dell'esame porterà all'ermeneutica della continuità come l'unica doverosa e possibile, sarà allora necessario dimostrare - al di là d'ogni declamatoria asseverazione - che la continuità è reale, e tale si manifesta, solo nell’identità dogmatica di fondo.
Qualora questa, o in tutto o in parte, non risultasse scientificamente provata, sarebbe necessario dirlo con serenità e franchezza, in risposta all'esigenza di chiarezza sentita ed attesa da quasi mezzo secolo.
La Santità Vostra mi chiederà perché mai dica a Lei ciò che Ella già conosce meglio di me, avendone chiaramente e coraggiosamente già parlato. In fondo, me lo chiedo anch'io, un po' meravigliato per il mio ardire e dispiaciuto per il tempo che Le sottraggo. Vedo, però, nel mio ardire un atto insieme di "parresìa" e di coerenza, in linea con l'ecclesiologia che i miei grandi Maestri avevan appreso dalla Parola rivelata, dalla patristica e dal Magistero e che - "quasi in insipientia loquor" (2Cr 11,17) - anch'io ho avuto l'onore e la gioia di ritrasmetter a migliaia d'alunni.
È l'ecclesiologia che nella Chiesa una-santa-cattolica-apostolica riconosce la presenza misterica del Signore Nostro Gesù Cristo e secondo la quale il Papa, anche "seorsim", è sempre in grado - per dirla con S. Bonaventura - di "reparare universa" perfino nel caso che "omnia destructa fuissent". Basta una sua parola, Beatissimo Padre, perché tutto, essendo essa stessa la Parola, ritorni nell'alveo della pacifica e luminosa e gioiosa professione dell'unica Fede nell'unica Chiesa.
Ho detto, strada facendo, che lo strumento per "reparare omnia" potrebb'esser un grande documento papale, destinato a rimanere nei secoli come il segno e la testimonianza del Suo vigile e responsabile esercizio del ministero petrino.
Qualora, però, non volesse agire da solo, Ella potrebbe disporre che o qualche suo dicastero, o l'insieme delle Pontificie Università dell'Urbe, o un organismo unitario e di vastissima rappresentatività, assicurandosi la collaborazione di tutti i più prestigiosi, sicuri e riconosciuti specialisti in ognuno dei settori in cui s'articola il Vaticano II, organizzi una serie di congressi d'altissima qualità a Roma o altrove; o una serie di pubblicazioni su ognuno dei documenti conciliari e sulle singole tematiche di essi.
Si potrà in tal modo sapere se, in che senso e fin a che punto il Vaticano II, e soprattutto il postconcilio, possan interpretarsi nella linea d'un'indiscutibile continuità sia pur evolutiva, o se invece le sian estranei se non anche d'ostacolo.
Ringraziando in anticipo la Santità Vostra e rinnovandoLe sinceramente le mie scuse, Le auguro che la pienezza della grazia divina, la verità divinamente rivelata e la Tradizione dalla quale la rivelazione stessa è veicolata nell'alternarsi dei periodi e delle epoche della storia ecclesiastica, sian sempre la luce del Suo ministero. Mi benedica.
Sac. Brunero Gherardini
* * *
di Padre Serafino M. Lanzetta, FI
Mons. Brunero Gherardini da coraggioso ed intrepido toscano rompe il ghiaccio raggelante di un certa assuefazione theologically correct, cioè di quel modo di pensare e di fare secondo cui il Vaticano II è solo un dono, un mistero da scoprire sempre e nuovamente. È tutto rose e fiori! Ma solo per la gran confusione dottrinale che oggi impera sovrana sarà anche un problema? Ci si può porre da un versante critico, per amore della Chiesa e del Papa, e far venire i nodi al pettine?
Questo cerca di fare il novello libro di Gherardini sul Vaticano II, edito da Casa Mariana Editrice. L’A. in fondo arieggia il memorando discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana (dicembre 2005) in cui il Papa evidenziava il problema ermeneutico nella ricezione del Concilio, distinguendo «un’ermeneutica della continuità e della riforma» da «un’ermeneutica della rottura» e della «discontinuità», imputando a quest’ultima i numerosi smarrimenti dottrinali seguiti nella stagione post-conciliare. La rottura vede nel Vaticano II quasi un nuovo cominciamento della Chiesa, suggellato dal principio di pastoralità della Chiesa. Questo principio precluderebbe di attestarsi all’istituzione, ai documenti, per fare spazio al nuovo modo di concepire la Chiesa: un esserci nel mondo per la storia. La continuità, invece, non strappa il tessuto ecclesiale, non frammenta la Chiesa in momenti, ma vede in essa un unico Soggetto di fede che cammina nel tempo e viene dall’alto, ci porta verso l’alto, nella vita eterna. Benedetto XVI di recente è ritornato sul tema del Vaticano II, segno che qui si radica, in qualche modo, la problematicità che investe la fede e che richiede una chiara ed autentica risposta da parte della competente autorità. Precisamente il Papa ha riparlato del Concilio in due occasioni: prima nella lettera ai Vescovi (10 marzo 2009), in seguito alla remissione della scomunica ai 4 Vescovi consacrati da Lefebvre, poi, dopo poco tempo, nel Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero, il 16 marzo 2009.
Gherardini, mosso dalle premure papali, evidenzia che un’errata ermeneutica della rottura applicata al Vaticano II ha portato la Chiesa di oggi a considerarsi ormai come la vera Chiesa e l’unica Chiesa degna di sopravvivere. È «vero ed incontestabile – scrive – che Magistero teologia ed operatori pastorali han fatto del Vaticano II un assoluto. Un errore di fondo, sul quale si è costruito l’edificio postconciliare e contro il quale occorre finalmente reagire» (p. 24).
Accanto ad un reiterato appello ad organizzare gruppi di studi specializzati che studino in modo critico e scientifico i documenti del Concilio mostrandone la loro vera indole e il loro legame dogmatico con la Tradizione, espungendone quello spirito soggettivo che anima l’analisi, Gherardini propone fondamentalmente due cose per ricucire lo strappo che si è verificato tra la Chiesa pre-conciliare e quella post-conciliare (una distinzione già sintomatica di un notevole disagio dogmatico): definire in modo teologico ed inequivocabile la natura pastorale del Vaticano II e rispiegare precisamente il lemma “Tradizione”, leggendolo nel solco della fede della Chiesa come altro dalla Scrittura e non come inglobato in essa, fino a risultare un duplicato di cui sbarazzarsi.
Gherardini parte dall’ermeneutica della continuità come indicato dal Pontefice a cui aggiunge un attributo interessante, (in verità sin dal suo insegnamento universitario) e la definisce «ermeneutica evolutiva» (p. 87), unica capace di rispondere a quella domanda di capitale importanza: «il Vaticano II s’iscrive o no nella Tradizione ininterrotta della Chiesa, dai suoi inizi ad oggi?» (p. 84). Proprio in ragione di un’evoluzione della comprensione della verità e non di una mutazione della verità in sé, il Vaticano II fa parte dell’unica vita della Chiesa, n’è un momento solenne ed espressivo di tutta la storia che lo ha preceduto e in questo modo diventa anche profezia per il tempo che verrà. La Chiesa «non è una successione di quanti, ma una sua ininterrotta ed armonica durata, della quale ogni Concilio Ecumenico è un momento essenziale, organicamente – direi perfino “biologicamente” – collegato con quelli che l’avevano preceduto, costituendo con essi il patrimonio “biologico”, grazie al quale la Chiesa ha finora vissuto, vive e vivrà» (p. 85).
Questo approccio ermeneutico però non sarà proficuo senza decidersi a riconoscere la natura pastorale del Concilio. Dire che il Vaticano II è un Concilio pastorale significa che non lo si può considerare come l’unico Concilio della Chiesa e non si può attribuire valore dogmatico-definitorio ai suoi testi a meno che non faccia un chiaro ed esplicito riferimento ai dogmi definiti in precedenti Concili e all’insegnamento dogmatico precedente. «È pertanto lecito riconoscere – scrive Gherardini – al Vaticano II un’indole dogmatica solamente là dov’esso ripropone come verità di Fede dogmi definiti in precedenti Concili. Le dottrine, invece, che gli son proprie non potranno assolutamente considerarsi dogmatiche, per la ragione che son prive dell’ineludibile formalità definitoria e quindi della relativa “voluntas definiendi”» (p. 51). Il Magistero del Concilio è dunque un magistero solenne della Chiesa ma non irreformabile, di natura pastorale, e perciò suscettibile, in diversi luoghi, di perfettibilità dogmatica, di ancoraggio più esplicito alla Fede della Chiesa. L’afflato pastorale che anima il Concilio deve essere necessariamente verificato alla luce della ricezione storica dei suoi documenti, dei miglioramenti verificatisi, degli approfondimenti, come dei disguidi, delle perplessità, degli smarrimenti dottrinali e di tanta superficialità prodottasi. È proprio il criterio pastorale che invoca una revisione, onde essere all’altezza dei tempi con i quali chiede il confronto. Bisogna nuovamente bilanciare quel rapporto diadico di dogmatica e pastorale: questa in funzione di quella e mai viceversa.
Di qui deriva l’altro punto fondamentale da chiarire, intorno al quale si attesta l’attuale enfasi che vede il Vaticano II come correttivo al Tridentino e al Vaticano I circa il senso della Traditio, vista non eccessivamente distinta dalla Scrittura. Gherardini su questo è molto palese: «Sì il Vaticano II portò al riguardo un suo correttivo. Ma non è detto ch’esso sia stato anche un grande progresso» (p. 117). In che senso? L’A. prima di tutto si chiede cosa significhi Traditio presso i Padri e appura che la regula fidei oltre alla Scrittura è costituita anche dalla Tradizione orale, intesa come Tradizione apostolica, non riducibile alla Scrittura, ma di essa più ampia e col medesimo valore normativo. Questa è la linea comune fino al Vaticano I. Il valore normativo della Tradizione come regola prossima della fede (a differenza della Scrittura, regola remota della fede, cf p. 128), viene ravvisato da Gherardini nel vicendevole integrarsi di Successione e Tradizione, «perché qui si radica la “regula fidei” e perché il parlarne dovrebbe partire da qui, non da quel sovrapporsi ed integrarsi di Scrittura e Tradizione che ne farebbe “una cosa sola”» (Ibid.). Invece, il Vaticano II predilige in Dei verbum 9 una certa unificazione tra Scrittura e Tradizione in base ad una eguaglianza di origine e coincidenza di contenuti, riservando alla Tradizione solo una differenza di espressione rispetto a quella della Scrittura, correndo però il rischio di rendere superflua o l’una o l’altra (cf pp. 126-127). Dice Gherardini: «Per il Vaticano II e per la sua volgata interpretativa, la Tradizione trasmette soltanto quanto contiene la Scrittura e ne applica il contenuto scritto alla esigenze dei tempi. La qual cosa, però, è già fuori della nozione classica di Tradizione [...] come la storia della Chiesa dimostra e qualche Padre apertamente dichiara» (cf pp. 125-126).
Nei capitoli successivi (dal sesto al nono) l’A. affronta, in modo più sistematico, alcuni “argomenti scottanti” che richiedono una precisazione dottrinale perché proprio su di essi si attesta un’interpretabilità a volte equivoca, volutamente discontinua. Chi è responsabile di tutto ciò? L’A. salva sempre la buona fede dei Padri Conciliari e l’errore è visto e giudicato sempre dal punto di vista materiale. Ma, in ogni caso, un legame con l’assise conciliare ci deve essere, almeno indirettamente, altrimenti non si capirebbe il motivo dello smarrimento. Non è il Concilio in sé la causa della confusione delle interpretazioni ma sì il suo possibilismo, «il suo aprirsi pregiudiziale verso tutto quello che fosse – o apparisse – un’esigenza dell’uomo» (p. 156). Questo certo potrebbe scandalizzare molti. Da qui potrebbero partire tante scomuniche ai critici insofferenti del Vaticano II. Ma, se si tratta di un Concilio pastorale, non si sta negando la fede. Dunque, non si è eretici mostrando i punti dolenti. Sottolineando queste discontinuità non si è contro il Concilio (l’A. lo ripete, da par suo, fino all’inverosimile), bensì se ne desidera caldamente una lettura giusta e in continuità con tutta la Chiesa. Ecco il motivo dell’accorata supplica che Gherardini muove al Pontefice in chiusura del suo libro, perché in questo marasma di idee che circolano sul Concilio si degni di intervenire in modo autorevole, chiarendo cosa la Chiesa è in sé, cosa la Chiesa deve credere per essere Chiesa e cosa invece deve rifiutare per essere ancora Chiesa.
I punti dolenti sui quali Gherardini si sofferma con notevole acribia teologica sono: la riforma liturgica, la libertà religiosa, l’ecumenismo, in tanti casi depauperato in sincretismo e infine la Lumen gentium nel suo subsistit in, in riferimento alla Chiesa di Cristo interrelata alla Chiesa Cattolica, ad un tempo, in una unità sostanziale e in una distinzione formale per cogliere a livello teologico le peculiarità ecclesificanti delle altre Chiese e comunità ecclesiali. Solo un cieco mistificherebbe la dottrina cattolica dell’unica Chiesa di Cristo, quella cattolica appunto, affermando con Lumen gentium una Chiesa allargata alla pluralità, alla confusione di Babele. Eppure questi ciechi ci sono. Segno che questo libro merita di essere attentamente meditato. Ci auguriamo che sia sprone ad una presa in seria considerazione della posta in gioco: il nostro essere Chiesa oggi.
(Per approfondire il tema del Concilio Vaticano II, si veda l’Editoriale della Rivista di apologetica Fides Catholica 1 [2009]: Concilio Ecumenico Vaticano II. Un nodo da sciogliere).
Mi rendo conto che la mia introduzione è densa di rimandi e dunque di testi da esplorare e dunque di contenuti da collegare. E sono solo quelli essenziali!
RispondiEliminaMa credo che, se davvero vogliamo guardare in faccia la realtà, sia ineludibile riconoscere le radici del male per estirparle.
Per questo ci viene richiesto un supplemento di attenzione, di tempo e fatica.
Spero solo che serva a qualcosa!
RispondiEliminaPer rigettare totalmente il conciliabolo frammassonico satanico, altrimenti noto come Vaticano secondo, non occorre attenzione, tempo e fatica ma solo CORAGGIO! Attenzione e fatica relativi allo studio di un conciliabolo estraneo alla Chiesa sono invece solo FATICA SPRECATA!
RispondiEliminaQueste affermazioni apodittiche e anche prive di realismo, oltre che senza argomenti al pari delle fumoserie moderniste, a fronte invece di motivazioni serie e approfondite, fanno cadere le braccia.
RispondiEliminaRiprendo alcune parole di don Elia:
"La Chiesa è l'unico Corpo di Cristo da cui non ci si può isolare, pena lo slittare impercettibilmente su posizioni inaccettabili proprio nell'intento di salvaguardare la sana dottrina. Ci si può legittimamente domandare se non siano i novatori ad essersi separati dal Corpo mistico per peccati contro la fede, ma la maggior parte del clero e dei cattolici praticanti sono soggettivamente in buona fede e non si può porli davanti all'alternativa tra l'andare in malora e il fare uno sforzo impossibile per ritornare a una liturgia che ignorano completamente. Questa svolta, per grazia divina, è stata possibile ad alcuni, fra i quali siamo anche noi, ma non si può chiedere a tutti. Il veleno iniettato nei testi conciliari è stato ormai bevuto e metabolizzato dalla maggioranza dei cattolici. Cercare di distillarne il buono (che è stato effettivamente sfruttato per propinare il veleno) è certamente un'operazione difficile e rischiosa, ma a mio avviso necessaria per poter raggiungere quelle anime (la stragrande maggioranza) che altrimenti rimarrebbero escluse."
Quanto dice realisticamente don Elia non preclude ovviamente l'impegno, inesausto e da centuplicare, di continuare a diffondere la Liturgia e la corrispondente dottrina tradizionale anche in mezzo alle enormi difficoltà che si incontrano, come alcuni sacerdoti (e fedeli) hanno continuato e continuano a fare.
RispondiElimina"Questa svolta, per grazia divina, è stata possibile ad alcuni, fra i quali siamo anche noi, ma non si può chiedere a tutti." Mi piacerebbe sapere quali sono i motivi che spingono don Elia a tale conclusione.
RispondiEliminaE non vedo il motivo per cui, avendo come fine ultimo il bene, un Pontefice non possa imporre a tutti, indistintamente il ritorno alla Messa cattolica, quando lo si è potuto fare, senza eccezioni, allorché si impose l'orrida liturgia riformata. Non vedo perché un Papa non dovrebbe poter cancellare, con un tratto di penna, gli errori degli ultimi decenni, quando altri papi hanno saputo farlo con la millenaria dottrina della Chiesa.
Forse umanamente potrà apparire una cosa impossibile, ma noi non amiamo le cose umane, e riponiamo la nostra fiducia in Colui che può tutto. Lo dice anche mons. Gherardini: Il Papa, anche "seorsim", è sempre in grado - per dirla con S. Bonaventura - di "reparare universa" perfino nel caso che "omnia destructa fuissent".
Cara Maria, stai tranquilla, stai facendo un lavoro incredibile e giusto; vai avanti se puoi e le forze ti sorreggono; forse un domani ne vedremo i frutti.
RispondiEliminaServe gente che ci crede come te, Mons. Gherardini, Don Elia, P.Lanzetta e molti altri che danno forza ai 4 Cardinali, a Mons. Schneider ed altri che conosciamo meno.
Abbiamo bisogno di verità di indicare soluzioni e di tanta preghiera alla SS.ma Vergine che ci aiuti.
Lo dice anche mons. Gherardini: Il Papa, anche "seorsim", è sempre in grado - per dirla con S. Bonaventura - di "reparare universa" perfino nel caso che "omnia destructa fuissent".
RispondiEliminaAd essere realisti, un Papa ha provato a sdoganarla la Messa Antiquior e tutti sappiamo come è andata e come sta andando a causa dell'ignoranza quando non avversione dei sacerdoti e, soprattutto, dei vescovi. Per non parlare della Prima Sedes regnante.
Se non sperassimo nel Soprannaturale non riterremmo possibile l'auspicato "restaurare". Ma quel che ci è chiesto, oltre a pregare e sperare nel miracolo cominciando la restaurazione a partire da noi è, umanamente parlando e Deo adiuvante, continuare a riaffermare la verità per rinvigorire l'azione portante delle 'pietre vive', per iniziare a colmare lo iato generazionale già in atto, che non è pensabile ricucire con un atto di imperio.
E dobbiamo farlo e basta, con la più grande fiducia, neppure sapendo quali altre prove ci saranno richieste.
Noto che lo studio piace a pochi.
RispondiEliminaE' più facile sparare sentenze.....
Non capisco la necessità di “distillare” dal veleno generale le cose buone che il Vaticano II conterrebbe, frammiste al primo.
RispondiEliminaNon è che queste cose buone, inizino con il Vaticano II ma sono arrivate lì perché trasmesse nel corso di quasi due millenni di cristianesimo, predicato, ascoltato, praticato.
Perciò quel che di buono c'è, lo si trova immediatamente prima (temporalmente) all'assise conciliare. Basta guardare lì. E non si tratta di rendersi autonomi (in stile protestante ma dal versante tradizionalista), perché non si mette nulla del proprio (come fanno i protestanti interpretando la Scrittura come pare e piace a loro ed al loro “sentire”): ma ci si rifà al Magistero vivo che è regola prossima della Fede. Se è Magistero vivo, significa che non è morto, lapalissiano ma necessario da sottolineare. Inoltre non necessita di interpretazioni né ermeneutiche : esso è l'organo di trasmissione della Rivelazione (Tradizione e Scrittura).
Quello odierno invece è vivente, perciò mutevole ed interpretabile ( potenzialmente in ogni direzione, così sono tutti contenti, ma alla prova dei fatti solo univocamente, come sta dimostrando la vicenda dei “Dubia”).
A margine: concordo con Baronio nel suo intervento sopra (il tentativo di sdoganare la S. Messa "Vetus Ordo" ancorché meritorio, è stato scelto di farlo non in modo impositivo) e con Anna nel suo, collocato tra i commenti dell'articolo precedente di don Elia.
Marco P
mi pare che questo sito sta cambiando orientamento
RispondiEliminacosa sta succedendo mic ? dove è finita la scure ? vi state riposizionando ?
dicci la verità e pubblica questo commento
Lc 2,19: «Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore».
RispondiEliminaQuante cose da tenere insieme...
Per farlo abbiamo un cuore, biblicamente inteso, fatto di memoria, intelligenza e volontà.
Lasciamo perdere chi mette davanti la prassi, snobbando ogni approfondimento della conoscenza.
Lasciamo perdere chi, in nome della coscienza, fa del cuore un puro sentimento e un'emozione.
Lasciamo perdere chi trova sciocco studiare, contando sul primato del fare.
Lasciamo perdere chi pensa la preghiera cristiana un bisogno psicologico, senza frutti concreti.
Lasciamo perdere chi nella contemplazione degli "sgrana-rosari" non vede che chiusura al nuovo.
Lasciamo perdere chi ritiene la metafisica troppo difficile e con faciloneria trascura i dogmi.
Lasciamo perdere chi moraleggia giudicando tutti, ma pontifica sul non diritto al giudizio.
Lasciamo perdere chi sloganeggia e riduce il messaggio evangelico a uno spot sulla misericordia.
Lasciamo perdere chi dipinge la Sempre Vergine Maria un modello inadeguato di donna per l'oggi.
Studiamo, impariamo, con tanta umiltà, chiedendo luce al Signore.
Smascheriamo sempre la falsità, cercando la Verità atteaverso la Rivelazione.
Non stacchiamo mai la ragione dalla fede e lasciamoci guidare dagli umili nella contemplazione.
La Madonna ha capito tutto... Lei sotto la croce c'era. In pianto, ma non disperata.
Studiare e sforzarsi di capire, avere la responsabilità di dire cose vere, è inviso ai demagoghi e ai falsari, che anzi temono questo genere di persone. Studiare è anche fatica, una penitenza. Studiare senza preghiera è presunzione. Ecco che Maria, nostro modello, prega e contempla.
Non ho idea, nè sentore, di come si possa uscirne.Forse solo un futuro grande Papa. Tanti galli a cantare non otterranno altro che aumentare il frastuono. Noi qui nel nostro piccolo rischiamo ogni giorno di "spazientirci" gli uni con gli altri. E ci teniamo.Opere di carità,insegnamento compreso, mi sembrano abbastanza impraticabili: padri, madri e figli sono tutti talmente dentro questa cultura appestata che l'impresa è titanica; altro che anno sabbatico, qui basta un anno e ne occorrono sette per riprendersi. Senza contare che la maggior parte dei libri in circolazione avrebbero bisogno di una selezione severa, in particolare per quello che riguarda la scuola, lo schifo in formato libro. La Messa sì, ma fino a un certo punto, ci sono omelie, in ogni dove, che ti fanno rotolare giù dalla panca e lacerarti le vesti schiumando. C'è tutto un tessuto da rammendare, ritessere, fatto di tante piccole cose, che tutti possono compiere nella loro vita. Non mi arrocco al periodo prima del concilio, però so che tante discussioni non c'erano, si compivano le azioni giuste perchè era normale (!!!), c'erano quelli che normali non erano, si frequentavano, ma si capiva che non erano nella norma, era nell'aria. Poi con la bontà del nuovo Papa cominciò a prendere baldanza tutto quello che prima camminava non visto; con il vescovo di Milano il dialogo e l'incomunicabilità entrarono in salotto; il mistero di Papa Luciani, una tragedia iniziata prima, non finita si infranse sul Papa giovane, bello che voleva essere corretto da noi, pensa! Poi venne il pastore tedesco, molti rientrarono proprio per amor suo, contenti di essere tornati a casa, al sicuro.E si son trovati smarriti, la rivoluzione in Chiesa, ma scherzi? No. Cent'anni di solitudine, cercando, nelle carte, di decifrare il mistero e si decifrò mentre il mistero si rivelava.
RispondiEliminami pare che questo sito sta cambiando orientamento
RispondiEliminacosa sta succedendo mic ? dove è finita la scure ? vi state riposizionando ?
dicci la verità e pubblica questo commento
Non mi pare che questo sito stia cambiando orientamento.
Ciò che è proposto in questo articolo non è altro l'andatura portante mia e del blog, che non ha mai brandito alcuna scure. Semmai si è opposto con parresìa, che molti "benpensanti" hanno trovato 'scomoda', a tante deviazioni gravissime.
E del resto quella rappresentata nell'articolo non è forse la posizione dei nostri pastori di riferimento?
Voi ne avete altri?
Ora è anche da loro che attendiamo l'approfondimento delle questioni riguardanti i 'nodi' ineludibili le cui radici conciliari sono state qui evidenziate da sempre.
Vi ho sommersi di link con le denunce in diretta di quanto è accaduto dal marzo 2013 e ancor prima.
Io non ho altra verità da dire...
Per Marco P.
Quello odierno invece è vivente, perciò mutevole ed interpretabile ( potenzialmente in ogni direzione, così sono tutti contenti, ma alla prova dei fatti solo univocamente, come sta dimostrando la vicenda dei “Dubia”).
Infatti, ho anche recentemente detto ridetto e stradetto - e ribadisco - che il non dimostrato dell'anomala pastoralità priva di principi teologici definiti è proprio ciò che ci toglie la materia prima del contendere. È l'avanzata del fluido cangiante dissolutore informe, in luogo del costrutto chiaro, inequivocabile, definitorio, veritativo, Occorre invece l'incandescente, perenne, feconda (altro che museale o rigida o fissista!) saldezza del dogma per non affondare nei liquami e nelle sabbie mobili del neo-magistero storicista transeunte.
Quindi, finché non si prenderà atto che questa eredità conciliare ribaltante è il vero nodo da sciogliere, il nostro impegno di riaffermazione della verità secondo il Magistero perenne sarà utile per le anime libere, potrà continuare a defluire come una vena aurea cui attinge chi la trova o come un canale carsico che potrà riaffiorare al termine di questa notte oscura, ma non può avere alcuna efficacia su una realtà così deformata e deformante. E la stessa grave solennità di una possibile correzione canonica, - rischia di non ottenere i risultati voluti e sperati. A meno che non intervengano fattori o si destino altre rette volontà al momento impensabili...
In ogni caso se è vero che quello di buono del concilio si trovava anche prima (ma forse non tutto), lo dobbiamo rifiutare solo perché è il concilio che lo veicola?
#@ Ale : "Attenzione e fatica relativi allo studio di un conciliabolo estraneo alla Chiesa sono invece solo FATICA SPRECATA!" : vengo in suo aiuto, caro Ale, data la stroncatura del suo punto di vista fatta dalla Mic (che forse mi cestinerà, pazienza). Credo che oggi ci sia molto bisogno di un linguaggio apodittico, sintetico, chiaro e comprensibile a tutti, in parole povere del famoso "si si, no no", invece del si, ma anche, dell'aut aut invece dell' et et. (vedai il libro "La bella addormentata" della benemerita ditta Gnocchi e Palmaro) I modernisti, dai teologi della Nouvelle théologie ai periti del CV II, hanno volutamente adottato un linguaggio, ambiguo, fumoso e contorto in modo che si prestasse a tutte le storture interpretative possibili : è da sempre lo stie dei modernisti, apertamente condannato da S. Pio X (i modernisti, diceva il santo di Riese, affermano una cosa e poi subito dopo la negano, dicono una mezza verità e poi una bugia, tendono a confondere la mente dei fedeli per meglio depistarli dalla retta via). Ho letto che i rivoluzionari presenti al CV II, in una loro riunione (a cui partecipò anche il perito J. Ratzinger) decisero di adottare il linguaggio prolisso e fumoso ingannare i moderati e far passare le loro idee (aiutati e supportati dai papi G XXIII e P VI).
RispondiEliminaCatholicus,
RispondiEliminaSon cose dette e ridette. Ormai credo si sia ben capito da chi lo vuol capire.
Cerchiamo di fare un passo avanti e di fare quadrato intorno a chi sta tenendo il fronte pubblicamente e con autorità nei confronti di questo linguaggio fumoso contorto e compagnia bella!
“se è vero che quello di buono del concilio si trovava anche prima (ma forse non tutto), lo dobbiamo rifiutare solo perché è il concilio che lo veicola?”
RispondiEliminaCerto che no. Il punto è che non si rifiuta il buono che si trovava prima, che continua ad essere creduto e vissuto, ma si rifiuta la nuova riproposizione di questo buono con un “linguaggio, ambiguo, fumoso e contorto in modo che si” presti “a tutte le storture interpretative possibili” (citazione di cattolicus), cioè si rifiuta il tentativo (la forma discorsiva, ambigua e ridondante è una scelta finalizzata proprio alla demolizione di questo “buono”) o rischio oggettivo che dir si voglia (a prescindere dalle intenzioni di chi decise di usare questa nuova forma liquida anzi fumosa e contraddittoria) di annientamento, corrosione, nascondimento, di questo buono, cioè di ciò che è cattolico, per la “costruzione” della nuova religione.
Una mossa veramente diabolica. E’ notorio che il diavolo accompagna il veleno delle sue menzogne con dosi elevatissime di cattolicità. Tali da sembrare quasi un santo. Quello che lo tradisce però è il quasi. E’ il coperchio, che Dio gli impedisce di confezionare bene, per evitare che anche gli eletti ci caschino. E’ quel piccolo particolare di deviazione. E’ quel piccolo “ma anche”, o “in certo qual modo” o “sussiste”, capace di capovolgere tutto. Le eresie non sono mai negazione di tutte le verità di fede. Una mossa diabolica. I padri conciari travolti da un’aggressiva minoranza rivoluzionaria appoggiata proprio dal papa, cui ubbidire. E ora noi , con un concilio ecumenico e tanti papi e pastori conciliari. A cui ubbidire o quanto meno a cui prestare ossequioso rispetto, dato che il concilio è solo pastorale, e cercare di salvare il salvabile.
E’ già il concetto stesso che si debba interpretare o chiarire un insegnamento, che è pazzesco, dato che l’insegnamento ha la funzione di chiarire e guidare. Praticamente pastori ciechi che devono essere guidati. E da chi ? Se il pastore è cieco non può essere seguito. Altrimenti si segue chi guida il pastore. Così quella tragedia del CVII. Mi viene da pensare alla famosa nota previa. Messa in calce invece che innanzi. Che chiarisce che quello che c’è scritto prima (anzi dopo perché è messa in calce, in contrasto col nome che porta, e quindi ignorata) in realtà significa il contrario di quello che c’è scritto. Che rimane lì, scritto. Confusione massima.
Chi, vorrei sapere, chi mai, trovando che l’insegnante del proprio figlio dice qualcosa di vero, ma in modo confuso, fumoso, ambiguo e contraddittorio, in mezzo a vari errori nettissimi su questioni fondamentali, che scandalizzano , chi mai, invece di evitare che il figlio continui a seguire quel maestro, deciderebbe di lasciarlo in balia sua, mettendo accanto al maestro una specie di traduttore o tutore del maestro (o del figlio), invece di rispedire il ragazzino dal vecchio, affidabile e limpido maestro di prima, ancora lì vivo e vegeto e nemmeno vecchio ?
Anna
Bonum ex integra causa; malum ex quocumque defectu.
RispondiEliminaNon credo che Gherardini e Schneider non conoscano questo detto.
RispondiEliminaIn ogni caso "integra causa" rappresenta un obiettivo nobile e senza compromessi. Non vedo alcun compromesso in una cernita autorevole e veritativa.
http://www.crisinellachiesa.it/articoli/autorita/esercizio_quotidiano_della_fede/l_esercizio_quotidiano_della_fede.htm
RispondiEliminaMic,
RispondiEliminaCertamente Gherardini e Schneider conoscono questo detto. E non ci sono dei dubbi cerca la nobilità non solo dell'oggeto ma delle ambedue persone. Però, non solo loro ma tutti ci fermiamo davanti il silenzio della gerarchia. In questo post lei ha citato appena una parte dei lavori che non hanno avuto nemmeno una risposta cordiale. Se potrebbe scrivere un libro con tutti che non hanno risposta. È necessario prima di parlare o chiedere qualcosa attaccare questo silenzio di 50 anni sulle questione di gravidità senza precedenti nella Chiesa. Per quanto nobile sia le persone o l'obbieto in questione sappiamo che abbiamo di ricevere il silenzio come risposta. Questo muro dal silenzio deve cadere e noi dobbiamo fare tutto il possibile per questo.
Il Vangelo ci racconta la parabola della vedova e del giudice iniquo. Purtroppo la presente realtà in cui ci troviamo è uguale a della vedova. Dobiamo fare tutto per il giudice iniquo giudicare la nostra causa, anche fa cadere il muro del silenzio.
@ Amici che continuate a sparare a zero sul concilio.
RispondiEliminaMi pare che non abbiate capito, nonostante lo abbia espresso in tanti miei scritti, quanto anche per me il Concilio sia stato negativo per le innovazioni moderniste che ha veicolato più o meno subdolamente e applicato attraverso i corifei coriacei dai gradi più alti della gerarchia.
Ma quel che intendo dire è non basta anatemizzare il Concilio e voler tornare ad un'epoca aurea precedente. Guardiamo a cosa è fattibile e a ciò che realisticamente rischia di restare una chimera.
Le ragioni sono tutte nei testi proposti. Voi o non li avete letti o ne rifiutate i contenuti e ribadite le vostre convinzioni che comprendo e condivido in teoria ma che non ritengo realizzabili in pratica se non all'interno della FSSPX. E vedo in questo un rischio di possibile scollamento dalla realtà (è un discorso che approfondiremo).
Finché ci saranno pastori come mons. Schneider, il card. Burke et similia, credo cosa buona e giusta seguirli senza arroccamenti, verificando il cammino ulteriore che ci attende e, soprattutto, l'effettivo scioglimento di quei 'nodi' che in definitiva sono gli stessi riconosciuti dalla FSSPX.
Questo muro dal silenzio deve cadere e noi dobbiamo fare tutto il possibile per questo.
RispondiEliminaÈ ciò per cui mi adopero da anni! E conosco bene (ad alcune iniziative non solo recenti ho partecipato in prima persona). Non fate che ripetermi cose già acquisite da tempo con chiarezza e convinzione.
Oggi, di diverso, abbiamo voci autorevoli che hanno agito con incisività e universalità finora inedita. È un nuovo inizio concreto e inedito, che dovrà svilupparsi ulteriormente, perché i problemi non riguardano solo l'AL.
Noi vogliamo essere Chiesa con la sanior pars dei nostri pastori, non rimanere cani sciolti...
Quanto alla metafora della vedova e del giudice iniquo, se il giudice iniquo finora non ha ascoltato fior di studiosi, come sperare che ascolti noi?
RispondiEliminaHo già detto che il nostro impegno non è inutile come vena aurea per chi la trova o come fiume carsico per custodire... ma per risolvere il problema alle radici manca dell'incisività che viene dall'autorevolezza.
E, allora, continuiamo a ululare alla luna o seguiamo i nostri Pastori che hanno cominciato a farsi sentire?
Ma non hai ancora capito che a certi personaggi interessa solo tirare l'acqua al mulinello sedevacantista che mai e poi mai rappresenterà qualcosa di utile per il popolo cristiano?
RispondiEliminaE' solo una patetica invenzione modernista legata a gruppi politici (per lo più vecchi fasci rincoglioniti)Fin quando li assecondi è tutto un tessere gli elogi del blog , appena mostri qualche divergenza nel trattare il Concilio arrivano con fare poliziottesco e ridicolo.
Angheran,
RispondiEliminasedevacantismo e politica non si attagliano ai commentatori di questa pagina che conosco personalmente.
E' che siamo in un momento che più oscuro e confuso non si potrebbe. Per questo è importante trovare punti di riferimento certi e non disperdersi.
Cara Mic,
RispondiEliminacerchiamo per un attimo di sospendere il dibattito teologico per guardare la faccenda dal punto di vista del fedele (quale io stesso sono, per cui non posso parlare ad altro titolo).
Un fedele deve semplicemente sapere a cosa deve credere.
La questione è molto semplice: qualcuno (l'autorità ecclesiastica) mi dice che credere a CVII:
cosa implica ciò? Forse che devo credere alla libertà religiosa, all'ecumenismo, all'interreligiosità?
No grazie. Io preferisco credere a ciò che la Chiesa ha sempre creduto e a pregare come ha sempre pregato.
Tutto qui.
Importante, anzi essenziale, per noi semplici fedeli, è sapere che queste novità non sono dogmatiche, quindi non siamo tenuti a crederci per definirci cattolici. Stop.
A questo punto interessa scarsamente cercare di capire se nel Concilio vi siano parti positive che riprendono la Dottrina di sempre, perché, come fedele laico la miglior soluzione sarà quella di appellarmi direttamente a quest'ultima.
Chi me lo fa fare di andare a spulciare tra il linguaggio fluttuante del CVII per "valorizzare" quanto potrebbe esserci di buono?
Questo è un lavoro che, se proprio vogliono, possono fare i teologi.
Suppongo che i fedeli della FSSPX che ti hanno scritto si situino principalmente su un livello di fede.
D'altra parte la SPX ha prodotto testi critici sul Concilio molto puntuali, certamente anche ad uso anche dei fedeli, in quanto tutta la storia è iniziata e si è evoluta proprio in seguito all'obbligo imposto da parte dell'autorità ecclesiastica di accettare il Concilio sic et simpliciter. Bisognava dunque che anche i fedeli della Fraternità sapessero rendere ragione a se stessi e agli altri della loro posizione.
Tu dici che le loro convinzioni (che comprendi e condividi in teoria) le ritieni realizzabili solo all'interno della FSSPX.
Secondo me invece è una cosa che coinvolge tutti i fedeli, non solo quelli della Fraternità: io stesso, ancor prima di frequentare la Fraternità (quando ero un cryptolefebvriano :-) peraltro ancora attivo nel NO), già mi orientavo in quel modo, e ciò grazie soprattutto all'ottima istruzione ricevuta su questo tuo bel blog.
In definitiva mi pare che in questo dibattito si tenda a confondere i due piani:
il piano della fede, a cui si attiene il semplice fedele (per la salvezza delle anime),
e il piano scientifico speculativo riservato agli specialisti.
Non vorrei essere frainteso: i 4 cardinali hanno tutto il mio sostegno (e tu lo sai e son sicuro che non ne dubiti) proprio perché stanno lavorando appunto per la salvezza delle anime, al fine di delegittimare le ultime fantasie bergogliane sul matrimonio.
Forse che i 4 vogliono in un qualche modo salvare l'AL?
No, sono andati direttamente al nocciolo della questione facendo emergere ciò che non va e che va rigettato.
Alla fine che rimarrà dell'AL (e CVII) ?
Magistero e Concilio V2. Mons. Gherardini:
RispondiEliminaM'è stato chiesto se il Concilio Ecumenico Vaticano II abbia valore magisteriale. La domanda è mal posta.
Un Concilio – qualunque sia la sua indole ed a qualunque finalità o necessità contingente intenda rispondere – è sempre Supremo Magistero della Chiesa. Il più solenne, al livello più alto. Sotto questo profilo e prescindendo dalla materia presa in esame, ogni suo pronunciamento è sempre magisteriale. E magisteriale nel senso più proprio e più nobile del termine.
Ciò non significa che sia in assoluto vincolante. Dogmaticamente, intendo, e sul piano dei comportamenti etici. Magisteriale, infatti, non necessariamente allude al dogma o all'ambito della dottrina morale, limitandosi a qualificare un asserto o un documento o una serie di documenti provenienti dal Magistero, supremo o no. Ho escluso che sia vincolante in assoluto, perché non in assoluto lo è sempre. Il fatto stesso che anche una semplice esortazione provenga da una cattedra di tale e tanta autorevolezza, crea certamente un vincolo. Non quello che esige l'assenso incondizionato di tutti (vescovi, preti, popolo di Dio) e ne impegna la fede; ma quello che a tutti richiede un religioso ossequio interno ed esterno.
http://www.internetica.it/Magisterialit%C3%A0Concilio-Gherardini.htm
Per chiarezza
RispondiEliminaLa cappella FSSPX più vicina per me è a 80km quindi fisicante ci vado di rado.
Prendo Messa MP.
Trovo nella FSSPX importanti e documentate tesi di accusa al Vaticano II (non mi ritrovo invece nella posizione di accettabilitá al 95%, preludio accordista che secondo me è una trappola), quanto scritto in precedenza muove da qui.
Non considero il preconcilio come la perfezione (umanamenta, che non è di questa terra) ma ciò da cui ripartire.
Iniziative come quelle dei 4 Cardinali le considero molto positivamente e le sostengo con la preghiera.
Credo che questo blog sia prezioso per la battaglia per la Fede e la sua proprietaria ha tutta la mia stima.
Il sig Angheran con il suo delicato intervento si qualifica da solo, ciascuno può giudicare quale spirito lo ispiri (l'intervento): quello buono o quello cattivo. Vedere la situazione ecclesiale secondo categorie politiche è un limite duro da superare per chi è imprigionato in schemi ideoligici, anche questo è parte del veleno che appesta, anche da prima del concilio, la Chiesa e i suoi uomini, a tutti i livelli.
Marco P
A questo punto interessa scarsamente cercare di capire se nel Concilio vi siano parti positive che riprendono la Dottrina di sempre, perché, come fedele laico la miglior soluzione sarà quella di appellarmi direttamente a quest'ultima.
RispondiEliminaChi me lo fa fare di andare a spulciare tra il linguaggio fluttuante del CVII per "valorizzare" quanto potrebbe esserci di buono?
Questo è un lavoro che, se proprio vogliono, possono fare i teologi.
Caro Marius,
il problema, oggi, è che sono i teologi (quelli progressisti alla Kasper e compagnia) a fare il Magistero avallati dal pressapochismo fumoso del Capo...
Anche noi, a livello di fede, ci situiamo esattamente come i fedeli della FSSPX. Se fossi un fedele comune, mi fermerei qui e mi sentirei tranquilla.
Ma, poiché ci è stato dato di approfondire anche secondo ragione, resta fermo tutto quanto ho detto fin qui.
Il mio discorso non lo focalizzo sul difendere il concilio (e quanto di buon possa aver portato), non è questo il punto. Focalizzo il fatto che non ci si può comportare come se il concilio non ci fosse mai stato e ignorare, delle sue applicazioni, ciò che non confligge con l'insegnamento costante della Chiesa (e c'è, dal momento che Schneider Burke Sarah Caffarra Brandmuller, tanto per fare qualche nome, lo citano abbondantemente e da loro non ho mai trovato alcuna affermazione che riprenda i punti controversi ben noti. Anzi, quanto nostra aetate, ad esempio, Mons. Burke ha ribadito non trattarsi di Magistero...).
E poiché la Massa dei fedeli, nel recepire questi orientamenti, riceve l'insegnamento costante della Chiesa nonostante sia veicolato dal magistero post-conciliare condivisibile de fide, chi siamo noi per negare valore a questo magistero?
Piuttosto continuiamo ad accostarci ad esso con i criteri che i nostri maestri (come mons. Gherardini) ci hanno chiaramente indicati...
Alla fine che rimarrà dell'AL (e CVII) ?
Se non resta nulla tanto meglio. Ma non dipende da noi che, piuttosto, continuando nella nostra linea e mantenendo un confronto serio con i nostri pastori di riferimento possiamo contribuire a sciogliere i 'nodi' non ancora ufficializzati.
Comunque, tanto per fare un esempio, forse qualche luce dell'attenzione alla persona (non come assoluto) di Giovanni Paolo II, presa cum grano salis, non è poi tutta da buttar via.
E' solo ed esclusivamente per interesse(interesse oltretutto risibile ma pur sempre illecito) che tu mic continui con le tue solfe! Il cattolico non ha scelta: il conciliabolo vaticano secondo DEVE essere rigettato interamente, come DEVONO essere rigettati Montini, Luciani, Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio in quanto illegittimi Vicari di Cristo. Con buona pace di mons. Gherardini che come te ha interesse a non sconfessare praticamente tutta la propria vita al servizio della menzogna perché questa è stata ed è la sua vita, come la tua: un servizio a Satana e alle sue menzogne. Chi meglio di due superbi somari come voi e compagnia avrebbe potuto trovare il Principe di questo mondo per veicolare i suoi sulfurei veleni nella Chiesa! Sei ridicola e presuntuosa. Sei idolatra e malfidente: dovresti solo vergognarti di quel che stai facendo. Ovviamente non puoi nemmeno essere al momento definita cattolica! Non fai parte della Chiesa perché sei troppo preoccupata a costruirtene una tutta tua insieme a 4 babbioni pavidi e superbi! La tua mala fede è dimostrata dal fatto che censuri o ignori tutti i commenti che non ti fa comodo considerare mentre lasci passare insulsi commenti insultanti(vedi quelli del somaro Angheran70 che da' dei rincoglioniti ai sedevacantisti) quando sono diretti a persone che hanno provato a contraddirti. Sei una persona squallida e mi fai solo tanta pena!
RispondiEliminaL'ultima sgangherata cattedra Anonima, a riprova di cosa circola nella neo-chiesa.
RispondiEliminaChe sia un autentico sedevacantista o un troll, o uno dei tanti 'disturbati' non saprei. Quel che so è che anche questo non è solo frutto del concilio ma della povertà umana...
Piuttosto continuiamo ad accostarci ad esso con i criteri che i nostri maestri (come mons. Gherardini) ci hanno chiaramente indicati...
RispondiEliminaA proposito di mons. Gherardini riprendo un paio di passaggi dalla sua lettera a BXVI:
Beatissimo Padre, so bene che questa comunicazione diretta è anomala e gliene chiedo scusa.
Il ricorrervi dipende anzitutto dalla fiducia che ispira la sua Persona e, in pari tempo, dall'aver Ella stessa raccomandato a tutta la Chiesa, come principio interpretativo del Vaticano II, l'ermeneutica della continuità, sulla quale, se me lo consente, vorrei brevemente parlarLe.
Con tutto il rispetto per questo insigne teologo, però, Mic, a me sembra che al giorno d'oggi, per la problematica odierna, risulti un po' anacronistico.
Egli si rivolgeva a BXVI, il campione dell'ermeneutica della continuità.
Allora poteva aver senso stimolare il Papa in un lavoro del genere, con l'intento di sviscerare la verità sul CVII, di cui non solo la maggior parte dei fedeli, ma anche la maggior parte del clero conosceva (e tuttora conosce) solo certi aneddoti o gli effetti pratici pastorali di "aperture" a tutti i livelli.
Alla fine che cosa vorremo fare? arrivare al punto di poter convincere i fedeli che il "vero CVII" è tutt'altra cosa?
Devo dirti la verità: io credevo in ciò, non solo a livello di pensiero, ma in modo pratico, sul campo ho combattuto pubblicamente per questo, ci ho messo (e lasciato) la faccia, ma da tempo ormai io mi comporto proprio come tu auspichi che non si faccia ("Focalizzo il fatto che non ci si può comportare come se il concilio non ci fosse mai stato e ignorare, delle sue applicazioni, ciò che non confligge con l'insegnamento costante della Chiesa"), cioè come se il CVII non sia mai esistito. Proprio così ha detto che agisce pastoralmente anche quel sacerdote che ben conosci e che giorni fa era ospite a cena a casa nostra.
Oggi la situazione è ben diversa: al Papa regnante di detta ermeneutica non gliene può fregar de meno. A che pro dunque riprendere noi un discorso fallito sul nascere malgrado -si badi bene- fosse rivolto all'interlocutore di gran lunga il più appropriato (oggi nientemeno che passivo-emerito)?
A ciò ripensando, da tempo era nata in me l’idea - che oso ora sottoporre alla Santità Vostra - d'una grandiosa e possibilmente definitiva mess’a punto sull'ultimo Concilio in ognuno dei suoi aspetti e contenuti...
Qualora, però, non volesse agire da solo, Ella potrebbe disporre che o qualche suo dicastero, o l'insieme delle Pontificie Università dell'Urbe, o un organismo unitario e di vastissima rappresentatività, assicurandosi la collaborazione di tutti i più prestigiosi, sicuri e riconosciuti specialisti in ognuno dei settori in cui s'articola il Vaticano II, organizzi una serie di congressi d'altissima qualità a Roma o altrove; o una serie di pubblicazioni su ognuno dei documenti conciliari e sulle singole tematiche di essi.
Anche qui rilevo che siamo largamente fuori tempo massimo. Non saranno di certo in nostri baldi 4 outsiders a rappresentare un "organismo unitario e di vastissima rappresentatività".
Se metti in campo l'attuale alto clero si rischia che invece della sospirata continuità ti appioppino la sorpresa dello spirito di un bel CVIII (terzo!) con tanto di ordinazione uxorata femminile gay ecc, sul modello di Lund.
Caro Marius il discorso era fatto a QUEL papa ma non ha esaurito la sua portata. I problemi sono sempre quelli.
RispondiEliminaOra non ho tempo devo uscire. Cercherò di rifletterci ancor di più.
Dice mic "Per questo è importante trovare punti di riferimento certi e non disperdersi"
RispondiEliminaesisterebbero dunque punti di riferimento più certi del Papa per non disperdersi? Mi sa che tu non sai manco dove sta di casa l'unica vera Chiesa fondata da Gesù Cristo!
Forse è Exurge Domine che non sa più dove sta di casa un buon papa, cioè un fedele custode del Depositum Fidei.
RispondiEliminaIl papa è sempre un punto di riferimento; ma non quando appare un cattivo papa nella misura in cui sovverte l'insegnamento costante delle Chiesa dal quale non può mai essere aboslutus, cioè slegato.
La prima obbedienza è dovuta al Signore...
Effettivamente possiamo dirci papisti, in quanto cattolici, ma non siamo papolatri, ché non è la stessa cosa!
Non è che io non so più dove sta di casa un buon Papa, è che la Sede è almeno formalmente vacante ed un buon Papa attualmente non c'è! Io non sono papolatra: lei è idolatra nei confronti di quelli che più volte ha definito "i nostri 4 eroi". Io un'altra idea per definirli ce l'avrei ma, per carità cristiana, preferisco evitare di renderla nota e dedico loro un: Ave Maria, Gratia plena Dominus tecum benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui Jesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae. Amen
RispondiEliminaNoi dedichiamo loro e non solo a loro Rosari interi. Indicarli come punti di riferimento non mi pare che sia indice di idolatria, ma di ecclesialità. Non ci sono pastori senza popolo né popolo senza pastori.
RispondiEliminaChe la sede sia vacante (almeno formalmente?) lo stabilisce lei e tutti quelli che la pensano come lei?
Hís holiness declines to answer
RispondiEliminahttp://www.nytimes.com/2016/11/26/opinion/sunday/his-holiness-declines-to-answer.html?_r=2
Si scomoda anche il NY Times!
RispondiEliminahttp://querculanus.blogspot.it/2016/11/il-cambio-di-paradigma.html
RispondiElimina[...]
A nulla serve dichiarare che la dottrina non viene modificata, quando essa non serve piú a dirigere la nostra vita. Il cambio di paradigma la rende del tutto irrilevante. Ha ragione il Card. Kasper quando afferma: «Amoris laetitia non cambia uno iota della dottrina della Chiesa; eppure cambia tutto». La dottrina può anche rimanere la stessa, tanto non serve piú; potrebbe essere pure messa in museo e conservata cosí com’è, intatta nella sua purezza. Oggi, per sapere come dobbiamo comportarci, abbiamo a disposizione il discernimento, che è completamente diverso dalla rigida dottrina: esso è piú malleabile, si adatta alle diverse situazioni, può cambiare di volta in volta, diversificandosi caso per caso.
Non so se ci si renda conto della portata eversiva di questo Paradigmenwechsel: si tratta di una vera e propria rivoluzione, quella “rivoluzione pastorale” di cui parlavo in un post del marzo scorso (alla vigilia della presentazione di Amoris laetitia) e alla quale Guido Vignelli ha dedicato un saggio. Il cambiamento del paradigma non è una variazione di secondaria importanza: cambiando il paradigma, cambia davvero tutto. A questo punto, non saprei come rispondere alla domanda che il Card. Kasper pone retoricamente nel suo articolo: “Rottura o inizio di un cammino?”. A me pare tanto una rottura, la stessa identica rottura che si sarebbe voluta attuare con il Concilio Vaticano II, ma che allora non riuscí (checché ne dica la “Scuola di Bologna”).
Infine, non si può non tener conto di questo Paradigmenwechsel in fase di impostazione della “strategia difensiva” nei confronti della suddetta “rivoluzione pastorale”. Perché, se ci si oppone ad essa con gli strumenti tradizionali si rischia — come qualcuno ha fatto intelligentemente notare — di cadere nel medesimo errore commesso dai francesi durante la seconda guerra mondiale: pensavano che per difendersi dai tedeschi bastasse costruire un imponente sistema difensivo (la “linea Maginot”), che però si rivelò del tutto inutile, dal momento che i tedeschi aggirarono l’ostacolo e occuparono la Francia attraversando l’Olanda e il Belgio. Se vogliamo efficacemente opporci alla “rivoluzione pastorale” in atto, dobbiamo farlo nella piena consapevolezza del cambiamento di paradigma avvenuto e, se possibile, combattendo ad armi pari sul medesimo campo di battaglia. In caso contrario, sarà una battaglia persa in partenza.
Prima la carità la si faceva, ognuno secondo la sua sensibilità e le necessità del prossimo che cadevano sotto la sua percezione, e nessuno ne parlava. Ora di questa carità tutti ne parlano e nessuno la fa. Sono le organizzazioni a pagamento a farla a nome di chi paga, quando va bene.
RispondiEliminaTutta questa pastorale è diventata un affare politico,economico, un generico ammortizzatore sociale, un intrattenimento che, a mio parere, di religioso ha solo la dicitura.E' il guscio rimasto della lumaca bollita.
Credo sia necessario riappropriarsi di tutto anche della pastorale e del modo di fare la carità, con discrezione, partecipazione sentita.
E' invalso l'uso della sinistra di cominciare una certa iniziativa, poi la si delega ad altri, si dinamizzano i compagni, poi vai a dinamizzare un altro gruppo. Chi c'è c'è, chi capita capita, movimento gente. L'importante è muoversi e far girare energie, soldi che fanno solidarietà , sussidiarietà, pastoralità, un mondo nuovo amante, in marcia, mano nella mano...con amati sconosciuti amanti. Senza riserbo e senza rispetto. Bisogna riappropriarsi della pastorale chè custodisca la dignità di ognuno, con discrezione, amicizia vera non da cartellone pubblicitario, nè piano quinquennale della diocesi manageriale di XY. Ora ci sono i centri di ascolto nelle parrocchie. Entrare in Chiesa, cercare un sacerdote a cui raccontare i fatti ma, aprire anche il tuo cuore; è diverso, un altro rapporto. In pensione il vecchio parroco, è arrivato un team di sacerdoti che per due anni sono andati casa per casa. Quest'anno,seconda settimana di novembre, il diacono. Il diacono. Si resta come stoccafisso. Mai visto prima,mai si vedrà poi. Una catena di montaggio pastorale.Su questo piano non mi ci metto. Garbatamente declino di correre a passettini all'ambone per le letture, come declino tutte quelle altre amenità, animanti il povero popolo di Dio durante il teatrino del sacrificio del Signore ed anche nostro.Capisco di non essere al passo dei tempi, ho combattuto una vita per non mettermici, non mi ci metterò ora. Carità sì ma, non così. Fondamentalmente credo nella necessità pedagogica dell'andare a bussare, è sbagliato il gesto delle perle accattivanti buttate a casaccio.
Posso farti i complimenti Irina? Esemplare!
EliminaSolo un complemento:
RispondiEliminaIn certo senso l'Anticristo di che parla D. Fulton Sheen è la figura di Pilato.
Anche D. Fulton Sheen ha detto questo sulla prima tentazione di Gesù:
"La prima tentazione di nostro Signore tendeva a fare di lui una sorta di riformatore sociale, per dare il pane al popolo nel deserto dove nulla altro potrebbe trovare che pietre. La visione di un miglioramento sociale senza rigenerazione spirituale è stata una tentazione a cui ha ceduto miseramente, molti uomini importanti nella storia ".
Vero, Gederson. Dal che si dimostra che è una tentazione vecchia di 2000 anni, alla quale Gesù non cedette. Ergo...
RispondiEliminaPer Irina, standing ovation!