Riprendo di seguito una recente riflessione di Roberto De Mattei sulla romanità. Richiamo con l'occasione questo interessantissimo precedente: Cattolicità e romanità della Chiesa nell'ora presente, il suo intervento al Convegno Summorum del 2009 [qui].
E non posso non ricordare il card. Pacelli/Pio XII: «Nessuna città vince o vincerà il destino di Roma. Gerusalemme e il suo popolo non sono più la città e il popolo di Dio: Roma è la nuova Sion, e romano è ogni popolo che vive di fede romana. Città più popolose e ampie ha il mondo e ne vanno superbe le genti; città sapienti ebbe la storia delle Nazioni; ma città di Dio, città della Sapienza incarnata, città di un magistero di verità e di santità, che tanto sublima l’uomo da elevarlo sull’ara fino al cielo, non è che Roma, eletta da Cristo «per lo loco santo, u’ siede il successor del maggior Piero» (Inf., II, 23-24).» Cardinale Eugenio Pacelli, Il sacro destino di Roma - Discorsi e Panegirici (1931-1938), XXXV, pp. 509-514)
Ma cosa è rimasto della "romanità" oggi? Niente, apparentemente. Né della Roma pagana né di quella cristiana. Abolendo il latino come lingua liturgica [un accenno qui] la Gerarchia cattolica attuale ha inflitto un vulnus micidiale agli studi classici, interrompendo in pratica il nesso tra pensiero classico e cristianesimo. Il cattolicesimo è diventato un coacervo di riti e chiese nazionali, in innumerevoli lingue e dialetti; un coacervo di "conferenze episcopali nazionali", caricature del parlamentarismo che ben conosciamo, con tutti i suoi difetti.
La "romanità" significava unità di comando e disciplina, senso del diritto e della "res publica", nell'unità del dogma (per la Chiesa) ma nel giusto rispetto delle autonomie locali. Unità in funzione di un'idea universale, prima di potenza terrena, aggressiva ma anche civilizzatrice, poi di potenza spirituale, di conversione delle anime a Cristo, per il Regno dei Cieli. (M.G.)
Lo spirito romano di cui abbiamo bisogno
Lo spirito romano è quello che si respira solo a Roma, la città sacra per eccellenza, centro del Cristianesimo, patria eterna di ogni cattolico, che può ripetere «civis romanus sum» (Cicerone, In Verrem, II, V, 162), rivendicando una cittadinanza spirituale che ha come confini geografici quelli non di una città, ma di un Impero: non l’Impero dei Cesari, ma quello della Chiesa cattolica, apostolica e romana.
Un tempo i vescovi delle diocesi più lontane mandavano i loro seminaristi e sacerdoti a Roma, non solo per studiare nelle migliori facoltà teologiche, ma per acquisire questa romanitas spirituale. Per questo Pio XI, rivolgendosi ai professori e agli studenti della Gregoriana, così si esprimeva: «La vostra presenza Ci dice che la vostra suprema aspirazione, come quella dei vostri Pastori che qui vi inviarono, è la vostra formazione romana. Che questa romanità che siete venuti a cercare in quella Roma eterna della quale il grande Poeta – non solo italiano, ma di tutto il mondo, perché poeta della filosofia e teologia cristiana (Dante, n.d.r.) – proclamava Cristo Romano, si faccia signora del vostro cuore, così come Cristo ne è Signore. Che questa romanità vi possieda, voi e l’opera vostra, così che tornando nei vostri paesi ne possiate essere maestri ed apostoli» (Discorso del 21 novembre 1922).
Io l'ho respirato qui e dintorni |
Roma è la città che ospita le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, è la necropoli sotterranea che nelle sue viscere contiene migliaia di cristiani. Roma è il Colosseo, dove i martiri affrontarono le belve feroci; è San Giovanni in Laterano, ecclesiarum mater et caput, dove si venera il solo osso di sant’Ignazio risparmiato dai leoni. Roma è il Campidoglio, dove Augusto fece innalzare un altare al vero Dio che stava per nascere da una Vergine e dove fu elevata la basilica dell’Aracoeli, in cui riposa il corpo di sant’Elena, l’imperatrice che ritrovò le reliquie della Passione oggi custodite nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
Roma sono le vie, le piazze, le case e i palazzi, dove vissero e morirono santa Caterina da Siena e santa Francesca Romana, sant’Ignazio e san Filippo Neri, san Paolo della Croce e san Leonardo da Porto Maurizio, san Gaspare del Bufalo e san Vincenzo Pallotti, san Pio V e san Pio X. A Roma puoi visitare le stanze di santa Brigida di Svezia a piazza Farnese, di san Giuseppe Benedetto Labre a via dei Serpenti, di san Stanislao Kotska a S. Andrea al Quirinale. Qui puoi venerare la culla di Gesù bambino a santa Maria Maggiore, il braccio di san Francesco Saverio nella Chiesa del Gesù, il piede di santa Maria Maddalena nella chiesa di san Giovanni dei Fiorentini.
Roma ha subito flagelli di ogni ordine nella sua lunga storia: fu messa a sacco dai Goti nel 410, dai Vandali nel 455, dagli Ostrogoti nel 546, dai Saraceni nell’846, dai Lanzichenecchi nel 1527. La invasero i giacobini nel 1799 e i piemontesi nel 1870, fu occupata dai nazisti nel 1943. Roma porta nel suo corpo le cicatrici di queste profonde ferite, e di altre ancora, come la Peste Antonina (180), la Peste Nera (1348), l’epidemia di colera del 1837 e l’influenza spagnola del 1917. Secondo lo storico americano Kyle Harper (Il destino di Roma, Einaudi, Torino 2019), il crollo dell’Impero romano non fu causato solo dalle invasioni barbariche ma anche dalle epidemie e dagli sconvolgimenti climatici che caratterizzarono il periodo che va dal secondo al sesto secolo dopo Cristo. Queste guerre ed epidemie, anche nei secoli successivi, furono sempre interpretate come castighi divini. Così Ludwig von Pastor scrive che universalmente, presso gli eretici e presso i cattolici, «si vide nel terribile Sacco di Roma un giusto castigo del Cielo sulla capitale della cristianità sprofondata nei vizi» (Storia dei Papi, Desclée, Roma 1942, vol. IV, 2, p. 582). Ma Roma sempre si rialzò, purificata e più forte, come nella medaglia che nel 1557 fece coniare Paolo IV, dedicata a Roma resurgens, dopo una terribile carestia. Di Roma si può dire quello che si dice della Chiesa: impugnari potest, expugnari non potest: sempre combattuta, mai abbattuta.
Per questo, nei giorni inquieti che viviamo, e che ancor più ci aspettano, dobbiamo sollevare lo sguardo verso la Roma nobilis, la cui luce non tramonta: la nobile Roma, che un antico canto di pellegrini saluta come signora del mondo, rosseggiante per il sangue dei martiri, biancheggiante per i candidi gigli delle Vergini: «O Roma nobilis, orbi et domina, Cunctarum urbium excellentissima, Roseo martyrum sanguine rubea, Albi et virginum liliis candida».
La Roma cristiana raccoglie ed eleva sul piano soprannaturale le qualità naturali della Roma antica. Lo spirito del romano è quello dell’uomo giusto e forte [il vir -ndr], che affronta con calma e imperturbabilità le situazioni più avverse. Il romano è l’uomo che non si lascia scuotere dal furore che lo circonda, è l’uomo che rimane impavido, anche se l’universo cade in frantumi sopra di lui: «si fractu inlabatur orbis, impavidum feriant ruinae» (Orazio, Carme III, 3). Il cattolico che eredita questa tradizione, afferma Pio XII, non si limita a rimanere in piedi nelle rovine, ma si sforza di ricostruire l’edificio abbattuto, impiega tutte le sue forze nel seminare il campo devastato (Allocuzione alla Nobiltà romana del 18 gennaio 1947).
Lo spirito romano è uno spirito fermo, combattivo, ma prudente. La prudenza è il retto discernimento intorno al bene e al male e non riguarda il fine ultimo dell’uomo, che è oggetto della sapienza, bensì i mezzi per conseguirlo. La prudenza è dunque la sapienza pratica della vita e tra le virtù cardinali è quella che occupa il posto centrale e direttivo. Perciò san Tommaso la considera il coronamento di tutte le virtù morali (Summa Theologiae, II-II, q. 166, 2 ad 1).
La prudenza è la prima virtù richiesta ai governanti è tra tutti i governanti nessuno ha una responsabilità più alta di chi guida la Chiesa. Un Papa imprudente, incapace di governare la navicella di Pietro, sarebbe la più grave delle sciagure, perché Roma non può essere senza un Papa che la governi e un Papa non può essere privo dello spirito romano che lo aiuti a governare la Chiesa. Se ciò accade, la tragedia spirituale è maggiore di qualsiasi sciagura naturale.
Roma ha conosciuto disastri di ogni genere, ma li ha affrontati come fece san Gregorio Magno, nel 590, di fronte alla violenta epidemia di peste, che si era abbattuta sulla città. Per placare la collera divina, il Papa, appena eletto, ordinò una processione penitenziale del clero e del popolo romano. Quando il corteo giunse al ponte che unisce la città al Mausoleo di Adriano, Gregorio vide sulla sommità del Castello san Michele, che, in segno del cessato castigo, riponeva nel fodero la spada insanguinata, mentre un coro di angeli cantava: “Regina Coeli, laetare, Alleluja – Quia quem meruisti portare, Alleluja – Resurrexit sicut dixit, Alleluja!”. San Gregorio rispose ad alta voce: « Ora pro nobis Deum, Alleluja!».
Nacque così l’armonia che ancora risuona da un capo all’altro dell’orbe cattolico. Possa questo canto celeste infondere nei cuori cattolici un’immensa fiducia in Maria, protettrice della Chiesa, ma anche di quello spirito romano, forte ed equilibrato, di cui più che mai abbiamo bisogno in questi giorni terribili. (Roberto De Mattei - Fonte)
La prudenza è la prima virtù richiesta ai governanti è tra tutti i governanti nessuno ha una responsabilità più alta di chi guida la Chiesa. Un Papa imprudente, incapace di governare la navicella di Pietro, sarebbe la più grave delle sciagure, perché Roma non può essere senza un Papa che la governi e un Papa non può essere privo dello spirito romano che lo aiuti a governare la Chiesa. Se ciò accade, la tragedia spirituale è maggiore di qualsiasi sciagura naturale.
Roma ha conosciuto disastri di ogni genere, ma li ha affrontati come fece san Gregorio Magno, nel 590, di fronte alla violenta epidemia di peste, che si era abbattuta sulla città. Per placare la collera divina, il Papa, appena eletto, ordinò una processione penitenziale del clero e del popolo romano. Quando il corteo giunse al ponte che unisce la città al Mausoleo di Adriano, Gregorio vide sulla sommità del Castello san Michele, che, in segno del cessato castigo, riponeva nel fodero la spada insanguinata, mentre un coro di angeli cantava: “Regina Coeli, laetare, Alleluja – Quia quem meruisti portare, Alleluja – Resurrexit sicut dixit, Alleluja!”. San Gregorio rispose ad alta voce: « Ora pro nobis Deum, Alleluja!».
Nacque così l’armonia che ancora risuona da un capo all’altro dell’orbe cattolico. Possa questo canto celeste infondere nei cuori cattolici un’immensa fiducia in Maria, protettrice della Chiesa, ma anche di quello spirito romano, forte ed equilibrato, di cui più che mai abbiamo bisogno in questi giorni terribili. (Roberto De Mattei - Fonte)
Tutto passerà. Anche le città.
RispondiEliminaLa nostra Roma è Cristo, non un luogo geografico. Noi non siamo ebrei e non abbiamo bisogno di imitarlo. Le lingue cambiano, i popoli pure, le nazioni sorgono e cadono, le chiese oggi ci sono domani cadranno in rovina ma Cristo no. Lui stesso è nato in periferia. Un falegname di un piccolo villaggio. Pietro un pescatore, Matteo un esattore corrotto, Paolo mercante di tendaggi, etc...lui è nato tra gli ultimi e si è circondato di ultimi. Ultimi che hanno deciso il destino del mondo molto di più degli imperatori o dei Signori di qualsiasi città. La fede in cristo non alberga tra i mattoni ne nella pietra. Ma nel cuore.
Cordiali saluti.
il Papa incontrerà Victor Orbán
RispondiElimina***
La Conferenza episcopale ungherese ha confermato che Papa Francesco incontrerà le autorità del Paese magiaro durante la sua breve visita in occasione del 52° Congresso eucaristico internazionale.
Tale incontro avverrà prima della Santa Messa che il Pontefice officierà.
Come spiega il comunicato della Conferenza Episcopale Ungherese, il 12 settembre il Santo Padre prima della Santa Messa incontrerà, in un luogo riservato, Áder János, Presidente della Repubblica, Victor Orbán, Primo Ministro, membri del Governo e altri alti funzionari.
La Conferenza episcopale smentisce così le voci, diffuse ad arte, secondo le quali il Santo Padre avrebbe voluto "evitare di avere contatti" con Orbán, "per via della sua politica migratoria"
Lo sanno certi uomini di Chiesa che parlano sempre di "rispettoso accompagnamento", circa le categorie di persone che vivono in peccato, che se non le accompagnano al confessionale le accompagneranno all'Inferno?
RispondiEliminaRB
Ma ci andranno pure loro, ed è questo che vuole il loro capo pro-tempore, questo è il compito che gli è stato affidato: conquistate quante più anime possibile e condurle " a Cristo?" ? neanche per sogno, deve condurle laggiù, dove è pianto e stridor di denti, perché altrimenti avrebbe ribaltato base, strumenti ed obiettivi della Chiesa di Cristo, portando a termine il processso iniziato da Roncalli, Montini e dal CV II ? Tranquilli, però, presto sbatteranno il capo contro la "Pietra d' Angolo" e se la romperanno...
Elimina
RispondiEliminaPiccole, secondarie correzioni del pignolo all'articolo del prof. De Mattei.
Un bell'articolo, anche se l'apologia dello "uomo romano" è sostanzialmente quella di un modello, di un ideale più che di un uomo reale, incarnatosi nel modello solo a tratti...
Nell'Ottocento, ad esempio, c'era anche la "Roma del Belli", plebea, miscredente, scettica e cinica, prima dell'arrivo dei "piemontesi", non propriamente il meglio della romanità.
Le qualità dello "uomo romano" erano poi quelle dei popoli italici e infine dei vari popoli che già costituirono l'Italia una sotto il governo di Roma, mantenutesi nell'aristocrazia romana diventata cristiana e sublimatesi in grandi individualità come S. Gregorio Magno, Consul Dei, dell'antica famiglia aristocratica degli Anici.
Nell'846 i Saraceni non saccheggiarono Roma. Si continua a ripetere questa imprecisa notizia. Saccheggiarono le basiliche poste fuori le mura. Il Papa mobilitò tutta la popolazione, che respinse dalle mura l'attacco. Si trattaò di colonne mobili di predoni arabi maomettani sbarcati a Ostia, che infestarono il territorio per diversi giorni scontrandosi più volte con le forze locali in sanguinosi anche se brevi combattimenti, reimbarcandosi alla fine con il bottino (perdendolo poi in una tempesta - controllare).
Tornarono nell' 848 con una grande flotta per conquistare Roma, ma la flotta delle forze navali italiane tirreniche (con qualche nave bizantina?), riunita sotto la spinta del Papa, li disfece nella famosa battaglia navale di Ostia. Una battaglia di importanza mondiale (evitò la conquista mussulmana di Roma) che non viene adeguatamente ricordata nelle Istorie.
Nel 1870 Roma fu occupata dal Regno d'Italia, nato formalmente il 17 marzo del 1861, domenica. Non è pertanto esatto continuare a dire che furono "i piemontesi" (il Regno di Sardegna) ad occupare la Roma papale per farne la capitale del nuovo Regno. L'Offesa al Papa nel temporale fu fatta dal Regno d'Italia e il Regno fu perdonato dal papa con la Conciliazione del 1929, regnante Pio XI.
Alle costruzioni della Roma cristiana, all'aura particolare ed unica dei suoi edifici e
luoghi di culto, bisognerebbe forse aggiungere anche Via della Conciliazione, fatta fare da Mussolini. Fu demolito il fatiscente quartiere popolare detto della Spina, che occultava S. Pietro alla vista con l'omonima piazza, e aperta la grandiosa prospettiva che tutti possiamo oggi ammirare. Gli abitanti della Spina, gente del popolo in gran parte, furono trasferiti ai nuovi quartieri del Quarticciolo, alla periferia, ma in case moderne, dove poteva ogni famiglia avere finalmente un bagno per sé (nelle vecchie case della Spina era un gabinetto in comune, sul pianerottolo).
H
Anonimo 8:46
RispondiEliminaOvvio che tutto passerà, ma l'Incarnazione e la sua concretezza richiedono la storia e nella storia luogo e tempo non sono elementi secondari. Così come non è secondario, nella pienezza dei tempi in cui è avvenuta l'Incarnazione, il ruolo di Roma nella diffusione del cristianesimo e della civiltà che esso ha fecondato. E, se la nostra civiltà è in crisi e con essa la romanità, non è detto che tutto sia tramontato e non debba risorgere ciò che ha in sé il crisma della perennità...
IL PATRIARCA MARONITA RINNOVA LA CONSACRAZIONE DEL LIBANO E DEL MEDIO ORIENTE AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA
RispondiElimina***
Il Cardinale libanese Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, ha rinnovato l'atto di consacrazione del Libano e dell'intero Medio Oriente al Cuore Immacolato della Vergine Maria, durante la celebrazione della liturgia eucaristica da lui presieduta nel Santuario di Nostra Signora del Libano, ad Harissa. Alla celebrazione liturgica ha partecipato anche l'Arcivescovo Joseph Spiteri, nunzio apostolico in Libano, insieme a un numero limitato di fedeli provenienti da varie regioni del Paese, a causa delle misure di sicurezza sanitaria imposte dalla pandemia. Durante l'omelia il Patriarca ha denunciato il modus operandi della classe politica libanese.
«In questi giorni difficili i funzionari cercano di salvare se stessi e i propri interessi, e se ne fregano di un popolo stanco di vivere l'umiliazione davanti a banche e cassiere, davanti a distributori di benzina e panifici, davanti a farmacie e ospedali ".
Riferendosi allo scenario devastante della crisi libanese, il porporato si è chiesto se la stagnazione istituzionale che impedisce la formazione di un nuovo governo non nasconda realmente l'intenzione di rinviare e di fatto sabotare le elezioni parlamentari e presidenziali previste tra maggio e ottobre 2022, oppure anche il disegno di provocare il crollo del sistema-paese, proprio in occasione del centenario dell'indipendenza nazionale: " Siamo un popolo che non morirà e quindi non permetteremo che questo programma si completi".
Il Patriarca Béchara Boutros Raï ha consacrato per la prima volta il Libano e l'intero Medio Oriente al Cuore Immacolato di Maria il 16 giugno 2013. In occasione di quel primo solenne atto di consacrazione, poi celebrato nel Santuario mariano di Harissa, il Patriarca maronita aveva invitato tutti i popoli della regione a liberarsi "dai peccati che portano a divisioni, aggressioni e violenze". In quell'occasione una moltitudine di fedeli si era radunata intorno alla Basilica per implorare che la Terra dei Cedri non fosse travolta dal contagio dei conflitti settari che dilaniavano la vicina Siria.
Ieri, mercoledì 9 giugno, è iniziato il sinodo maronita, l'annuale riunione dei Vescovi della Chiesa maronita. La prima parte dell'incontro sinodale, che andrà avanti fino a sabato 13 giugno, assumerà la forma di un ritiro spirituale, con meditazioni guidate da padre Fadi Tabet, rettore del Santuario di Harissa.
(MATTEO ORLANDO)
RispondiElimina"tutto passerà...."
Sì, "vanità delle vanità", dice l'Ecclesiaste (Qohelet). "Nulla di nuovo sotto il sole".
Ma non ne ricava che "tutto è vano" come diceva il bonzo del famoso film "L'Arpa birmana".
Il paradiso o l'inferno ce li meritiamo q u i, nella storia, giorno dopo giorno, in base alle concrete nostre azioni, ai nostri pensieri e inclinazioni, redenti o non redenti.
Possiamo quindi dire che ogni nostro pensiero, ogni nostra azione vale in eterno, non passa mai agli occhi del Signore, se è vero, come è vero, che verranno entrambi giudicati da Lui quali pegni in eterno di salvezza o dannazione. Pegni ed anzi cause.
Nel ventre di nostra madre, appena concepiti, siamo già immortali, nel bene o nel male.
O.
@ H.
RispondiEliminaLa battaglia di Ostia, se non erro, fu nell'849 e non nell'848. I bizantini vi partecipavano indirettamente, cioè vi partecipava il ducato di Napoli che a differenza degli altri ducati, che avevano ottenuto una certa autonomia, era a tutti gli effetti un'amministrazione provinciale dell'Impero. Quella battaglia, come una settantina d'anni dopo la battaglia del Garigliano (915), due tappe fondamentali per salvare l'Italia centro-meridionale dalle conquiste saracene, sono in effetti assai poco conosciute nonostante la loro importanza. Credo che le ragioni risiedano anche nel fatto che, a differenza per esempio di Poitiers (una battaglia tutto sommato secondaria per bloccare l'avanzata araba, molto più importanti, come spiega l'Ostrogorsky, le quasi coeve vittorie di Costantino V, eretico ma sicuramente valido stratega), non hanno trovato alcuna sponda nella letteratura e nell'ideologia. C'è però della bibliografia interessante, seppur ancora confinata tra gli specialisti e gli appassionati del periodo specifico, che si sta sviluppando sul tema.
RispondiEliminaLa battaglia di Ostia e la distruzione della base mussulmana del Garigliano
Esiste anche una letteratura non per specialisti su questi temi. Per esempio nelle Collane di Mursia, Milano, che ha pubblicato e pubblica buoni libri di storia militare. Sul tema abbiamo:
Rinaldo Panetta, I Saraceni in Italia, Mursia, 1973, cap. 11 : "Assalto a Roma e contrattacco dei Rumi", pp. 69-82; cap. 12, La battaglia navale di Ostia, pp. 77-82. Quest'autore, un tenente-colonnello nato il 1910 che, una volta in pensione, si era dedicato agli studi di storia militare, sempre con Mursia, ha pubblicato altri due volumi sul tema, facendo in pratica la storia della pirateria mussulmana (che finì solo nel 1830, quando i francesi cominciarono ad occupare l'Algeria).
Una piaga endemica, interrotta solo dall'occupazione europea del Nordafrica, durata circa un secolo (piaga ora sostituita dall'invasione dei c.d. "migranti").
Gli altri due volumi sono: R"=.P. "Pirati e corsari turchi e barbareschi nel Mare Nostrum, XVi secolo"; e "Il tramonto della mezzaluna", xvii, xviii, xix secolo. Mursia ha ristampato in edizione economica molti suoi volumi, forse anche questi.
Per il primo volume, tra le fonti Gregorovius, Homo, e cronache locali.
Quest'autore non è uno storico di professione però dà un quadro abbastanza preciso e documentato.
Circa il c.d. "saccheggio di Roma" dell'846: la spedizione fu organizzata dall'Emiro di Sicilia. Tre colonne conversero su Roma: da Ostia, Centocelle, Porto, saccheggiando e devastando, essendo il contadiname nel frattempo scappato dentro Roma. I Saraceni assediarono Roma invano, furono respinti dalle frecce e altro che la popolazione, mobilitata assieme agli studenti stranieri di Borgo, lanciava loro. Saccheggiarono S. Pietro, fuori le mura, ricchissima di tesori e la ridussero a stalla per i loro cavalli.
La faccenda durò mesi: assaliti da bande di contadini armati dovettero lasciare la presa su Roma, ritirandosi poi verso Sud, sempre devastando e assediando, dove potevano. Arrivavano forze da tutta Italia in pratica ma nella stretta di Sutri gli arabi tesero un'imboscata disperdendole provvisoriamente. Alla fine, bloccati per mare anche dalla frotta napoletana, negoziarono la loro ritirata ma sembra sicuro che una tempesta abbia distrutto del tutto o quasi la loro flotta, bottino compreso.
Nell' 849 tornarono sempre per prendere Roma. Al posto del precedente, un sant'uomo molto anziano incapace di guidare eserciti, c'era un Papa, Leone IV, con doti di statista e condottiero.
I prigionieri arabi superstiti dopo la battaglia di Ostia furono impiegati a finire la costruzione delle Mura appunto Leonine, già iniziata da qualche tempo.
La coalizione navale che vinse a Ostia fu possibile grazie all'azione energica del Papa, dato che Napoli, che aveva una potente flotta, sembra nicchiasse, avendo forti legami commerciali con i musulmani. I Papi, quasi mai con un esercito valido, riuscirono invece più volte a mettere in piedi ottime flotte, che per secoli difesero il Tirreno dai maomettani (c'è dell'Abate Guglielmotti la ponderosa Storia della marina pontificia, ricordata dal Panetta).
H
Articolo fastidioso da leggere da parte di chi non ha scritto sulla propria carta d'identità "nato a Roma", che tuttavia si considera pienamente cattolico "romano". A cominciare dall'incipit, trasuda quello snobismo, quell'esclusivismo irritanti che questo autore non manca di esternare in ogni occasione. Tra l'altro il professore, come da commento che mi precede, dimostra di non conoscere bene la storia della sua città. Sarebbe stato invece utile sapere cosa ha da dire De Mattei sulle parole della Madonna riguardanti il dogma e il Portogallo.
RispondiElimina
RispondiEliminaArticolo fastidioso? Ma no.
Questa critica è eccessiva. De Mattei vuol riproporre l'immagine o meglio l'ideale della romanità spirituale, diventata cattolica dopo esser stata imperiale, con la Roma antica.
La Roma concreta cominciò a decadere quando la capitale dell'impero fu portata a Costantinopoli (AD 330, 11 maggio) ma non perse nulla del suo "carisma". Dalla casta di duri conquistatori arroccata sui Sette Colli (200 famiglie senatorie) si era sviluppato alla fine un impero nel quale tanti popoli si erano volentieri assimilati, alcuni civilizzandosi.
Le qualità della mentalità romana si integrarono nell'etica cristiana, trasferendo così l'aura di sacralità civile della Roma pagana alla Roma sede del papato, capitale della religione cristiana. La "romanità" come fatto spirituale positivo (senso del diritto, dello Stato, valore militare, disciplina, capacità di governare...) era diventata da tempo patrimonio di civites di ogni parte dell'impero, non era più un fatto "romano" geograficamente delimitato, come all'inizio.
Ma lo spirito ha pur bisogno di un luogo dove poggiare e questo è ora la Roma cristiana, con tutte le sue reliquie, città santa del Cattolicesimo (e lasciamo stare com'è ridotta oggi, questa decadenza dovrà pur finire un gorno). E, ciò che più conta, sede del governo effettivo della Chiesa universale (cui Roma come capitale del piccolo Stato italiano a ben vedere non dà alcuna ombra: e come potrebbe?).
Chi non è anagraficamente romano, pur essendo cattolico, non dovrebbe sentirsi offeso da questa esaltazione della Romanità cristiana, perché questa "romanità" è in realtà universale, come ai tempi dell'impero antico. Vista nel suo luogo storico, è la spiritualità della Roma cristiana, millenaria, che si eleva ben al di sopra del vivere "romanesco" dei suoi abitanti. Una città dello spirito, la Roma cristiana, nella quale vive concretamente tutto il passato e il presente del cristianesimo. In questo senso, la patria di tutti i veri cattolici.
(Circa il mancato saccheggio dell'846, si tratta di un equivoco diffusissimo: i Saraceni devastarono tutta la zona attorno alla città, che per qualche settimana assediarono, per poi esserne scacciati, e questi saccheggi lo sono diventati della città. Si potrebbe Hanche dire che i "piemontesi", quando occuparono Roma nel 1870, di certo non la misero "a sacco", quasi fossero stati un esercito di Lanzi. Ci furono dei disordini in alcuni quartieri, cosa inevitabile, ma l'esercito "piemontese" ristabilì rapidamente l'ordine. Queste precisazioni sono comunque su un tema secondario).
H.
Confermo che, per quanto mi riguarda, l'articolo di De Mattei infastidisce. Lo dico per fatto personale. A cominciare dalle prime battute: "Lo spirito romano è quello che si respira solo a Roma". Se fosse vero, ciò sarebbe la negazione della vera cattolicità e l'ammissione del fallimento della vera romanità. Quanti santi grandissimi non hanno mai messo piede a Roma, perfino papi legittimi, e anche prima della cattività avignonese? La vera romanità dev'essere necessariamente ad altissimo tasso di "contagiosità". Non ho tempo per argomentare più approfonditanmente, ma se fosse tutto oro colato ciò che è contenuto in questo scritto, non ci sarebbe soluzione altra alla crisi della Chiesa se non maturata all'interno delle mura aureliane, o pressappoco. Da qui le mie osservazioni negative. D'altronde il professore, da quel che asserisce altrove, dimostra di non avere riconosciuto in modo adeguato le coordinate storiche di questo periodo: nega ad esempio che questo sia un tempo di prove apocalittiche. "Avremo il trionfo del Cuore Immacolato di Maria", ripete in ogni occasione. Peccato che non sia in grado di argomentare per spiegarci cosa esso sia. Qualcuno prima di me ha insinuato che De Mattei confonde il Trionfo della Madonna con quello della NATO. Per conseguenza, non ravvisa il contenuto dell'ultimo libro del Canone in ciò che sta accadendo "ora", e che mai più potrà ripetersi, con tutto quello che ciò implica anche riguardo al destino e alla funzione di Roma, che in questo libro ultimo non viene mai nominata né si accenna al ruolo del suo Vescovo. Anche per questo, mi sono permesso di accennare al ruolo del Portogallo, come da messaggio mariano del 1917. Tra l'altro, per inciso, nemmeno Cicerone che l'esimio cattedratico cita all'inizio dell'articolo era romano doc: un provinciale, un "homo novus" che ha dovuto sgomitare per affermarsi, oggi si direbbe un "ciociaro", un mezzo burino. Eppure chi più di lui ha esaltato le qualità dell'uomo romano? chi più di lui raffinato prosatore nella lingua romana? Per questo, e per altre piu personali motivazioni, mi dà "fastidio" quello che scrive De Mattei, immagino discendente diretto di Scipione l'Africano (romanissimo, a dispetto del nome). Ma c'è chi come me si sente romano, nell'accezione dantesca, semplicemente perché è "imparentato", proprio per via di sangue, con Nostro Signore Gesù Cristo. E per terminare più prosaicamente: sono stato generato in una casa eretta sopra ruderi romani con una storia successiva importante, soprattutto per ciò che concerne la fede cattolica romana. I vomitoria di un anfiteatro ospitavano i miei giochi infantili. Attualmente ho casa su altri ruderi, pure romani, e Cicerone è un mio "parente" stretto. Ma per venire incontro a De Mattei in qualche modo: ebbene sì, ho vissuto a Roma per un po' di anni, e per qualche tempo addirittura in un palazzo del Cinquecento a due passi da piazza Navona, avendo modo di frequentare le sue meravigliose chiese. Così spero ardentemente di aver fatto in tempo a contrarre il morbo della "romanità", nell'accezione che a me sta a cuore.
RispondiEliminaAnonimo 14:48
RispondiEliminaComprendo molti suoi stati d'animo ma credo che a prevalere in lei sia lo spirito di polemica nei confronti di De Mattei, perché alla fine il prof. col suo scritto di fatto conferma che la Roma cristiana - come luogo concreto teatro e custode di storia e di reliquie -, è luogo dello spirito e nulla toglie alla romanitas che appartiene ad ogni vero cattolico e a 'La Catholica' in ogni angolo ed espressione della sua universalità
RispondiEliminaCicerone "raffinato prosatore della lingua romana". Il latino lo chiamiamo "lingua romana"?
Suvvia...
G.
Ma lei non ha afferrato il "gioco di parole". Lingua romana, per ribadire il leitmotiv del mio commento.
EliminaSì, lei dice bene: spirito polemico, anche perché avverto che convincere lui sarà molto più difficile. Mi riferisco in particolare a qualche accenno contenuto au milieu delle mie parole. Anche in considerazione della parte "omessa" del mio commento, riguardante la nobiltà romana, sarà una gran fatica. A proposito, "ardentemente" non ricordavo di averlo scritto. Ma va bene così.
RispondiEliminaAh, dico bene Anonimo?
RispondiEliminaIl suo commento è esattamente come lo ha scritto: non mi permetto di manipolare, ma di tagliare sì quando leggo affermazioni tra il criptico e il diffamatorio, per di più da un pulpito anonimo...
Il mio commento non aveva nulla di diffamatorio. Polemico sì, diffamatorio non mi pare proprio; leggermente contundente certamente: è un male!? Criptico nemmeno. Ma vedo che è bene che io mi taccia, anche perché ci si attacca ad argomenti inesistenti, come la "lingua romana" del commento precedente. Lei non si vuole inimicare nessuno. Spero non voglia ricominciare con me. Ribadisco, per concludere, che "lo spirito romano non si respira solo a Roma".
EliminaCredo che, al netto delle critiche dell'anonimo al campanilismo dell'autore, il commento contenga una nota ben più rilevante: "Qualcuno prima di me ha insinuato che De Mattei confonde il Trionfo della Madonna con quello della NATO". Questo meriterebbe di essere approfondito, anche considerando il recente infamante articolo scritto da De Mattei per screditare un lucido pensatore quale Aleksandr Dugin, paragonandolo nientemeno che... a Soros!
RispondiEliminaPer P.M.
RispondiElimina1) sul diffamatorio la mia parola contro la sua, a meno che io non abbia capito male...
2) sul criptico, per me è criptico tutto quello che non riesco a decifrare perché non conosco certi meandri e non mi interessa entrarci, preferisco rimanerne fuori. Non per non inimicarmi nessuno, ma per non rimanere invischiata in questioni che oltretutto non mi riguardano.
Per Unam Sanctam
Mi è già stato segnalato quell'articolo ma non ho avuto ancora il tempo di leggerlo. In ogni caso non penso che indugerò su questo tipo di scenari.
“Tota Italia. Alle origini di una nazione”, è la mostra allestita alle Scuderie del Quirinale (aperta fino al 25 luglio).
RispondiEliminaFa capire la ricchezza delle culture dei diversi popoli italici e mostra quanto è antica la nostra nazione (almeno due millenni): il titolo, non a caso, deriva dal celebre giuramento di Augusto. Con buona pace di chi ancora sostiene che l’Italia è un’invenzione recente.
RispondiEliminaDefinire Alexander Dugin un "lucido pensatore" è quantomeno azzardato, per usare un eufemismo.
Z.