Oggi ricorre il terzo anniversario della morte di Mario Palmaro.
Ringrazio Cristiano Lugli perché col suo articolo che pubblico di seguito ci permette non solo di ricordarlo, ma anche di riproporlo per i suoi scritti e dunque per le idee, luminose e feconde, di un autentico "filosofo del diritto", testimone fino in fondo di una fede viva e militante.
In sua memoria vi segnalo anche un interessantissimo saggio di Andrea Sandri, apparso lo scorso anno su Vigiliae Alexandrinae. Vi si trovano le risposte ai perché siamo arrivati a questo punto in cui le decisioni sono dell'uomo-che-vuole, invece che dell'uomo-che-conosce, ancora capace di coniugare nel presente della storia gli inscindibili ius fas mos...
Ringrazio Cristiano Lugli perché col suo articolo che pubblico di seguito ci permette non solo di ricordarlo, ma anche di riproporlo per i suoi scritti e dunque per le idee, luminose e feconde, di un autentico "filosofo del diritto", testimone fino in fondo di una fede viva e militante.
In sua memoria vi segnalo anche un interessantissimo saggio di Andrea Sandri, apparso lo scorso anno su Vigiliae Alexandrinae. Vi si trovano le risposte ai perché siamo arrivati a questo punto in cui le decisioni sono dell'uomo-che-vuole, invece che dell'uomo-che-conosce, ancora capace di coniugare nel presente della storia gli inscindibili ius fas mos...
Ad perpetuam rei memoriam.
Mario Palmaro e il vuoto che pesa
Non voglio dire ciò che non ho la capacità di dire. Non voglio, qui, strappare alcuna lacrima a chicchessia. Non voglio nemmeno troppo parlare di chi non ho personalmente conosciuto, per non rischiare di rubare spazio a coloro che, più di me, hanno il diritto di esternarsi sulla figura di un gigante del Cattolicesimo, amico di tutti e modello eccellente di un Cristianesimo che ha letteralmente dimenticato il fine ultimo della vita.
Tutti questi non sono gli intenti di questo scritto, il quale sarà breve, conciso, semplice frutto di uno sfogo, di una stretta di cuore che oggi avviene ancora dopo tre anni dalla morte di Mario Palmaro.
Proprio ieri, in occasione di quella macabra festa che è detta "della donna", un memorandum dell'opera di questo "filosofo del diritto" mi è riaffiorata alla mente: quanto amabili furono le spiegazioni a guisa di Mario Palmaro rispetto a questo fenomeno che sta agli antipodi della devastazione della famiglia cattolica, per la quale Mario tanto si è battuto negli anni di vita terrena. L'incommensurabile opera di questo insigne giurista non ha eguali nell'attuale epoca, giacché nessun completamento, nemmeno ecclesiastico, è riuscito ad affrontare con l'attualità di Mario i problemi della bioetica, sempre più in preda e vittima di una necrocultura devastante i cui effetti oggi sormontano giorno dopo giorno senza lasciare tregua: dall'omicidio di innocenti che non lascerà presto spazio nemmeno all'obiezione di coscienza, passando per il divorzio sdoganato e semplificato dalla neo-chiesa, fino ad arrivare al suicidio assistito come forma di termine ineluttabile a vantaggio della "libertà" di ognuno.
In questa multiforme cultura di morte si sente il peso, la netta mancanza di chi questa sottocultura l'ha combattuta fino all'ultimo giorno, scendendo in prima linea sul campo di battaglia, sia da un punto di vista pratico ( si pensi alla "Marcia per la vita" ) che dal punto di vista culturale, con la penna di un professore capace di contrastare il sottobosco demonico attraverso scritti, saggi , opere ed un'infinità di conferenze.
Non voglio nemmeno addentrarmi in tutto l'operato di Mario Palmaro. Esulerebbe senza dubbio dalle mie capacità. Però una cosa è certa, e mia sia lecito dirla: se qualcuno non avesse ancora percepito la portata del lascito di Mario Palmaro in tema di Diritto e di Bioetica, perlomeno dovrebbe sentire il vuoto che la sua scomparsa ha lasciato. Ed è proprio questo il punto fondamentale del suddetto sfogo, ovverosia sentire che più passa il tempo e più la figura di Mario Palmaro manca pesantemente nella battaglia per la Fede e per la Vita.
Il vuoto è palese, forte e fa un gran boato in questa notte di Sabato Santo, in cui la morte sembra aver avuto la meglio sulla vita ma illudendosi di aver vinto una battaglia che non può vincere: "ubi est mors stimulus tuus?" . La crisi della bioetica non ha più una voce che tuoni per evidenziarla, non ha più leader culturale in grado di stanare le trappole e di non cedere a quei mezzi termini democristiani di cui il mondo cosiddetto "Prolife" è ormai imbevuto fino ai capelli.
Difficile è negare che proprio questo mondo di cui Mario è stato promulgatore agguerrito e senza cedimenti di alcun tipo, ha mollato la corda su tanti fronti: ha deciso di intraprendere una battaglia ormai fondata sui numeri più che sulla Verità, sul politicamente corretto piuttosto che sullo sradicamento di un male primordiale.
Anche in questo caso non si vuole creare qui ed oggi la sede per una simile analisi, ma ciò che è fondamentale affermare sta nella piega intrapresa dal mondo Prolife senza Mario Palamaro, incapace di comprendere le trame con cui il Diavolo si insidia, travestito da pecora, per far trionfare la morte nella fila di coloro che vorrebbero difendere la vita. Si pensi ai tristi esperimenti politici degli ultimi tempi, ai tristi Family Day in cui il numero stava alla base di una battaglia democristiana e sostenuta dalle Rocella di turno, dagli stessi che si sono fatti passare sotto il naso - alcuni dei quali pure votandola - una legge rivoltante come "la buona scuola" in cui il gender è sdoganato. Si pensi ancora a coloro i quali, con triste e fallace speranza, tentano di sconfiggere l'aborto parlando il linguaggio laico, affermando che l'aborto "deve essere legale perché non si può obbligare una donna a tenere in grembo una creatura che non vuole", salvo poi giustificare questo genere di ragionamento come tattico, alla portata di tutti e in particolare degli acattolici.
Tutto questo non ha più niente a che fare con la battaglia intrapresa da questo grande uomo cattolico, esempio fino alla fine di una vita spesa per la Verità; vita cristiana che, arrivata ad un certo punto, si è arresa alla volontà di Dio, accettando la Croce e vivendola, portandola, fino all'ultimo momento con coraggio e dedizione. Il lascito di Mario Palmaro sta venendo pian piano dimenticato, chiuso nel dimenticatoio perché troppo fastidioso per chi ha deciso di condurre una sterile lotta, che si "accontenta" di mantenere embrioni in vitro appesi tra la vita e la morte, si disinteressa dello scempio fatto attraverso la fecondazione in vitro come legge votata e voluta dai "cattolici", molti dei quali professi "pro-vita".
Oggi, più che mai, il vuoto bioetico dilaga in ogni ambiente senza risparmiare molte frange del "tradizionalismo", colpevole di non essere aggiornato sull'attualità di quella necrocultura che evolve ogni giorno di più, dai preti ai fedeli senza risparmiare nessuno.
La battaglia di Mario non può essere lasciata alla polvere dei cassetti di un passato, ma va resa attuale e compresa in tutta la sua potenza. Se ancora può sussistere una speranza, questo è grazie a quei pochi amici del Prof. Palmaro i quali, coscienti del patrimonio culturale, etico morale e cattolico scaturito dalla sua opera in vita, continuano a battersi per la vera battaglia alla conquista di una Verità che è immutabile e non soggetta a compromessi.
Il ringraziamento va dunque a persone come Elisabetta Frezza, Alessandro Gnocchi, Roberto Dal Bosco, colei che mi permette di pubblicare quanto ho scritto, siti come Riscossa Cristiana e vari altri amici che non hanno lasciato e non lasceranno mai decadere la memoria di Mario Palmaro.
Per quanto riguarda il vuoto lasciato dal "filosofo del diritto" invece, bé, su quello non credo esistano soluzioni, se non la ferma e devota speranza di rincontrarci un giorno nella gloria dei Cieli.
Requiescat in pace.
Cristiano Lugli
Da una lettera di Mario Palmaro a Riccardo Cascioli (gennaio 2014, due mesi prima del suo ritorno alla Casa del Padre):
RispondiElimina"....No, caro direttore, il mio problema non è Matteo Renzi. Il mio problema è la Chiesa cattolica. Il problema è che in questa vicenda, in questo scatenamento planetario della lobby gay, la Chiesa tace. Tace dal Papa fino all’ultimo cappellano di periferia. E se parla, il giorno dopo Padre Lombardi deve rettificare, precisare, chiarire, distinguere. Prego astenersi dal rispolverare lettere e dichiarazioni fatte dal Cardinale Mario Jorge Bergoglio dieci anni fa: se io oggi scopro mio figlio che si droga, cosa gli dico: “vai a rileggerti la dichiarazione congiunta fatta da me e da tua madre sei anni fa in cui ti dicevamo di non drogarti”? O lo prendo di petto e cerco di scuoterlo, qui e ora, meglio che posso?..."
Stralcio finale della bellissima lettera del prof. Palmaro:
RispondiElimina"....No, io non mi lamento per me.
Mi rimane però il problema di quel mio figlio di sette anni e di altri tre già più grandi, ai quali io non voglio e non posso dare come risposta i barconi che affondano a Lampedusa, i gay esempio di purezza del cardinale Shoenborn, il meticciato e l’elogio della cultura rom del cardinale Scola, il disprezzo per le randellate dottrinali secondo Papa Francesco, Mogavero che fa l’elogio delle unioni civili. A questi figli non posso contare la favola che il problema si chiama Matteo Renzi. Che per lui, fra l’altro, bastano dieci minuti ben fatti di Crozza.
Caro direttore, caro Riccardo, perché mai ti scrivo tutte queste cose? Perché questa notte non ci ho dormito. E perché io voglio capire – e lo chiedo ai lettori della Bussola - che COSA DEVE ANCORA ACCADERE IN QUESTA CHIESA perché i CATTOLICI SI ALZINO, una buona volta, in piedi. Si alzino in piedi e si mettano a gridare dai tetti tutta la loro indignazione. Attenzione: io mi rivolgo ai singoli cattolici. Non alle associazioni, alle conventicole, ai movimenti, alle sette che da anni stanno cercando di amministrare conto terzi i cervelli dei fedeli, dettando la linea agli adepti. Che mi sembrano messi tutti sotto tutela come dei minus habens, eterodiretti da figure più o meno carismatiche e più o meno affidabili. No, no: qui io faccio appello alle coscienze dei singoli, al loro cuore, alla loro fede, alla loro virilità. Prima che sia troppo tardi."
Qua la versione integrale
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-fumo-di-satana-nella-chiesa-8142.htm
http://sentinelleinpiedi.it/#appuntamenti-menu
RispondiEliminaUn grosso incolmabile vuoto.Tanto di cappello e onore al merito alla Sua vita,tutta per la Verità e per la Giustizia . Un uomo che,se è stato "Quel" e "Chi" è stato,ha avuto certo a fianco ed alle spalle una gran Famiglia...alla quale auguro,di vero ❤ un mondo di bene...per sempre.
RispondiElimina....quello che alla fine ci resta in mano è soltanto un pallido ricordo del cattolicesimo. Un corpo freddo e morto, che ha perso per strada l’amore per la Verità e la certezza della presenza viva e reale di Cristo in mezzo alla Chiesa. Un cattolicesimo senza croce e senza testimonianza, in fuga di fronte al martirio quotidiano dell’incomprensione del mondo. Non rimane che aiutare questi fratelli con l’apostolato della verità. E pregare per loro, perché grande è il pericolo che rappresentano per la salvezza di molte anime. A cominciare dalla loro. (Mario Palmaro)
RispondiEliminaIo non ho avuto l'onore di conoscere Mario Palmaro, tranne che tramite i suoi libri, però mi permetto di aggiungere una nota al testo del suo amico di sempre che troverete alle righe seguenti.
RispondiEliminaIl Professor Palmaro, organizzò PERSONALMENTE il proprio funerale.
Per essere certo di andarsene accompagnato dalla Messa Tridentina, mise il suo parroco di fronte al fatto compiuto.
Andò non a chiedere il permesso al suo parroco, ma ad informarlo che avere il funerale tridentino era un suo preciso DIRITTO, sancito in primo luogo dall'indulto PERPETUO di San Pio V e poi dal Motu Proprio S. P. di Benedetto XVI.
Visto che il parroco sembrava saperne meno di lui, non si scompose, non insistette.
Andò dal SINDACO e si occupò personalmente di tutto l'iter burocratico necessario per avere concesso l'uso della Piazza Principale. Per il celebrante, c'era solo l'imbarazzo della scelta. In questo modo, se il parroco avesse fatto difficoltà, era pronto il piano B. Inutile dire che, per amore o per forza, la chiesa non fu rifiutata.
https://www.riscossacristiana.it/fuori-moda-la-posta-di-alessandro-gnocchi-090317/
Mario Palmaro. 9 marzo 2014 – 9 marzo 2017. Mario non è morto da grande giurista, coraggioso studioso di bioetica, da ardito scrittore: è morto da cristiano. Questo è il suo vero e ineludibile testamento. Non cercate di indovinare che cosa avrebbe detto o fatto oggi per trovarne l’eredità. Il suo vero lascito è la morte, a cui si era preparato durante la vita.
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RispondiEliminaNon so se avete mai visto un uomo morire. Nell’istante in cui una vita terrena finisce, si comprende cosa fosse quell’inquieto e indescrivibile senso di eterno che ci invadeva da bambini davanti a un defunto. Terribile, definitivo eppure ineludibile, quasi attraente. Ineludibile, quasi attraente proprio perché terribile, definitivo.
Anche un bambino percepisce che, nel momento supremo, si cristallizza qualcosa che non potrà più essere mutato. Tutto il resto, i racconti, i ricordi, le chiacchiere consolatorie, le strette di mano, gli abbracci, il pianto è solo un contorno buono per l’animale sociale. L’essere liturgico, anche quando non abbia un credo religioso, si aggrappa al terribile e ineludibile istante in cui si manifesta l’eterno.
Non so se avete mai visto morire un cristiano. Io ho visto morire Mario Palmaro. Nel momento in cui tutto si compie, si comprende che quel terribile e ineludibile istante in cui si manifesta l’eterno sarà sempre lì, a lode del Signore e a giudizio degli uomini, senza peccato di orgoglio perché loda per espressa intenzione e giudica anche non volendolo fare. È il vero trionfo della santità, dei servi di Dio, che accettano di perdere in vita agli occhi del mondo perché sono certi di vincere in morte.
La vita di ogni uomo è sempre soggetta a manipolazioni, a contraffazioni, alla suggestione dei tempi e all’imperio delle mode. Per questo l’esistenza di chi si ribella a Dio trionfa facilmente su quella dei servi del Signore. Gli anni terreni dei cattivi giudicano nel tribunale del mondo gli anni terreni dei buoni. Non così l’istante della morte, che si sottrae al tempo per consegnarsi all’eterno. Allora, nel momento che conta davvero, sono i buoni, è la loro fedeltà a Dio, a giudicare la morte altrui, a darne la giusta misura e segnarne la sconfitta.
Ho fatto queste riflessioni nei giorni scorsi, quando il mondo, con la complicità della neochiesa della misericordia, ha celebrato e accompagnato la povera morte suicida di Fabiano Antoniani, per il secolo Dj Fabo. Qui non si tratta più di battaglie bioetiche e di militanza pro o contro la vita. Si tratta di operare una scelta ben più radicale tra santità e dannazione, tra Dio e la sua scimmia. Mario non è morto da grande giurista, coraggioso studioso di bioetica, da ardito scrittore: è morto da cristiano. Questo è il suo vero e ineludibile testamento. Non cercate di indovinare che cosa avrebbe detto o fatto oggi per trovarne l’eredità. Il suo vero lascito è la morte, a cui si era preparato durante la vita.
Quanto fosse fruttuosa, quella vita, specialmente quando divenne una vita malata con vista sulla morte, l’ho constatato almeno in due occasioni. La prima volta quando un comune amico sacerdote mi confidò di aver offerto al Signore la sua vita in cambio di quella di Mario. “Ma evidentemente” disse con dolore “non ne sono degno. O forse vuole proprio lui”. Per chi crede, questi sono momenti di estrema e intensa confidenza con Dio, perché chi crede sa che il Signore tiene terribilmente in conto l’offerta di se stessi. Tranne che sull’altare, mi riesce difficile immaginare un luogo in cui un sacerdote possa essere alter Christus, con più santa violenza.
La seconda volta è accaduto quando incontrai un monaco che seguiva quanto Mario e io andavamo scrivendo. Non ci eravamo mai visti prima, rimanemmo insieme tutta la giornata, poi, poco prima di lasciarci, lui si tolse un portareliquie dal collo, ne trasse un frammento di canovaccio bagnato dalla Madonna delle lacrime di Siracusa, lo tagliò in due, me ne diede metà, “Questa la porti a Mario”, mi disse. Poi mi consegnò anche un flacone con l’olio di San Charbel, il santo taumaturgo. La metà di quell’olio Mario la diede poi a me, per una compagna di classe di mia figlia, che guarì dalla brutta malattia in cui era caduta.
Quel sacerdote e quel monaco sono due dei miei pochi veri amici. Per questo, anche se ora Mario è morto, grazie a quello che mi ha lasciato, non sono solo.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
Nell'articolo di cui mi permetto di inserire il link sotto, si parla anche e soprattutto di come si può ancora aiutare la FAMIGLIA PALMARO, dando le coordinate per poterlo fare.
RispondiEliminaFU creata infatti la Associazione San Giuseppe dai suoi amici più cari, tra cui Alessandro Gnocchi (oltre a Zenone e Trevisan), e si possono fare donazioni appunto proprio per il sostentamento della MOGLIE e dei QUATTRO figli del professor PALMARO
http://www.lavocedidoncamillo.com/2017/03/tre-anni-senza-mario.html
non scordiamoci di loro...e faremo sempre un grande dono pure a Mario.