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venerdì 24 dicembre 2021

Tempore Adventus e la seconda venuta: il bagaglio della Rivelazione presente nel Gregoriano

Nono e ultimo giorno della Novena di Natale [vedi], che quest'anno abbiamo percorso con la meditazione delle sette Antifone "O" conclusa ieri. Le trovate ricapitolate qui.
Oggi concludiamo con l'invocazione del communio Ecce Dominus veniet della feria IIin ultimis feriis, proposto nel testo che segue. Un testo prezioso per riscoprire o conoscere (per chi non ha dimestichezza con la Tradizione) il proprium della caratterizzazione liturgica tradizionale nella quale il ponte instaurato tra le diverse parti della Scrittura è una chiara e sapiente esegesi con sempre ben presenti sullo sfondo i paralleli simbolici che agevolano una interiorizzazione e assimilazione sempre più piena e profonda. 
Abbiamo già meditato la non solo duplice, ma triplice, venuta del Signore nella mistica dell'Avvento qui. Lo scritto che segue ci fa notare come questo insieme di intrecci e rimandi ripetuti costituisce la primaria essenza, natura e ricchezza del canto gregoriano, ogni neuma del quale è interpretazione delle Scritture. Avviene infatti che quelli che a ragione possiamo definire i 'ponti' del gregoriano, richiamando e collegando tra loro con particolare enfasi alcuni dati di fede salienti, li consolidano. Potrete trovare altri esempi di intrecci analoghi, scorrendo l'indice degli articoli su musica sacra e gregoriano.

Tempore Adventus e la seconda  venuta:
il bagaglio della Rivelazione presente nel Gregoriano


«Noi annunziamo che Cristo verrà. Infatti non è unica la sua venuta, ma ve n’è una seconda, la quale sarà molto più gloriosa della precedente. La prima, infatti, ebbe il sigillo della sofferenza, l’altra porterà una corona di divina regalità. […] Due sono anche le sue discese nella storia. Una prima volta è venuto in modo oscuro e silenzioso, come la pioggia sul vello. Una seconda volta verrà nel futuro in splendore e chiarezza davanti agli occhi di tutti. Nella sua prima venuta fu avvolto in fasce e posto in una stalla, nella seconda si vestirà di luce come di un manto. Nella prima accettò la croce senza rifiutare il disonore, nell’altra avanzerà scortato dalle schiere degli angeli e sarà pieno di gloria. Perciò non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo in attesa della seconda».

Queste parole di Cirillo di Gerusalemme inquadrano perfettamente quella che è la caratterizzazione liturgica cattolica del tempo di Avvento. Esso, non appartenendo alla tradizione liturgica romana, si presenta come piuttosto “anomalo”: oltre che attesa per l’imminente nascita del Salvatore (l’adventus in carne), l’Avvento è anche l’attesa della parousìa, la seconda venuta del Signore, quella finale e gloriosa (l’adventus in maiestate), come testimoniano innumerevoli testimonianze patristiche.

Certo, questo difficilmente lo si potrà dedurre dalle liturgie della neo-Chiesa postconciliare che, dell’Avvento, ha fatto solamente una zuccherosa e puerile attesa del bambino che, come insegna Bergoglio, «si è incarnato per infondere nell’anima degli uomini il sentimento della fratellanza». Dell’Avvento, ormai, si è innegabilmente persa la sua concezione di tempo escatologico quando, il canto gregoriano, questo lo veicolava perfettamente.

Nei vangeli del tempo di Avvento, ad esempio, non mancano le fonti: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21, 25). O ancora: «Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (Lc 21, 36).

E tutto questo bagaglio della Rivelazione, giacché la Tradizione, con la Sacra Scrittura, ne è la sua seconda faccia, è ben presente nel canto gregoriano. La I domenica d’Avvento, ad esempio, ci ha offerto, nei testi della messa, anche questa lettura escatologica dell’attesa: l’Avvento è, sì, l’attesa di un bambino, ma è anche l’attesa dei servi che non sanno quando arriverà il padrone (cfr Mc 13, 33-37), è l’attesa di noi che non immaginiamo quando «il Figlio dell’uomo verrà» (Mt 24, 44). Il tema del Giudizio, teologicamente fondamentale, ispirò, per questa domenica, addirittura una sequenza propria: il Dies irae, uno dei brani più noti e associato a manifesto del funereo. Essa, invece, grazie al suo testo apocalittico, parrebbe essere nata proprio come sequenza di apertura dell’Avvento. Il Dies irae ricorda, nel momento in cui si attende la venuta terrena dell’Emmanuele, che Egli ritornerà una seconda volta come Giudice glorioso.

E su questo stesso tenore, quasi, il tempo d’Avvento volgerà alla sua conclusione. Basti osservare il communio Ecce Dominus veniet della feria II “in ultimis feriis”: «Ecce Dominus veniet, et omnes sancti eius cum eo, et erit in die illa lux magna» (Ecco, il Signore verrà, e con lui tutti i suoi santi, e in quel giorno ci sarà una grande luce). La venuta “con tutti i suoi santi” è, evidentemente, la seconda, quella ultima. E che sia il secondo avvento quello su cui questo brano intende porre la sua attenzione ci è indicato da un altro preciso elemento. Il rapido andamento iniziale, dopo un provvisorio indugio su «veniet», comincia ad allargare massicciamente proprio sulla frase «omnes sancti eius cum eo» per poi raggiungere la culminanza melodica su «die», il giorno, quel giorno. Ma il “secondo”, non il primo come saremmo portati a pensare a sentire certe esegesi postconciliari. Per il cantore medievale che intonava, in Avvento, l’Ecce Dominus veniet, diventava così del tutto naturale proiettarsi all’Adventus in maiestate.

Il rimando musicale al “secondo avvento” che il gregoriano instaurava, riusciva, così, a richiamare facilmente alla mente dei fedeli anche il teologicamente complesso significato ultimo del tempo d’Avvento. (Mattia Rossi)

2 commenti:

  1. Dies irae, dies illa,
    Solvet seclum in favilla,
    Teste David cum Sibylla.

    Quantus tremor est futurus,
    Quando judex est venturus,
    Cuncta stricte discussurus.

    Tuba, mirum spargens sonum,
    Per sepulchra regionum,
    Coget omnes ante thronum.

    Mors stupebit et natura,
    Cum resurget creatura,
    Judicanti responsura.

    Liber scriptus proferetur,
    In quo totum continetur,
    Unde mundus iudicetur.

    Judex ergo cum sedebit,
    Quidquid latet apparebit,
    Nil inultum remanebit.

    Quid sum miser tunc dicturus?
    Quem patronum rogaturus,
    Cum vix iustus sit securus?

    Rex tremendae majestatis,
    Qui salvandos salvas gratis,
    Salva me, fons pietatis.

    Recordare, Jesu pie,
    Quod sum causa tuae viae,
    Ne me perdas illa die.

    Quaerens me, sedisti lassus;
    Redemisti crucem passus;
    Tantus labor non sit cassus.

    Iuste judex ultionis,
    Donum fac remissionis,
    Ante diem rationis.

    Ingemisco tamquam reus;
    Culpa rubet vultus meus;
    Supplicanti parce, Deus.

    Qui Mariam absolvisti,
    Et latronem exaudisti,
    Mihi quoque spem dedisti.

    Preces meae non sunt dignae,
    Sed tu bonus, fac benigne,
    Ne perenni cremer igne.

    Inter oves locum praesta,
    Et ab haedis me sequestra,
    Statuens in parte dextra.

    Confutatis maledictis,
    Flammis acribus addictis,
    Voca me cum benedictis.

    Oro supplex et acclinis;
    Cor contritum quasi cinis;
    Gere curam mei finis.

    Lacrimosa dies illa,
    Qua resurget ex favilla

    Judicandus homo reus;
    Huic ergo parce Deus.

    Pie Jesu Domine,
    Dona eis requiem. Amen.


    In quel dì che le Sibille,
    E Davidde profetàr,
    Si vedrà tutto in favìlle
    L'universo consumar.
    Qual tremor, quale spavento
    L'Orbe tutto assalirà
    Quando il Dio del Testamento
    Giudicante a lui verrà.
    Allo squillo della tromba
    Ogni avel si schiuderà,
    Onde il corvo e la colomba
    Alla valle insieme andrà.
    Si vedran Natura e Morte
    In un punto istupidir,
    Quand'innanzi al Vivo, al Forte
    Dovrà ognuno comparir.
    Si vedrà nel libro eterno
    Il delitto e la virtù,
    Onde il Cielo oppur l'Inferno
    Avrà l'uom per quel che fu.
    Ora, il Giudice sedente
    Fra le nuvole del ciel,
    Ai secreti d'ogni mente
    Toglierà l'antico vel.
    Fra l'orror di tanta scena
    Qual soccorso implorerò,
    Mentre salvo sarà appena
    Chi da giusto i dì menò?
    Tu che salvi chi s'aggrada,
    Re tremendo in maestà,
    Mi schiudi al ciel la strada,
    Fonte eterno di bontà.
    Che per noi prendesti carne
    Ti rammenta, buon Gesù,
    Onde allor abbi a salvarne
    Dall'eterna schiavitù.
    Per me fosti in croce esangue
    Tra i dolor da capo a piè;
    Il valor di cotanto sangue
    Non sia vano allor per me.
    Concedimi il perdono,
    Giusto giudice ed ultòr,
    Pria che a' piedi del tuo trono
    Sperimenti il tuo furòr.
    Peccator qual io mi veggo,
    Copro il volto di rossor:
    Tu dunque a me ch'el chièggo,
    Dà benigno il tuo favor.
    Da te assolta fu Maria,
    Per te salvo fu il ladron,
    Onde viva in me pur sia
    La speranza del perdon.
    Le mie preci, Nume eterno,
    Non son degne, e chi no 'l sa?
    Ma dal fuoco dell'Inferno
    Tu mi scampa per pietà.
    Ti dai capri mi dividi,
    Di cui fìa Satànno il re,
    Onde a destra co'i tuoi fidi
    Trovi grazia innanzi a Te.
    Condannati i maledetti
    Alle fiamme ed ai sospìr,
    Allor chiama co' dilètti,
    Alla gloria dell'Empìr.
    Il dolor che in questo seno
    Il mio cor di già ammollì,
    A pietà ti muova almeno
    Nell'estremo de' miei dì.
    Lagrimòso quel momento
    Onde l'uomo peccator
    Dall'ignìvomo tormento
    Andrà innanzi al suo Signor.
    Fra l'orror di tanto scempio,
    Mostra, Dio, la tua virtù;
    E il tuo sangue a pro dell'empio

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  2. Il Canto Gregoriano è musica sacra per eccellenza unicamente per la sua nobile origine; esso nacque assieme alla Liturgia, le cui parole scaturivano col canto, veicolo per esaltare ed impreziosire la Parola. Canto e Parola erano una unica entità, un concetto ben difficile da comprendere se non si conosce il Rito Antico della Messa.
    Andando a ritroso nel tempo consultando un semplice Liber Usualis si comprende quanto la netta attuale demarcazione fra canto e Liturgia non esista, essendo un tutt'uno.

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