Un'analisi della realtà politica e sociale, una visione nitida che dissipa le nebbie della narrazione ufficiale che ci viene propinata a dosi massicce. In questi giorni si parla tanto dei "costruttori" evocati da Mattarella e che rappresentano il mantra delle cronache attuali. La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra angolare. Spero di riuscire a vedere quando saranno sepolti dalle macerie delle loro costruzioni relativiste quando non decostruzioni nichiliste forgiate senza la pietra angolare.
Questo articolo è apparso in forma riadattata sul numero de La Verità del 15 novembre 2020. In quella sede, per un disguido redazionale, sono state pubblicate alcune elaborazioni numeriche provvisorie. Il testo che segue e le note esplicative rettificano e integrano quanto pubblicato sulla versione a stampa. Di seguito, la seconda parte: La tempesta perfetta.
Dopo avere scritto queste cose tutto sommato scontate, constatavo che la consapevolezza della contraddizione era ben più estesa di quanto immaginassi. A parte i pochi «esperti» che riuscivano a portarla sugli schermi televisivi, sempre più persone misuravano la sproporzione tra i danni anche ufficialmente circoscritti del problema e quelli invece universali della sua «medicina». Con il ritorno delle chiusure autunnali, grandi folle occupavano le piazze italiane per rivendicare il diritto di vivere del proprio lavoro e contribuire così al benessere, e perciò anche alla salute, della propria comunità. Non si trattava di posizioni eretiche o - qualunque cosa significhi - «negazioniste», se è vero che il 9 ottobre uno degli inviati speciali dell’OMS per l'emergenza Covid-19, David Nabarro, dichiarava in un videocast della rivista Spectator che
noi dell'OMS non invochiamo i lockdown come mezzo principale per controllare questo virus. L'unica situazione in cui riteniamo che un lockdown sia giustificato è quella in cui si deve guadagnare tempo per riorganizzarsi [...] ma, in generale, non lo raccomandiamo. [...] Guardate ciò che sta accadendo ai livelli di povertà. Entro il prossimo anno la povertà nel mondo potrebbe raddoppiare. [...] È una catastrofe globale terribile e spaventosa, quindi ci appelliamo con forza ai leader mondiali: smettete di utilizzare i lockdown come principale metodo di controllo. Sviluppate sistemi migliori per farlo. Lavorate assieme, imparate l'uno dall'altro, ma ricordate: i lockdown hanno una sola conseguenza, che non dovete assolutamente trascurare, che è quella di rendere le persone povere terribilmente più povere.
Lì il dott. Nabarro non citava nemmeno la malattia Covid-19, «una malattia normale» (così il dott. Roberto Bernabei, membro del CTS del Governo) che colpendo in modo grave quasi solo persone in età non più lavorativa non potrebbe neanche avvicinarsi all'obiettivo monstre di raddoppiare la povertà nel mondo. La «catastrofe globale terribile e spaventosa» era invece quella del suo presunto rimedio, già annunciata in aprile dal Programma alimentare mondiale dell'ONU, secondo il quale le centinaia di milioni di persone afflitte dalla fame sarebbero raddoppiate a causa dei «lockdown», e patita in modo esemplare anche da una nazione sviluppata come l'Argentina, ridotta in miseria dopo otto mesi di ininterrotta chiusura e ciò nondimeno... di ininterrotta crescita dei contagi.
Dei tanti modi in cui i «lockdown» erodono gratuitamente la salute di tutti, quello economico è solo il più evidente. Con la disoccupazione, i fallimenti, l'impoverimento e la precarietà non si deteriora solo il benessere fisico e psichico dei singoli, ma anche la ricchezza erariale di tutti e quindi la possibilità di godere di servizi pubblici anche sanitari, il cui «affanno» presente non potrà dunque che aggravarsi per la carenza di risorse fiscali da destinare a personale, macchinari, farmaci e strutture. A questa parte emersa del problema deve aggiungersi quella più profonda del disagio cagionato dall'incertezza del futuro, della paura delle sanzioni, della reclusione in casa (che, avverte lo stesso Bernabei, «ammazza come il virus»), dell'isolamento dei più fragili e del timore di sottoporsi a prestazioni sanitarie anche per malattie ben più letali come quelle oncologiche, i cui screening sarebbero già calati di quasi un milione e mezzo di unità nella prima metà dell'anno. Manca poi la parte più preoccupante perché di lungo effetto, quella a carico di bambini e ragazzi, che senza dover temere la nuova malattia ne trangugiano più di chiunque altro il preteso farmaco: con la segregazione, la separazione dai coetanei, la mancata attività fisica all'aperto, l'indebolimento delle figure genitoriali, lo scadimento dell'istruzione e l'abbandono scolastico, l'alienazione della didattica a distanza e la dipendenza informatica. Le ferite inflitte ai più giovani si cronicizzano e si trasmettono alle generazioni future. In un’indagine condotta la scorsa primavera dall’ospedale pediatrico Gaslini sono state riscontrate «problematiche comportamentali e sintomi di regressione» in circa 2 minori su 3, mentre la malattia che dovrebbe giustificare questa sofferenza ne ha sinora colpiti in modo sintomatico pochi su 1000.[1]
Adottando qualsiasi definizione di salute, non c'è dubbio che il «lockdown» sia oggi in sé un agente patogeno di portata pandemica in grado di produrre un vasto spettro di sindromi e complicanze, anche fatali. Sarebbe perciò urgente condurre studi epidemiologici sul suo impatto nelle popolazioni coinvolte, come si è già fatto in passato trattando gli effetti dell'austerità fiscale. Nelle more di siffatte indagini, si possono utilizzare le esperienze e i dati disponibili per abbozzare un confronto tra il patogeno «lockdown» (L) e quello virale (C) di cui L vorrebbe essere l'antidoto.[2] In quanto a morbosità, C produce sintomi in meno dell'1% della popolazione italiana[3] e dall'inizio dell'epidemia ne ha colpito in modo severo o critico lo 0,1%,[4] mentre L sta colpendo tutti (100%). In quanto a patogenicità e letalità, C può scatenare una malattia respiratoria da lieve (36,5% dei casi) a grave (5,8%)[5] e non provoca la morte nel 97,8% dei contagiati con meno di 80 anni (99,1% in quelli con meno di 70),[6] mentre ad oggi sono stati confermati 174 casi di deceduti (lo 0,02% dei contagiati o, proiettati sui decessi totali, lo 0,13%) che non avevano già in corso patologie croniche o gravi.[7] L può innescare uno o più stati patologici invalidanti collegati alla privazione materiale, sociale e affettiva, alla sedentarietà, allo stress, ai conflitti e al limitato accesso ai servizi socio-sanitari, la cui potenziale letalità è documentata, ma non ancora quantificata nel caso. Inoltre, C uccide individui di età media pari all'aspettativa di vita nazionale («fucila i vecchi», cit. Bernabei), mentre L minaccia la vita in ogni fascia anagrafica, avendo ad oggi fatto triplicare la mortalità tra gli infartuati e i neonati e promettendo domani di fare dei decessi per tumore «la prossima pandemia». Infine, in quanto a impatto sociale, C impone maggiori cautele verso le fasce sensibili (terza e quarta età, immunodepressi, malati cronici ecc.) specialmente nelle zone più a rischio e un potenziamento dei servizi sanitari dedicati, mentre L reclama la chiusura di scuole, università, teatri, parchi, impianti sportivi ed esercizi commerciali, la repressione di alcuni diritti costituzionalmente ordinati, solitudine, disagi in tutta popolazione e una recessione economica di molti punti percentuali.
Gli indicatori epidemiologici disponibili e approssimabili per ordine di grandezza suggeriscono che il rischio sanitario rappresentato da L supera nettamente quello di C, sia per la numerosità e severità delle patologie collegate, sia per l'universalità dei soggetti che le esprimono, singolarmente o in comorbidità. Per questi motivi, pur restando da verificare la maggiore letalità dei suoi singoli effetti, è plausibile se non proprio certo – stando ai riportati allarmi degli esperti sanitari e internazionali - che esso sia destinato a esprimere una mortalità globalmente molto più elevata. Va perciò accettata l'ipotesi che le sindromi da «lockdown» rappresentino l'evento patologico nuovo più importante, ancorché negletto, che minaccia oggi il benessere e la vita delle popolazioni del mondo. Che, in breve, la prima epidemia di cui occorre preoccuparsi sia quella diffusa dalla pratica dei «lockdown», tanto più incomprensibile non solo in quanto sembra piuttosto lontana dal mantenere gli effetti contenitivi che promette,[8] ma più ancora perché prodotta - questa volta per davvero, senza immaginare complotti - in laboratorio, disegnata ad arte dagli uomini, codificata minuziosamente nelle leggi e inflitta ai cittadini con la forza pubblica, affinché non si attivino gli anticorpi del lavoro, della socialità e della critica. Invece di fermarla, l’epidemia artificiale così allestita ha surclassato la sua antagonista naturale in ogni dimensione possibile e se ne è fatta scudo per aggiungere al danno contenibile e contenuto del virus l’incontenibile danno della propria furia, e infilare l’umanità in un circolo di distruzione che la natura, da sola, non avrebbe mai potuto realizzare.
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1. Cfr. P. Poletti et al., Probability of symptoms and critical disease after SARS-CoV-2 infection e nota 2, fonte 2), pag. 21. Su un campione di 304 soggetti positivi tra 0 e 19 anni, il 18,09% ha riportato sintomi. I sintomatici cumulati nella fascia d'età sarebbero quindi (18,09% * casi) = (18,09%*102.419) = 18.528, che rappresentano sulla popolazione 0-19 anni il (18.528/10.720.000) = 1,73‰.
2. I dati riportati nel seguito sono tratti dalle pagine web dell'Istituto Superiore di Sanità consultate in data 15 novembre 2020: 1) infografica Dati della Sorveglianza integrata COVID-19 in Italia. Dati cumulativi; 2) report Epidemia COVID-19. Aggiornamento nazionale 7 novembre 2020 –ore 11:00; 3) infografica Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia. Dati al 11 novembre 2020. È bene ricordare che i numeri assoluti degli asintomatici sono certamente sottostimati (più difficilmente quelli dei sintomatici, soprattutto se gravi).
3. Cfr. nota 2, fonte 2), pag. 22. I contagiati sintomatici sono (pauci + lievi + severi + critici) = 46.110 + 94.295 + 19.261 + 3.125 = 162.791, su un campione analizzato di 384.531 contagiati (74,6% dei 515.522 casi confermati). La stima per proiezione risulta come (sintomatici/74,6%) / (popolazione italiana) = (218.246/60.360.000) = 0,36%.
4. Cfr. nota 3. L'incidenza dei casi severi e critici (19.261 + 3.125) sul campione ad oggi analizzato (384.531) è del 5,82%. La proiezione sui casi totali dall'inizio (1.070.524), pari a (1.070.524 * 5,82%) = 62.322, ammonta al (62.322 / 60.360.000) = 0,10% della popolazione.
5. Cfr. nota 3. Lievi = (pauci + lievi) / (casi confermati) = (46.110 + 94.295)/384.531. Gravi = (severi + critici) / (casi confermati) = (19.261 + 3.125)/384.531.
6- Cfr. nota 2, fonte 2), pag. 21. La non letalità è (1 - letalità).
7- Cfr. nota 2, fonte 3), su un totale di 1.070.524 casi dall'inizio. Le cartelle cliniche sinora analizzate sono 5.234 (il 12,85%). La proiezione dei deceduti senza altre patologie ammonterebbe a (174/12,85%) = 1.354 unità.
8. Il caso unico in Europa del governo svedese, che ha scelto di non istituire «lockdown», è stato spesso criticato in quanto non ha conseguito l'obiettivo auspicato da alcuni di rendere immune la popolazione. Il fatto che la Svezia si collochi ciò nondimeno nella media europea per incidenza dei contagi dovrebbe però bastare per mettere seriamente in discussione l'efficacia profilattica delle chiusure. All'opposto, la citata Argentina è il paese che ha praticato il «lockdown» più di tutti e più a lungo di tutti e, insieme, il quarto al mondo per incidenza di decessi e settimo per incidenza di casi. Gli autori del più ampio studio globale finora condotto sul tema, pubblicato sulla rivista Lancet nell'agosto di quest'anno, hanno concluso che «le rapide chiusure dei confini, i lockdown totali e i test di massa non sono correlati al tasso di mortalità per Covid-19» (per altre ricerche sulla mancata correlazione tra chiusure e incidenza di morti e contagi, cfr. qui e qui).
II
La tempesta perfetta
Perché allestire una pandemia di legge che rende pandemica una lunga serie di malattie altrimenti contenibili? E perché un'idea così pericolosa raccoglie i consensi di una parte importante della popolazione, specialmente ai suoi vertici? E ancora, perché una civiltà che si dichiara fedele al metodo e ai risultati delle scienze sceglie di ignorare i danni scientificamente misurabili (come le sindromi da «lockdown») e misurati (come la dubbia utilità dei «lockdown») delle sue condotte, e nel fare ciò pretende persino di agire secondo i «dettami» di una scienza che dice, impone e prescrive? Non è purtroppo possibile fornire una sola risposta a questi interrogativi, perché la contraddizione di oggi amplifica e porta a un livello (finora) mai visto una lunga serie di condizioni che già da prima agivano sull'esercizio e sulla rappresentazione della vita sociale. Essa è nuova nell'intensità, ma non nelle premesse e nei modi. La sua critica dovrebbe perciò strutturarsi nell'alveo di una più ampia critica delle contraddizioni e dei paradossi moderni nel loro sviluppo prima secolare e poi sempre più rapido, degli ultimi pochi decenni. È una critica che qui possiamo affrontare solo disordinatamente e in antologia, offrendo spunti di analisi che convergono da livelli diversi per indovinare le radici lontane del fenomeno esaminando i suoi frutti.
Nel citato articolo di maggio mi concentravo sulle suggestioni religiose di un altrimenti assurdo olocausto di sé con cui la civiltà contemporanea sembra voler propiziare la propria risurrezione scrollandosi di dosso le delusioni, le paure e i problemi irrisolti di un modello spiritualmente esausto e materialmente insostenibile. Senza entrare nel capitolo per molti versi oscuro dei suoi contenuti, il «grande reset» promosso dal Forum Economico Mondiale allude proprio a questo auspicio di palingenesi, come anche le tante profezie di un mondo post-Covid dove «nulla sarà più come prima». Come è già successo nel passato recente - il «reset» di Beppe Grillo, la «rottamazione» di Matteo Renzi, la più generale retorica delle «riforme» - si tratta di programmi nettamente sbilanciati, quando non già nei termini, almeno sicuramente nei fatti verso la pars destruens, mentre la susseguente proposta positiva resta vaga e taciuta, comunque mai riscontrata nell'esecuzione. La volontà di distruggere tradisce la frustrazione di un'epoca che si intuisce perdente sulla via del proprio creduto progresso e sogna così di rovesciare il tavolo, per ricominciare da capo.
In un articolo successivo inquadravo questo anelito di demolizione nella tentazione di un pensiero neognostico proprio delle epoche decadenti e destinato a fissare l'orizzonte escatologico di ogni religione scientifica, cioè umana. L'obiettivo di esaltare l'umanità e i suoi prodotti, di quel «nuovo umanesimo» che tiene oggi banco dalle logge agli altari, sfocia nella cocente presa d'atto del difetto umano, della sua corruttibilità fisica e morale e quindi nel disgusto della sua carnalità imperfetta. Nella retorica sanitaria odierna quel disgusto si traduce fedelmente nel terrore dei corpi che si ammassano, del loro respiro sporco e mortifero e delle loro membra da recludere, mondare con gel alcoolici, addestrare e correggere con la farmacologia di massa. Il distanziamento sociale, scrivevo in seguito, è un distanziamento dell'uomo da sé e dalla propria carcassa mortale per aspirare all'incontaminazione di un'anima che non è più l'ànemos del corpo respirante e vivo, ma l'intelligenza morta e quindi immortale delle macchine «pensanti» e dei loro flussi impalpabili di dati, che devono perciò sostituire le relazioni, i luoghi e le esperienze fisiche riproducendoli nella geometria sterile del «digitale».
Spostando lo sguardo sull'aspetto economico, non occorre andare oltre la teoria marxiana per vedere in questa distruzione il culmine atteso di una crisi da sovrapproduzione e delle sue «toppe» catalizzanti: l'apertura dei mercati delle merci, del lavoro dei capitali che ha imposto una concorrenza al ribasso (deflazione) frenando il lato della domanda e quindi la crescita, e l'iniezione di capitali finanziari destinati a non essere ripagati per il rallentamento dell'economia reale a cui hanno essi stessi contribuito drenando interessi e reclamando «condizionalità» governative a garanzia dei prestiti. Le chiusure, i fallimenti e anche i disordini da «lockdown» mimano gli effetti di una guerra nel creare le macerie su cui la giostra capitalistica conta di ripartire con la ricostruzione - green o black, digitale o analogica, smart o dumb, penso non importi a nessuno. Fino alla crisi successiva.
Politicamente, è diffusa la convinzione che questa ultima emergenza sia anche un metodo di governo per giustificare un'ulteriore verticalizzazione dei rapporti sociali agendo, nel nome del pericolo, da un lato sulle norme di ispirazione costituzionale che promuovono lo sviluppo umano della popolazione, dall'altro comprimendo la partecipazione dei cittadini con la duplice arma della repressione e dell'indigenza. Questo aspetto non ha bisogno di essere dimostrato, avendo già trovato conferma nella sempre più fitta serie di «emergenze» che scandiscono la storia degli ultimi vent'anni, ciascuna delle quali ha contribuito a scarnificare gli edifici socialdemocratici del dopoguerra strappando loro uno o più brani di benessere materiale, libertà, sovranità, tutele giuridiche e lavorative. In quanto all'abuso politico che se ne fa, la curva dei contagi o degli indici Rt è perfettamente intercambiabile con quella dello spread. In entrambi i casi e in ogni altro (almeno) dal 2001 a oggi, i «rimedi» proposti tendono sempre agli stessi esiti di controllare, costringere e destituire la popolazione in cambio di una «sicurezza» chimerica e ingorda di nuovi sacrifici.
Anche dall'analisi retorica non emergono novità. La narrazione dell'ultima emergenza ripropone quasi per intero catalogo degli espedienti che descrivevo in occasione di tre o quattro crisi fa: il mito della radicalità (il «grande reset», la «nuova normalità» ecc.), della resistenza al cambiamento, dell'infanzia, dell'autorità, dell'insufficienza, del dolore terapeutico, del controfattuale fantastico, della sfida, della colpevolizzazione ecc.. Ma non solo. Come ieri le politiche economiche austeritarie invocavano la nuda «legge dei numeri» per denunciare la carestia monetaria che esse stesse creavano, così le politiche sanitarie di oggi si appellano alle leggi biologiche di una malattia infettiva per imporre una serie di altre malattie su scala più estesa. Questo corto circuito, in cui gli atti deliberati si fanno scudo di immutabili dinamiche «naturali» a sé esterne per avverarle o ingigantirle artificialmente, trova un'applicazione limpida nei titoli di quest'anno, dove «il Covid», e non le politiche varate sotto il suo nome, sarebbe responsabile della crisi economica, occupazionale e sanitaria a cui stiamo assistendo. La fallacia sottesa è quella dell'assenza di alternativa (TINA), cioè di una pretesa identità problema-soluzione in cui il primo porta già inciso in sé la seconda escludendo ogni dubbio, ogni altra opzione e, quindi, ogni margine di libertà.
I messaggi con cui si annuncia l'arrivo dei nuovi vaccini offrono una conferma paradossale, ma assai istruttiva, di questa elisione logica e delle sue implicazioni pratiche. Mentre restano da sciogliere i dubbi sull'azione, l'efficacia, le procedure poco trasparenti e le controindicazioni di questi farmaci una volta somministrati in massa, la macchina della promozione ha già fatto il «salto» dichiarando che essi contribuiranno, si spera, a frenare almeno in parte la pandemia virale, ma in compenso saneranno senza meno quella indotta dai suoi «rimedi». Se l'avvenuta vaccinazione sarà la condizione per riaprire le attività economiche e per permettere ai singoli di uscire di casa, viaggiare e frequentare luoghi pubblici, allora è evidente che la pandemia contro cui ci si vuole immunizzare è innanzitutto quella di legge, sono le sindromi da «lockdown» imposte dalla stessa mano che ne offre l'antidoto. Astraendo dal merito, si intravede una strategia di governo estorsiva che crea una condizione insopportabile per far sì che i governati si riversino nell'unica via di fuga aperta o che comunque, stremati dalla sofferenza, la accettino come ineluttabile.
***
Non ci sono dubbi sul fatto che l'emergenza attuale stia producendo effetti di ineguagliata gravità sulla qualità della vita sociale. La compressione dei diritti costituzionali e i dispositivi di controllo imposti a una cittadinanza reclusa, irregimentata, tracciata come il bestiame, inseguita quando lascia il recinto, isolata dai propri affetti, spaventata, soggetta a realtà artificiali, trattamenti di massa e pedigree sanitari soddisfano tutti i requisiti del «totalitarismo zootecnico» di cui ha scritto Pier Paolo Dal Monte. Si tratta, sicuramente, di un «traguardo» mai raggiunto e tanto più strabiliante perché mal digerito da una fetta sempre crescente di soggetti. Come è dunque possibile che tutto ciò stia accadendo sotto i nostri occhi, e a questa velocità? Come ho già scritto, ritengo che non si possa rispondere senza inquadrare il fenomeno nel crescendo storico del metodo che lo ha partorito. Le emergenze che si sono susseguite a ritmi sempre più serrati negli ultimi decenni hanno accumulato i loro residui irreversibili nella cultura e nelle norme indebolendo ogni volta i freni necessari a contenere gli effetti delle successive, e perciò moltiplicandone la leva. Se, di pericolo in pericolo, la popolazione generale si è addestrata in breve tempo ad accettare oggi l'inaccettabile del giorno prima, un'attenzione speciale va rivolta agli esecutori materiali di questa demolizione, che distingueremo nei due ranghi delle classi politiche nazionali (a tutti i livelli) e dei funzionari (a tutti i livelli) impiegati nei settori coinvolti.
Nel primo caso è dolorosamente evidente come tutte le forze politiche convergano con disciplina nel sostenere la causa della pandemia di legge senza differenze di azione, verbalizzazione e persino di stile, pescando ciascuna le stesse parole d'ordine dallo stesso sacco per imporre, giustificare o annunciare gli stessi provvedimenti. Uno sguardo anche distratto a ciò che accade all'estero rivela in modo piuttosto chiaro che la matrice di queste misure fotocopiate con impercettibili differenze in ogni angolo di mondo non è nazionale né tanto meno locale, né può quindi dipendere dal voto. I rappresentanti eletti agiscono come costosi passacarte, agenti di commercio, camerieri di una pietanza che devono far trangugiare al popolo, spettatori di un film che racconteranno agli elettori fingendosene i registi. Mentre i più onesti (pochi) tacciono o alludono, gli altri (tutti) giurano di poter cambiare la trama e alimentano così l'illusione di una dialettica che si riduce, nei fatti, a decidere quale firma apporre in calce a decreti prestampati.
Non è difficile riconoscere anche in questa pantomima il frutto maturo di un processo di svuotamento delle sovranità nazionali preparato e invocato da tempo, da un lato vincolando la spesa dei governi e delle amministrazioni, e quindi anche le loro decisioni, ai requisiti di pareggio e ai prestiti dei grandi gruppi privati, dall'altro trasferendo sempre più poteri alle agenzie continentali e sovranazionali che deliberano, come auspicava Mario Monti, «al riparo dal processo elettorale». La destituzione dei popoli e la conversione delle loro assemblee in somministratori di prodotti politici confezionati altrove implica anche la necessità di comprimere l'indipendenza degli eletti affinché non cedano mai, neanche per sbaglio, alla tentazione di rappresentare gli elettori. Questo ulteriore «vincolo interno» trova un appoggio teorico nel concetto versailliano di «populismo» che indica nella frustrazione della volontà popolare una virtù di governo, e pratico in un processo che parte da lontano, dall'abolizione ormai più che ventennale del voto di preferenza, prosegue oggi con la riduzione del numero dei parlamentari e veleggia verso l'ultima stazione: il vincolo di mandato, che renderà impossibile ogni deroga anche per norma.
Più sotto, sugli esecutori-funzionari agisce un vincolo, se possibile, ancora più perverso. Alle forze di polizia, ai medici e agli altri addetti alla sicurezza sanitaria, del lavoro e di comunità spetta il compito di inoculare materialmente la pandemia di legge nella popolazione. Limitando l'osservazione al settore produttivo, le azioni di interdizione e sanzione rendono ancora più aspra una crisi in cui le imprese già versavano a causa dei crescenti vincoli burocratici e fiscali, del dumping dei grandi gruppi industriali in regime di mercato aperto, delle strette creditizie e della contrazione dei consumi. A cascata, ne soffre anche l'occupazione già caratterizzata da bassi tassi di impiego, contratti precari e salari insufficienti, specialmente tra i giovani. In questo contesto gli incaricati di applicare le norme emergenziali diventano ingranaggi di un meccanismo che si autoalimenta. Da un lato cresce l'astio nei loro confronti perché esecutori «privilegiati» di un danno da cui sono (momentaneamente) immuni. Dall'altro, chi di loro vive con disagio i nuovi doveri e le norme che li istituiscono si trova incatenato dal suo stesso «privilegio», cioè dalla normalità di percepire uno stipendio per svolgere un lavoro, che diventa però anomala nel circostante deserto occupazionale e salariale: lo stesso che cresce proprio in forza dell'adempimento di quei doveri.
Mentre i giornali danno risalto agli eccessi di zelo attizzando al massimo il conflitto tra sanzionatori e sanzionati, i tanti che vorrebbero esprimere o esercitare una critica devono guardarsi dal cadere in quello stesso inferno di disoccupazione, indigenza e precarietà vieppiù incendiato dai dispositivi dell'emergenza. Fino a non molti anni fa le opportunità di mobilità e di impiego garantite da un mercato del lavoro florido e da un habitat favorevole alla piccola e media impresa investivano i lavoratori di un potere contrattuale che si traduceva in forti protezioni sindacali e di legge e, a cascata, in margini di indipendenza inconcepibili per gli standard attuali. Il successivo inaridimento «a due velocità» delle tutele, la crisi dell'imprenditoria e i tentativi spesso riusciti di trasmettere queste piaghe al settore pubblico con l'aziendalizzazione, la privatizzazione e l'esternalizzazione hanno invece scavato un fossato profondo che fa apparire come un premio immeritato ciò che fino a ieri era un diritto per tutti (Cost., art. 4). Ritengo che sia anche nel quadro di questa involuzione che debba spiegarsi la progressiva militarizzazione della funzione pubblica e dei suoi addetti, ora ritenuti appunto titolari di un premio che va meritato con l'obbedienza cieca e una disciplina non solo operativa, ma anche intellettuale.
Sinora l'applicazione più estrema di questo dispositivo di asservimento ha colpito, non certo casualmente, la classe medica, che conosce oggi per la prima volta il rischio che i suoi esponenti siano interdetti dalla professione per avere espresso opinioni non conformi agli slogan di una progettualità politica gabellata per «consenso scientifico». I provvedimenti di radiazione che hanno raggiunto alcuni medici rei di avere sollevato dubbi su un trattamento sanitario glorificato dai centri di potere mondiali sono stati ripetutamente denunciati da alcuni (purtroppo pochi) colleghi consapevoli e anche dal sottoscritto, non solo in quanto abnormi e incompatibili con la libertà predicata dal codice di condotta della categoria, ma più ancora perché entrano a gamba tesa nel dibattito scientifico, ne intimidiscono i protagonisti e in questo modo rendono impossibile lo sviluppo di conoscenze migliori.
* * *
Con questa rassegna ho cercato di mostrare come le condizioni di oggi, per quanto in sé mai sperimentate, «tirino le somme» di altri fenomeni che già da tempo erodono la diga democratica e costituzionale e ora convergono insieme per scatenare la «tempesta perfetta» a cui assistiamo. L'emergenza come sistema di governo va preparata agendo tanto sulla percezione del pubblico quanto sulle infrastrutture politiche, affinché possa produrre i suoi effetti senza ostacoli e senza che il sistema ferito possa tornare all'equilibrio iniziale. Come tutti i processi di demolizione, anche quello odierno ha imboccato la via di un'accelerazione che disorienta i suoi stessi protagonisti. Gli annunci che si susseguono ai vertici della politica e dell'informazione confermano la volontà di agire in modo ormai scopertamente rivoluzionario, senza cioè curarsi dei residui freni normativi e culturali né, soprattutto, delle resistenze dei soggetti. Si corre disordinatamente alla meta e si trascura in ciò l'accompagnamento narrativo che ora punta tutto sulla ripetizione più che sul confezionamento di messaggi credibili, coordinati e coerenti. In questo frastornìo il pubblico si confonde e si interroga, punta i piedi, si sforza di colmare le lacune della comunicazione ufficiale e tende a ridurre i moventi della propria conformità alla paura delle sanzioni e della riprovazione.
È perciò anche un momento di risveglio. Le enormità presentite o vissute suscitano in molti la tentazione di un pensiero critico e indipendente, di una diffidenza per la prima volta di massa che sconta però spesso il limite di applicare all'eccezionalità dei tempi i moventi eccezionali della «follia» e dell'«errore». Giacché invece «non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo» (Lc 6,44), le difficoltà presenti offrono l'occasione non solo di testimoniare il proprio dissenso affermando le ragioni demodées del raziocinio, della dignità umana e dell'inviolabile legge morale che ci proteggerebbero dalla cattività animale in cui stiamo scivolando, ma anche di rimettere in discussione i miti che da anni, in ogni settore della vita comune, mattone dopo mattone, hanno prodotto una società così disfunzionale da poter essere tenuta insieme solo con le catene e il ricatto. - Fonte
Bellissimo questo post. Da rileggere. Complimenti a chi l'ha scritto e a chi la scelto.
RispondiEliminaBuongiorno, ecco La Verità di oggi
RispondiEliminaRenzi suonato, Conte bollito
Grazie a voltagabbana e senatori a vita, il premier raccatta una maggioranza risicata. Però dallo scontro parlamentare esce malconcio e forse sarà costretto a dimettersi. Di sicuro, d’ora in poi basta pieni poteri e dpcm. Quanto al fiorentino, era partito per rottamare ed è stato costretto all’astensione per non perdere il partito. E così anche stavolta agli italiani è impedito di votare.
• Sui vaccini ci stanno prendendo in giro
• Ricorso al Tar e fiale secondo il Pil. È sempre lite Lombardia-Roma
• La carica dei sacerdoti che si credono rockstar
social.laverita.info/sfogliatore
Oggi, poiché ne ricorre l'anniversario
RispondiElimina(20 gennaio), ho celebrato la s.Messa
all'altare dove l'Immacolata è apparsa a Ratisbonne.
Vi avevo celebrato pure la prima s.Messa. SK224
San Massimiliano Maria Kolbe
Maria, Concepita senza peccato, prega per noi che a te ricorriamo e per coloro che ti sono raccomandati
Massimo Maraviglia
RispondiEliminaEcco che entra in vigore l'ennesima delirante ordinanza del sindaco di Milano, Beppe Sala, che vieta di fumare all'aperto, e in particolare alle fermate dei mezzi pubblici e nei parchi. All'aperto il fumo della sigaretta non può danneggiare nessuno, se non chi lo respira direttamente, tutt'al più, in rari casi di vicnanza forzata, può dare fastidio l'odore. Che il fumatore abbia l'accortezza di non fumare in faccia al prossimo è richiesto dalla civiltà e dall'educazione. Che un'autorità imponga l'educazione per legge con una proibizione generalizzata è solo follia. Ma in realtà una ratio c'è: questi signori del potere cittadino vogliono provvedere loro alla stessa "educazione" del popolo, ritenuto ignorante e bisognoso di una guida verso la virtù...che essi naturalmente detengono in quanto ideologicamente puri e immacolati. Tuttavia la loro virtù è un mostro logico: pillole abortive libere, droga libera, ma... vietato fumare, vietato usare l'automobile (a forza di limitazioni e divieti solo i ricchi potranno farlo, gli altri saranno costretti alla bicicletta e al monopattino ecologico) vietato parlare il linguaggio della realtà e della normalità, vietata la cultura tradizionale che bisogna "cancellare". Insomma una virtù invertita e irrazionale che questa sinistra chic intende imporre con la forza della legge, in linea con la grettezza ignorante degli estremisti dei campus e delle logge americane, presi sempre come esemipio da imitare dal provincialismo superficiale di questo mondo politico. Il loro plumbeo moralismo, il loro costruttivismo sociale, l'autoritarismo amministrativo sono gli ingredienti di questo comunismo coccoloso che, abbandonata ogni velleità di emancipazione sociale, ha ripiegato sulla forma più odiosa di gestione del potere: dirigere la vita dei cittadini, invadere la sfera privata, orientare le relazioni sul modello vomitevole di una upper class urbana e decadente ... di cui Sala è personalità esemplare: yuppie convertito al centro sociale, manager spregiudicato con l'istinto dello squalo e le apparenze del coniglio, ricco borghese dal pugno chiuso, arrogante spacciatore di falsità moralistiche e di insulsaggini politicamente corrette... Una vera disgrazia che Milano non merita"
Siamo partiti da "si può dire qualsiasi cosa, non importa cosa, è tutto sullo stesso piano perché non esiste alcuna verità" (relativismo anni 2000) per poi accorgerci che così si è erosa completamente la fiducia e la cultura condivisa, che sono la base di ogni società. Ora stanno sostituendo la cultura e l'identità del passato con un'altra, da buoni ideologi di sinistra. Solo che prima l'identità era popolare e condivisa da molti, mentre la "nuova cultura" viene imposta dallo Stato come rieducazione forzata.
RispondiElimina(Riccardo Zenobi)
Più la società diventa di sinistra (secolarizzata) più diventa moralista, perché sostituisce al fondamento ontologico della morale il potere dell'ideologia sulle menti: se la libertà è ciò che è in accordo con l'ideologia di riferimento, se sgarri contro il Verbo politicamente corretto sei fottuto perché critichi la libertà degli altri.
RispondiEliminaLa sinistra è la scimmia del cristianesimo, ciò che ne resta togliendo l'amore fondato sulla realtà per sostituirlo con una ideologia che intende fondare la comprensione della realtà.
Covid. Arriva la terza ondata con Stefano Montanari / Ven 15 gen 2021 /h 18
RispondiEliminahttps://gloria.tv/post/R4MSsmepUKg74X6WjPMRghCKS
“Una cosa morta va con la corrente, solo una cosa viva può andare controcorrente”. G. K. Chesterton
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Uno studio veramente prezioso, da cui si possono dedurre, secondo il prof. Fantini, queste conclusioni: 1) Non c’è stata alcuna pandemia in Italia ma un’epidemia che ha riguardato solo un ristretto numero di regioni italiane quasi tutte del Nord. 2) L’epidemia ha avuto effetti significativi sulla mortalità complessiva solo nel bimestre MARZO – APRILE 2020. 3) C’è stato un aumento drammatico di mortalità nelle provincie di Bergamo (soprattutto) , Brescia, Cremona, Piacenza che andrebbe indagato a fondo perché del tutto inspiegabil. Per circa il 40% queste morti aggiuntive non sono ufficialmente attribuite al Covid.
RispondiEliminahttps://www.marcotosatti.com/2021/01/22/covid-epidemia-in-alcune-regioni-non-pandemia-uno-studio-del-prof-fantini/
Viremìa = Presenza di particelle virali nel circolo sanguigno. La via più comune di diffusione sistemica dei virus è quella ematica, che il virus raggiunge nella maggior parte dei casi attraverso i vasi linfatici.
Epidemìa = Manifestazione collettiva d’una malattia (colera, influenza ecc.), che rapidamente si diffonde fino a colpire un gran numero di persone in un territorio più o meno vasto in dipendenza da vari fattori, si sviluppa con andamento variabile e si estingue dopo una durata anche variabile.
Pandemìa = Epidemia con tendenza a diffondersi ovunque, cioè a invadere rapidamente vastissimi territorî e continenti .
Vox Italia Tv
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=ub4vlQzZ2AY
Michele Mario Giarrusso, Senatore della Repubblica vicino al movimento "Italexit" di Paragone", racconta cosa si muove in Senato per tenere in piedi un governo che ha ormai esaurito la sua spinta propulsiva (ammesso ne abbia mai avuto una). "Travaglio difende oggi posizioni che fino a ieri condannava"