Vi ripropongo [qui] le diverse altre occasioni nelle quali Joseph Ratzinger ha rotto il silenzio che si era riproposto da quando, dopo l'abdicazione, ha scelto il 'recinto di Pietro'.
Aggiornamento: Ho trovato il tetso integrale pubblicato da ACI Stampa. Lo riporto a seguire. A domani gli approfondimenti.
Aggiornamento: Ho trovato il tetso integrale pubblicato da ACI Stampa. Lo riporto a seguire. A domani gli approfondimenti.
Apprendiamo da Catholic News Agency (traduzione nostra) che Benedetto XVI, in occasione del centenario della nascita di Giovanni Paolo II, ha scritto un messaggio al cardinale Stanisław Dziwisz, segretario personale di Giovanni Paolo II, nella quale riconosce pregi e virtù del papa polacco. Ne riporto di seguito le espressioni riprese in quell'articolo.
Purtroppo ancora una volta abbiamo a che fare con degli spezzoni e di conseguenza molte affermazioni, tolte dal contesto, potrebbero essere fuorvianti. Ma quella che non riesco ad ingoiare è la seguente: “Inoltre, a questo punto, si può trovare anche l’unità interiore del messaggio di Giovanni Paolo II e le intenzioni fondamentali di Papa Francesco: Giovanni Paolo II non è il rigorista morale, come alcuni lo hanno in parte ritratto”. Beh, se l'unità è nel concilio, il primo in maniera soft il secondo con piglio rivoluzionario (e anche oltre), hanno contribuito al ribaltamento della dottrina e alla distorsione della morale.
Purtroppo ancora una volta abbiamo a che fare con degli spezzoni e di conseguenza molte affermazioni, tolte dal contesto, potrebbero essere fuorvianti. Ma quella che non riesco ad ingoiare è la seguente: “Inoltre, a questo punto, si può trovare anche l’unità interiore del messaggio di Giovanni Paolo II e le intenzioni fondamentali di Papa Francesco: Giovanni Paolo II non è il rigorista morale, come alcuni lo hanno in parte ritratto”. Beh, se l'unità è nel concilio, il primo in maniera soft il secondo con piglio rivoluzionario (e anche oltre), hanno contribuito al ribaltamento della dottrina e alla distorsione della morale.
In una lettera di 2.000 parole in cui fonde ricordi personali e riflessioni teologiche, il Papa emerito ha ripercorso la vita di Giovanni Paolo II dalla sua nascita in una Polonia da poco indipendente, il 18 maggio 1920, fino alla sua morte alla vigilia della festa della Divina Misericordia, il 2 aprile 2005.
La lettera, datata 4 maggio, è stata pubblicata il 15 maggio alle 11 del mattino, ora locale, dall’ufficio stampa dei vescovi polacchi, che ha fornito una traduzione in inglese dall’originale tedesco.
Joseph Ratzinger ha detto che il papa polacco ha affrontato “un compito quasi impossibile” quando, nel 1978, è stato eletto al soglio pontificio come Giovanni Paolo II. “Eppure, fin dal primo momento, ha suscitato un nuovo entusiasmo per Cristo e per la sua Chiesa. Le sue parole della predica d'inizio pontificato: ‘Non abbiate paura! Aprite, spalancate le porte a Cristo!’ sono il tono e il richiamo che avrebbero caratterizzato tutto il suo pontificato e lo avrebbero reso un restauratore liberatore della Chiesa”.
Benedetto ha anche difeso l’integrità della veloce causa di santità di Giovanni Paolo II e ha suggerito che la storia determinerà se egli meriti l’epiteto di “Magno”, al fianco dei papi Leone I e Gregorio I.
Benedetto ha anche difeso l’integrità della veloce causa di santità di Giovanni Paolo II e ha suggerito che la storia determinerà se egli meriti l’epiteto di “Magno”, al fianco dei papi Leone I e Gregorio I.
Succeduto a Giovanni Paolo II come papa nel 2005, Ratzinger ha detto che il suo predecessore è nato in un momento di “oppressione” e di “grande speranza”. La Polonia aveva riconquistato l’indipendenza nel 1918, ma era ancora minacciata dalla Germania e dalla Russia. Ha quindi ricordato che dopo che i nazisti avevano occupato la Polonia nel 1939, il giovane Karol Wojtyła aveva lavorato nella cava di una industria chimica mentre si preparava segretamente al sacerdozio.
Ed ha scritto: “Naturalmente Karol non ha studiato teologia solo sui libri, ma anche attraverso l’esperienza della difficile situazione in cui lui e il suo Paese si sono trovati”. “Questa è in qualche modo una caratteristica di tutta la sua vita e del suo lavoro. Studiava sui libri, ma le domande che essi ponevano diventavano la realtà che egli profondamente sperimentava e viveva ”.
“Il Concilio Vaticano II è diventato la scuola di tutta la sua vita e della sua opera”, ha osservato, sottolineando il contributo di Giovanni Paolo II alla Costituzione pastorale del Concilio del 1965 sulla Chiesa nel mondo moderno, Gaudium et spes. “Le risposte sviluppate dal Concilio apriranno la strada alla sua missione di vescovo e, più tardi, di papa”, sostenendo che quando Giovanni Paolo II fu eletto al Soglio la Chiesa si trovava “in una situazione drammatica”.
Al riguardo ha scritto: “Le deliberazioni del Concilio erano state presentate al pubblico come una disputa sulla Fede stessa, che sembrava privare il Concilio della sua infallibile e incrollabile sicurezza [non era e non è pastorale? Anche se effettivamente è assurto a nuovo irriducibile dogma... -ndT]. Un parroco bavarese, per esempio, ha commentato la situazione dicendo: ‘Alla fine siamo caduti nella fede sbagliata’”. “Questa sensazione che nulla fosse più certo, che tutto fosse messo in discussione, si accentuava ancor più con le modalità di attuazione della riforma liturgica. Alla fine, sembrava quasi che la liturgia potesse crearsi da sola”.
Benedetto ha continuato: “Paolo VI portò a termine il Concilio con energia e determinazione, ma dopo la sua conclusione, si trovò di fronte a problemi sempre più pressanti che alla fine misero in discussione l’esistenza stessa della Chiesa”.
“A quel tempo i sociologi paragonavano la situazione della Chiesa alla situazione dell’Unione Sovietica sotto il governo di Gorbaciov, durante la quale la potente struttura dello Stato sovietico crollò sotto il processo della sua riforma”. E Giovanni Paolo II è riuscito a ristabilire l’equilibrio della Chiesa, aiutato dal fatto che la Chiesa polacca ha vissuto “un gioioso rinnovamento” sulla scia del Vaticano II mentre lottava contro il comunismo.
Il papa polacco, afferma Benedetto, attraverso i suoi lunghi viaggi e le sue 14 encicliche,ha condiviso “un messaggio di gioia” e “ha presentato in modo umano la fede della Chiesa e il suo insegnamento.
Ha identificato il “vero centro” della vita dei santi con la devozione della Divina Misericordia promossa dalla suora polacca Faustina Kowalska. Ed ha ricordato che lui stesso, all'epoca prefetto della Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede, attraverso la sua Congregazione aveva sconsigliato per due volte al papa l'istituzione della domenica della Divina Misericordia nella seconda domenica di Pasqua, aggiungendo che “Non è stato certo facile per il Santo Padre accettare la nostra risposta”. “Eppure, lo ha fatto con grande umiltà e ha accettato una seconda volta la nostra risposta negativa”. Infine, ha formulato una proposta che ha lasciato la seconda domenica di Pasqua nella sua forma storica, ma ha incluso la Divina Misericordia nel suo messaggio originale”.
“Ci sono stati spesso casi simili in cui sono rimasto impressionato dall’umiltà di questo grande papa, che ha abbandonato le idee a lui care in mancanza dell’approvazione degli organi ufficiali ai quali dovessero essere di norma richieste”.
Benedetto ha suggerito che coloro che presentano Giovanni Paolo II come un severo moralista trascurano il suo messaggio che “alla fine la misericordia di Dio è più forte della nostra debolezza”. [Alla fine, se il discorso resta monco un questi termini, nessuna differenza con quella di Bergoglio, misericordia senza pentimento. Ed ecco il punto controverso che presta il fianco a troppe perplessità, anche riguardo all'AL, ad esempio -ndT] “Inoltre, a questo punto, si può trovare anche l’unità interiore del messaggio di Giovanni Paolo II e le intenzioni fondamentali di Papa Francesco: Giovanni Paolo II non è il rigorista morale, come alcuni lo hanno in parte ritratto”.
“Con la centralità della misericordia divina, egli ci dà la possibilità di accettare le esigenze morali dell’uomo, anche se non potremo mai soddisfarle pienamente”. Inoltre, i nostri sforzi morali sono fatti alla luce della misericordia divina, che si rivela essere una forza che guarisce la nostra debolezza”.
Benedetto XVI ha ricordato che nel giorno del funerale di Giovanni Paolo II, da lui presieduto, ci sono state grida di “Santo subito!” Accanto a questi appelli alla canonizzazione, c’è stata anche una discussione “in diversi circoli intellettuali” sull’opportunità di dare a Giovanni Paolo il titolo di “Magno”. Benedetto ha rinunciato al consueto periodo di attesa di cinque anni per le cause dei santi, autorizzando l’apertura della causa appena un mese dopo la morte di Giovanni Paolo II. Ratzinger afferma di aver insistito perché il processo di canonizzazione “si svolgesse rigorosamente secondo le norme vigenti”, aggiungendo che, pur essendo chiaro che Giovanni Paolo II fosse degno di canonizzazione, era difficile definire il termine “Magno”.
Egli ha notato che solo due papi nei quasi 2.000 anni di storia del papato sono stati conosciuti come “Magni”: Leone I, che aveva convinto l'Unno Attila a risparmiare Roma, e Gregorio I, che aveva protetto la città dai Longobardi. Ha scritto: “Se confrontiamo entrambe le storie con quella di Giovanni Paolo II, la somiglianza è inconfondibile”.
“Giovanni Paolo II non aveva alcun potere militare o politico. Durante la discussione sulla forma futura dell’Europa e della Germania nel febbraio 1945, si disse che si doveva tener conto anche della reazione del Papa. Stalin chiese allora: ‘Quante divisioni ha il Papa?’ Beh, non aveva una divisione disponibile. Tuttavia, il potere della fede si rivelò essere una forza che finalmente scardinò il sistema di potere sovietico nel 1989 e rese possibile un nuovo inizio”.
“Indiscutibilmente, la fede del Papa è stata un elemento essenziale nel crollo dei poteri. E così, la grandezza che è apparsa in Leone I e Gregorio I è certamente visibile anche qui”.
Ma Benedetto ha concluso che la questione se Giovanni Paolo II debba essere chiamato “Magno” deve essere lasciata aperta.
E ha detto ancora: “È vero che la potenza e la bontà di Dio sono diventate visibili a tutti noi in Giovanni Paolo II. In un tempo in cui la Chiesa soffre di nuovo per l’oppressione del male, egli è per noi un segno di speranza e di fiducia”.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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CITTÀ DEL VATICANO , 15 maggio, 2020 / 1:00 AM (ACI Stampa).-.... Ecco il testo:
Il 18 maggio si celebrerà il centenario della nascita di Papa Giovanni Paolo II nella piccola città polacca di Wadowice.
La Polonia, divisa e occupata dai tre imperi vicini – Prussia, Russia e Austria –per oltre un secolo, riconquistò l’indipendenza dopo la prima guerra mondiale. Fu un evento che suscitò grandi speranze, ma che richiese anche grandi sforzi, visto che lo Stato che si riprendeva sentiva costantemente la pressione di entrambe le potenze – Germania e Russia. In questa situazione di oppressione, ma soprattutto di speranza, crebbe il giovane Karol Wojtyla, che purtroppo perse molto presto la madre, il fratello e infine il padre, al quale doveva la sua profonda e fervente devozione. L’attrazione particolare del giovane Karol verso la letteratura ed il teatro, lo portarono dopo la laurea allo studio di queste materie.
“Per evitare di essere deportato in Germania per i lavori forzati, nell’autunno del 1940 iniziò a lavorare come operaio fisico nella cava associata alla fabbrica chimica Solvay” (Cfr. Giovanni Paolo II, Dono e mistero). “Nell’autunno del 1942, prese la decisione definitiva di entrare nel Seminario di Cracovia, organizzato segretamente dall’arcivescovo di Cracovia Sapieha nella sua residenza. Già da operaio iniziò a studiare teologia su vecchi libri di testo, per poter essere ordinato sacerdote il 1° novembre 1946” (Cfr. Ibid.). Tuttavia, imparò la teologia non solo dai libri, ma anche traendo utili insegnamenti dal contesto specifico in cui lui ed il suo Paese si trovavano. Questo sarebbe stato un tratto peculiare che avrebbe contraddistinto tutta la sua vita ed attività. Impara dai libri, ma vive anche di questioni attuali che lo tormentano. Così, per lui da giovane vescovo – dal 1958 vescovo ausiliare e dal 1964 arcivescovo di Cracovia – il Concilio Vaticano II fu la scuola di tutta la sua vita e del suo lavoro. Le importanti questioni che emersero, soprattutto quelle relative al cosiddetto Schema XIII – la successiva Costituzione Gaudium et Spes – furono le sue domande personali. Le risposte elaborate al Concilio mostrarono l’indirizzo che avrebbe dato al suo lavoro prima da vescovo e poi da Papa.
Quando il 16 ottobre 1978 il cardinale Wojtyla fu eletto Successore di Pietro, la Chiesa si trovava in una situazione drammatica. Le deliberazioni del Concilio furono presentate in pubblico come una disputa sulla fede stessa, che sembrava così priva del suo carattere di certezza infallibile e inviolabile. Per esempio, un parroco bavarese descrisse questa situazione con le seguenti parole: “Alla fine siamo caduti in una fede sbagliata”. Questa sensazione che nulla fosse certo più, che tutto potesse essere messo in discussione, fu ulteriormente alimentata dal modo in cui fu condotta la riforma liturgica. Alla fine sembrava che anche nella liturgia tutto si potesse creare da solo. Paolo VI condusse il Concilio con vigore e decisione fino alla sua conclusione, dopo la quale affrontò problemi sempre più difficili, che alla fine misero in discussione la Chiesa stessa. I sociologi dell’epoca paragonavano la situazione della Chiesa a quella dell’Unione Sovietica sotto Gorbaciov, dove nella ricerca delle riforme necessarie l’intera potente immagine dello Stato sovietico alla fine crollò.
Così, dinnanzi al nuovo Papa si presentò di fatto un compito assai arduo da affrontare con le sole capacità umane. Dapprincipio, però, si rivelò in Giovanni Paolo II la capacità di suscitare una rinnovata ammirazione per Cristo e per la sua Chiesa. In principio furono le parole pronunciate per l’inizio del suo pontificato, il suo grido: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!” Questo tono caratterizzò tutto il suo pontificato rendendolo un rinnovatore e liberatore della Chiesa. Questo perché il nuovo Papa proveniva da un Paese dove ale il Concilio era stato accolto in modo positivo. Il fattore decisivo non fu quello di dubitare di tutto, ma di rinnovare tutto con gioia.
Nei 104 grandi viaggi pastorali che condussero il Pontefice in tutto il mondo, predicò il Vangelo come una notizia gioiosa, spiegando così anche il dovere di ricevere il bene e il Cristo.
In 14 encicliche presentò in modo nuovo la fede della Chiesa e il suo insegnamento umano. Inevitabilmente, quindi, suscitò opposizione nelle Chiese d’Occidente piene di dubbi.
Oggi mi sembra importante indicare il centro giusto dal quale leggere il messaggio contenuto nei diversi testi, il quale si pose all’attenzione di noi tutti nell’ora della sua morte. Papa Giovanni Paolo II è morto nelle prime ore della Festa della Divina Misericordia istituita da lui stesso. Vorrei inizialmente aggiungere qui una piccola nota personale che ci mostra qualcosa di importante per comprendere l’essenza e la condotta di questo Papa. Fin dall’inizio, Giovanni Paolo II rimase molto colpito dal messaggio della suora di Cracovia Faustina Kowalska, che aveva presentato la misericordia di Dio come il centro essenziale di tutta la fede cristiana e aveva voluto istituire la festa della Divina Misericordia. Dopo le consultazioni, il Papa previde per essa la Domenica in albis. Tuttavia, prima di prendere una decisione definitiva, chiese il parere della Congregazione per la Dottrina della Fede per valutare l’opportunità di tale scelta. Demmo una risposta negativa ritenendo che una data così importante, antica e piena di significato come la Domenica in albis non dovesse essere appesantita da nuove idee. Per il Santo Padre, accettare il nostro “no” non fu certo facile. Ma lo fece con tutta umiltà e accettò il nostro secondo “no”. Infine, formulò una proposta che pur lasciando alla Domenica in albis il suo significato storico, gli permise di introdurre la misericordia di Dio nel suo nella sua accezione originale. Ci sono stati spesso casi in cui rimasi impressionato dall’umiltà di questo grande Papa, che rinunciò alle sue idee favorite quando non c’era il consenso degli organi ufficiali, il quale – secondo l’ordine classico delle cose – si doveva chiedere.
Quando Giovanni Paolo II esalò l’ultimo respiro in questo mondo, si era già dopo i primi Vespri della Festa della Divina Misericordia. Ciò illuminò l’ora della sua morte: la luce della misericordia di Dio rifulse sulla sua morte come un messaggio di conforto. Nel suo ultimo libro, Memoria e identità, apparso quasi alla vigilia della sua morte, il Papa presentò ancora una volta brevemente il messaggio della misericordia divina. In esso egli fece notare che suor Faustina morì prima degli orrori della seconda guerra mondiale, ma aveva già diffuso la risposta del Signore a questi orrori. “Il male non riporta la vittoria definitiva! Il mistero pasquale conferma che il bene, in definitiva, è vittorioso; che la vita sconfigge la morte e sull’odio trionfa l’amore”.
Tutta la vita del Papa fu incentrata su questo proposito di accettare soggettivamente come suo il centro oggettivo della fede cristiana – l’insegnamento della salvezza – e di consentire agli altri di accettarlo. Grazie a Cristo risorto, la misericordia di Dio è per tutti. Anche se questo centro dell’esistenza cristiana ci è dato solo nella fede, esso ha anche un significato filosofico, perché – dato che la misericordia divina non è un dato di fatto – dobbiamo anche fare i conti con un mondo in cui il contrappeso finale tra il bene e il male non è riconoscibile. In definitiva, al di là di questo significato storico oggettivo, tutti devono sapere che la misericordia di Dio alla fine si rivelerà più forte della nostra debolezza. Qui dobbiamo trovare l’unità interiore del messaggio di Giovanni Paolo II e le intenzioni fondamentali di Papa Francesco: Contrariamente a quanto talvolta si dice, Giovanni Paolo II non è un rigorista della morale. Dimostrando l’importanza essenziale della misericordia divina, egli ci dà l’opportunità di accettare le esigenze morali poste all’uomo, benché non potremo mai soddisfarlo pienamente. I nostri sforzi morali vengono intrapresi sotto la luce della misericordia di Dio, che si rivela essere una forza che guarisce la nostra debolezza.
Durante il trapasso di Giovanni Paolo II, Piazza San Pietro era piena di persone, soprattutto di giovani, che volevano incontrare il loro Papa per l’ultima volta. Non dimenticherò mai il momento in cui l’arcivescovo Sandri annunciò la scomparsa del Papa. Soprattutto non scorderò il momento in cui la grande campana di San Pietro rivelò questa notizia. Il giorno del funerale del Santo Padre si potevano vedere moltissimi striscioni con la scritta “Santo subito”. Fu un grido che, da tutte le parti, sorse dall’incontro con Giovanni Paolo II. E non solo in Piazza San Pietro, ma in vari circoli di intellettuali si era discusso sulla possibilità di concedere a Giovanni Paolo II l’appellativo di “Magno”.
La parola “santo” indica la sfera divina, e la parola “magno” indica la dimensione umana. Secondo i principi della Chiesa, la santità viene valutata sulla base di due criteri: le virtù eroiche e il miracolo. Questi due criteri sono strettamente collegati tra di loro. Il concetto di “virtù eroiche” non significa un successo olimpico, ma il fatto che quello che dentro e attraverso una persona è visibile non ha una fonte nell’uomo stesso, ma è ciò che rivela l’azione di Dio dentro e attraverso di lui. Non si tratta di competizione morale, ma di rinunciare alla propria grandezza. Si tratta di un uomo che permette a Dio di agire dentro di sé e quindi di rendere visibile attraverso di sé l’azione e la potenza di Dio.
Lo stesso vale per il criterio del miracolo. Anche qui non si tratta di qualcosa di sensazionale, ma del fatto che la bontà guaritrice di Dio diventa visibile in un modo che supera le capacità umane. Un santo è un uomo aperto, penetrato da Dio. Un santo è una persona aperta a Dio, permeata da Dio. Un santo è uno che non concentra l’attenzione su se stesso, ma ci fa vedere e riconoscere Dio. Lo scopo dei processi di beatificazione e canonizzazione è proprio quello di esaminarlo secondo le norme della legge. Per quanto riguarda Giovanni Paolo II, entrambi i processi sono stati eseguiti rigorosamente secondo le regole vincolanti. Così ora egli si presenta davanti a noi come un padre che ci mostra la misericordia e la bontà di Dio.
È più difficile definire correttamente il termine “magno”. Durante i quasi duemila anni di storia del papato, l’appellativo “Magno” è stato adottato solo con riferimento a due papi: a Leone I (440-461) e a Gregorio I (590-604). La parola “magno” ha un’impronta politica presso entrambi, ma nel senso che, attraverso i successi politici, si rivela qualcosa del mistero di Dio stesso. Leone Magno, in una conversazione con il capo degli unni Attila, lo convinse a risparmiare Roma, la città degli apostoli Pietro e Paolo. Senza armi, senza potere militare o politico, riuscì a persuadere il terribile tiranno a risparmiare Roma grazie alla propria convinzione della fede. Nella lotta dello spirito contro il potere, lo spirito si dimostrò più forte.
Gregorio I non ottenne un successo altrettanto spettacolare, ma riuscì comunque a salvare più volte Roma dai Longobardi – anche lui, contrapponendo lo spirito al potere, riportò la vittoria dello spirito.
Quando confrontiamo la storia di entrambi con quella di Giovanni Paolo II, la somiglianza è innegabile. Anche Giovanni Paolo II non aveva né forza militare né potere politico. Nel febbraio 1945, quando si parlava della futura forma dell’Europa e della Germania, qualcuno fece notare che bisognava tener conto anche dell’opinione del Papa. Stalin chiese allora: “Quante divisioni ha il Papa?” Naturalmente non ne aveva. Ma il potere della fede si rivelò una forza che, alla fine del 1989, sconvolse il sistema di potere sovietico e permise un nuovo inizio. Non c’è dubbio che la fede del Papa sia stata un elemento importante per infrangere questo potere. E anche qui possiamo certamente vedere la grandezza che si manifestò nel caso di Leone I e Gregorio I.
La questione se in questo caso l’appellativo “magno” sarà accettato o meno deve essere lasciata aperta. È vero che in Giovanni Paolo II la potenza e la bontà di Dio è diventata visibile a tutti noi. In un momento in cui la Chiesa soffre di nuovo per l’assalto del male, egli è per noi un segno di speranza e di conforto.
Caro San Giovanni Paolo II, prega per noi!
Ipotizzo che questo osannare i Papi post 1958 sia un voler consolidare la chiesa renana CVIIista che ha perso e sta perdendo pezzi e credibilità e, in vista dell'uscita, sia un'ulteriore auto/promozione, senza dar nell'occhio, verso una futura sua santità emerita.
RispondiEliminaCe n’è per tutti i gusti. Tranne che per quelli cattolici.
RispondiEliminaIl primo incontro tra Ratzinger e Karol Wojtyla avvenne durante la conclave che decise con la fumata bianca l’elezione a Papa di Wojtyla, un incontro di cui lo stesso futuro Papa Ratzinger ha raccontato poi così: “ho provato sin dall’inizio una grande venerazione e una cordiale simpatia per il Metropolita di Cracovia. Percepii subito con forza il fascino umano che egli emanava e, da come pregava, avvertii quanto fosse profondamente unito con Dio”.
RispondiEliminaC'è ancora qualcuno che crede che Ratzinger non abbia deviato (e molte volte!) dalla Fede?
RispondiEliminaE pensare che c'è chi, contro ogni evidenza logica e teologica, lo ritiene ancora papa!
Ed il fatto che sembri ritenere una cosa negativa il "rigorismo morale" ci fa capire il perchè promuovesse i peggiori e non rimuovesse gli eretici e gli scandalizzatori.
A leggere cose simili si capisce ancora meglio quanto eroico sia stato mons. Lefebvre!
RispondiEliminaCome dobbiamo valutare questo lungo pontificato?
RispondiEliminaMa credete realmente a questi testi di Benedetto interpolati?
RispondiEliminaUna conferma dell'anomalia della chiesa bicefala, personalmente ritengo che GPII sia santo al di là dei santi subito o dei magni che sanno di illuminazione gnostica esterna, come pure altre incensazioni a lui date in vita, si ripete il canovaccio di Madre Teresa pure per lui, direi, avendo armi spuntate i poteri occulti hanno scelto di inquadrarlo a loro uso e consumo nella loro logica,mentre la loro vita fu presumo sofferente, che emerge netta in questo documento di Ratzinger. Molto utile quanto qui viene affermato per inquadrare i fatti: si deve partire dal 1958, ormai è evidente e lapalissiano. Il Concilio era troppo scricchiolante, serviva un puntello, e GPII in buona fede (col comunismo la sua formazione fu probabilmente carente) è servito allo scopo. E' stato usato ed ha funzionato, ora però deve crollare tutto.Il mostro bicefalo resta un mostro.
RispondiEliminaMa il testo che ho io scaricato non fa menzione di bergoglio da nessuna parte, boh!
RispondiEliminaDi bergoglio no, ma di Francesco qui:
RispondiEliminaTesto pubblicato da ACIstampa
"...tutti devono sapere che la misericordia di Dio alla fine si rivelerà più forte della nostra debolezza. Qui dobbiamo trovare l’unità interiore del messaggio di Giovanni Paolo II e le intenzioni fondamentali di Papa Francesco: Contrariamente a quanto talvolta si dice, Giovanni Paolo II non è un rigorista della morale. "
Alla fine anche Ratzinger è un post conciliare. Forse solo meno apertamente degli altri..
RispondiEliminaSempre al CVII si va a finire, ogni problema nasce da lì.
RispondiEliminaOra capisco perché molti 'diversamente cattolici', tra amici e parenti (quelli che, per intenderci, non ritengono importante andare a Messa, ne' il matrimonio cattolico, aperti verso l'eutanasia ecc), quando accenni lontanamente al peccato, al pentimento, alla confessione, a discorsi dottrinali e alle derive della Chiesa, assumono un atteggiamento di superiorità e sentenziano che i Sacramenti non sono altro che 'precetti d'uomo', ognuno dei quali presumendi sapere cosa vuole Dio ma che Egli è più grande delle piccolezze dottrinali.
Infatti e' proprio quella misericordia "più forte della nostra debolezza" che mi porta a pensare in modo protestante:
'è inutile che mi sforzo a non peccare, a pregare per non cadere in tentazione, a recitare il Rosario, a confessare i miei peccati, come insegnavano santi nelle nelle rigide società del passato, tanto il Signore sa che sono debole e quindi basta confidare nella Sua misericordia più forte della mia debolezza e se pecco e non mi confesso e se muoio in peccato mortale, mi salvo lo stesso'.
La questione è sottile e subdola, perché se i Papi stessi levano ogni riferimento al pentimento, anche la coroncina della Divina Misericordia e le promesse del Signore a Santa Kowalska assumono un altro significato.
Si addolcisce molto la croce quotidiana della lotta contro i nostri peccati e contro le concupiscenze, non serve essere militanti 'soldati di Cristo'.
Se la Chiesa ha il potere di sciogliere e i Papi dicono che la misericordia è più forte delle nostre debolezze, senza ripetere:
'a condizione che ci pentiamo sinceramente dei nostri peccati e che ci impegniamo a non peccare più', possiamo anche essere portati a pensare che il Signore voglia questa nuova dottrina semi-protestante e che la 'rigidità morale' del passato sia solo il frutto di quelle società.
E se i Papi parlano solo di misericordia più forte delle debolezze, senza ricordare mai al molle e vizioso uomo moderno che bisogna anche portare la croce del rinnegamento di sé stessi e che dobbiamo confessarci per nutrirci degnamente del SS., diventiamo lentamente e inconsapevolmente protestanti.
Nel discorso in commento si dice che GPII si è forgiato anche con il CVII, ad ulteriore prova, se ce ne fosse bisogno, che la indubbia protestantizzazione della Chiesa cattolica e i cedimenti di un bravo papa come GPII derivano solo e unicamente dai soliti semi di frutti velenosi sapientemente sparsi nel CVII per creare una chiesa ecumenica cattoprotestante.
Pertanto, come per la situazione economica, solo il tonfo rovinoso e doloroso potrà scuotere le coscienze.
Condivido. Riconoscersi peccatore (se lo si e', cioe' io lo sono!..). E tentare di cambiare. Si questa e' la discriminante: la misericordia e' gratis (pagata a caro prezzo) ma nemmeno Dio può salvarci se non vogliamo. Condivido e' questo il punto nodale della Misericordia. Dovremmo vergognarci come vermi. Dopo 2000 anni di cristianesimo c'e' stato Auschwitz e i Gulag. I comandamenti li avevano gia' gli ebrei. Perfettamente inutile comunicarsi se non si capisce che la salvezza e' pagata con il sangue di Cristo. Poi si può essere più o meno santi: ma nessuno e' esente dal peccato.
Eliminae le intenzioni fondamentali di Papa Francesco….Cosa avrà voluto dire?Quali sono le sue intenzioni fondamentali?
RispondiEliminaNon c'è alcun dubbio che i frutti del CV2 siano stati velenosissimi , però c'è anche da dire che la Chiesa vive nel mondo ed il mondo ha dei mezzi di propaganda che la Chiesa purtroppo non ha.Per poter resistere con successo alla valanga di bugie e minacce che ogni giorno dalle scuole,dai media e dai tribunali si rovescia sulla Chiesa ci vorrebbero uomini moralmente ineccepibili,forti spiritualmente e fedelissimi al Vangelo. Dove sono attualmente questi uomini che già in tempi normali sono rari? Siamo giunti al paradosso che in molti casi sono i laici a difendere gli interessi della Chiesa mentre uomini(?) di chiesa vanno d'amore e d'accordo con coloro che vorrebbero renderla irrilevante.Anzi attaccano rabbiosamente quei politici che prendono le loro difese.Peggio di cosi….
RispondiElimina...intenzioni fondamentali di Bergoglio quali sono? ...sono aperture gay di misericordina, non giudizio morale(quindi abolizione comandamenti),critica di chi dice il rosario contro aborti,della Madonna postina, ognuno rispetti quello che gli piace, pachamame priapi e riti amazzonici, irenismo con preferenza riti pagani, dio non cattolico, vivi e lascia vivere… E Ratzinger lo sostiene affermando pure che in fondo GPII non era così integrale come pareva… è tutto detto. Mostro bicefalo apocalittico. 1958, si deve partire da quel conclave, cosa è successo ? Qui manca l'infallibilità, e se manca mancano pure i detentori di essa.
RispondiEliminaAdnkronos 17/05/2020 13:52
RispondiEliminaMentre stava lavorando al nuovo Catechismo, Joseph Ratzinger fu colpito, tra il '91 e il '92, da un grave disturbo e fu ricoverato in una clinica privata romana sulla via Aurelia. L'équipe medica che allora lo ebbe in cura, diretta dal neurochirurgo Francesco Chiappetta, per un'intera settimana valutò se intervenire chirurgicamente oppure, praticandogli cure appropriate, attendere la guarigione.
Al Cardinale Ratzinger, che nell'occasione venne assistito anche dal professor Renato Buzzonetti, archiatra pontificio, venne suggerito di essere operato in Germania, ma fu lui stesso a decidere di non sottoporsi all'intervento e di rimanere a Roma.
Dopo qualche tempo, un ulteriore consulto medico sullo stato del grave disturbo portò alla constatazione che la seria malattia era 'miracolosamente' sparita e forse non solo grazie alle cure mediche. Nelle conversazioni con i medici che lo assistevano anche quando venne dimesso dalla clinica, il cardinale Ratzinger parlava con particolare fervore del legame con Giovanni Paolo II. E alcune testimonianze riferirono addirittura di una visita molto privata, avvenuta in tarda sera, di Karol Wojtyla in clinica.
Tra nomi e cognomi c'è di che riflettere.
RispondiEliminaChe differenza con i timidi belati dei prelati che si oppongono a Bergoglio!
RispondiElimina"Eminenze,
Di fronte agli eventi attuali nella Chiesa e di cui Giovanni Paolo II è autore, in previsione di ciò che si propone di fare a Taizé e a Assisi nel prossimo mese di ottobre, non posso fare a meno di indirizzarmi a voi per supplicarvi, in nome dei numerosi sacerdoti e fedeli, di salvare l’onore della Chiesa umiliata come non lo è mai stata nel corso della sua storia.
I discorsi e gli atti di Giovanni Paolo II al Togo, in Marocco, in India, alla sinagoga di Roma, suscitano nei nostri cuori una santa indignazione.
Cosa possono pensare di questo i Santi e le Sante dell’Antico e del Nuovo Testamento? Cosa farebbe la Santa Inquisizione se esistesse ancora?
È il primo articolo del Credo e il primo comandamento del Decalogo che sono derisi pubblicamente da colui che è seduto sulla Cattedra di Pietro.
Lo scandalo è incalcolabile nelle anime dei cattolici.
La Chiesa è scossa nelle sue fondamenta.
Se la fede nella Chiesa Cattolica, unica arca di salvezza sparisce, è la Chiesa stessa che scomparirà.
Tutta la sua forza, tutta la sua attività soprannaturale ha per base questo articolo della nostra fede.
Giovanni Paolo II continuerà a rovinare la fede cattolica, pubblicamente, in particolare ad Assisi, con il corteggio delle religioni previsto nelle strade della città di San Francesco, con la ripartizione delle religioni nelle cappelle e nella Basilica perché vi esercitino il loro culto in favore della pace come è concepita all’O.N.U.
È questo che è stato annunciato dal Cardinale Etchegaray, incaricato di questo abominevole Congresso delle Religioni.
Come è possibile che nessuna voce autorizzata si elevi nella Chiesa per condannare questi peccati pubblici? Dove sono i Maccabei?
Eminenze, per l’onore del solo vero Dio, di Nostro Signore Gesù Cristo, protestate pubblicamente, venite in aiuto ai vescovi, ai sacerdoti, ai fedeli rimasti cattolici."
+ Marcel Lefebvre
Quanto son stati convertiti da Lefebvre ?(la santa indignazione? Lo sapeva che prima della morte non esistono santi?). E quanti da Giovanni Paolo II. Quanti da Padre Pio o da San Orione, il secondo misericordioso anche verso gli atei. Inoltre perché Padre Pio obbedi' alla chiesa pré conciliare che gli vieto' la messa. Fu difeso da don Orione che subì uno strano incidente calunniatorio in Sicilia. Che fine ha fatto il libro bianco di Emanuele Brumatto?
EliminaPerché si ha paura della verità?
Inascoltato ieri e oggi. Tutto ben congegnato dai poteri del male. Ed ecco i risultati.
RispondiEliminaIeri sui media nazionali nessun accenno all’ “amico fidato”, nel ricordo di Wojtyla. Joseph Ratzinger è stato volutamente censurato; solo Paolo Mieli, dichiaratamente agnostico, l'ha citato a fine puntata su Tgpost. Questo dimostra come Ratzinger resta un personaggio scomodo!
RispondiEliminaPadre Pio e il giovane Karol Wojtyla
RispondiEliminaQuesto fatto è narrato nel libro la missione dei servi di Dio (la missione del servo di Dio del sacerdote passionista Franco D'Anastasio) dove la marchesa Giovanna rizzani bochi, legata a Padre Pio Dalla sua nascita, dichiara: nel periodo immediato del dopoguerra sono andata a San Giovanni rotondo di Roma con il mio amico Hamilton, accompagnato dall'auto del noto professore Enrico Medi, molto devoto a Padre Pio. Una di queste visite al professore è diventata famosa perché ha partecipato anche un giovane prete polacco: l'attuale Papa Wojtyla. La storia si è svolta come segue:con la mia compagna e amica Margherita Hamilton ho frequentato il collegio Romano per ascoltare conferenze di teologia. In quella circostanza si era messa in contatto con il prete polacco che a mala pena parlava in italiano. Preferiva parlare in tedesco con la mia amica Hamilton che conosceva bene quella lingua. Sapendo che saremmo andati a trovare Padre Pio in estate, ha ottenuto personalmente dal professor Medi di essere coinvolto nelle entourage.
A San Giovanni ci siamo rivolti alla persona di Maria Bianco, dove io e Hamilton avevamo una stanza per ciascuno. Ricordo bene che era stata una giornata agitata, subito dopo la fine della guerra e che non c'erano abbastanza posti nella pensione. Ho dato la mia stanza al prete polacco e sono andato in quella della mia amica. Di mattina il professor medi ha accompagnato il prete polacco alla chiesa dei cappuccini.
Li ha celebrato la messa e s'è confessato con il prete che poi salutò insieme ad altri fedeli. Quando torno' alla pensione medi ci disse, appena Padre Pio lo vide,che lo guardó negli occhi e gli disse: "sarai Papa, ma ci sarà sangue e violenza." Il giovane prete sulla strada del ritorno disse: "professore Padre Pio non scherzate, Sono polacco non potrò mai diventare Papa."
Ma non è stato uno scherzo è la profezia di Padre Pio del 13 maggio 1981.
Nel 1962, Karol Wojtyla ha scritto una lettera a padre Pio. Nella missiva, la richiesta di una preghiera miracolosa. "A questo non si può dire di no", ha osservato all'epoca il frate cappuccino
RispondiEliminaUna corrispondenza, almeno una lettera, tra quelli che poi sarebbero diventati due padri della Chiesa cattolica. Un retroscena che svela in parte i rapporti tra un arcivescovo polacco, prima Papa e poi Santo, ed un frate incaricato in Puglia e destinato a sua volta alla santità. Un frate che aveva in qualche modo già previsto il futuro dell'altro corrispondente. Due uomini che avrebbero segnato per sempre la storia del cattolicesimo contemporaneo.
Siamo nel novembre del 1962. E Karol Wojtyla, che era incaricato presso l'arcivescovato di Cracovia, prende carta e penna. Lo scopo è quello di domandare una preghiera a Pio da Pietralcina. Con ogni evidenza, in Polonia è arrivata più di qualche notizia sulle qualità eccezionali di quel frate. I miracoli non conoscono frontiera. La supplica dovrebbe essere indirizzata in favore una madre. Una persona che ha ben quattro figli e che però deve confrontarsi con un cancro, che non la abbandona: "Affinché Dio per intercessione della Beatissima Vergine mostri la sua misericordia a lei e alla sua famiglia in Cristo obbligatissimo". La missiva è firmata Wojtyla.
Il destinatario non esiterà. Per far sì che la lettera arrivi di sicuro nelle mani del cappuccino, il consacrato che sarebbe stato eletto qualche anno dopo sul soglio di Pietro, ripone il tutto nelle mani di Andrzej Maria Deskur, un monsignore che si trova a Roma per motivi di salute. Desku non è sufficiente per un contatto diretto con padre Pio. E allora, in soccorso di questa storia, arriva un commendatore: Angelo Battisti. Da Wojtyla a Deskur a Battisti: la lettera, ora, è nella disponibilità di Francesco Forgione.
È Battisti, che aveva avuto modo di conoscere padre Pio in precedenza, l'uomo cui Pio domanda la lettura di quel testo. Lo ha ricordato Italia Oggi nella edizione odierna. Pio, dopo aver appreso della richiesta, dice poche ma significative parole. Intanto assicura la preghiera per la guarigione della mamma polacca, ma poi aggiunge: "A questo non si può dire di no". Sembra una profezia sul destino di quell'ex attore teatrale che avrebbe inciso nella storia del cattolicesimo e dell'umanità di lì a poco. Ma non è tutto: anche Deskur diviene oggetto della capacità previsionali del frate pugliese. Per il monsignore che dimora in capitale viene previsto un avvenire denso di impegni in Santa Sede. Il braccio destro di Giovanni Paolo II, per il cappuccino, si trova già in Vaticano. E all'elezione in Concalve manca ancora qualche anno.
La vicenda esistenziale della madre polacca prosegue come sperato: "Venerabile Padre, la donna di Cracovia in Polonia, madre di quattro figlie, il giorno 21 novembre prima dell' operazione chirurgica istantaneamente ha riacquistato la salute grazie a Dio e anche a Te Padre Venerabile, rendo il più grande grazie a nome suo, di suo marito e di tutta la famiglia". La seconda lettera presenta la stessa firma della prima, Wojtyla, ma le sorti della donna, dopo le preghiere di Pio da Pietralcina, sono cambiate. Battisti, che è il narratore di tutta questa vicenda, ha di nuovo il compito di aggiornare Pio su quello che ha annotato via lettera l'aricivescovo di Cracovia.
Il cappuccino questa volta approfondisce meno le sue considerazioni. Battisti però deve fare attenzione: Pio gli dice di non smarrire quella corrispondenza. Quasi come a dire che in prospettiva, quelle due missive, sarebbero state in grado di raccontare molto.
E la donna guarita? La dottoressa Poltawska aspetterà cinque anni - in Polonia c'è ancora la dittatura comunista - per potersi recare a San Giovanni Rotondo. Il ringraziamento è implicito.
https://m.ilgiornale.it/news/cronache/ora-spunta-lettera-san-giovanni-paolo-ii-padre-pio-1864313.html