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mercoledì 28 luglio 2021

È questa la Chiesa della misericordia?

Un fedele pugliese scrive alla redazione per inoltrare la sua riflessione scritta d'istinto dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni. Ritengo opportuno condividerla. Con, in nota, alcuni chiarimenti di base sulla richiamata collegialità. Qui l'indice degli interventi precedenti e collegati sulla TC

Lettera di un fedele sulla Traditionis custodes

È questa la Chiesa della misericordia e della collegialità?1
È questa una domanda che mi tormenta ormai da diversi anni e che mi spinge oggi a condividere con voi questi miei interrogativi e riflessioni. È una domanda che ho posto più volte a vari esponenti del clero e ben due arcivescovi senza avere però mai una risposta. Un interrogativo che è tornato a tormentarmi dopo la pubblicazione dell'ultimo Motu Proprio Traditionis Custodes. Permettetemi un breve passo indietro per far meglio comprendere l'origine di questa mia domanda.
Ho meno di quarant'anni, cresciuto nella mia parrocchia novus ordo per il quale ho prestato il servizio di ministrante per circa 20 anni (come potrei essere quindi considerato una persona da accompagnare verso il nuovo rito?). Questo mio compito ovviamente mi ha sempre legato alla liturgia ma con il passare del tempo era sempre più complicato "gestire" la fantasia sacerdotale, per non usare il termine abusi, con il rispetto dei testi liturgici vigenti che nulla avevano a che vedere con vetus Ordo o cose simili.

Ho scoperto la bellezza, il silenzio, la profondità del rito tridentino dal quale mi è stato impossibile dal quel momento staccarmi nonostante le difficoltà e le distanze da compiere per assistere prima a celebrazioni concesse con l'indulto di Giovanni Paolo II e poi dal Motu Proprio di Benedetto XVI.

Proprio dopo questo secondo documento sono stato spinto da amore filiale ed attaccamento alla Chiesa ed alla mia diocesi a procedere con i passi richiesti per l'applicazione del Summorum Pontificum trovando però solo dei pregiudizi ed ostacoli che puntualmente nonostante si riuscissero a risolvere finivano con un nulla di fatto e con il vanto degli ordinari del luogo della mancata applicazione di questo documento costringendo me ed altri fedeli a "emigrare" in altre diocesi per partecipate a questa liturgia giustificato con una "penitenza da compiere" per questa scelta.

Da qui i miei interrogativi. Se io mi sento parte della Chiesa di ieri di oggi e di domani e mi sento parte della Diocesi perché devo sentirmi non accolto ed emarginato? È questa la misericordia di cui si sente tanto parlare o è una misericordia che viene selezionata su chi deve essere applicata? Fatico oggi più di ieri a comprendere. Continuo a sentire elogiare la collegialità e la laicizzazione della Chiesa ma anche in questo caso mi chiedo se questo vale per tutti i gruppi e tutti i laici o solo su chi sposa idee già ben definite?

L'ultimo Motu Proprio fa riferimento all'ormai celebre questionario sull'uso del rito antico nelle diocesi ma mi chiedo (per esperienza diretta) siamo certi che chi ha rifiutato costantemente ogni confronto vantando la mancata applicazione del precedente documento papale potrà aver scritto di aver rifiutato legittime richieste e ammesso la presenza di gruppi stabili? Questa è collegialità?

Domande che sono ovviamente tornate nella mia mente e non solo nella mia dopo questo ultimo Motu Proprio limitativo della Messa in rito antico.

Sarò ancora costretto a "emigrare" per assistere al Santo Sacrifico Eucaristico e continuerò a farlo nella speranza che la mia Chiesa e la mia diocesi rispondano a questi interrogativi ed anche io possa provare la misericordia ecclesiale senza venire emarginato nelle periferie della Chiesa, quelle periferie dalle quali si vorrebbe far rinascere la Fede e nelle quali vengono invece respinti tanti fedeli rinchiusi in Mu(r)i Propri che limitano movimenti, diritti ed espressioni di Fede.

Spero che questa condivisione possa far comprendere la sofferenza che questo documento ha provocato in tanti e chiedendo che qualcuno possa rispondere a questi miei interrogativi.
Un fedele pugliese
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1. Sulla Collegialità, innovazione tutta conciliare, estraggo da un mio scritto [qui - vedi anche qui] e dalla conclusione di un articolo di Mons. Schneider [qui]:
[...] Non mancano perplessità, nelle posizioni più tradizioniste, se si pensa che il termine “collegio” per designare l'episcopato non ricorre né nella Sacra Scrittura né nella Tradizione della Chiesa antica. Apostoli vuol dire ‘mandati’: il Signore li manda due a due non in "collegio"... C’è anche da osservare che il “collegio” si fonda su una potestà giuridica e morale, mentre si diviene vescovi per via sacramentale, ovvero mediante un quid che è nel contempo fisico e mistico come l'unità della Chiesa.
La collegialità, per effetto della creazione di strutture sovra diocesane come le Conferenze Episcopali, rischia di diminuire non solo l'autorità del pontefice ma anche quella dei singoli vescovi nelle loro diocesi. Inoltre non è peregrina l'osservazione che se i vescovi, per diritto divino, costituiscono un vero e permanente collegio in senso stretto, con a capo il romano pontefice, ne deriva come prima e non unica conseguenza che la chiesa in modo abituale dovrebbe essere governata dal Papa con il collegio episcopale. In altre parole, il governo della Chiesa, per diritto divino, non sarebbe monarchico e personale, ma collegiale. Oggi, Giovanni Paolo II ha inserito la collegialità nel nuovo Codice di Diritto Canonico trasformandola così in legge (Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio 1983)
In effetti si manifesta una duplice inconciliabilità nel principio del rapporto tra primazialità e collegialità basti pensare alla tesi dell’unico soggetto (collegio dei vescovi o romano pontefice) e i dati del magistero che, pur senza posizioni dichiarative parlano di due distinti soggetti (LG 22). All’interno stesso di questa suddivisione, la stessa inconciliabilità si coglie tra le esigenze metafisiche dell’autorità nella vita sociale e la realtà ecclesiale compresa alla luce della rivelazione cristiana.
Lumen Gentium, al n. 22 evidenzia una tensione che, ultimamente, manifesta la difficoltà di « collocare all'interno di una concezione collegiale del ministero episcopale che scaturisce da un'ampia prospettiva storico-salvifica della Chiesa come communio la dottrina del Vaticano I, la quale si distingue per una visione della Chiesa apologetica, giuridica e astorica ed inoltre concentrata sul Papa ».[3] Ecco da dove si enuclea il pregiudizio e il fraintendimento che hanno portato alle due diverse ecclesiologie: Chiesa Società Perfetta versus Chiesa Comunione.
Citazione Schneider
[...] Nonostante la pubblicazione della “Nota explicativa praevia” e di altri testi della Santa Sede concernenti questo tema, la dottrina sulla collegialità episcopale nel suo rapporto con il Papa resta ancora teologicamente non sufficientemente chiara. Molti teologi post-conciliari presentano diverse teorie su questo tema con la tendenza comune di oscurare la verità della struttura gerarchica e del governo monarchico della Chiesa e di favorire teorie contrarie al senso perenne della Chiesa, come quella del conciliarismo ed episcopalismo (spesso nel senso della chiesa ortodossa) o la nuova teoria del doppio soggetto ordinario e supremo della Chiesa (il Papa e il collegio episcopale).
La dottrina di Lumen gentium sulla collegialità episcopale nel suo rapporto con il Papa necessita quindi di una ulteriore chiarificazione e maturazione teologica perché sia in modo più chiaro consona alla verità rivelata e alla tradizione costante della Chiesa.
Per questo scopo si dovrebbe favorire e creare uno spazio e un'atmosfera spirituale per una disputa teologica serena sull’esempio del metodo teologico di San Tommaso d’Aquino, il dottore universale della Chiesa.

9 commenti:

  1. Il Papa: chi non segue il Concilio non sta con la Chiesa

    Un forte discorso con ampie aggiunte a braccio, quello rivolto da Papa Francesco a quanti collaborano con l'Ufficio Catechistico Nazionale nel 60° della sua nascita. Il Papa sottolinea la necessità di agire, ricordando che il Concilio è magistero della Chiesa e va seguito. Quindi l'invito alla Chiesa italiana ad avviare un processo sinodale a livello nazionale diocesi per diocesi
    Adriana Masotti - Città del Vaticano

    Occasione dell’udienza di Papa Francesco, in tarda mattinata, a quanti sostengono l’Ufficio catechistico della Conferenza episcopale italiana (Cei), ricevuti nella Sala Clementina, è il 60.mo anniversario dell’inizio dell'attività dell'organismo volta ad assistere la Chiesa italiana nell’ambito, appunto, della catechesi dopo il Concilio Vaticano II. Un anniversario non serve solo a ricordare, ma è anche un’opportunità per “rinnovare lo spirito dell’annuncio”, afferma nel suo discorso il Papa e per questo dice di voler “condividere tre punti che spero possano aiutarvi nel lavoro dei prossimi anni”. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)

    Al cuore della catechesi la persona di Gesù
    Il primo punto è: catechesi e kerygma. “La catechesi è l’eco della Parola di Dio”, afferma il Papa, e attraverso la Sacra Scrittura annunciata, ciascuno entra a far parte “della medesima storia di salvezza” e con la propria unicità “trova un ritmo proprio”. Francesco sottolinea che cuore del mistero della salvezza è il kerygma, e che il kerygma è una persona: Gesù Cristo. La catechesi, dunque, deve “favorire l’incontro personale con Lui” e perciò non può esser fatta se non di relazioni personali.

    Non c’è vera catechesi senza la testimonianza di uomini e donne in carne e ossa. Chi di noi non ricorda almeno uno dei suoi catechisti? Io lo ricordo. Ricordo la suora che mi ha preparato alla prima comunione e mi ha fatto tanto bene. I primi protagonisti della catechesi sono loro, messaggeri del Vangelo, spesso laici, che si mettono in gioco con generosità per condividere la bellezza di aver incontrato Gesù. “Chi è il catechista? È colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in sé stesso – è un memorioso della storia della salvezza – e questa memoria la sa risvegliare negli altri. È un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà”.

    L'annuncio è l'amore di Dio nella lingua del cuore
    Il Papa indica poi alcune caratteristiche che deve possedere oggi l’annuncio e cioè che sappia rivelare l’amore di Dio, prima di ogni obbligo morale e religioso; che non si imponga ma tenga conto della libertà; che testimoni gioia e vitalità. Per fare questo chi evangelizza deve esprimere “vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna”. E parlando del catechista Francesco aggiunge a braccio che "la fede va trasmessa in dialetto", spiegando che si riferisce al "dialetto della vicinanza", al dialetto che si fa comprendere alle persone a cui si rivolge:

    A me tocca tanto quel passo dei Maccabei, dei Sette Fratelli. Per due o tre volte si diceva che la mamma li sosteneva parlando loro in dialetto. E’ importante: la vera fede va trasmessa in dialetto. I catechisti devono imparare a trasmetterla in dialetto, cioè quella lingua che viene dal cuore, che è nata, che è proprio la più familiare, la più vicina a tutti. Se non c’è il dialetto, la fede non è tramessa totalmente e bene.


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  2. ....segue
    Il Concilio non va negoziato

    Il secondo punto indicato da Papa Francesco è: catechesi e futuro. Ricordando il 50° anniversario del documento "Il rinnovamento della catechesi", con cui la Cei recepiva le indicazioni del Concilio, celebrato lo scorso anno, Francesco cita alcune parole di Papa Paolo VI in cui invitava la Chiesa italiana a guardare con riconoscenza al Concilio che diceva “sarà il grande catechismo dei tempi nuovi” e osservava come compito costante della catechesi sia “l’intendere questi problemi che salgono dal cuore dell’uomo, per ricondurli alla loro sorgente nascosta: il dono dell’amore che crea e che salva”. Francesco, dunque, ribadisce che la catechesi ispirata dal Concilio è “sempre con l’orecchio teso, sempre attenta a rinnovarsi”. E a proposito del Concilio aggiunge un'ampia riflessione:

    Il Concilio è magistero della Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti al tuo modo, alla tua voglia, tu non stai con la Chiesa. Dobbiamo in questo punto essere esigenti, severi. Il Concilio non va negoziato, per avere più di questi … No, il Concilio è così. E questo problema che noi stiamo vivendo, della selettività del Concilio, si è ripetuto lungo la storia con altri Concili. A me fa pensare tanto un gruppo di vescovi che dopo il Vaticano I sono andati via, un gruppo di laici, gruppi lì, per continuare la “vera dottrina” che non era quella del Vaticano I. “Noi siamo i cattolici veri” … Oggi ordinano donne. L’atteggiamento più severo per custodire la fede senza il magistero della Chiesa, ti porta alla rovina. Per favore, nessuna concessione a coloro che cercano di presentare una catechesi che non sia concorde al magistero della Chiesa.

    La catechesi è sempre in ascolto dell'uomo
    La catechesi, afferma il Papa, riprendendo la lettura del discorso, deve rinnovarsi per incidere su tutti gli ambiti della pastorale. E raccomanda:

    Non dobbiamo aver paura di parlare il linguaggio delle donne e degli uomini di oggi. Sì, di parlare il linguaggio fuori della Chiesa: di questo, dobbiamo avere paura. Non dobbiamo avere paura di parlare il linguaggio della gente. Non dobbiamo aver paura di ascoltarne le domande, qualsiasi siano, le questioni irrisolte, ascoltare le fragilità, e le incertezze: di questo, non abbiamo paura. Non dobbiamo aver paura di elaborare strumenti nuovi.
    [...]

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    1. Da Vatican va, h. 15,35
      E che è questo sproloquio?

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  3. Una delle cose che mi sembra si stiano affermando è che le diocesi 'gay-friendly', quelle cioè che seguendo le indicazioni, diciamo così, "dall'alto" si stanno aprendo all'"accettazione" dei gay nella Chiesa, senza pretendere che si convertano e abbandonino la loro vita peccaminosa (che non è ovviamente la tendenza, ma l'atto omosessuale) sono quelle che contemporaneamente sono più dure verso la Messa tradizionale.
    Un onore, non c'è che dire.
    Il vescovo di Alajuela, in Costa Rica, Bartolomé Buigues Oller, che fulmineamente ha abolito le Messe tradizionali dalla sua diocesi, ha affermato a proposito del cosidetto 'matrimonio egualitario', vale a dire della norma di legge che ammette il matrimonio anche per le coppie gay: «Dove si manifesta accudimento e famiglia di qualsiasi forma, si manifesta anche Dio».

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  4. Non ricordavo che il vaticanista Svidercoschi fosse un tradizionalista!

    "Lo strappo risaliva al Concilio Vaticano II, «che riformò la liturgia, ma non abbandonò mai del tutto il latino. Il vero errore fu non lasciare convivere i due riti», ricorda Svidercoschi, per cui anche l’ultima recente lettera di Papa Francesco sulla liturgia pre e post-conciliare è un messaggio interno ed esterno forte, ma comunque drammatico, che mostra crepe dentro la Chiesa e un’avventatezza nei modi che non dovrebbe appartenere alle stanze vaticane. «Francesco ha detto quel che ha detto in modo stonato. E le conseguenze di questa comunicazione le paghi."

    https://www.laregione.ch/estero/estero/1525712/francesco-papa-svidercoschi-chiesa-becciu-processo

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  5. La "chiesa della misericordia" ha inventato e pratica la misericordia filosofica.
    Essa consiste nel dichiarare (a parole) amore fraterno a tutti, accogliendo e scusando ognuno.
    Scusando cosa? Il non prendere sul serio i Comandamenti e la Parola di Dio.
    Il fulcro del ragionamento consiste nell'eliminazione dell'inferno.
    Il vescovo di Roma, Francesco, è arrivato a sostenere che l'anima non perdonata "si dissolve".
    Dopo la morte un'anima pentita e perdonata va in paradiso (nota: purgatorio non pervenuto).
    Invece se un'anima non si pente e non viene perdonata semplicemente non c'è più.
    A parte l'invenzione pura rappresentata da questa congettura rispetto alla Rivelazione, quello che risulta evidente è la possibilità di "sparire", togliendo di mezzo una realtà che è una possibilità della libertà: finire eternamente nella pena della distanza da Dio! Restare eternamente nella pena e nel tormento di un fuoco che divora, ma non purifica.
    La "chiesa della misericordia" racconta frottole, profetando falsamente.
    Perciò non si preoccupa di contrastare il peccato, ma anzi nega che certe schifezze (come tali descritte dalla Scrittura) siano peccati, ammiccando ai compagni di merende.

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  6. Il discorso del papa ai catechisti è la solita pappa del cuore rancida e retorica,
    tipica della "Chiesa conciliare".

    Si noti il termine "annuncio". Sarebbe il "kerygma", termine fichissimo, tipico dei Nuovi Teologi. Il messaggio cristiano non è "insegnamento" è "annuncio", e basta. Annuncio che deve andare al sentimento, al cuore, al popolo, alle donne, all'Altro...annuncio che non deve insegnare nulla, deve solo mettersi in ascolto del mondo, accettarlo e incoraggiarlo nelle sue fragilità (come quelle dei divorziati risposati, cui poveretti non si può negare la Santa Comunione, pazienza se per la vera etica cristiana commettono un sacrilegio...).
    Si noterà che dallo "annuncio" mancano le parole "peccato", "peccato originale", "dovere", "senso del dovere", "dottrina", "disciplina", "salvezza". C'è invece il termine di origine protestante "storia della salvezza": quello va bene perché adatto alla concezione bastarda di tradizione adottata dal Vaticano II, quella che evolve in continuazione, che non insegna la dottrina di Cristo ma la "annuncia" solamente, senza voler mai convertire nessuno...
    Il termine "condanna" è usato solo in senso negativo, per delegittimarlo.
    Sunt lacrimae rerum. E tuttavia, anche questo stillicidio infame un giorno finirà.
    A Dio piacendo, speriamo presto.
    Ha ragione il papa, bisogna obbedire ai decreti di un Concilio Ecumenico. Evita però di precisare che deve trattarsi di un vero Concilio, il quale, per esser tale, deve dimostrarsi ortodosso nella dottrina e quindi in armonia con i precedenti Concili. Cosa che il Vaticano II, su diversi e importanti argomenti n o n è stato. Ergo, l'opposizione ad esso, che non ha definito alcun dogma, è perfettamente legittima, se fatta in nome della dottrina tradizionale della Chiesa, quella dei Concili precedenti.
    Z.

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  7. "In conclusione, il motu proprio, a voler leggere in profondità, è una dichiarazione di guerra, ma è anche il riconoscimento di una sconfitta. È un apparente atto di forza che copre una debolezza e imperizia di fondo."

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  8. Lo Spirito Santo ti fa gioire della bravura di qualcun altro,non ti fa "rosicare"perche' vedi l'altro come rivale...!

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