Joseph Ratzinger, ancora una volta rompe il silenzio dal 'recinto di Pietro'. “Alla Commissione teologica internazionale vanno il mio cordiale saluto e la mia speciale benedizione”.
È iniziato così il suo indirizzo di saluto fatto pervenire in occasione dell’incontro “50° Anniversario – Fondazione della Commissione teologica internazionale”, svoltosi ieri alla Pontificia Università Lateranense. Ed ora risulta ancor più assordante il suo silenzio sulle recenti profanazioni [vedi] dalla gravità inaudita, che purtroppo stanno lasciando strascichi e possiamo solo temerne le conseguenze nefaste, nonostante non manchino le preghiere e le riparazioni. Mentre con questo intervento, e le sottili allusioni soprattutto alla teologia morale, Benedetto XVI sembra voler riaffermare il Magistero della Veritatis Splendor e l'importanza dell'Istituto Giovanni Paolo II, pesantemente penalizzato dalle recenti trasformazioni [qui l'ultimo articolo che, dai link dell'incipit, riporta a diversi precedenti]. Ho dato una scorsa al documento e notato punti inesorabilmente conciliaristi; ma intanto lo pubblico e vi invito a fare le vostre di osservazioni. Immediatamente interessante il suo riferimento alla Telogia della liberazione, in linea con la sua posizione ma che suona come critica alle derive attuali, quando ricorda: "...la questione fondamentale di Gaudium et spes, vale a dire la problematica di progresso umano e salvezza cristiana. In quest’ambito - precisa - emerse inevitabilmente anche il tema della Teologia della liberazione, che in quel momento non rappresentava affatto un problema solo di tipo teorico ma determinava molto concretamente, e minacciava, anche la vita della Chiesa in Sudamerica. La passione che animava i teologi era pari al peso concreto, anche politico, della questione”.
Utile consultare indice articoli sui 'Due papi'.
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Indirizzo di saluto del Papa Emerito Benedetto XVI
in occasione del 50° anniversario di istituzione
della Commissione Teologica Internazionale
in occasione del 50° anniversario di istituzione
della Commissione Teologica Internazionale
Alla Commissione Teologica Internazionale, in occasione del suo cinquantesimo anniversario, vanno il mio cordiale saluto e la mia speciale benedizione.
Il Sinodo dei Vescovi come stabile istituzione nella vita della Chiesa e la Commissione Teologica Internazionale sono state donate ambedue alla Chiesa da Papa Paolo VI per fissare e continuare le esperienze del Concilio Vaticano II. Il distacco, che si era palesato al Concilio, fra la Teologia che andava dispiegandosi nel mondo e il Magistero del Papa doveva essere superato. Fin dall’inizio del secolo XX era stata costituita la Pontificia Commissione Biblica, che d’altronde nella sua forma originaria rappresentava essa stessa una parte del Magistero pontificio, mentre dopo il Concilio Vaticano II venne trasformata in un organo di consulenza teologica al servizio del Magistero, così da fornire un parere competente in materia biblica. Secondo l’ordinamento stabilito da Paolo VI, il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è al contempo Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale, le quali tuttavia si scelgono il loro segretario al proprio interno.
Si voleva evidenziare in tal modo che ambedue le Commissioni non sono un organo della Congregazione per la Dottrina della Fede, fatto che avrebbe potuto dissuadere certi teologi dall’accettare di divenirne membri. Il Cardinale Franjo Šeper paragonò il rapporto del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede con il Presidente delle due Commissioni alla struttura della monarchia austro-ungarica: l’imperatore d’Austria e il re d’Ungheria erano la medesima persona, mentre i due Paesi vivevano autonomamente l’uno accanto all’altro. Peraltro, la Congregazione per la Dottrina della Fede mette a disposizione delle sedute della Commissione e dei partecipanti ad esse le sue possibilità pratiche e, a tal fine, ha creato la figura del Segretario Aggiunto, che di volta in volta assicura i sussidi necessari.
Senza dubbio le attese legate alla neocostituita Commissione Teologica Internazionale, in un primo momento, sono state maggiori di quanto si è potuto realizzare nell’arco di una storia lunga mezzo secolo. Dal primo periodo di Sessioni della Commissione scaturì un’opera, Le ministère sacerdotal (10 ottobre 1970), che fu pubblicata nel 1971 dalla Casa editrice Du Cerf di Parigi ed era pensata come sussidio per il primo grande raduno del Sinodo dei Vescovi. Per il Sinodo stesso, la Commissione Teologica nominò un gruppo specifico di teologi che, quali consultori, rimasero a disposizione nella prima sessione del Sinodo dei Vescovi e, grazie a uno straordinario lavoro, fecero sì che il Sinodo potesse immediatamente pubblicare un documento sul sacerdozio da esso realizzato. Da allora, questo non è più avvenuto. Ben presto andò invece sviluppandosi la tipologia dell’Esortazione post-sinodale, la quale non è certamente un documento del Sinodo ma un documento magisteriale pontificio che riprende nel modo più ampio possibile le affermazioni del Sinodo e fa in modo così che, insieme al Papa, sia comunque l’episcopato mondiale a parlare.[1]
Personalmente, mi è rimasto particolarmente impresso il primo quinquennio della Commissione Teologica Internazionale. Doveva essere definito l’orientamento di fondo e la modalità essenziale di lavoro della Commissione, stabilendo così in che direzione, in ultima analisi, avrebbe dovuto essere interpretato il Vaticano II.
Accanto alle grandi figure del Concilio – Henri de Lubac, Yves Congar, Karl Rahner, Jorge Medina Estévez, Philippe Delhaye, Gerard Philips, Carlo Colombo di Milano, considerato il teologo personale di Paolo VI, e padre Cipriano Vagaggini –, facevano parte della Commissione teologi importanti che curiosamente al Concilio non avevano trovato posto.
Tra essi, a parte Hans Urs von Balthasar, va annoverato soprattutto Louis Bouyer che, come convertito e monaco, era una personalità estremamente caparbia, e per la sua noncurante franchezza non piaceva a molti Vescovi, ma che fu un grande collaboratore con un’incredibile vastità di sapere. Entrò poi in scena padre Marie-Joseph Le Guillou, che aveva lavorato intere notti, soprattutto durante il Sinodo dei Vescovi, rendendo così possibile in sostanza il documento del Sinodo, con questo modo radicale di servire; purtroppo si prese ben presto il morbo di Parkinson, congedandosi così precocemente da questa vita e dal lavoro teologico. Rudolf Schnackenburg incarnava l’esegesi tedesca, con tutta la pretesa che la caratterizzava. Come una sorta di polo opposto, vennero assunti volentieri nella Commissione André Feuillet e anche Heinz Schürmann di Erfurt, l’esegesi dei quali era di taglio più spirituale. Infine devo menzionare anche il prof. Johannes Feiner di Coira che, come rappresentante del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, ricopriva un ruolo particolare nella Commissione. La questione se la Chiesa cattolica avesse dovuto aderire al Consiglio ecumenico delle Chiese di Ginevra, come un membro normale a tutti gli effetti, divenne un punto decisivo sulla direzione che la Chiesa avrebbe dovuto imboccare all’indomani del Concilio. Dopo uno scontro drammatico, sulla questione si decise alla fine negativamente, cosa che indusse Feiner e Rahner ad abbandonare la Commissione.
Nella Commissione Teologica del secondo quinquennio fecero la loro comparsa figure nuove: due giovani italiani, Carlo Caffarra e padre Raniero Cantalamessa, conferirono alla Teologia di lingua italiana un nuovo peso. La Teologia di lingua tedesca, a parte i membri già presenti, con il gesuita padre Otto Semmelroth, fu rafforzata grazie a un teologo conciliare la cui capacità di formulare velocemente testi per le diverse esigenze si rivelò tanto utile alla Commissione quanto lo era stata durante il Concilio. Insieme a lui, salì alla ribalta, con Karl Lehmann, una nuova generazione, la cui concezione cominciò ad affermarsi chiaramente nei documenti ora prodotti.
Ma non è mia intenzione proseguire con la presentazione delle personalità che operarono nella Commissione Teologica, quanto offrire alcune riflessioni sui temi scelti. All’inizio sono state affrontate le questioni sul rapporto fra Magistero e Teologia, sulle quali si deve sempre necessariamente continuare a riflettere. Quello che la Commissione ha detto su questo tema nel corso dell’ultimo mezzo secolo merita di essere nuovamente ascoltato e meditato.
Sotto la guida di Lehmann venne analizzata anche la questione fondamentale di Gaudium et spes, vale a dire la problematica di progresso umano e salvezza cristiana. In quest’ambito emerse inevitabilmente anche il tema della Teologia della liberazione, che in quel momento non rappresentava affatto un problema solo di tipo teorico ma determinava molto concretamente, e minacciava, anche la vita della Chiesa in Sudamerica. La passione che animava i teologi era pari al peso concreto, anche politico, della questione.[2]
Accanto alle questioni relative al rapporto fra il Magistero della Chiesa e l’insegnamento della Teologia, uno dei principali ambiti di lavoro della Commissione Teologica è sempre stato il problema della Teologia morale. Forse è significativo che, al principio, non ci sia stata la voce dei rappresentanti della Teologia morale, ma quella degli esperti di esegesi e dogmatica: Heinz Schürmann e Hans Urs von Balthasar, nel 1974, aprirono con le loro tesi la discussione, che poi proseguì nel 1977 con il dibattito sul Sacramento del matrimonio. La contrapposizione dei fronti e la mancanza di un comune orientamento di fondo, di cui oggi soffriamo ancora quanto allora, in quel momento mi divenne chiara in modo inaudito: da una parte stava il teologo morale americano prof. William May, padre di molti figli, che veniva sempre da noi con sua moglie e sosteneva la concezione antica più rigorosa. Due volte egli dovette sperimentare il respingimento all’unanimità della sua proposta, fatto altrimenti mai verificatosi. Scoppiò in lacrime, e io stesso non potei consolarlo efficacemente. Vicino a lui stava, per quel che ricordo, il prof. John Finnis, che insegnava negli Stati Uniti e che espresse la medesima impostazione e il medesimo concetto in modo nuovo. Fu preso sul serio dal punto di vista teologico, e tuttavia neppure lui riuscì a raggiungere alcun consenso. Nel quinto quinquennio, dalla scuola del prof. Tadeusz Styczen – l’amico di Papa Giovanni Paolo II – giunse il prof. Andrzej Szoztek, un intelligente e promettente rappresentante della posizione classica, il quale comunque non riuscì a creare un consenso. Infine, padre Servais Pinckaers tentò di sviluppare a partire da san Tommaso un’etica delle virtù che mi parve molto ragionevole e convincente, e tuttavia anch’essa non riuscì a raggiungere alcun consenso.
Quanto difficile sia la situazione lo si può evincere anche dal fatto che Giovanni Paolo II, al quale stava particolarmente a cuore la Teologia morale, alla fine decise di rimandare la stesura definitiva della sua Enciclica morale Veritatis splendor, volendo attendere prima di tutto il Catechismo della Chiesa cattolica. Pubblicò la sua Enciclica solo il 6 agosto 1993, trovando ancora per essa nuovi collaboratori. Penso che la Commissione Teologica debba continuare a tenere presente il problema e debba fondamentalmente proseguire nello sforzo di ricercare un consenso.
Vorrei infine mettere in rilievo ancora un aspetto del lavoro della Commissione. In essa si è potuta sentire sempre più e sempre più forte anche la voce delle giovani Chiese riguardo alla seguente questione: fino a che punto esse sono vincolate alla tradizione occidentale e fino a che punto le altre culture possono determinare una nuova cultura teologica? Furono soprattutto i teologi provenienti dall’Africa, da un lato, e dall’India, dall’altro, a sollevare la questione, senza che sino a quel momento essa fosse stata propriamente tematizzata. E ugualmente, non è stato tematizzato sinora il dialogo con le altre grandi religioni del mondo.[3]
Alla fine dobbiamo esprimere una parola di grande gratitudine, pur con tutte le insufficienze proprie dell’umano cercare e interrogarsi. La Commissione Teologica Internazionale, nonostante tutti gli sforzi, non ha potuto raggiungere un’unità morale della Teologia e dei teologi nel mondo. Chi si attendeva questo, nutriva aspettative sbagliate sulle possibilità di un simile lavoro. E tuttavia quella della Commissione è comunque divenuta una voce ascoltata, che in qualche modo indica l’orientamento di fondo che un serio sforzo teologico deve seguire in questo momento storico. Al ringraziamento per quanto compiuto in mezzo secolo, si unisce la speranza di un ulteriore fruttuoso lavoro, nel quale l’unica fede possa portare anche a un comune orientamento del pensiero e del parlare di Dio e della sua Rivelazione.
Per quel che riguarda me personalmente, il lavoro nella Commissione Teologica Internazionale mi ha donato la gioia dell’incontro con altre lingue e forme di pensiero. Soprattutto, però, esso è stato per me continua occasione di umiltà, che vede i limiti di ciò che ci è proprio e apre così la strada alla Verità più grande.
Solo l’umiltà può trovare la Verità e la Verità a sua volta è il fondamento dell’Amore, dal quale ultimamente tutto dipende.
Città del Vaticano, Monastero “Mater Ecclesiae”, 22 ottobre 2019
Benedetto XVI
Papa Emerito
_________________________
[1] Un’eccezione è costituita in certo qual modo dal documento sul diaconato pubblicato nel 2003, elaborato su incarico della Congregazione per la Dottrina della Fede e che doveva fornire un orientamento riguardo alla questione del Diaconato, in particolare riguardo alla questione se questo ministero sacramentale potesse essere conferito anche alle donne. Il documento, elaborato con grande cura, non giunse a un risultato univoco riguardo a un eventuale Diaconato alle donne. Si decise di sottoporre la questione ai Patriarchi delle Chiese orientali, dei quali tuttavia solo molto pochi risposero. Si vide che la questione posta, in quanto tale, era di difficile comprensione per la tradizione della Chiesa orientale. Così quest’ampio studio si concludeva con l’asserzione che la prospettiva puramente storica non consentiva di giungere ad alcuna certezza definitiva. In ultima analisi, la questione doveva essere decisa sul piano dottrinale. Cfr. Commissione Teologica Internazionale, Documenti 1969-2004, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 22010, 651-766.
[2] Mi sia consentito qui un piccolo ricordo personale. Il mio amico padre Juan Alfaro sj, che alla Gregoriana insegnava soprattutto la dottrina della grazia, per ragioni a me totalmente incomprensibili negli anni, era divenuto un appassionato sostenitore della Teologia della liberazione. Non volevo perdere l’amicizia con lui e così quella fu l’unica volta nell’intero periodo della mia appartenenza alla Commissione che marinai la Sessione Plenaria.
[3] Vorrei qui accennare ancora a un curioso caso particolare. Un gesuita giapponese, padre Shun’ichi Takayanagi, aveva talmente familiarizzato con il pensiero del teologo luterano tedesco Gerhard Ebeling da argomentare completamente sulla base del suo pensiero e del suo linguaggio. Ma nessuno nella Commissione Teologica conosceva Ebeling così bene da permettere che si potesse sviluppare un dialogo fruttuoso, cosicché l’erudito gesuita giapponese abbandonò la Commissione perché il suo linguaggio e il suo pensiero in essa non riuscivano a trovare posto.
[Fonte]
Senza dubbio le attese legate alla neocostituita Commissione Teologica Internazionale, in un primo momento, sono state maggiori di quanto si è potuto realizzare nell’arco di una storia lunga mezzo secolo. Dal primo periodo di Sessioni della Commissione scaturì un’opera, Le ministère sacerdotal (10 ottobre 1970), che fu pubblicata nel 1971 dalla Casa editrice Du Cerf di Parigi ed era pensata come sussidio per il primo grande raduno del Sinodo dei Vescovi. Per il Sinodo stesso, la Commissione Teologica nominò un gruppo specifico di teologi che, quali consultori, rimasero a disposizione nella prima sessione del Sinodo dei Vescovi e, grazie a uno straordinario lavoro, fecero sì che il Sinodo potesse immediatamente pubblicare un documento sul sacerdozio da esso realizzato. Da allora, questo non è più avvenuto. Ben presto andò invece sviluppandosi la tipologia dell’Esortazione post-sinodale, la quale non è certamente un documento del Sinodo ma un documento magisteriale pontificio che riprende nel modo più ampio possibile le affermazioni del Sinodo e fa in modo così che, insieme al Papa, sia comunque l’episcopato mondiale a parlare.[1]
Personalmente, mi è rimasto particolarmente impresso il primo quinquennio della Commissione Teologica Internazionale. Doveva essere definito l’orientamento di fondo e la modalità essenziale di lavoro della Commissione, stabilendo così in che direzione, in ultima analisi, avrebbe dovuto essere interpretato il Vaticano II.
Accanto alle grandi figure del Concilio – Henri de Lubac, Yves Congar, Karl Rahner, Jorge Medina Estévez, Philippe Delhaye, Gerard Philips, Carlo Colombo di Milano, considerato il teologo personale di Paolo VI, e padre Cipriano Vagaggini –, facevano parte della Commissione teologi importanti che curiosamente al Concilio non avevano trovato posto.
Tra essi, a parte Hans Urs von Balthasar, va annoverato soprattutto Louis Bouyer che, come convertito e monaco, era una personalità estremamente caparbia, e per la sua noncurante franchezza non piaceva a molti Vescovi, ma che fu un grande collaboratore con un’incredibile vastità di sapere. Entrò poi in scena padre Marie-Joseph Le Guillou, che aveva lavorato intere notti, soprattutto durante il Sinodo dei Vescovi, rendendo così possibile in sostanza il documento del Sinodo, con questo modo radicale di servire; purtroppo si prese ben presto il morbo di Parkinson, congedandosi così precocemente da questa vita e dal lavoro teologico. Rudolf Schnackenburg incarnava l’esegesi tedesca, con tutta la pretesa che la caratterizzava. Come una sorta di polo opposto, vennero assunti volentieri nella Commissione André Feuillet e anche Heinz Schürmann di Erfurt, l’esegesi dei quali era di taglio più spirituale. Infine devo menzionare anche il prof. Johannes Feiner di Coira che, come rappresentante del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, ricopriva un ruolo particolare nella Commissione. La questione se la Chiesa cattolica avesse dovuto aderire al Consiglio ecumenico delle Chiese di Ginevra, come un membro normale a tutti gli effetti, divenne un punto decisivo sulla direzione che la Chiesa avrebbe dovuto imboccare all’indomani del Concilio. Dopo uno scontro drammatico, sulla questione si decise alla fine negativamente, cosa che indusse Feiner e Rahner ad abbandonare la Commissione.
Nella Commissione Teologica del secondo quinquennio fecero la loro comparsa figure nuove: due giovani italiani, Carlo Caffarra e padre Raniero Cantalamessa, conferirono alla Teologia di lingua italiana un nuovo peso. La Teologia di lingua tedesca, a parte i membri già presenti, con il gesuita padre Otto Semmelroth, fu rafforzata grazie a un teologo conciliare la cui capacità di formulare velocemente testi per le diverse esigenze si rivelò tanto utile alla Commissione quanto lo era stata durante il Concilio. Insieme a lui, salì alla ribalta, con Karl Lehmann, una nuova generazione, la cui concezione cominciò ad affermarsi chiaramente nei documenti ora prodotti.
Ma non è mia intenzione proseguire con la presentazione delle personalità che operarono nella Commissione Teologica, quanto offrire alcune riflessioni sui temi scelti. All’inizio sono state affrontate le questioni sul rapporto fra Magistero e Teologia, sulle quali si deve sempre necessariamente continuare a riflettere. Quello che la Commissione ha detto su questo tema nel corso dell’ultimo mezzo secolo merita di essere nuovamente ascoltato e meditato.
Sotto la guida di Lehmann venne analizzata anche la questione fondamentale di Gaudium et spes, vale a dire la problematica di progresso umano e salvezza cristiana. In quest’ambito emerse inevitabilmente anche il tema della Teologia della liberazione, che in quel momento non rappresentava affatto un problema solo di tipo teorico ma determinava molto concretamente, e minacciava, anche la vita della Chiesa in Sudamerica. La passione che animava i teologi era pari al peso concreto, anche politico, della questione.[2]
Accanto alle questioni relative al rapporto fra il Magistero della Chiesa e l’insegnamento della Teologia, uno dei principali ambiti di lavoro della Commissione Teologica è sempre stato il problema della Teologia morale. Forse è significativo che, al principio, non ci sia stata la voce dei rappresentanti della Teologia morale, ma quella degli esperti di esegesi e dogmatica: Heinz Schürmann e Hans Urs von Balthasar, nel 1974, aprirono con le loro tesi la discussione, che poi proseguì nel 1977 con il dibattito sul Sacramento del matrimonio. La contrapposizione dei fronti e la mancanza di un comune orientamento di fondo, di cui oggi soffriamo ancora quanto allora, in quel momento mi divenne chiara in modo inaudito: da una parte stava il teologo morale americano prof. William May, padre di molti figli, che veniva sempre da noi con sua moglie e sosteneva la concezione antica più rigorosa. Due volte egli dovette sperimentare il respingimento all’unanimità della sua proposta, fatto altrimenti mai verificatosi. Scoppiò in lacrime, e io stesso non potei consolarlo efficacemente. Vicino a lui stava, per quel che ricordo, il prof. John Finnis, che insegnava negli Stati Uniti e che espresse la medesima impostazione e il medesimo concetto in modo nuovo. Fu preso sul serio dal punto di vista teologico, e tuttavia neppure lui riuscì a raggiungere alcun consenso. Nel quinto quinquennio, dalla scuola del prof. Tadeusz Styczen – l’amico di Papa Giovanni Paolo II – giunse il prof. Andrzej Szoztek, un intelligente e promettente rappresentante della posizione classica, il quale comunque non riuscì a creare un consenso. Infine, padre Servais Pinckaers tentò di sviluppare a partire da san Tommaso un’etica delle virtù che mi parve molto ragionevole e convincente, e tuttavia anch’essa non riuscì a raggiungere alcun consenso.
Quanto difficile sia la situazione lo si può evincere anche dal fatto che Giovanni Paolo II, al quale stava particolarmente a cuore la Teologia morale, alla fine decise di rimandare la stesura definitiva della sua Enciclica morale Veritatis splendor, volendo attendere prima di tutto il Catechismo della Chiesa cattolica. Pubblicò la sua Enciclica solo il 6 agosto 1993, trovando ancora per essa nuovi collaboratori. Penso che la Commissione Teologica debba continuare a tenere presente il problema e debba fondamentalmente proseguire nello sforzo di ricercare un consenso.
Vorrei infine mettere in rilievo ancora un aspetto del lavoro della Commissione. In essa si è potuta sentire sempre più e sempre più forte anche la voce delle giovani Chiese riguardo alla seguente questione: fino a che punto esse sono vincolate alla tradizione occidentale e fino a che punto le altre culture possono determinare una nuova cultura teologica? Furono soprattutto i teologi provenienti dall’Africa, da un lato, e dall’India, dall’altro, a sollevare la questione, senza che sino a quel momento essa fosse stata propriamente tematizzata. E ugualmente, non è stato tematizzato sinora il dialogo con le altre grandi religioni del mondo.[3]
Alla fine dobbiamo esprimere una parola di grande gratitudine, pur con tutte le insufficienze proprie dell’umano cercare e interrogarsi. La Commissione Teologica Internazionale, nonostante tutti gli sforzi, non ha potuto raggiungere un’unità morale della Teologia e dei teologi nel mondo. Chi si attendeva questo, nutriva aspettative sbagliate sulle possibilità di un simile lavoro. E tuttavia quella della Commissione è comunque divenuta una voce ascoltata, che in qualche modo indica l’orientamento di fondo che un serio sforzo teologico deve seguire in questo momento storico. Al ringraziamento per quanto compiuto in mezzo secolo, si unisce la speranza di un ulteriore fruttuoso lavoro, nel quale l’unica fede possa portare anche a un comune orientamento del pensiero e del parlare di Dio e della sua Rivelazione.
Per quel che riguarda me personalmente, il lavoro nella Commissione Teologica Internazionale mi ha donato la gioia dell’incontro con altre lingue e forme di pensiero. Soprattutto, però, esso è stato per me continua occasione di umiltà, che vede i limiti di ciò che ci è proprio e apre così la strada alla Verità più grande.
Solo l’umiltà può trovare la Verità e la Verità a sua volta è il fondamento dell’Amore, dal quale ultimamente tutto dipende.
Città del Vaticano, Monastero “Mater Ecclesiae”, 22 ottobre 2019
Benedetto XVI
Papa Emerito
_________________________
[1] Un’eccezione è costituita in certo qual modo dal documento sul diaconato pubblicato nel 2003, elaborato su incarico della Congregazione per la Dottrina della Fede e che doveva fornire un orientamento riguardo alla questione del Diaconato, in particolare riguardo alla questione se questo ministero sacramentale potesse essere conferito anche alle donne. Il documento, elaborato con grande cura, non giunse a un risultato univoco riguardo a un eventuale Diaconato alle donne. Si decise di sottoporre la questione ai Patriarchi delle Chiese orientali, dei quali tuttavia solo molto pochi risposero. Si vide che la questione posta, in quanto tale, era di difficile comprensione per la tradizione della Chiesa orientale. Così quest’ampio studio si concludeva con l’asserzione che la prospettiva puramente storica non consentiva di giungere ad alcuna certezza definitiva. In ultima analisi, la questione doveva essere decisa sul piano dottrinale. Cfr. Commissione Teologica Internazionale, Documenti 1969-2004, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 22010, 651-766.
[2] Mi sia consentito qui un piccolo ricordo personale. Il mio amico padre Juan Alfaro sj, che alla Gregoriana insegnava soprattutto la dottrina della grazia, per ragioni a me totalmente incomprensibili negli anni, era divenuto un appassionato sostenitore della Teologia della liberazione. Non volevo perdere l’amicizia con lui e così quella fu l’unica volta nell’intero periodo della mia appartenenza alla Commissione che marinai la Sessione Plenaria.
[3] Vorrei qui accennare ancora a un curioso caso particolare. Un gesuita giapponese, padre Shun’ichi Takayanagi, aveva talmente familiarizzato con il pensiero del teologo luterano tedesco Gerhard Ebeling da argomentare completamente sulla base del suo pensiero e del suo linguaggio. Ma nessuno nella Commissione Teologica conosceva Ebeling così bene da permettere che si potesse sviluppare un dialogo fruttuoso, cosicché l’erudito gesuita giapponese abbandonò la Commissione perché il suo linguaggio e il suo pensiero in essa non riuscivano a trovare posto.
[Fonte]
Non capisco lo scopo di questi organismi. Esistono perché deve essere trovato il consenso, pur che sia, tra i partecipanti o per una comprensione approfondita della Verità Rivelata da parte dei partecipanti?
RispondiEliminaDifficile anche capire queste ricorrenze datate dal CVII. New Age della cattolica.
Mi taccio.
ancor più assordante il suo silenzio sulle recenti profanazioni
RispondiEliminaFaccio un'osservazione tecnica a questo proposito: il documento alla Commissione Teologica è datato 20 ottobre, ma è stato reso noto solo adesso, dunque certi suoi pronunciamenti escono con un certo ritardo. La vicenda pachamama è più o meno contemporanea. Vediamo se nei prossimi giorni uscirà qualcosa da parte di Ratzinger.
Noto che il documento, datato 20 ottobre, è uscito ora semplicemente perché era redatto per l'anniversario della CTI ricorrente nei giorni scorsi.
RispondiEliminaE gli eventi scandalosamente idolatrici risalgono al 4, 6 e 7 ottobre. Dunque erano già ben noti, comprese le reazioni suscitate nell'orbe cattolico.
Bah, da perfetto somaro qual sono , mi pare che qualche critica neppure troppo velata al modus operandi dell'attuale occupante la sede papale, la faccia eccome e anche sulle effettive capacità di elaborare un documento finale sinodale che possa essere in qualche modo reso effettivo da chi poi ha, in ultima analisi, il potere decisionale, accenna al problema delle difficoltà del dialogo interreligioso per mancanza di reale effettività e possibilità di successo della cosa? Certo aspettarsi una critica face to face da Ratzinger mi pare improbabile, ma a leggere e ri-leggere tra le righe spiega molto del fatto che sia contrario al modo in cui vengono gestiti e i sinodi e il magistero stesso, poi ognuno la pensi come vuole e si lustri pure gli occhi col 'generoso' dono del palazzo gentilizio per farne una specie di B&B per homeless, da parte del pampero.
RispondiEliminaLe critiche di Ratzinger sono sempre troppo sommesse e tra le righe...
RispondiEliminaIn ogni caso, per quanto riguarda le profanazioni idolatriche, altro che critiche! Esiste solo la condanna...
È vero: di fronte a quello che abbiamo visto, non ci sono giri di parole che tengano. O si condanna esplicitamente, oppure si è complici. Di fronte alla blasfemia, al rinnegamento pubblico, a Satana che entra in chiesa non ci possono essere scuse "prudenti" di nessun tipo.
RispondiEliminaMi permetto di aggiungere che la CTI è la stessa che ha "abolito" il Limbo, relegandolo nel ruolo di pura ipotesi, risalente al "medioevo", con l'entusiastica approvazione di Ratzinger, in chiaro contrasto, per l'ennesima volta, col perenne magistero della Chiesa.
RispondiEliminaAntonio
Che Dio protegga papa Benedetto XVI!
RispondiEliminaSulle profanazioni idolatriche può esistere solo la condanna, certo!
RispondiEliminaMa sulle persone e sulla loro coscienza (nel fare/non fare) ci andrei molto più cauto.
Nessuno di noi (Dio a parte...) conosce l'intenzione per cui quelli che riteniamo "deludenti" fanno/non fanno, dicono/tacciono.
Il rischio di "giudizio temerario" è pertanto da non sottovalutare.
Non va dimenticato che il giudizio temerario è un peccato ed anche uno dei più odiosi.
L'unico modo di accertarcene sarebbe di chiedere direttamente all'interessato, ma non potendolo fare sarebbero da evitare conclusioni affrettate sull'operato apparentemente incongruente di chi si è dimostrato di tutt'altra pasta, sensibilità e dottrina.
Sullo sfondo andrebbe sempre tenuto Gesù nel tempo della passione: chiamò amico anche Giuda, gli lavò i piedi, ne accettò il bacio... sopportò insulti, beffe e colpi da parte di tutti quelli che vollero infliggergliene... non replicò ai falsi testimoni e nemmeno all'inquietudine di Pilato nel suo giudicare per convenienza.
A consigliava di reagire (Pietro al Getsemani) e gli prometteva fedeltà, rimproverò l'eccessiva baldanza nel dirsene capace, prima che le circostanze ne saggiassero la tenuta.
In fondo, chiamando tre discepoli con sé al Getsemani, chiese solo di pregare, trovandoli purtroppo appisolati: perciò disse che la carne è debole, anche se uno si dice di spirito pronto e si sente portatore di certezze, coraggio e nobiltà d'animo,
Se dovessimo giudicare temerariamente Gesù dalle dichiarazioni rese in quelle ore, al mondo, potremmo pensare che non ne abbia espresse di sufficientemente chiare... Gesù invece in quelle ore si rivolge al Padre e con quello Spirito (santo) si rende obbediente a un misterioso disegno, capace di definire e chiamare "amico" persino Giuda. Ai suoi dice di pregare per non cadere in tentazione. Basterebbe e avanzerebbe (se lo facessero davvero).
E' salutare rendersene conto. Non sono le nostre parole verso il mondo, ma caso mai le nostre parole dette a Dio a far la differenza. Non la nostra parola salva, ma la Sua.
Solo la Sua: "Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito" (vangelo odierno).
Ecco la testimonianza che fa dire a Gesù: "In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!".
E non è mancato il "risultato concreto": il servo del centurione è guarito.
Lo so che sembra troppo poco rispetto a quello che ci appare un'enormità, ma dobbiamo aver fede ed esser degni di Chi adoriamo e attendiamo, il Signore Gesù, vero Dio e vero uomo.
Ratzinger torna a parlare e definisce la teologia della liberazione una minaccia per la Chiesa, in netta contraddizione con Bergoglio. Questa notizia è stata completamente oscurata dai media. Ormai in questo regime persino Benedetto XVI è eversivo.
RispondiEliminaFaccio presente che del documento date notizia solo voi nel vs.blog, tutti gli altri, compresi quelli specificatamente dedicati a Benedetto XVI, non ne fanno il minimo accenno, Fondazione Ratzinger FB, retta da Lombardi, non si aggiorna da parecchio, quindi si può dubitare di tutto/i, anche della data e ringrazio voi che l'avete pubblicato spero sia intero e non manipolato (non certo da voi)......
RispondiElimina@tralcio
RispondiEliminaL'assenza degli Apostoli non fu un merito, fu una colpa. Non è giudizio temerario puntualizzarlo. Non erano tutti assenti, comunque: Giovanni c'era. C'erano anche la Madonna, le pie donne e molti discepoli lungo il Calvario e sotto la Croce. Non è necessario prendere la spada: basterebbe almeno una lamentazione. Pubblica, perché quelle persone che ho citato erano in pubblico. Quale motivazione può esserci per tacere dinnanzi a questo obbrobrio? Dinnanzi alle eresie si diceva il pericolo di scisma, era già una scusa debole, ma mettiamo pure. Dinnanzi all'offesa a Dio, quale motivo può valere? Cosa vale più di Dio? Meglio evitare uno scisma, ma permettere il pubbllico dileggio a Dio?
Oltre che dimostrare che è libero di scrivere ciò che vuole e che tace su ciò su cui dovrebbe gridare onde non peccare di accidia,(peccato confermato da lui stesso nella nota 2, trovo irrilevante il suo linguaggio politico e democratico. Nella nota 1 non condanna il diaconato donne, nella nota 3 esalta il filoluterano incompreso. Conclude con un Amore ultimamente rivalutato che non si capisce cosa sia, dato che l'Amore si è mostrato fin dall'Incarnazione. Il sinodo quindi sarebbe uno strumento voluto da PVI per superare l'infallibilità del magistero Pontificio? Cioè si deve trovare una sintesi tra pareri e Mag.? La neve deve divenire grigia forse? Dopo il concilio quindi le commissioni sono divenute loro competenti ? Ma la cosa va male per cui c'è poi un'esortazione papale post-sinodale? Si deve stabilire in che direzione deve andare il concilio? Le grandi figure del concilio sono quelle che erano prima di esso moderniste? Cambia la dottrina? La democrazia stabilisce col voto la verità? Il Magistero non è l'applicazione della Teologia rivelata? Si deve stabilire un consenso sulla verità perché sia verità? Il numero fa la verità? La morale idem? Le chiese nuove hanno nuove culture teologiche? Non si raggiunge un'unità morale quindi si hanno tante morali diverse alla faccia dell'una Chiesa ed alla faccia della rivelazione di Gesù? Il mezzo secolo dopo il concilio è solo quello che conta per stabilire l'unità morale? Non c'è un comune orientamento nel pensiero e nel parlare d Dio e della Sua rivelazione???Lui vede i suoi limiti confrontandosi con altre forme di pensiero ...morale forse o telogico forse?
RispondiEliminaLETTERA AGLI AMICI DELLA CROCE
RispondiEliminahttp://sanluigimaria.altervista.org/lettera_amici_croce/lettera_amici_croce_2_colon.pdf
I due partiti :
2°) Si odono continuamente tra loro, parole rotte dai singhiozzi: " Soffriamo, piangiamo, digiuniamo, preghiamo, nascondiamoci, umiliamoci, facciamoci poveri, mortifichiamoci, perché chi non ha lo spirito di Gesù Cristo -e cioè lo spirito della Croce-non gli appartiene e quelli che sono di Gesù Cristo hanno crocifisso la loro carne con i suoi desideri. Bisogna essere conformi all'immagine di Gesù Cristo: diversamente andremo perduti ". " «Coraggio -vanno ancora esclamando- Coraggio! Se Dio è per noi, in noi e davanti a noi, chi sarà contro di noi? ". Colui che sta in noi è più forte di chi sta nel mondo. "Un servo non è più grande del suo padrone ". " Il momentaneo, leggero peso della tribolazione procura una quantità smisurata ed eterna di gloria ". Vi sono meno eletti di quanto non si pensi. Solo i coraggiosi e i violenti conquistano il cielo a viva forza. "Non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole " del Vangelo e non secondo quelle del mondo. Combattiamo dunque da forti, corriamo velocemente per raggiungere il traguardo e conquistare il premio ". Con queste e simili espressioni divine gli Amici della Croce si sostengono a vicenda.
ringrazio voi che l'avete pubblicato spero sia intero e non manipolato (non certo da voi)......
RispondiEliminaIl testo è ripreso dal sito Vaticano.
RispondiEliminaSe la Commissione Teologica Internazionale venisse abolita,
nessuno se ne accorgerebbe.
O.
La presenza dei due papi è già di suo una notevole anomalia ed è un unicum nella storia della Chiesa in Occidente. Che poi il papa dimesso intervenga per parare i colpi del papa regnante (o apparentemente regnante, giacché sono propenso a vedere in Bergoglio un antipapa), è ugualmente anomalo ed è pure fastidioso. Sembra la suocera che mette il becco nelle decisioni della nuora.
RispondiEliminaComprendo che Bergoglio teologicamente è molto pericoloso e quindi ha bisogno di essere calmierato ma da qualsiasi punto lo si voglia vedere si comprende benissimo che tutto ciò manifesta un cattolicesimo dal comportamento PARTICOLARMENTE malato.
Fabrizio, Tralcio si riferiva a quanto detto da me in merito al Limbo, probabilmente.
RispondiEliminaQuanto affermato dalla CTI e da Ratzinger è oggettivamente contrario al magistero bimillenario.
Come è contrario al magistero di Pio IX, Leone XIII e San Pio X,che hanno condannato il liberalismo, l'affermazione del CVII come antisillabo.
Lo stesso dicasi per l'equiparazione delle tre religioni monoteiste, per l'inconvertibilità degli Ebrei (salvezze parallele) e incontri di Assisi ,propedeutici all'apostatico sinodo panamazzonico.
Della sua buonafede o meno non me ne cale e non mi sono pronunciato, sui suoi errori oggettivi si.
nel giudizio per foro esterno non c'è nulla di temerario.
Naturalmente, Tralcio, anche questa volta,non si pronuncerà sul merito, giacchè preferisce
attaccare le persone instillando, subdolamente , sensi di colpa per i loro (presunti) giudizi temerari.
Con me non attacca, faccio spallucce.
Mi auguro che Mic non mi censuri, altrimenti pazienza.
Antonio
Caro Fabrizio, della Madonna (una mamma sotto la croce di suo figlio) nel vangelo non risultano lamentazioni. L'ultima parola pronunciata da Maria è "fate quello che (Gesù) vi dirà". Ed era la prefigurazione dell'ora decisiva: l'unica parola che conta è l'orazione (come il Salmo 21, che non è di "disperazione", ma tutto al contrario...).
RispondiEliminaLa Madonna sotto la croce non ha pensato "che Dio l'avesse imbrogliata"...
Nei mistici troviamo altro. Ad esempio Maria D'Agreda riferisce che la Vergine disse: «Mio Signore e mio Dio, siete il Padre del vostro Unigenito, che per l'eterna generazione nacque Dio vero dal Dio vero che siete voi e per l'umana generazione nacque dalle mie viscere, dove assunse la natura di uomo sottoposta alla sofferenza. Con le mie mammelle lo allattai e nutrii, e come il miglior figlio che poté giammai nascere da altra creatura lo amo. Come vera madre ho un diritto naturale su di lui e sulla sua umanità santissima, e so che mai la vostra provvidenza negherebbe un tale diritto a chi lo possiede. Adesso dunque vi restituisco questo diritto e lo pongo di nuovo nelle vostre mani, perché il vostro e mio Unigenito sia sacrificato per la salvezza del genere umano. Accogliete la mia oblazione e il mio sacrificio; non potrei infatti offrire così tanto se fossi io stessa ad essere immolata e sottoposta a tali pene e non solo perché mio Figlio è vero Dio, a voi consustanziale, ma anche e soprattutto per il dolore che mi dilania il cuore. Sarebbe per me un gran sollievo e il compimento dei miei desideri se io morissi al posto suo: cambierebbero le sorti e la sua vita verrebbe conservata».
Non sono in grado di spiegare... Tento solo di contemplare e di balbettare un commento.
Facciamo finta di non sapere nulla di JR, di non aver letto neanche un titolo dei suoi libri, articoli, saggi, facciamo finta di non conoscerlo affatto, a noi bendati qualcuno legge solo dei commenti di articoli, comparsi su un certo sito cattolico, che riguardano sempre un solo argomento. Questi commenti di solito hanno due caratteristiche, qualunque sia l'articolo sul solito argomento che venga commentato: primo, i commenti sono sempre numerosi; secondo, tra i commentatori sempre nasce qualche screzio, che si riflette nei commenti. Dopo aver seguito per qualche tempo questo fenomeno, con ormai grande serenità mi vien da dire che l'argomento regolarmente proposto ed ampiamente commentato è di per sé divisivo. Sempre.
RispondiElimina
RispondiEliminaL"indirizzo di saluto di Ratzinger qui da Mic gentilmente riprodotto
sembra appunto un "indirizzo di saluto", apologetico, elogiativo,
nei toni mai estremi tipici di Ratzinger: fa un sunto degli aspetti
principali dell'attività di questa (inutile) CTI, accenna con discrezione
a qualche critica, ricorda qualche episodio personale.
Considera l'esperienza e il lavoro della CTI una cosa proficua, nello spirito del Vaticano II, nella cui ombra continua sempre a muoversi, senza ripensamenti di alcun tipo.
Un intervento, il suo, politicamente correttissimo.
O.
La Madonna non è andata nel tempio di Gerusalemme ma sulla strada della Croce a seguire il Bestemmiatore,la Madonna ha fatto qualcosa di rivoluzionario,sottoposta ad ogni insulto di plebe,sacerdoti e teologi del tempo, non ha seguito Caifa o Anna.Il fare è di fucile ancor più del parlare a volte.
RispondiEliminami vien da dire che l'argomento regolarmente proposto ed ampiamente commentato è di per sé divisivo. Sempre.
RispondiEliminaDivisivi sono le ambiguità o gli elementi modernisti contenuti nei testi....
Carissima mic,
RispondiEliminaa mio parere a novanta e passa anni ambiguità e modernismo sempre praticati e sempre mascherati si sono incarnati, son diventati connaturali purtroppo. Nulla è impossibile al Signore, solo Lui sa e può curare, salvare.
La Madonna sotto la croce non ha pensato "che Dio l'avesse imbrogliata"...
RispondiEliminaTralcio, ma questo che c'entra? La Madonna era a piangere pubblicamente sotto la Croce, non si era chiusa in un cenacolo né mandava pizzini da decifrare. Il suo pianto valeva mille parole.
La Verità va difesa integralmente. Chi, come Ratzinger, dà "un colpo al cerchio e un altro alla botte", a mio avviso fa solo danni, creando ulteriore caos.
RispondiEliminaPaolo Coveri
Questo il finale del documento parallelo di Francesco:
RispondiElimina"...Dopo cinquant’anni di intenso lavoro c’è ancora tanta strada da percorrere, ma così facendo la Commissione adempirà la propria vocazione di essere anche modello e stimolo per quanti – laici e clero, uomini e donne – desiderano dedicarsi alla teologia. Perché solo una teologia bella, che abbia il respiro del Vangelo e non si accontenti di essere soltanto funzionale, attira. E per fare una buona teologia non bisogna mai dimenticare due dimensioni per essa costitutive. La prima è la vita spirituale: solo nella preghiera umile e costante, nell’apertura allo Spirito si può intendere e tradurre il Verbo e fare la volontà del Padre. La teologia nasce e cresce in ginocchio! La seconda dimensione è la vita ecclesiale: sentire nella Chiesa e con la Chiesa, secondo la formula di sant’Alberto Magno: «In dulcedine societatis, quaerere veritatem» (nella dolcezza della fraternità, cercare la verità). Non si fa teologia da individui, ma nella comunità, al servizio di tutti, per diffondere il gusto buono del Vangelo ai fratelli e alle sorelle del proprio tempo, sempre con dolcezza e rispetto.
E vorrei ribadire alla fine una cosa che vi ho detto: il teologo deve andare avanti, deve studiare su ciò che va oltre; deve anche affrontare le cose che non sono chiare e rischiare nella discussione. Questo però fra i teologi. Ma al popolo di Dio bisogna dare il “pasto” solido della fede, non alimentare il popolo di Dio con questioni disputate. La dimensione di relativismo, diciamo così, che sempre ci sarà nella discussione, rimanga tra i teologi - è la vostra vocazione -, ma mai portare questo al popolo, perché allora il popolo perde l’orientamento e perde la fede. Al popolo, sempre il pasto solido che alimenta la fede.
Cinquant’anni: rinnovo la mia gratitudine per quello che fate e per come lo fate, e vi auguro, con l’aiuto della Madonna, sede della sapienza, di proseguire con gioia la vostra missione. Vi do la mia benedizione e vi chiedo di continuare a pregare per me. Grazie."
http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/november/documents/papa-francesco_20191129_commissione-teologica.html
"... perché allora il popolo perde l’orientamento e perde la fede..."
RispondiEliminaMentre con la comunione ai divorziati risposati, con i riti idolatrici, con i conciliaboli insieme agli infedeli, col far politica italiana ed internazionale...il popolo la fede la mantiene!
Parallelo Ratzinger-Bergoglio: 50 anni di teologia sono i soli a contare. Cioè la nuova teologia neo-modernista è quella che conta, e deve essere solida per ingannare meglio: una teologia bella che non sia funzionale soltanto? Funzionale a cosa? Cosa vuol dire bello? Il teologo deve andare "oltre" "rischiare" …. su cosa? sulle novità dei priapi? Ed il popolo deve invece ricevere cibo solido? Quale solidità si intende? Ma la teologia bella era anche per i laici, ora è solo pei teologi, non è contraddizione? Ed il cibo solido quale sarebbe? La distinzione tra esoterismo ed essoterismo forse? Rischioso è per la fede nel pontefice? Come può infatti la verità essere rischiosa per la fede? Nel complesso comunque preferisco il testo di Bergoglio a quello di Ratzinger, persino l'appello a Maria c'è e sono indicati pure 2 requisiti necessari, se non fosse che lo Spirito citato non porta la denominazione Santo e questa è chiesa senza maiuscola, è antropologia o culto dell'uomo dal postconcilio (lo disse Paolo VI fin dalla fine dello stesso), paganesimo o culto dei demoni dalle pachamame se nn prima, quindi questa chiesa può essere ascoltata solo dai neomodernisti e dai pagani, non dai credenti autentici. E poi se i teologi devono obbedire alla chiesa dei doppi Pietri come fanno a rischiare? A meno che il sentire della loro chiesa sia sempre in sintonia col rischio, essendo ormai superato il tempo del borderline...
RispondiEliminahttps://www.radiospada.org/2019/12/lultima-lettera-di-ratzinger/comment-page-1/?unapproved=44360&moderation-hash=c398cf23bdf77ad670490e55fddf6f60#comment-44360
RispondiEliminaRadio spada considera lo scritto di Ratzinger una bomba nucleare...sulla Chiesa. Diciamo che di bombe ne abbiamo 2 principali in Vaticano.
Penso che il Papato di Francesco stia in qualche modo “scoprendo le carte” sia dei modernisti, che degli anticonciliaristi (con un’infinità di sfumature).
RispondiEliminaInfatti, se alla luce della dottrina della fede sembra evidente che molti Pastori “modernisti” sono di fatto eretici e pervertiti, o comunque non combattono l’eresia e la perversione, il “peccato originale” di questa situazione non risale, come dicono gli anticonciliaristi, al Concilio Vaticano II, tanto che la Madonna, fin dagli anni Cinquanta, aveva parlato del secolarismo all’interno della Chiesa a Bruno Cornacchiola.
Il problema degli anticonciliaristi, specie di quelli che vedono eretici e massoni ovunque, dove ci sono, ma anche dove non ci sono, è che banalizzano il fenomeno della massoneria e dell’eresia nella Chiesa, senza pensare che potrebbe essere la stessa massoneria a trarre vantaggio dal fatto che la si creda quasi padrona di tutto, perfino della Chiesa!
E’ vero, il Concilio Vaticano II non è stato un Concilio dogmatico ma, leggendone i documenti da non teologo, a me pare che la dottrina tradizionale della Chiesa sia stata fedelmente riproposta.
E se è vero che, non essendo la pastorale della Chiesa di per se infallibile, un Concilio pastorale non può essere considerato come un Concilio dogmatico, è anche vero che la pastorale della Chiesa obbliga e va seguita, a meno che non contrasti chiaramente con la fede e la morale, cosa che ritengo non riguardi le richieste e le proposte di rinnovamento del Concilio Vaticano II, che spesso indicate solo genericamente e comunque non pare contengano nulla che possa procedere da eresie o condurre a eresie.
Ad esempio, nel campo della musica sacra il Concilio fa riferimento all’organo, per cui, se negli anni Settanta si è arrivati alle così dette “Messe beat”, in cui band scatenate munite di bassi e batterie la facevano da padrone, è perché le riforme sono state male applicate e ci sono stati ABUSI dovuti a una mentalità che, purtroppo, già c’era nella società e nella Chiesa e che di lì a poco sfocerà nella rivoluzione sessantottina.
Il Concilio, semmai, ha un po’ mitigato la furia “iconoclasta” del Sessantotto.
Padre Eusebio Notte, per vari anni assistente di Padre Pio da Pietrelcina, scrive che Papa Paolo VI, quando pensò che fosse ora di chiudere il Concilio, mandò a chiedere il parere di Padre Pio, che gli fece sapere che era ora di dire basta, perché quello che il Concilio doveva dire, lo già aveva detto.
Con il senno di poi si vedono conseguenze, si tracciano percorsi di pensieri, di sentimenti mondani che riconducono al Modernismo e alle filosofie ad esso più o meno contemporanee. I famosi bastioni da abbattere erano in realtà dighe, abbattute le quali quasi nessuno si è salvato. Dietro la presunzione di credere che il passato non abbia ragion d'essere ricordato perché tutto sbagliato, sta l'ignoranza del passato e delle battaglie spirituali, morali , culturali da esso combattute. Battaglie sintetizzate nei famosi Dieci Comandamenti che l'essere umano tende a non osservare ed ogni generazione cerca di ignorare. La storia insegna che, di generazione in generazione, la battaglia si svolge, prima di tutto, sul piano spirituale del credo o non credo, dei vizi e delle virtù, che sono i grandi interpreti della storia. Ogni generazione ha il suo lato oscuro e quello luminoso e le battaglie nascono tra queste tenebre e quella Luce. Progresso è solo quello della persona decisa a seguire il Signore e se riesce ad aiutare il prossimo ché venga liberato dall'errore. Dietro questo pensiero il dolore che resta è quello di constatare che la chiesa a noi contemporanea abbia voluto ignorare o non conoscere le sue sacrosante battaglie e le sue imperdonabili sconfitte ogni volta che ha voluto mettersi al passo del mondo insieme al mondo. I teologi non debbono propinare al prossimo le loro pensate altrimenti diventino romanzieri piuttosto, il teologo deve ragionar su Dio, Uno e Trino, che trova nella Scrittura, nei Padri, nella Liturgia, nella santa vita dell'essere umano, nella amorevolmente compresa e custodita natura, il teologo tenga per sé le sue pensate. Non c'è progresso materiale che tenga, non dobbiamo aggiornarci al mondo, credo che il cattolico dovrebbe guardare la vita terrena sotto l'aspetto della sua durata insita nel nocciolo del suo essere passeggera, temporale, durata che la salda all'eternità. Allora in ogni evento storico, in ogni essere umano del passato e del presente si cercherebbero i segni di questo duraturo combattimento tra Luce e Tenebre.
RispondiEliminaVeramente P.Pio incaricò don Villa di indagare sulla Massoneria dicendogli che, oramai, era arrivata alle pantofole del papa. Era il lontano 1963. Forse anche lui vedeva massoni dappertutto.
RispondiEliminaRiguardo al Concilio ti consiglio di rileggere meglio la Gaudium e Spes e i documenti relativi all'ecumenismo, rapporti con ebraismo e le altre religioni ed ecclesiologia. Magari leggiti prima la Mortalium animos di Pio XI, poi ne riparliamo.
Che la crisi esplosa a partire dal Concilio venga da lontano é logico, addirittura ovvio ed è stato anche questo dibattuto e spiegato abbondantemente su questo blog.
Antonio
"Radio spada considera lo scritto di Ratzinger una bomba nucleare..."
RispondiEliminaVediamo alcune delle scoperte radiospadiste:
"Ratzinger conferma ciò che alcuni ignorano, molti sanno e altrettanti fingono di non sapere. Ovvero il suo essere inseparabile dal Concilio Vaticano II"
Per la miseria , questa sì che è una notizia...
Segue elenco di citazioni di autori del concilio che Ratzinger approverebbe, Congar , Rahner ecc. ecc.
Ora passano gli anni ma non passa il vizio di citare a vanvera i discorsi di Ratzinger.
D'altra parte tutto iniziò col famoso "Gesù risorto non mangiò con gli apostoli" sempre attribuito - per via di citazioni monche - a Benedetto XVI.
I"quest’ambito emerse inevitabilmente anche il tema della Teologia della liberazione, che in quel momento non rappresentava affatto un problema solo di tipo teorico ma determinava molto concretamente, e minacciava, anche la vita della Chiesa in Sudamerica".
RispondiEliminaLa Teologia tedesca è una minaccia più grande alla Chiesa che quella della liberazione. Tanto è che la Chiesa in Germania è la prima sedis dell'apostasia. Ci sono tantissimi teologi della liberazione che sono stati formati nella Germania (como il più conosciuto Leonardo Boff). Come considerare la Teologia della liberazione una minaccia alla Chiesa, e non vedere una minaccia più grande nella Teologia di Rahner?
Osservo ad Angheran che su Benedetto XVI non vengono fatte unicamente citazioni monche... il problema esiste e non si può ridurre a questo.
RispondiEliminaLA CURVA AD U DELLA TEOLOGIA CATTOLICA
RispondiEliminaLa “teologia della liberazione”
La “teologia della liberazione” è figlia della “teologia politica” di Johannes B. Metz.
«L’impulso decisivo alla formazione della teologia della liberazione venne dall’Europa», scrive G.B. Mondin, poiché essa non è altro che un «adattamento alle condizioni socio-politiche dell’America Latina della teologia politica che già alla fine degli anni Sessanta Metz e Moltmann avevano elaborato per l’Europa. Certamente i teologi [della “liberazione”], che avevano avuto una formazione teologica sostanzialmente europea, come Gutiérrez, Assmann e Boff, non potevano non essere al corrente di quello che in quegli anni stava diventando l’indirizzo teologico più rinomato e influente». http://www.sisinono.org/anteprime-dei-numeri-in-abbonamento/45-anno-2010/133-anno-xxxvi-nd-7.html
Lutero non a caso veniva da quei luoghi tedeschi…..Ad Angheran una domanda:citare a vanvera i discorsi di Ratzinger? che significa? mi spiega cosa intende BXVI nel 2018 precisando che gli ebrei non necessitano di convertirsi a Cristo? sbagliò Maria con Apostoli e discepoli, compre so il primo martire degli ebrei? Ad anonimo 23,18, oltre alle rettifiche altrui che condivido.La massoneria nella Chiesa esiste ed è documentata, il giornalista Pecorelli venne persino ammazzato per tali nomi e n.matricola ed anche il generale Mino precipitò con l'elicottero indagando tale lista su incarico del card.Siri. Quanto alla pastorale non infallibile questa è una fake delle peggiori, la pastorale deve essere applicazione (lo dice il nome stesso) del dogma e della Verità rivelata, altrimenti è falsa pastorale, pastorale luciferina. Lei lo sa che anche il fedele gode di infallibilità su tali punti?
RispondiElimina
RispondiEliminaCirca la fine di Pecorelli e del gen. Mino
Cerchiamo di non fare affermazioni che non sono state provate.
Manteniamo il discorso in ambiti controllabili.
Un conto è dire che la pastorale odierna della Chiesa, dal
Concilio in poi, sembra ispirarsi ad un umanitarismo e ad una
filantropia che rinviano ad un deismo di origine massonica,
che il falso ecumenismo perseguito rimanda ad una nozione
della divinità che ricorda assai più quella delle Legge che
quella dei Vangeli, il che fa anche supporre la presenza
di affiliati alla Setta dentro il clero - un altro conto lanciarsi in affermazioni
indimostrate e indimostrabili quali supposte prove di
"complotti" avvenuti e avvenienti.
Chi si ostina a non vedere le ambiguità e i veri propri errori contenuti nel
Vaticano II è del tutto fuori strada. L'ha detto anche mons. Viganò: bisogna
liberarsi dalla "menzogna dominante" e sottoporre il Concilio ad una ampia e
profonda "emendatio". Questo il compito, cui possiamo contribuire anche noi fedeli.
Z.
Chi potrà rispondermi?
RispondiEliminaPerché Benedetto XVI adopera la sigla P.P.
se non è il papa regnante?
RispondiEliminaLa adopera, la sigla P.P., perché si considera Papa in pensione o
emerito. Quando un professore va in pensione non perde mica il
diritto all'uso del titolo professorale. E' in pensione ma pur
sempre "prof.". A riposo dall'insegnamento, ma sempre nella sua
qualità di insegnante, quale che fosse il suo grado, se accademico
o meno.
Così Ratzinger. Ha equiparato il Papa ad un accademico in pensione.
Perciò si è tenuto l'uso del titolo, allo stesso modo di un accademico
in pensione. Papa ma "emerito", per distinguerlo appunto da un Papa
regnante, che lui Ratzinger non è più, per sua scelta, altrimenti non sarebbe "emerito".
Continuare a volerlo considerare un vero Papa anzi il vero Papa, contro la sua
stessa volontà tra l'altro, significa solo perdere il proprio tempo.