Aggiorno la pubblicazione del testo che segue che ritengo particolarmente importante. Ѐ la prima volta che un vescovo rompe il tabù dell'intoccabilità del pastorale Vaticano II, ancora vero e proprio dogma, non solo presso il clero ma anche presso la gran maggioranza dei fedeli, incoraggiati nel conformismo da facitori di opinione sempre ben attenti a non oltrepassare certi prestabiliti limiti. Possiamo dire che, dopo quello di mons. Gherardini, vi sia ora il suo appello ad una pubblica e ragionata discussione sul Concilio. Vedremo se tale appello avrà più successo di quello dell'illustre teologo, a suo tempo del tutto ignorato. Del resto, già nel 2010, Mons. Schneider aveva parlato della necessità di un "nuovo Sillabo".Sono molto grata a Mons. Athanasius Schneider, al quale ho sottoposto i miei ultimi testi [es. qui] per conoscere il suo pensiero e anche per una possibile correzione, rinnovandogli nell'occasione i sensi della nostra costante e filiale vicinanza e unione spirituale anche nella preghiera e nell'offerta, già espressi a voce nel nostro ultimo incontro. Egli non ha tardato a fornire la sua risposta (con la delicatezza di esprimersi in italiano) sul tema della collegialità, pubblicata di seguito. Risposta concretizzatasi in un documento che sostanzialmente è una conferma ma anche un ulteriore insegnamento.
Mi pare evidente che il limpido e coraggioso intervento di mons. Schneider è applicabile anche in rapporto ai recenti venti di decentramento (che diventa sovvertimento) in tema di liturgia [qui]. Sono felice di condividerla con voi e di constatare che non siamo soli, così come non sono soli i nostri carissimi Pastori di riferimento.
La dottrina sulla collegialità episcopale necessita di una
ulteriore chiarificazione teologica
ulteriore chiarificazione teologica
Il tema della collegialità episcopale come esposta nel documento del Concilio Vaticano II, Lumen gentium, resta di fatto non ancora chiarito in modo soddisfacente. Nella letteratura teologica post-conciliare si è creata una nuova teoria dei due soggetti supremi della Chiesa universale, ciò che non corrisponde alla Parola Divina scritta e alla Parola Divina trasmessa nella tradizione costante della Chiesa. Una tale teoria è contraria alla struttura divinamente stabilita della gerarchia nel corpo visibile del mistero della Chiesa.
- L’episcopato della Chiesa è uno e unico come un corpo, il quale ha il suo unico capo visibile che è il Papa, vicario del capo unico invisibile che è Cristo. I vescovi sono uniti tra loro come veri colleghi, cioè collegialmente. Sono uniti con il Papa come loro capo in modo subordinato e anche collegiale come espresso dal detto tradizionale “sub et cum Petro”.
- Il governo della Chiesa universale è monarchico da parte di Pietro e dei suoi successori, anche se loro per prudenza la governano con l’aiuto di diversi strumenti che hanno il significato e il valore di consiglio (collegio cardinalizio, consultazione di una parte o della totalità del corpo/collegio episcopale).
- Nei momenti di importanza straordinaria il Papa può porre atti strettamente collegiali, cioè lascia l’intero collegio episcopale partecipare al suo personale, monarchico ed inalienabile ministero petrino del governo della Chiesa universale. Questi momenti si realizzano di solito e tradizionalmente nella celebrazione dei Concili ecumenici. In questi momenti il Papa governa la Chiesa in modo collegiale con l’intero collegio episcopale (cum Petro). Ciò rappresenta il modo straordinario ed eccezionale del governo della Chiesa universale, un modo certamente consigliabile, non però assolutamente necessario.
- La Chiesa universale è governata da parte del Papa sempre monarchicamente, cioè come da parte di un capo, e non da parte di due capi o da parte da due soggetti (un corpo con due capi sarebbe una cosa mostruosa). Di fatto, tale teoria si diffonde spesso ai nostri giorni col vedere: un soggetto nel Papa da solo e l’altro soggetto nel collegio episcopale, che includerebbe necessariamente il Papa come suo capo. Una tale teoria è ambigua e distorce il significato della struttura monarchica e strettamente gerarchica della Chiesa divinamente stabilita.
- Il soggetto supremo del governo della Chiesa universale resta sempre il Papa come l’unico capo visibile. Egli governa ordinariamente in modo individuale e personale come lo esige la natura del suo ministero di unico Pastore supremo.
- Nel modo straordinario ed eccezionale il Papa governa la Chiesa in modo collegiale insieme con tutti i vescovi:
- di solito per mezzo dei Concili ecumenici,
- o attribuendo valore universale (in questo caso valore strettamente collegiale) agli atti di una parte dell’episcopato (p.e. attribuendo valore universale e collegiale ad alcune decisioni dottrinali e disciplinari di concili plenari, provinciali, sinodi locali o di una assemblea sinodale dei vescovi, o del “Sinodo dei Vescovi”).
- Non si tratta in questi casi di due soggetti, altrimenti sarebbero due capi, giacché non ci sono due Pastori supremi della Chiesa. Si tratta invece di un soggetto supremo, il quale governa necessariamente in modo ordinario individualmente e personalmente, e in modo straordinario - e non assolutamente necessario - collegialmente con tutti i vescovi. In questo caso il Papa ammette l’intero corpo/collegio dei vescovi a partecipare concretamente al suo primato universale. Perciò l’unico e ultimo soggetto responsabile (sine qua non) dell’atto collegiale è il Papa.
- Tale spiegazione evidenzia in modo più chiaro e più sicuro i seguenti aspetti della verità sulla struttura Divinamente stabilita della Chiesa in consonanza alla costante tradizione della Chiesa:
- C’è solo un supremo Pastore, e quindi un unico ultimo soggetto del governo universale della Chiesa, che è Pietro e i suoi successori, i Romani Pontefici.
- L’episcopato della Chiesa è uno e unico e indivisibile come un corpo vivente con il suo capo e i membri, essendo il Papa il capo e i vescovi i membri, avendo perciò l’episcopato in questo senso un carattere essenzialmente ed organicamente collegiale, non però collegiale in senso giuridico, politico, o sociologico.
- Senza l’unione gerarchica con il Papa non si può essere un vero e legittimo membro del corpo/collegio episcopale. Perciò il Papa deve ammettere un nuovo membro a far parte del corpo/collegio episcopale o dare un’approvazione successiva. La consacrazione (o ordinazione) episcopale per sé non è sufficiente.
- Il Papa è necessariamente unito e connesso con l’intero corpo episcopale, giacché un capo non può esistere senza la connessione con i membri del suo corpo. Perciò il Papa deve mantenere rapporti ordinari con i membri del corpo/collegio episcopale, p.e. tramite delle consultazioni (ascoltando il consiglio sia per mezzo epistolare, sia per mezzo del raduno di diverse assemblee episcopali), delle visite ad limina, dei legati o rappresentanti pontifici o altri mezzi adatti).
- Il Papa governa monarchicamente nel senso spirituale secondo lo spirito di Cristo, non però nel senso di un re assoluto o di un dittatore politico. Il Papa non può dire – in analogia con l’espressione del re francese Louis XIV – “La Chiesa sono io!”.
- Il primato Petrino esige l’episcopato e l’episcopato a sua volta esige il primato Petrino, come il capo necessita della connessione con i membri del suo corpo e i membri necessitano della connessione con il capo.
Una più completa spiegazione teologica dell’episcopato in rapporto con il primato Petrino era certamente necessaria dopo il Vaticano I, il quale aveva l’intenzione di farlo, ma non lo ha fatto a causa della sospensione dei lavori conciliari. Il documento del Vaticano II Lumen gentium ha tentato di farlo ed in generale questo documento ci ha dato una valida e tradizionale dottrina sull’episcopato. Nella spiegazione del principio della collegialità episcopale nel suo rapporto con il Papa, il testo di Lumen gentium contiene però alcune formulazioni che non sono dottrinalmente mature e sicure, e ciò ha costretto Papa Paolo VI a chiedere di pubblicare la famosa “Nota explicativa praevia”.
Nonostante la pubblicazione della “Nota explicativa praevia” e di altri testi della Santa Sede concernenti questo tema, la dottrina sulla collegialità episcopale nel suo rapporto con il Papa resta ancora teologicamente non sufficientemente chiara. Molti teologi post-conciliari presentano diverse teorie su questo tema con la tendenza comune di oscurare la verità della struttura gerarchica e del governo monarchico della Chiesa e di favorire teorie contrarie al senso perenne della Chiesa, come quella del conciliarismo ed episcopalismo (spesso nel senso della chiesa ortodossa) o la nuova teoria del doppio soggetto ordinario e supremo della Chiesa (il Papa e il collegio episcopale).
La dottrina di Lumen gentium sulla collegialità episcopale nel suo rapporto con il Papa necessita quindi di una ulteriore chiarificazione e maturazione teologica perché sia in modo più chiaro consona alla verità rivelata e alla tradizione costante della Chiesa.
Per questo scopo si dovrebbe favorire e creare uno spazio e un'atmosfera spirituale per una disputa teologica serena sull’esempio del metodo teologico di San Tommaso d’Aquino, il dottore universale della Chiesa.
4 marzo 2017Nonostante la pubblicazione della “Nota explicativa praevia” e di altri testi della Santa Sede concernenti questo tema, la dottrina sulla collegialità episcopale nel suo rapporto con il Papa resta ancora teologicamente non sufficientemente chiara. Molti teologi post-conciliari presentano diverse teorie su questo tema con la tendenza comune di oscurare la verità della struttura gerarchica e del governo monarchico della Chiesa e di favorire teorie contrarie al senso perenne della Chiesa, come quella del conciliarismo ed episcopalismo (spesso nel senso della chiesa ortodossa) o la nuova teoria del doppio soggetto ordinario e supremo della Chiesa (il Papa e il collegio episcopale).
La dottrina di Lumen gentium sulla collegialità episcopale nel suo rapporto con il Papa necessita quindi di una ulteriore chiarificazione e maturazione teologica perché sia in modo più chiaro consona alla verità rivelata e alla tradizione costante della Chiesa.
Per questo scopo si dovrebbe favorire e creare uno spazio e un'atmosfera spirituale per una disputa teologica serena sull’esempio del metodo teologico di San Tommaso d’Aquino, il dottore universale della Chiesa.
+ Athanasius Schneider, Vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Maria Santissima in Astana
Nel valutare le "cose della Chiesa" ci vuole sempre un "di più" di soprannaturale.
RispondiEliminaSenza questa aggiunta (che non è la goccia d'olio per insaporire, ma dovrebbe essere l'ingrediente principale del piatto) si smarrisce l'oltre e si finisce con il fare altro.
E' la caratteristica più evidente della chiesa 2.0, l'attuale release sul mercato del mondo.
Tenendo presente che un regno diviso in se stesso non può reggersi e va in rovina.
L'azione di dividere è peculiare dell'oppositore di Cristo, cioè del satana agente il mistero dell'iniquità, che è manifesto quando viene tolto di mezzo il katechon.
Il tema proposto da Mons. Schneider è fondamentale in quanto smaschera alcune pretese "altre" rispetto all'Ultra. Pretese che vorrebbero il papa (el papa) riferimento certo e da seguire anche quando non parla ex-cathedra, ma da politicante, sociologo e portavoce d'altri potenti; e che insieme accosterebbero, a quel ruolo, il "peso" di assemblee deliberanti a maggioranza più o meno qualificata, con i sistemi validi per una delibera condominiale.
L'Ultra così svanirebbe nell'assenza di dogma del primum e nei criteri mondani dei pares.
Una Chiesa siffatta più che sposa di Cristo, intenta alla salvezza delle anime, potrebbe funzionare come grande multinazionale, popolata di managers, soggetto di lobbying,
più o meno capace di fiutare il vento e sempre pronta a riposizionarsi sul mercato per soddisfare il cliente e realizzare un utile che garantisca un dividendo agli azionisti...
A inizio quaresima il vangelo ci dice che Gesù fu condotto dalla Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. Può sembrare strano che lo Spirito conduca il Verbo incarnato ad essere tentato. Può sembrare strano che la Chiesa (non la chiesa 2.0) ci inviti a quaranta giorni di penitenza desertica, fatta di silenzio, solitudine,essenzialità e prova per dover anche fare esperienza della tentazione. Eppure è così, se si è nella sposa di Cristo e non nella multinazionale bicefala, con un AD e un CdA.
Solo se si vinceranno le tentazioni, con l'aiuto di Dio, cioè respirando l'Oltre in mezzo all'altro, faremo l'esperienza del diavolo che si allontana e di angeli che si avvicinano per servire Gesù che serve la nostra redenzione.
Se andiamo veramente nel deserto saremo nella prova, il diavolo lo sa e verrà.
Ognuno di noi avrà bisogno o fame, ognuno nel proprio modo.
Dio lo permette perché lì, provati, si vedrà chi scegelieremo: se Cristo o il Suo anti.
Così si vedrà se "solo Dio basta", se è l'Ultra ciò che ci orienta.
Se la nostra fede, purezza e umiltà sono volte alla salvezza eterna o all'al di qua.
Il diavolo conosce benissimo la Sacra Scrittura. La Parola da sola non basta. Potrebbe esporci alle peggiori derive della tentazione. Ecco perché la retorica della Parola è tanto pericolosa e ha perduto molti. Il demonio traduce la Parola in un'attenzione all'io. E Gesù risponde spostando il baricentro, riportandolo su Dio. Il diavolo ci insegna io, io ,io (il raglio del somaro). Gesù ci insegna a guardare Dio, la Sua santità.
Noi dobbiamo scegliere: o l'io, diventando somari, o Dio, diventando uomini.
E' questo ciò che Pietro, come papa, esercita monarchicamente a capo della Chiesa.
E' questo che il collegio dei vescovi insegna e garantisce in ogni diocesi.
E' il primato di Dio, non dell'io.
A chi scrive dicendo che non ha letto l'articolo ma solo l'incipit e dice di preoccuparsi costruendoci su un discorso che disegna una realtà che non ha nulla a che fare con noi.
RispondiEliminaLegga l'articolo, poi ne riparliamo.
Un pastore che si rende presente e risponde, oltre a insegnare, conforta e sostiene. E raduna. Ce n'era bisogno in questo momento di silenzi assordanti o di parole al vento o persino di accuse e sviamenti.
RispondiElimina"C'è solo un supremo Pastore"
RispondiEliminaDunque la presenza di due papi è un problema reale. E molto enigmatico soprattutto perché "istituito" da un papa come Ratzinger, paradossalmente sarebbe stato più comprensibile un pontificato condiviso istituito da Bergoglio. Che si tratti di pontificato condiviso lo ha detto mons. Georg Gänswein.
"Il Papa è necessariamente unito e connesso con l’intero corpo episcopale... perciò il Papa deve mantenere rapporti ordinari con i membri del corpo/collegio episcopale"
Quindi i dubia e, aggiungerei anche le altre richieste del popolo per il tramite degli episcopati, hanno una loro logica ed importanza all'interno dell'istituzione ecclesiastica.
http://www.huffingtonpost.it/andrea-camaiora/comunicazione-il-silenzio-del-papa-non-fa-bene-alla-chiesa_b_15102036.html?utm_hp_ref=italy
RispondiEliminaUn grazie a Mons. Schneider per questa sua chiara presa di posizione. E' infatti necessario intervenire non solo sull'Amoris laetitia, ma anche su tutti gli altri punti dei documenti conciliari che hanno permesso alla Rivoluzione di entrare nella Chiesa e di sovvertire gradualmente la sua dottrina perenne.
RispondiEliminaCredo che, al di fuori dell'ambito della FSSPX, Mons. Schneider sia il primo Vescovo ad intervenire con coraggio per affrontare criticamente e con perizia questo problema fondamentale della collegialità episcopale, che tanti danni ha già fatto alla Chiesa.
Notevole il pezzo segnalato ieri sera alle 20:50, anche perché dell'Huffington Post. Difficile pensare che quel giornale sia un covo di tradizionalisti. Dimostra che il fronte critico rispetto all'operato di Francesco è molto più ampio di quanto i turiferari vogliano far credere.
RispondiElimina--
Fabrizio Giudici
RispondiEliminaSiamo tutti grati a mons. Schneider per il suo limpido e coraggioso intervento sui problemi posti dalla dottrina della collegialità insegnata dal Vaticano II. Che il pastorale Vaticano II sia intoccabile, derivando i mali presenti della Chiesa unicamente dal Postconcilio, è ancora vero e proprio dogma, non solo presso il clero ma anche presso la gran maggioranza dei fedeli, incoraggiati nel conformismo da facitori di opinione sempre ben attenti a non oltrepassare certi prestabiliti limiti.
Possiamo dire che, dopo quello di mons. Gherardini, vi sia ora il suo appello ad una pubblica e ragionata discussione sul Concilio. Vedremo se tale appello avrà più successo di quello dell'illustre teologo, a suo tempo del tutto ignorato da Papa Ratzinger.
Il testo che dà luogo alle perplessità sulla collegialità è quello di Lumen Gentium art. 22.2.
Dopo aver ribadito in termini chiari il primato di Pietro ("Infatti il Romano Pontefice in forza del suo ufficio cioè di Vicario di Cristo e pastore di tutta la Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente"), il testo così prosegue: "D'altra parte l'ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli Apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch'esso insieme col suo capo il romano Pontefice e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa, sebbene tale potestà non possa esser esercitata se non col consenso del romano Pontefice".
L'elemento nuovo consiste nell'attribuire al collegio dei vescovi la titolarità della summa potestas di governo su tutta la Chiesa assieme al Papa. Non l'esercizio, che necessita della autorizzazione del Papa, ma la titolarità col Papa. E'da questa nuova titolarita' che nasce la teoria dei due soggetti che governano a pari titolo la Chiesa: il Papa da solo e il collegio col Papa. Tale teoria è chiaramente inaccettabile e provoca una notevole confusione. Essa si basa sulla distinzione tra titolarità di un diritto ed esercizio dello stesso, distinzione di per sè legittima.
Ora, se è vero che il primato petrino è salvato dal mantenere solo al Papa il libero esercizio di questo diritto, tale mantenimento viene a sua volta contraddetto dall'aver voluto attribuire la titolarità del diritto stesso anche al collegio col Papa. Il collegio dei vescovi col Papa appare quindi vero e proprio soggetto giuridico, co-titolare della potestà di governo su tutta la Chiesa. Il Papa da solo non ne è più l'unico titolare. E questo ingenera la confusione, teorica e pratica, che oggi vediamo. La "nota praevia" che Paolo VI ha dovuto aggiungere alla costituzine L G , non risolve il problema. Almeno a mio giudizio, che non è ovviamente solo mio, ma appare già in studiosi del calibro di Romano Amerio e mons. Gherardini.
Paolo Pasqualucci
Questo come altri casi fanno comprendere l'importanza dell'apice del quale Gesù Cristo garantì la custodia lungo il tempo.
RispondiEliminaFozio, nella sua "Biblioteca", sottolineò come ,non solo una singola parola ma, un segno di interpunzione possa, a scendere, creare valanghe di errori.
Occorre grande pazienza, equanimità e giudizio capace di dividere la Verità dall'errore. In particolare oggi che l'errore è proposto come arricchimento e/o dono.
"Senza l’unione gerarchica con il Papa non si può essere un vero e legittimo membro del corpo/collegio episcopale. Perciò il Papa deve ammettere un nuovo membro a far parte del corpo/collegio episcopale o dare un’approvazione successiva. La consacrazione (o ordinazione) episcopale per sé non è sufficiente."
RispondiEliminaQuesta cosa non l'ho capita:
cosa si intende per "collegio episcopale" ragion per cui un vescovo abbisogna di un supplemento per farvi parte?
Si intende un insieme di "colleghi" che costituiscono un unico corpo (non in senso giuridico né politico né sociologico ma in senso, direi "paolino"...).
RispondiEliminaIl discorso della incorporazione successiva all'ordinazione riguarda la "giurisdizione" che solo il papa può dare.
scusa Mic la mia ignoranza...
RispondiEliminami sembra chiaro che la giurisdizione viene data successivamente dal Papa affinché il vescovo consacrato diventi ordinario di un dato luogo.
Ma qui si parla di corpo/collegio episcopale.
Significa dunque che un vescovo può far parte automaticamente del collegio episcopale solo quando ha ricevuto la giurisdizione?
Il cardinal Wuerl, uno dei grandi elettori di Bergoglio, la pensa così:
RispondiElimina"Cardinal Wuerl: Pope Francis has reconnected the church with Vatican II"
http://www.americamagazine.org/faith/2017/03/06/cardinal-wuerl-pope-francis-has-reconnected-church-vatican-ii
Il cardinale americano pensa e dice che Bergoglio ha ricollegato la Chiesa all`energia del Vaticano II.
Insomma dopo le devianze e discontinuità varie dei suoi predecessori arriva il salvatore che finalmente applica alla lettera lo spirito del "Concilio", il solo, il vero, l`unico che da solo ha cancellato il passato della Chiesa.
La Stampa non poteva non occuparsi, in termini ovvi, della recente intervista di mons. Negli.
RispondiEliminahttp://www.lastampa.it/2017/03/07/vaticaninsider/ita/vaticano/negri-motivi-gravissimi-dietro-la-rinuncia-di-benedetto-xvi-5uQC0jHKYsZ4dNwfgRffqK/pagina.html
Sulla stessa lunghezza d'onda Il Giornale:
RispondiEliminahttp://m.ilgiornale.it/news/2017/03/08/monsignor-negri-la-mano-di-obama-dietro-le-dimissioni-di-benedetto-xvi/1372635/
Tante tante parole per arrivare al solo scopo finale: quello di permettere ai divorziati risposati di ricevere la Comunione, questa volta è il turno dei vescovi campani, si parla tanto di discernimento e di accompagnamento su quel cammino, ma di che discernimento si tratta, è basato su quali valori, su quali nozioni di bene e male, e poi visto il livello e l`ideologia del clero è facile immaginare quanto e come quel cammino venga accelerato fino a fare di quelle che dovrebbero essere delle eccezioni la norma, un pò come la Comunione sulla mano.
RispondiEliminahttp://www.lastampa.it/2017/03/07/vaticaninsider/ita/vaticano/amoris-laetitia-ecco-le-linee-guida-dei-vescovi-campani-vnHukzGDspYs0Z41pjPGFM/pagina.html
Significa dunque che un vescovo può far parte automaticamente del collegio episcopale solo quando ha ricevuto la giurisdizione?
RispondiEliminaSe dice che di per sé l'ordinazione non basta mi pare ovvio.
Del resto è la situazione dei 4 vescovi ordinati da mons. Lefebvre...
@ Paolo Pasqualucci 6 marzo 2017 11:02
RispondiEliminaUn sentito grazie a Lei, prof. Pasqualucci, per essere entrato nel merito in modo puntuale enunciando la frase problematica contenuta nella Lumen Gentium.
È infatti importante non restare sulle generali nel denunciare la lacunosità del documento conciliare; occorre piuttosto identificare il punto fatidico dimostrando la sua problematicità sulla base di precisi estratti dal testo stesso.
È infatti importante non restare sulle generali nel denunciare la lacunosità del documento conciliare; occorre piuttosto identificare il punto fatidico dimostrando la sua problematicità sulla base di precisi estratti dal testo stesso.
RispondiEliminaDi questo mons. Schneider è consapevole : "il testo di Lumen gentium contiene però alcune formulazioni che non sono dottrinalmente mature e sicure... la dottrina sulla collegialità episcopale nel suo rapporto con il Papa resta ancora teologicamente non sufficientemente chiara". E per questo conclude col dire "si dovrebbe favorire e creare uno spazio e un'atmosfera spirituale per una disputa teologica serena sull’esempio del metodo teologico di San Tommaso d’Aquino, il dottore universale della Chiesa". E sull'esempio di studiosi come Pasqualucci, Gherardini, Amerio...
Ed è ciò che andiamo ripetendo da anni.
RispondiElimina# Marius
Prego. Come ha precisato Mic, mons. Schneider ha detto quello che doveva dire. Si esprime
sempre con la dovuta prudenza e nello stesso tempo dice pane al pane.
Chi ha il coraggio di dire oggi, tra i vescovi, che "la dottrina della collegialità episcopale nel suo rapporto con il Papa resta ancora non sufficientemente chiara"? Nel merito, è un'affermazione pesantissima, che in pratica mette oggettivamente sotto accusa tutto il magistero postconciliare. Ma come, 50 dopo il Concilio ancora non è chiaro il rapporto tra la (nuova) dottrina della collegialità e il Papato? E i Papi che cosa hanno fatto, se questo punto essenziale non è ancora chiaro, dopo tanti anni?
E giustamente invita ad una "disputa teologica [possibilmente] serena" sull'importante argomento, tenendo presente san Tommaso e non certo la nouvelle théologie. Un vescovo deve dire che la disputa si deve svolgere serenamente. Se non sarà serena, pazienza. Non sarà comunque colpa nostra, voglio dire di quelli che, per quello che possono, continueranno a farla questa "disputa", mantenendo un impegno che dura ormai da quasi trent'anni. PP
Queste affermazioni di mons. Schneider sono state riprese dalla FSSPX
RispondiEliminahttp://tradinews.blogspot.it/2017/05/fsspxnews-lumen-gentium-un.html