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giovedì 11 giugno 2020

Venient dies quando desideratis videre unum diem

Venient dies quando desideratis videre unum diem
di Gian Pietro Caliari

“Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli” (Luca 17, 22-23).
L’evangelista riporta questo monito del Salvatore, al termine di un breve colloquio fra Gesù e i farisei, sul tempo della venuta del Regno di Dio, dopo che, in realtà, il Cristo aveva già fornito una precisa indicazione: “γὰρ ἡ βασιλεία τοῦ θεοῦ ἐντὸς ὑμῶν ἐστιν”, “infatti il Regno di Dio è fra/dentro di voi” (Luca 17, 21). Sappiamo che l’espressione Regno di Dio ricorre 122 volte nei testi del Nuovo Testamento e che i Padri della Chiesa hanno interpretato questa espressione in tre dimensioni.
La prima strettamente cristologica che indica appunto l'auto-basileia di Cristo stesso, vale a dire la piena e completa rivelazione di Dio e del suo Regno in Cristo stesso.
Una seconda più mistica che indica la presenza della Verità di Cristo nell’interiorità stessa dell’uomo credente. La terza, infine, ecclesiologica che indica nella Chiesa “una, santa, cattolica e apostolica” l’attuarsi del Regno di Dio nella Storia.

Pur non oscurando o tralasciando affatto le prime due accezioni dell’espressione neo-testamentaria - anzi riaffermandole! - fu proprio la terza e ultima dimensione che il Concilio Vaticano II volle riaffermare in senso dogmatico, come dottrina da credersi e credere certa per chiunque sia realmente cattolico.
“Il mistero della santa Chiesa si manifesta nella sua stessa fondazione. Il Signore Gesù, infatti, diede inizio ad essa predicando la buona novella, cioè l'avvento del regno di Dio da secoli promesso nella Scrittura […] La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e abnegazione [nella verità, dovrebbe essere scontato; ma è proprio questo che è stato espunto per effetto di un apparentenente innocuo "subsistit in" invece di "est"] riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio” (Lumen Gentium, 5).
Questa precisa scelta fu profetica perché, a ben vedere, forse qualcuno aveva previsto che dopo la stagione del “Cristo sì, Chiesa no!” sarebbe giunta quella, ben più drammatica, dell’”anche Cristo e del suo Regno no!”. Il tempo, vale a dire, del paganesimo di ritorno o del neo-paganesimo all’interno stesso della Chiesa Cattolica e come nucleo centrale della contemporanea predicazione!

Scriveva nell’inverno del 1958 - sic! - un allora giovane prete e teologo: “L’immagine della Chiesa moderna è caratterizzata essenzialmente dal fatto di essere diventata e di diventare sempre di più una Chiesa di pagani in modo completamente nuovo: non più, come una volta, Chiesa di pagani che sono diventati cristiani, ma piuttosto Chiesa di pagani, che chiamano ancora sé stessi cristiani ma che in realtà sono diventati da tempo dei pagani. Il paganesimo risiede oggi nella Chiesa stessa e proprio questa è la caratteristica della Chiesa dei nostri giorni come anche del nuovo paganesimo: si tratta di un paganesimo nella Chiesa e di una Chiesa nel cui cuore abita il paganesimo” (Joseph Ratzinger, Die neuen Heiden und die Kirche, in Hochland, LV, 51, 1958-1959, p. 1).
Che cosa poteva intendere già nella seconda metà del secolo scorso, quel giovane teologo? Per comprenderlo, dobbiamo intenderci sul significato di paganesimo moderno o neo-paganesimo.

Si tratta, secondo W. Doniger e M. Eliade di “diversi movimenti spirituali che, pur distinguendosi dai rituali magici propri degli antichi lottano per far rivivere autentici pantheon e rituali di antiche culture, spesso attraverso un approccio deliberatamente eclettico e ri-costruzionista, e attraverso un particolare atteggiamento contemplativo e celebrativo” (in: Merriam-Webster’s Encyclopedia of World Religions, Merriam-Webster, 2000, pp. 794-795 ).

Ancor più indicativa e precisa la definizione che ne da il filosofo italiano Salvatore Natoli per il quale benché si tratti di un movimento che ha distinte visioni teologiche, cosmologiche e antropologiche, ha un comune e preciso approccio naturalistico, umanistico e relativistico (cfr. La salvezza senza fede, Torino, 2007). Molti cattolici, e giustamente, si sono scandalizzati e infuriati quando hanno dovuto assistere al disgustoso e satanico rituale di frati e suore allegramente prostrate in atto d’apostatica adorazione della Pachamama e di un idolo fallico, nei giardini vaticani e alla presenza del Successore di Pietro e del Vicario di Cristo. O alla lugubre processione di vescovi che, non curanti di essere tali solo perché successori degli apostoli, dall’altare della Confessione, portavano a spalla le stesse effigi idolatriche fino all’aula del Sinodo.
E, a ben dire, non si trattava di semplice folclore pan-amazzonico!

Troppi cattolici, invece e ingiustamente, non s’indignano per una martellante, dilagante e sempre più disonesta predicazione che ha del tutto espunto, se non addirittura escluso, l’annuncio di Cristo e del suo Regno per imporre, al contrario, un neo-dogma pagano il cui contenuto è sfacciatamente naturalistico, umanistico e relativistico.

Questo, invece, è a ben vedere il nucleo centrale della “Chiesa in uscita” libera e dell’”andare oltre la Chiesa” che deve evitare “ogni autoreferenzialità” in nome “dell’ecologismo integrale”, “del neo-umanesimo”, della “situazione concreta” e della “fraternità universale”, sempre e doverosamente integrale. Basta sostituire integrale con dogmatico e il gioco e fatto!

Che fare, allora, per chi non vuole da cattolico cadere nella sinuosa trappola di coloro che additano neo-paganamente “Eccolo là, o: eccolo qua”? Certo “non andateci, non seguiteli” (Luca 17,23), ma come concretamente? Tre elementi appaiono e sembrano almeno essenziali.

Il recupero, innanzi tutto, della sacralità liturgica di fronte alla banalizzazione del Sacrum, cioè di Dio stesso Trinità Santissima! Anche perché proprio in questo si è manifestato il totale fallimento della riforma liturgica post-conciliare.
“Il fondamento - infatti - dell’unione dell’uomo con Dio è la piena distinzione tra l’uomo e Dio. Per questo la pienezza dell’unione è data dalla Rivelazione cristiana, che pone l’unione tra Dio e l’uomo a partire dalla piena distinzione tra Dio e l’uomo. L’atto redentore è un atto unico, l’atto del solo Cristo: un atto inter-trinitario in cui il Figlio offre la sua umanità e l’umanità del mondo in sacrificio al Padre in un atto di assoluta adorazione. Qui solamente il Mistero trinitario è manifestato nella sua verità” (G. Baget Bozzo, L’Anticristoil principe delle tenebre opera nella storia da piccole fessure, Milano, 2001 p.46).

Nella liturgia, infatti, è stata ed è ancora inferta la ferita più grave e letale alla fede e al popolo cattolico, nella sua dimensione più originaria e imprescindibile di Mysterion, cioè il Sacrum.

Il non conformismo, poi, come dimensione essenziale della fede cattolica: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Romani 12, 2).

L’ammonimento dell’Apostolo delle Genti era così commentato dall’allora cardinal Ratzinger: “Dobbiamo riscoprire il coraggio del non conformismo davanti alle tendenze del mondo opulento. Invece di seguire lo spirito dell'epoca dovremmo essere noi a marchiare di nuovo quello spirito con l'austerità evangelica. Noi abbiamo perduto il senso che i cristiani non possono vivere come vive chiunque. L'opinione stolta secondo cui non esisterebbe una specifica morale cristiana è solo una espressione particolarmente spinta della perdita di un concetto base: la differenza del cristiano rispetto ai modelli del mondo" (V. Messori, Rapporto sulla fede, Roma, 1985, p. 64).

È questa la necessaria riscoperta di un’identità cattolica, nutrita della semplice ma radicale gioia di aver incontrato Colui che solo è “Via, Verità e Vita”, (Giovanni 14, 6) ma anche di umile fierezza di essere ancora “una patria dell’anima” per coloro che sono “affaticati e oppressi” dall’oppressione sempre più pervasiva ed esiziale del neo-paganesimo dominante.

Riscoprire, infine, il carattere martiriologico-missionario della nostra fede senza infondate e sospettose remore di proselitismo, anch’esso integrale e dunque dogmatico.
Scriveva ancora Ratzinger: “La cultura atea dell'Occidente moderno vive ancora grazie alla libertà dalla paura dei demoni portata dal cristianesimo. Ma se questa luce redentrice del Cristo dovesse spegnersi, pur con tutta la sua sapienza e con tutta la sua tecnologia il mondo ricadrebbe nel terrore e nella disperazione. Ci sono già segni di questo ritorno di forze oscure, mentre crescono nel mondo secolarizzato i culti satanici” (V. Messori, cit, p. 79).

Non è sufficiente, insomma, farsi prossimo al prossimo nel nome di un neo-umanitarismo integrale e caritatevole, infarcito di Gaudium et Letitia. “Ciò resta sempre insufficiente” - scriveva infatti Paolo VI - “perché anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata - ciò che Pietro chiamava dare le ragioni della propria speranza - esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. […] Non c'è vera evangelizzazione se il nome, l'insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati” (Evangelii Nuntiandi, 22). Si tratta, in fin dei conti, di soli tre apparentemente banali, spunti di riflessione. E a ben vedere, non siamo proprio certi che anch’essi bastino ad evitare “l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele” (Matteo 24, 15).

Di una cosa siamo, tuttavia, certi non sono temi per masse osannanti e festose - altri di questi tempi affannosamente le ricercano - ma per cercare la via a un parvulus grex, forte, gioioso e fiero del suo Signore che ancor oggi lo rinfranca a resistere e lo invita a non disperare: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno” (Luca 12, 32).
Gian Pietro Caliari

5 commenti:

  1. Preghiera di San Massimiliano Maria Kolbe a Gesù Eucaristico

    Tu, o Dio infinito, eterno, mi ami dal momento in cui esisti come Dio, di conseguenza mi hai amato e mi amerai sempre!
    Benché io non esistessi ancora, Tu mi amavi già, e appunto per il fatto che mi amavi, o buon Dio, mi hai chiamato dal nulla all’esistenza!
    Per me hai creato i cieli costellati di stelle, per me la terra, i mari, i monti, i fiumi e tante, tante cose belle che vi sono sulla terra.
    Ma questo non bastava: per mostrarmi da vicino che mi ami con tanta tenerezza, sei sceso dalle più pure delizie del Paradiso su questa terra infangata e piena di lacrime, hai condotto una vita in mezzo alla povertà, alle fatiche e alle sofferenze; e infine, disprezzato e deriso, hai voluto essere sospeso tra i tormenti.
    O Dio d’amore, mi hai redento in questo modo terribile e generoso!
    Tu, però, non ti sei accontentato di questo.
    Il tuo cuore non ha acconsentito a far sì che io mi dovessi nutrire unicamente dei ricordi del tuo smisurato amore.
    Sei rimasto su questa misera terra nel santissimo Sacramento dell’altare e ora vieni a me e ti unisci strettamente a me sotto forma di nutrimento.
    Già ora il tuo sangue scorre nel sangue mio, la tua anima, o Dio incarnato, compenetra la mia anima, le dà forza e la nutre…
    Quali miracoli! SK1145
    San Massimiliano Maria Kolbe

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  2. Impegnativo ma interessante fino a dove sono arrivata a leggere. Grazie
    Bianca Eridani

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  3. Civabit Eos (Corpus Christi, Introitus)
    https://www.youtube.com/watch?v=2L8YJ55RpdA&feature=share

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  4. Il fatto che in Italia l'odierna grandissima e bellissima solennità del Corpus Domini sia stata spostata alla domenica è l'ennesima dimostrazione di come sia perniciosa la pseudo-obbedienza a decisioni manifestamente sbagliate.
    In Italia il Corpus Domini odierno e l'Ascensione di due settimane fa furono spostate alla domenica dopo che lo Stato ne abolì il carattere di giornata non lavorativa, si pensò quindi di spostarle alla domenica, si disse, per permettere un maggiore afflusso di fedeli.
    In realtà queste solennità furono spostate alla domenica successiva perché mancava la fede, era un'ammissione che il popolo italiano era cattolico solo di nome ma non di fatto, e la gerarchia si adeguava.
    San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno sempre fatto la processione del Corpus Domini in data odierna, ora ovviamente questo non viene fatto più.
    Ad esempio, in Croazia l'Ascensione non è mai stata giornata non lavorativa, ma non è mai stata spostata alla domenica; nonostante la giornata lavorativa, ancora due settimane fa, nonostante il crescente secolarismo, la mia chiesa parrocchiale era praticamente piena. Né furono spostate alla domenica successiva le festività cattoliche al tempo del comunismo jugoslavo, quando nessuna festa cattolica, neppure il Natale, era giornata non lavorativa, e la gente andava a Messa lo stesso e chi poteva, ad esempio i contadini, non lavoravano.
    Invece di ribellarsi, il clero vi si è adattato, così come si è adattato a ogni passo verso il protestantesimo della neochiesa postconciliare dal 1969 in poi (neochiesa che da sette anni è giunta in modo definitivo al potere).
    In questo contesto, è normale che ci ritroviamo ora con ciò che abbiamo, e quei pochi che hanno mantenuto chiara coscienza dei tempi che viviamo vengono schiacciati.
    Ricordatevi che l'abbassare il capo e il tacere di fronte all'errore non è sinonimo di umiltà, ma di vigliaccheria.
    Non c'e nulla da fare, la Chiesa tornerà al suo splendore dopo che avremo sparso il sangue, il nostro sangue.

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  5. «I miracoli sono opere di Dio, debbono rivelare Dio, ma anche in un miracolo non concesso Dio parla in maniera chiara e altrettanto forte quanto in un miracolo concesso.
    Dio vorrebbe che noi imparassimo a credere in maniera tale da scorgere in tutte le cose il Suo dono, il dono di Sé».
    (A. von Speyr)

    Quando niente va come vorremmo.
    Anche secondo un desiderio buono.
    E la vita ti rivolge il suo profilo arcigno,
    quasi nemica.
    Quando domandare incontra il silenzio.
    E non si scorge l’orizzonte
    se non per un pertugio di luce,
    intermittente.
    Quando ogni passo trascina il peso delle cose,
    delle piccole speranze deluse.
    Di sogni che muoiono.
    Quando non pare più tempo di miracoli.
    E resta la realtà scabra e rugosa.
    Dacci occhi nuovi per vedere l’intero,
    nei nostri frammenti.
    E l’unico miracolo concesso.
    Senza condizioni.
    “Io sono con voi”.
    E non c’è altro.

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