Preceduto dalla ‘Presentazione’ di Paolo Pasqualucci, pubblico l’importante studio del periodo 1980-82 elaborato dal prof. Rudolf Kaschewsky (1939-2020), sulle variegate manipolazioni subite dai testi latini liturgici tradizionali utilizzati dagli artefici della Messa del Novus Ordo.
Uno studio certosino da cui emerge con maggiore consistenza la gravità e lo spirito dei tagli e delle modifiche in termini di annacquamento quando non addirittura di cambiamento di senso delle formule del Messale riformato di Paolo VI rispetto al Missale Romanum tradizionale. Il saggio completo apparirà appena pronta la traduzione della seconda parte e, a breve, farà parte di un lavoro più esteso già in itinere.
Michael Davies, con icastica efficacia che ben rispecchia l'analogia con quanto avvenuto con la Messa riformata del Novus Ordo, afferma: “nel nuovo rito anglicano della messa, quello del Prayer book del 1549, non troveremo affermate delle eresie, ma omesse verità di fede essenziali. Le omissioni, il “taciuto”, in liturgia è sempre grave, perché rinunciare ad affermare con completezza e chiarezza tutte le verità di fede implicate, può portare a un vuoto di dottrina nei sacerdoti e nei fedeli che nel futuro apre il campo all'eresia: in parole semplici oggi sei cattolico con una messa eccessivamente semplificata, domani senza saperlo ti ritrovi protestante perché la forma della tua preghiera non ha nutrito più la tua fede”.
Precedenti: Miti da sfatare: quanto del messale del 1962 viene effettivamente utilizzato nel messale post-Vaticano II? [qui]; “Tutti gli elementi del Rito Romano?” Un mito sfatato, Parte II [qui]; Gli oltrepassamenti franchi del NO perfino rispetto alle prescrizioni conciliari [qui]; La «Sacrosanctum Concilium» oltrepassa la «Mediator Dei» [qui]; Traditionis custodes e i rigurgiti della 'discontinuità' [qui]; I rischi connessi all'introduzione dei nuovi Messali (col connesso problema delle traduzioni effettuate con spirito modernista) [qui]. Elementi da unificare, insieme ad altri già individuati, per un lavoro organico più ampio e articolato.
Tendenze nelle orazioni del Nuovo Messale
di Rudolf Kaschewsky
I - Cambiamenti nel testo latino delle orazioni domenicali e festive
SOMMARIO - ‘Presentazione’ di Paolo Pasqualucci - Cambiamenti nel testo latino delle orazioni domenicali e festive. Tabella : Panoramica delle Orazioni latine nel Nuovo Messale – Abbreviazioni della letteratura utilizzata – 1. Modifiche e variazioni neutrali – 2. Modifiche che tramite un lieve cambiamento di significato provocano la perdita della concretezza originaria – 3. Perdita della concretezza in favore di una fluidità sempre più grande – 4. Livellamento del rapporto tra l’uomo e Dio – 5. Verità nascoste: il peccato, il giudizio, la necessità dell’espiazione - 6. “Apertura al mondo” - 7. Allontanamento dalla sacralità – 8. Disprezzo nei confronti del carattere sacrificale – Indici : Index I; Index II - 9. La riformulazione delle Intercessioni nella liturgia del Venerdì Santo.
* * Presentazione
di Paolo Pasqualucci
La Nuova Messa in volgare, costruita a tavolino dopo il Concilio Vaticano II grazie anche alla “consulenza” di esperti protestanti, al fine di consentire una maggiore partecipazione dei fedeli al rito trasformandolo in senso “comunitario”; al fine di improntarlo ad uno spirito cosiddetto “ecumenico” o di apertura ai non-cattolici e persino ai non-cristiani, si è servita anche dei testi tradizionali in latino che da tanti secoli intessono il rito romano antico, modificandoli ampiamente: rito il cui Canone risale ai tempi apostolici, secondo l’opinione costante dei Romani Pontefici. Questa manipolazione è per forza di cose passata inosservata presso la gran parte dei fedeli. Ma non possiamo e non dobbiamo ignorarla. Al contrario, dobbiamo renderla nota a tutti, in modo che il tradimento della fede che essa testimonia resti agli atti: non solo per documentare l’intenzione perversa che animava i responsabili del nuovo rito, ma anche per render i fedeli edotti della necessità di abbandonare un rito così manipolato, niente affatto in armonia con la bimillenaria tradizione liturgica della Chiesa.
Pertanto, si pubblica qui la traduzione italiana della prima parte del magistrale saggio (scritto tra il 1980 e il 1982) del professore tedesco Rudolf Kaschewski (1939-2020), che per l’appunto dimostra la frequente trasformazione degli antichissimi testi delle Orazioni incluse nella S. Messa domenicale e festiva, attuata in vari modi: con manipolazioni annacquanti o stravolgenti il testo originario, omissioni, tagli a passi dei Vangeli da leggere nelle chiese in quelle stesse Messe.
Nell’incipit del suo accuratissimo studio, il prof. Kaschewski si riallaccia ad una documentata denuncia delle trasformazioni e manipolazioni già fatta da mons. Georg May, teologo e canonista tedesco, professore di diritto canonico all’Università di Mainz, nato nel 1926, prelato pontificio (nominato protonotario apostolico sopranumerario da Benedetto XVI), in un suo libro che risale addirittura al 1975: Die alte und die neue Messe [L’antica e la nuova Messa], Düsseldorf, 1975. Mons. May esortava ad “un confronto letterale della Nuova Messa con la Santa Messa Cattolica”. Questo confronto il prof. Kaschewski lo ha fatto cominciando con l’indagare sulle “orazioni domenicali e festive”. Questo il quadro da lui messo a fuoco:
“L’analisi delle orazioni si articola su tre livelli: 1. Alcune orazioni sono state trasportate dal Missale alla Nuova Messa; tuttavia, già nel testo latino [come appare nel Nuovo Messale] sono state apportate modifiche molto tendenziose, che devono essere analizzate. 2. Si possono collazionare e confrontare da una parte le orazioni completamente cancellate e dall’altra quelle introdotte ex novo. 3. Infine, la “traduzione” in lingua vernacolare costituisce un vasto campo per un’indagine sua propria, a causa di una distanza dall’originale così totale da farsi beffe anche delle basi più elementari di ogni elaborazione filologica del testo. Ciò dimostra non solo che le (poche) orazioni trasposte immutate dal vecchio Missale al nuovo Messale latino, sono state tradotte reinterpretandole in parte in modo quasi grottesco; dimostra inoltre che le nuove orazioni latine sono state tradotte in modo da apparire talvolta spogliate anche dell’ultimo residuo delle credenze originarie“.(1)
Ma chi era il prof. Kaschewski? Mi sembra doveroso illustrare brevemente la sua notevole figura di studioso, pur disponendo solo di scarni dati.
Nato il 16 aprile 1939 a Colonia, morto il 4 dicembre 2020 a Sankt Augustin, presso Bonn, fu soprattutto “mongologo e tibetologo”. Eccezionale conoscitore delle lingue antiche, inclusi ebraico e arabo, si specializzò nelle antiche lingue mongole e tibetane, senza trascurare il cinese e l’antica cultura indiana. Ottenne anche il diploma in teologia cattolica nel 1963.
“Il suo campo specifico era costituito dai problemi connessi alle traduzioni di testi mongoli e tibetani (terminologia, sintassi), dal rapporto tra antiche e moderne traduzioni in lingua mongola, confrontate con la formazione delle traduzioni greche e latine dei Salmi ebraici (varianti al testo nei Commentari ai Salmi di Agostino); dai paralleli fra la Scolastica medievale cristiana e la Scolastica buddistico-tibetana”.(2)
Come si vede, uno studioso dall’eccezionale cultura e preparazione filologica, anche dal punto di vista del metodo, campo nel quale gli studiosi tedeschi sono sempre stati molto ferrati. Ma il prof. Kaschewski seguì attentamente anche la crisi apertasi nella Chiesa con il Concilio Vaticano II. Quest’aspetto della sua personalità fu illustrato nell’omelia tenuta dal P. Franz Schmidberger della FSSPX in occasione del suo funerale. Cattolico praticante, devoto padre di famiglia, il prof. Kaschewski, iniziatasi la devastante crisi postconciliare, si è subito distinto nella difesa della vera liturgia cattolica. Dal 1983 al 2009 redasse e pubblicò Una Voce-Korrespondenz, sezione tedesca della rivista mensile plurilingue della benemerita associazione internazionale Una Voce costituitasi nel 1966 per impulso di autorevoli personalità della cultura europea, dedita alla difesa e conservazione della Liturgia cattolica tradizionale. Egli vi si distinse per alcuni articoli scientificamente critici della nuova liturgia. Nel 1988, sostenne pubblicamente le Consacrazioni episcopali fatte da mons. Marcel Lefebvre senza mandato pontificio a fine giugno di quell’anno, unico rinomato intellettuale tedesco a farlo.(3)
Da parte mia voglio ricordare il valido contributo da lui offerto, in campo canonistico, con un breve ma incisivo articolo sul concetto dello stato di necessità, pubblicato nel numero di marzo-aprile 1988 di Una Voce - Korrespondenz, nel quale dimostrava, a mio avviso in modo inoppugnabile, come, proprio secondo il diritto vigente della Chiesa, la scomunica latae sententiae non potesse applicarsi a una consacrazione vescovile fatta senza mandato pontificio ma nella convinzione di trovarsi in stato di necessità.(4)
L’opera qui tradotta, come si è detto, costituisce la prima parte di uno studio sulle “tendenze nelle orazioni del Nuovo Messale”. Lo studio si divide in due parti:
I. Cambiamenti nel testo latino delle orazioni domenicali e festive;II. Le traduzioni in tedesco delle orazioni domenicali e festive.
Questa seconda parte, che non viene al momento pubblicata, si presenta più complessa da rendere in italiano, dedicata com’è alle traduzioni in tedesco delle orazioni. Tuttavia, anche qui emergono dati molto interessanti, non solo nel testo ma anche nelle tre Appendici, nelle quali il prof. Kaschewski raccoglie :
(I) le parole latine la cui traduzione letterale è stata eliminata (adorare, aeternus, arcanum, caelestis, devotio, gratia, maiestas, propitiatio, etc., per un totale di 100); (II) le parole tedesche inserite nelle traduzioni, prive di ogni equivalente nel latino (pane [Brot] al posto di mysterium, sacramentum; pienezza dello Spirito [Fülle des Geistes]; tavola [Tisch]; Casa del Padre [Vaterhaus]; segno [Zeichen] nel senso di mysterium, etc., per un totale di 31);
(III) I 22 tagli apportati ai passi di Vangeli letti nelle Messe domenicali e festive. Ad esempio, di Matteo non vengono più letti: l’ammonimento sui falsi profeti; i Figli del Regno saranno gettati nelle tenebre esteriori, ove saranno pianto e stridor di denti; la tempesta sedata; indissolubilità del matrimonio; Cristo Figlio di Davide, etc.; --- di Marco, la moltiplicazione dei pani; --- di Luca, la profezia su Giovanni Battista; la parabola del seminatore; la cacciata di uno spirito maligno; la predizione della Passione; il pianto sopra Gerusalemme; la parabola del fico che mette i germogli, concludentesi con le parole “il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno”, etc. ; --- di Giovanni, la guarigione del figlio di un dignitario di corte; fare la volontà del Padre per esser risuscitati l’ultimo giorno; “questo linguaggio è duro, chi lo può ammettere?”; chi è il principe di questo mondo; il c.d. “discorso d’addio” del Signore agli Apostoli (Giov 16, 23-30); etc.
I tagli e le omissioni erano, evidentemente, necessari per poter far leggere nelle chiese brani dei Vangeli m u t i l a t i, indispensabili al fine di confezionare l’immagine edulcorata, irenica, caramellosa e in definitiva del tutto falsa ed ingannevole del Cristianesimo che piace allo spirito neo-modernista affermatosi nel Concilio.
* * Il riferimento ai 22 tagli scoperti dal prof. Kascewski l’ho trovato diversi anni fa in Iota Unum di Romano Amerio, nel cap. XXXVIII, dedicato alla riforma liturgica. Nel § 288 Bibbia e liturgia, Amerio critica giustamente la pretesa conciliare di mettere tutti a contatto diretto, più ampio con la Bibbia (costituzione Sacrosanctum Concilium sulla liturgia, artt. 35, 51; costituzione Dei Verbum sulla Divina Rivelazione, artt. 22, 25), intendendosi con Bibbia soprattutto l’Antico Testamento, che infatti nella Messa Novus Ordo viene sempre letto in terza battuta, appesantendo enormemente e senza motivo la cosiddetta “liturgia della Parola” . Amerio annota che in tal modo si è capovolta l’impostazione secolare della Chiesa, volta sempre ad un lettura “ristretta” del Testo Sacro, comunque sempre mediata dall’interpretazione costruita nei secoli dalla Chiesa, diffusa già nella sua omiletica intessuta di citazioni bibliche.(5)
“La disciplina della Chiesa in questa materia poggia sopra una qualità innegabile della Bibbia. La Bibbia è un libro difficile e contiene e celebra fatti che esigono molte cognizioni per essere riconosciuti nel loro significato morale e che riescono scandalosi alla comune degli uomini. Tali sono la meretrice di Osea, Oolla e Ooliba in Ezechiele, la gesta proditorie di Giuditta, l’incesto di Thamar, l’adulterio di Davide, gli sterminii dei herem […] Che difficile sia la Bibbia e per ragioni filologiche e per ragioni storiche e per ragioni morali, lo si può provare ad apertura di libro, e lo attesta di sé la Bibbia medesima. In Eccle., I, 8 si annuncia la difficoltà generale del linguaggio: “Cunctae res difficiles; non potest eas homo explicare sermone”. Ma II Petr., 3, 16 afferma in particolare la difficoltà di alcuni luoghi di san Paolo e in universale di tutta la Bibbia, sempre possibile a stravolgersi: “in quibus sunt quaedam difficilia intellectu, quae indocti et instabiles depravant sicut et caeteras Scripturas”.
Peraltro la prova perentoria che la Scrittura è difficile e non universalmente divulgabile, è data paradossalmente dalla presente riforma medesima. Essa invero ha fatto nei testi biblici quello che fu fatto per i classici latini nelle edizioni espurgate ad usum Delphini, ma che non fu mai osato per il sacro testo. La riforma ha infatti stralciato dai Salmi cosiddetti imprecatorii i versicoli che sembrano incompatibili colle vedute ireniche del Concilio, mutilando il sacro testo e sottraendolo per così dire furtivamente alla cognizione di tutti, chierici e laici. Ha inoltre espunto interi versicoli dai testi del Vangelo nelle Messe in 22 punti che toccano il giudizio finale, la condanna del mondo, il peccato”.(6)
E continuava Amerio, ribadendo una verità che oggi sembra essersi smarrita: “Per le difficoltà linguistiche e storiche, per la molteplicità dei sensi, teorizzata dalla teologia, e per il principio cattolico che la Chiesa possiede le Scritture e (a differenza della Sinagoga) anche il senso delle Scritture, la disciplina della Chiesa prescriveva che la Bibbia si porgesse al popolo di Dio per la mediazione del sacerdozio; che si discernessero le parti da divulgare e quelle da riservare; che in generale la cognizione del sacro testo avvenisse solo attraverso la liturgia, la catechesi e l’omiletica; che per testo ufficiale e autentico fosse ritenuta la sola Vulgata e su di essa si fondassero le traduzioni; e infine che le volgarizzazioni fossero tutte autorizzate e accompagnate da chiose interpretative secondo il senso della Chiesa. Questa disciplina è stata variata…”.(7)
Variata, con le disastrose conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.
* *
Le mutazioni nelle antiche preghiere liturgiche della domenica e dei giorni festivi nonché il significato sottilmente ammodernante delle novità introdotte, sono documentate in modo impressionante nel saggio del prof. Kaschewski. Ne offro qui una breve silloge.
La “nascita di Nostro Signor Gesù Cristo” diventa “la nascita del Redentore”. Tende di fatto a scomparire l’espressione antichissima: “Nostro Signor Gesù Cristo”. Così si attenua il concetto che il Redentore è nello stesso tempo il Signore, che un giorno verrà nella sua Gloria a giudicarci tutti. Gesù è il Redentore senza esser più il Signore.
“Signore Gesù, facci imitare la Tua Santa Famiglia” (forma antica) diventa: “Padre clementissimo, facci seguire l’esempio della Sacra Famiglia”. In questo, come in altri luoghi, si tende ad attribuire al Padre l’azione salvifica del Figlio, oscurando pertanto la nozione della S.ma Trinità.
“Omnipotens Deus” diventa “misericors Deus”.“ I doni dei tuoi popoli” diventa “i doni del tuo popolo”.
“Tuo Figlio, l’autentica pietra angolare”, diventa semplicemente: “Tuo Figlio”. Scompare il “profondo simbolismo” secondo il quale Cristo è diventato la "pietra angolare”, che regge tutto l’edificio.
“Che Egli sottometta ad essa [ossia alla Chiesa] Principati e Potestà” : questa parte dell’antica orazione è stata semplicemente cancellata.
“Ci guidi e ci protegga”, diventa: “e diventi causa di ricompensa eterna per coloro che agiscono obbedendo alla Tua volontà”.
“Hai concesso ai Tuoi servi la grazia, nella confessione..” diventa: “dacci [la grazia] nella confessione..”. Il “tuoi servi” viene sostituito da un banale “noi”.
Nella “preghiera di benedizione” del Venerdì Santo, è stato omesso il riferimento alla passione; infatti, “che… la passione e la morte di Tuo Figlio… ha ottenuto” diventa “che…la morte di Tuo Figlio… ha ottenuto”.
Da notare in particolare questa variazione, ottenuta cambiando una sola parola: “affinché, per opera della Tua bontà paterna, noi diventiamo un cuore solo” (tua facias pietate concordes) diventa: “affinché noi diventiamo un cuore solo all’interno dello stesso amore” (una facias pietate concordes). Il mutamento di significato avviene passando da tua pietate a una pietate. Sottolinea il prof. Kaschewski: “mentre nel testo antico originale si intende la bontà paterna di Dio (attraverso la quale e in cui anche gli uomini devono essere uniti tra loro), nel nuovo testo è l’affetto reciproco che dovrebbe realizzare l’unità: il livellamento da una relazione verticale a una relazione orizzontale è qui particolarmente chiaro”.
Si è abbandonata la “richiesta di perdono per i nostri peccati” perché considerata troppo “generica”, idea del tutto assurda, osserva il prof. Kaschewski. Per cui: “e purificaci dalle macchie dei nostri peccati” diventa: “mostrandoci la vita nella verità e promettendoci la vita del Regno dei Cieli”.
“Ci hai salvati dal cadere nella morte eterna” diventa “ci hai salvati dalla schiavitù del peccato” – l’idea della “morte eterna” ossia della eterna dannazione del peccatore impenitente viene silenziata.
“disprezzare le cose terrene e amare quelle celesti” (terrena despicere et amare caelestia) diventa “valutare saggiamente le cose terrene e connettersi a quelle celesti” (terrena sapienter perpendere et caelestibus inhaerere): il compromesso con il mondo, l’infame “apertura” ai suoi falsi valori.
“Alla nostra pace eterna” diventa “alla vera pace e alla liberazione di tutti”.
“L’invocazione del Tuo Santo Nome” diventa “ l’invocazione del Tuo Nome”. Dall’invocazione del Santo Nome di Gesù scompare dunque il “santo”.
Le preghiere di intercessione per la conversione dei non-credenti di tutte le specie vengono trasformate in modo incredibile, facendo capire che non si vuole più convertire nessuno. Continua il prof. Kascewski:
“Se prima si pregava per “tutti i falsi maestri e scismatici” (pro haereticis et schismaticis) ora lo si fa eufemisticamente “per tutti i fratelli che credono in Cristo”. Pertanto, Dio non avrebbe più bisogno di “salvarli da tutti i loro errori” (eruat eos ab erroribus universis), ragion per cui si prega che Egli “raccolga e conservi” in una sola Chiesa “coloro che compiono la verità” (veritatem facientes)”. Osservo: cosa significhi “compier la verità” non si saprebbe esattamente dire. Comunque, è chiaro che questo “raccogliere e conservare” eretici e scismatici in uno con i cattolici “avviene a favore di una Chiesa che non può essere quella cattolica ma solo una Chiesa che non si può definire con maggior esattezza (una ecclesia)”.Dell’azione del Demonio si vuol far perder ogni traccia:
“E mentre in passato le anime degli erranti erano considerate “ingannate dalle astuzie di Satana” (animas diabolica fraude deceptas), questo riferimento è ora del tutto assente; si afferma solo, in modo molto ottimista, che tutti sono stati “santificati” da un “unico battesimo” (quos unum baptisma sacravit)”.
Particolarmente grave lo stravolgimento delle preghiere di conversione per gli ebrei.
“La preghiera per gli ebrei non afferma più di chiedere la loro conversione (conversione), affinché “Dio Nostro Signore tolga il velo dai loro cuori” (Deus et Dominus noster auferet velamen de cordibus eorum). Tutto ciò è stato rimosso. Si è solo ribadito – di nuovo, in modo assai ottimista – che “Dio ha parlato a loro per primi” (ad quos prius locutus est). Ciò è assolutamente vero, ma gli ebrei non accettano il fatto decisivo che Cristo è il Messia, ed è per questo che dovremmo pregare affinché lo facciano!”.
Ovviamente, “non si prega più nemmeno per la conversione dei non credenti ma in generale “per tutti coloro che non credono in Cristo”, senza nominare la conversione. Il testo antico originale diceva : “affinché abbandonino i loro idoli e si rivolgano al Dio vivo e vero” (ut relictis idolibus suis convertantur ad Deum vivum et verum). Oggi, in un momento in cui sono già molti coloro che stanno introducendo idoli e testi pagani nel culto (e lo chiamano acculturazione del Vangelo), questa preghiera non viene più recitata ma si chiede, in modo più astratto, “che anche i non-credenti, illuminati dalla luce dello Spirito Santo, siano capaci di entrare nella via della salvezza” (ut luce sancti spiritus illustrati viam salutis et ipsi valeant introire), senza menzionare concretamente quali sono le conseguenze logiche e morali, ossia che ciò presuppone come condizione l’abbandono della loro religiosità pagana!”
L’illustre autore scriveva queste cose agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, quarant’anni fa. La pratica perversa d’introdurre “idoli e testi pagani” nel nostro culto, solo occasionalmente e blandamente censurata, è andata tanto oltre da costringerci ad assistere alle oscene, blasfeme cerimonie pagane addirittura nella stessa Basilica di S. Pietro, tre anni fa, quando papa Francesco, con gran codazzo di dignitari ecclesiastici, sciamani e sciamane, fece celebrare, prendendovi parte, il culto dell’idolo andino ligneo detto Pachamama, nel silenzio complice, per non dire partecipe, della quasi totalità della gerarchia!
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1. Rudolf Kaschewski, Tendenze nelle orazioni del Nuovo Messale, I, Cambiamenti nel testo latino delle orazioni domenicali e festive; tr. it. di Antonio Marcantonio, pp. 1-2; da : Una Voce-Korrespondenz, Deutschland e.V., 10.Jahrgang, Heft 5 – September/Oktober 1980. Titolo dell’originale: Tendenzen in den Orationen des Neuen Missale, I – Änderungen im lateinischen Text der Sonn-und Feiertagsorationen. Si ringrazia la direzione di UVK-Deutschland per aver gentilmente autorizzato la presente traduzione. Il testo consta di un articolo di 35 pagine formato A4, preceduto da una ‘Premessa’ ( Vorbemerkung ) della Redazione della rivista, di una pagina.
2. Rudolf Kaschewski, de.wikipedia. org.
3. Ansprache zur Beerdigung von Herrn Dr. Rudolf Kaschewsky, 15. Dezember 2020 in St. Augustin/Bonn; gloria.tv/post-de.news.
4. Rudolf Kaschewski, Au sujet de la consécration épiscopale sans mandat pontifical, tr. fr. in Courrier de Rome (a cura di), La tradition ‘excommuniée’, Paris, 1989, pp. 51-57. Si tratta di una raccolta di articoli e saggi. L’identica tesi fu sostenuta nel 1995 dall’allora giovane canonista americano, P. Gerald Murray in una “tesina di licenza” in diritto canonico presentata alla Pontificia Università Gregoriana e approvata dai suoi professori. Il P. Murray, sempre in base al diritto canonico vigente, negava anche il “significato scismatico” attribuito da Giovanni Paolo II alla disobbedienza di mons. Lefebvre.
5. Romano Amerio, Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa nel secolo XX, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, 19862, pp. 537-538. Ricordo che la numerazione dei paragrafi nel libro di Amerio è progressiva dall’inizio.
6. Op. cit., pp. 538-539. In nota, Amerio rinviava per l’appunto all’articolo del prof. Kaschewski, qui tradotto (UVK, 1982, n. 2/3). Si trattava tuttavia della seconda parte di esso, che speriamo di poter tradurre in un prossimo futuro.
1. Rudolf Kaschewski, Tendenze nelle orazioni del Nuovo Messale, I, Cambiamenti nel testo latino delle orazioni domenicali e festive; tr. it. di Antonio Marcantonio, pp. 1-2; da : Una Voce-Korrespondenz, Deutschland e.V., 10.Jahrgang, Heft 5 – September/Oktober 1980. Titolo dell’originale: Tendenzen in den Orationen des Neuen Missale, I – Änderungen im lateinischen Text der Sonn-und Feiertagsorationen. Si ringrazia la direzione di UVK-Deutschland per aver gentilmente autorizzato la presente traduzione. Il testo consta di un articolo di 35 pagine formato A4, preceduto da una ‘Premessa’ ( Vorbemerkung ) della Redazione della rivista, di una pagina.
2. Rudolf Kaschewski, de.wikipedia. org.
3. Ansprache zur Beerdigung von Herrn Dr. Rudolf Kaschewsky, 15. Dezember 2020 in St. Augustin/Bonn; gloria.tv/post-de.news.
4. Rudolf Kaschewski, Au sujet de la consécration épiscopale sans mandat pontifical, tr. fr. in Courrier de Rome (a cura di), La tradition ‘excommuniée’, Paris, 1989, pp. 51-57. Si tratta di una raccolta di articoli e saggi. L’identica tesi fu sostenuta nel 1995 dall’allora giovane canonista americano, P. Gerald Murray in una “tesina di licenza” in diritto canonico presentata alla Pontificia Università Gregoriana e approvata dai suoi professori. Il P. Murray, sempre in base al diritto canonico vigente, negava anche il “significato scismatico” attribuito da Giovanni Paolo II alla disobbedienza di mons. Lefebvre.
5. Romano Amerio, Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa nel secolo XX, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, 19862, pp. 537-538. Ricordo che la numerazione dei paragrafi nel libro di Amerio è progressiva dall’inizio.
6. Op. cit., pp. 538-539. In nota, Amerio rinviava per l’appunto all’articolo del prof. Kaschewski, qui tradotto (UVK, 1982, n. 2/3). Si trattava tuttavia della seconda parte di esso, che speriamo di poter tradurre in un prossimo futuro.
7. Op.cit., p. 539.
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UNA VOCE-KORRESPONDENZ
Editore: UNA VOCE Deutschland e.V.
10˚ Anno, Quaderno 5 — Settembre/Ottobre 1980
Editore: UNA VOCE Deutschland e.V.
10˚ Anno, Quaderno 5 — Settembre/Ottobre 1980
Premessa
Questo numero viene pubblicato in ritardo. I ritardi hanno spesso diverse cause, una delle quali, nel caso di UVK, è il fatto che i volontari che vi collaborano devono riuscire a conciliare il tempo da dedicare all’esercizio della loro professione quotidiana con quello necessario a creare gli articoli originali e le traduzioni, e quindi a volte non riescono ad essere puntuali. Non è raro che riviste scientifiche appaiano a intervalli irregolari. Tuttavia, anche il sesto numero di quest’anno è già in lavorazione e includerà ulteriori presentazioni del Congresso di UNA VOCE di quest’anno.
Per alcuni lettori, affrontare il saggio del Dr. Rudolf Kaschewsky all’inizio di questo numero rappresenterà un arduo compito. Ma un saggio di questo genere è estremamente importante, giacché mostra dettagliatamente le carenze del Nuovo Messale. Alcuni dei nostri lettori si sono rivolti al loro vescovo locale chiedendogli di autorizzare di nuovo la celebrazione della Messa antica e ricevendo l’insoddisfacente risposta secondo la quale, con la nuova, non sarebbe cambiato nulla di essenziale. A livello superficiale, molti dei nuovi testi suonano anche del tutto devoti: solo un esame più attento rivela le loro tendenze pericolose e “smitizza” la nuova liturgia tanto lodata dai suoi autori. Chiediamo quindi agli abbonati che trovano troppo noioso affrontare un argomento così difficile di continuare a sostenere in futuro il lavoro di UVK, poiché non esiste un’altra pubblicazione in cui articoli di questo tipo siano ospitati.
Si può notare una traiettoria discendente nella liturgia postconciliare: i testi latini di Roma, le ancor più discutibili “traduzioni in volgare” e la permissività mostrata da molti sacerdoti nella celebrazione della Santa Messa, che spesso si spinge fino al banale e al blasfemo.
[…]Tendenze nelle orazioni del Nuovo Messale
di Rudolph Kaschewsky
I
Cambiamenti nel testo latino delle orazioni domenicali e festive
Nel suo libro Die alte und die neue Messe [L’antica e la nuova messa] (Düsseldorf 1975), G. May ha indicato con insuperabile meticolosità le carenze della nuova liturgia rispetto all’ Ordo Missae, e ha fatto allo stesso tempo notare che “bisognerebbe fare delle critiche serie” anche ad elementi del Proprium, ossia quella parte della Santa Messa che varia a seconda del giorno. [1] Ciò vale in particolare per le orazioni (preghiera ecclesiastica o preghiera del giorno, oratio, preghiera silente o preghiera dell’offertorio, secreta e preghiera finale, postcommunio), dato che sono gli unici testi che non sono tratti dalla Sacra Scrittura; naturalmente si potrebbero fare molte osservazioni sulle letture (selezione, omissioni, arrangiamento, traduzione). [2]
Le orazioni del Missale Romanum hanno subito una trasformazione che non solo è irritante per ogni credente dotato di raziocinio, ma non può nemmeno far rimanere tranquillo lo studioso di religione, visto il massiccio smantellamento del sacro che vi viene esercitato. Qui è opportuno raccogliere l’appello di G. May, ovvero “non accontentarsi delle lamentele generali! Bisogna realizzare un confronto letterale della Nuova Messa con la Santa Messa Cattolica!” [3]
Da qualsiasi parte si inizi, il risultato è ugualmente univoco e spaventoso. C’è solo da sperare che una sobria presentazione del materiale testuale possa aiutare coloro che hanno conservato una mente obiettiva e una giusta “maturità” ad avere una visione chiara della situazione. Si può realizzare un’analisi dei testi delle orazioni su tre livelli: 1. Alcune orazioni sono state trasportate dal Missale alla Nuova Messa; tuttavia, già nel testo latino sono state apportate modifiche molto tendenziose, che devono essere analizzate. [4] 2. Si possono compilare e confrontare da una parte le orazioni completamente cancellate e dall’altra quelle introdotte ex novo. — 3. Infine, la “traduzione” in lingua vernacolare (qui [nel testo originale di Kaschewsky — N.d.T.] in tedesco) costituisce un vasto campo di lavoro indipendente, a causa di una totale distanza dall’originale che si fa beffe anche delle basi più elementari di ogni elaborazione filologica del testo; ciò dimostra che non solo le (poche) orazioni che sono state trasportate immutate dall’antico Missale al nuovo Messale latino sono state in parte reinterpretate in modo quasi grottesco nella loro traduzione, ma anche che, nella traduzione stessa, le nuove orazioni latine sono talvolta state spogliate anche dell'ultimo residuo delle credenze originarie.
Tabella
Panoramica delle Orazioni latine del Nuovo Messale
Venerdì Santo:
[10] L’invito alla preghiera è contrassegnato con la lettera a, la preghiera con la b.
[11] In alcuni casi, sono state realizzate due modifiche (non direttamente correlate) di una stessa orazione: le abbiamo elencate separatamente, quindi due dei nostri numeri coincidono con un solo numero corrispondente di Bruylants.
Abbreviazioni della letteratura utilizzata
Bruylants = P. Bruylants: Les Oraisons du Missel Romain. 2 voll. Louvain 1952.
D = Tesi: Die Orationen im Missale Romanum von 1970. Presentata da L. Weiß. Facoltà di teologia di Erlangen 1978.
(Poiché le preghiere sono disposte secondo l’ordine del Missale, omettiamo il numero di pagina).
E = Ellebracht, Mary Pierre: Remarks on the Vocabulary of the Ancient Orations in the Missale Romanum. Nijmegen-Utrecht 1963.
GyE = Gypkens, Franz: Erlauschtes. Gedanken zur Postcommunio der Sonntagsmessen. Francoforte 1963.
GyR = Gypkens, Franz: Rostfrei. Zeitlose Gebete der Kirche. Betrachtungen zu Orationen der Sonn- und Feiertage des Kirchenjahres. Francoforte 1962.
K = Kirchgäßner, Ernst: Der Mensch schaut auf. Gedanken zu den Orationen der Sonn- und Feiertage. Paderborn 1960.
R = Reck, Franz Xaver: Das Missale als Betrachtungsbuch. Vorträge über die Meßformularien. 5 volumi. Friburgo in Brisgovia. 1909-1916.
Sch = Schorlemmer, Paul: Die Kollektengebete. Gütersloh 1928.
(1)
(5)
(21)
(22)
Panoramica delle Orazioni latine del Nuovo Messale
- A 1 = ripresa senza variazioni dallo stesso giorno
- A 2 = ripresa senza variazioni dal Missale antico, ma seguendo un altro formulario della Messa
- B 1 = ripresa dallo stesso giorno, ma col testo modificato
- B 2 = testo alterato mediante l’uso di un diverso formulario della Messa antica
- C 1 = nuovo testo; uso di sacramentari e di versioni più antiche del Missale
- C 2 = testo completamente rielaborato
- O = Oratio (preghiera della Chiesa, preghiera del giorno)
- S = Secreta (preghiera silente, offertorio)
- P = Postcommunio (preghiera finale)
Alla fine sono elencate le preghiere del Venerdì Santo e della Veglia Pasquale (ad eccezione delle orazioni della Messa). Man mano che vengono trattate le nuove preghiere, si forniscono le nuove designazioni delle domeniche e dei giorni festivi. Le nuove “domeniche nel ciclo annuale” non corrispondono a domeniche specifiche dopo l’Epifania o dopo la Pentecoste (cambiano ogni anno). Perciò le preghiere di quelle domeniche, in quanto tratte dall'antico Missale, sono tutte contrassegnate con A 2 o B 2.
Sante Messe | O | S | P |
1ª domenica di Avvento
2ª domenica di Avvento 3ª domenica di Avvento 4ª domenica di Avvento Immacolata Concezione Vigilia di Natale Natale, 1ª Messa Natale, 2ª Messa Natale, 2ª Messa Santo Stefano Sacra Famiglia [5] Solennità della Madre di Dio (Ottava di Natale) 2ª domenica dopo Natale Epifania Battesimo del Signore [6] 2ª domenica del ciclo annuale 3ª domenica del ciclo annuale 4ª domenica del ciclo annuale 5ª domenica del ciclo annuale 6ª domenica del ciclo annuale 7ª domenica del ciclo annuale [7] 1ª domenica di Quaresima 2ª domenica di Quaresima 3ª domenica di Quaresima 4ª domenica di Quaresima 5ª domenica di Quaresima (Domenica di Passione) 6ª domenica di Quaresima (Domenica delle Palme) Giovedì Santo (Messa crismale) Giovedì Santo (Ultima Cena) Veglia Pasquale (Messa) Domenica di Pasqua Lunedi dell’Angelo 2ª domenica del tempo pasquale (Domenica in Albis) 3ª domenica del tempo pasquale 4ª domenica del tempo pasquale 5ª domenica del tempo pasquale 6ª domenica del tempo pasquale Ascensione di Cristo 7ª domenica del tempo pasquale Domenica di Pentecoste [8] Festa della Trinità Corpo di Cristo 8ª domenica del ciclo annuale 9ª domenica del ciclo annuale 10ª domenica del ciclo annuale 11ª domenica del ciclo annuale 12ª domenica del ciclo annuale 13ª domenica del ciclo annuale 14ª domenica del ciclo annuale 15ª domenica del ciclo annuale 16ª domenica del ciclo annuale 17ª domenica del ciclo annuale 18ª domenica del ciclo annuale 19ª domenica del ciclo annuale 20ª domenica del ciclo annuale 21ª domenica del ciclo annuale 22ª domenica del ciclo annuale 23ª domenica del ciclo annuale 24ª domenica del ciclo annuale 25ª domenica del ciclo annuale 26ª domenica del ciclo annuale 27ª domenica del ciclo annuale 28ª domenica del ciclo annuale 29ª domenica del ciclo annuale 30ª domenica del ciclo annuale 31ª domenica del ciclo annuale 32ª domenica del ciclo annuale 33ª domenica del ciclo annuale 34ª domenica del ciclo annuale Giorno dell’Assunzione Festa di Cristo Re [9] Ognissanti | C 1 C 1 C 1 A 2 A 1 A 1 A 1 B 1 C 1 A 1 C 2 B 1 C 1 A 1 C 1 + A 2 A 2 A 2 C 1 A 2 C 1 A 2 C 1 C 1 C 1 C 1 C 1 A 1 C 2 C 2 A 1 B 1 B 2 C 1 C 1 C 1 C 1 C 1 C 1 C 1 C 1 B 1 A 1 A 2 A 2 B 2 A 2 A 2 C 1 B 2 B 2 C 1 A 2 A 2 B 2 C 1 A 2 A 2 B 2 C 1 C 1 C 1 B 2 A 2 A 2 A 2 A 2 A 2 C 1 A 2 A 1 B 1 A 1 | C 1 B 1 B 1 C 1 A 1 C 1 B 1 B 1 C 1 C 1 B 1 C 1 B 1 A 1 C 2 A 2 C 1 C 1 B 2 B 2 C 1 A 2 B 2 B 2 C 1 C 1 C 1 A 1 A 2 A 1 B 2 A 2 B 2 A 2 A 2 A 1 C 1 C 1 A 2 C 1 B 1 A 1 C 1 C 1 B 2 A 2 C 1 C 1 B 2 B 2 A 2 A 2 A 2 C 1 C 1 C 2 C 2 C 1 B 2 C 1 C 1 C 1 A 2 C 1 C 1 C 1 B 2 A 2 C 1 A 1 B 1 C 1 |
C 1 B 1 B 1 C 1 A 1 A 1 B 1 C 1 B 1 C 1 B 1 C 1 A 2 A 2 C 2 B 2 A 2 A 2 C 1 A 2 A 2 C 2 C 1 C 1 A 2 A 2 A 1 C 1 C 1 A 1 C 1 C 1 A 2 C 1 C 1 C 1 C 1 + A2 C 1 C 1 C 1 A 1 A 1 C 1 C 1 A 2 A 2 B 2 A 2 A 2 A 2 C 1 C 1 A 2 A 2 C 1 A 2 C 2 C 1 A 2 A 2 C 1 C 1 C 1 C 1 A 2 B 2 C 1 B 2 A 2 A 1 B 1 C 1 |
Reminiscere; Preghiere di intercessione 1b e 2a [10]: A 1Deus, qui peccati; Preghiere di intercessione 1a, 2b, 3, 4b; preghiere finali: B 1Preghiere di intercessione 4a e 5-9: C 2
Notte di Pasqua:
2 preghiere della Veglia Pasquale della liturgia rinnovata del 1956 e 4 preghiere dell’antica liturgia del Sabato Santo: A 13 preghiere della Veglia Pasquale della liturgia rinnovata del 1956 e 2 preghiere dell’antica liturgia del Sabato Santo: B 11 nuova orazione: C 2
Solo le preghiere contrassegnate con A 1 (circa il 10%) sono state riprese invariate dallo stesso formulario della Messa. Tutte le orazioni contrassegnate con B costituiscono la base della nostra indagine. Le orazioni di nuova formulazione (C 1), basate su antichi sacramentari, e quelle completamente nuove (C 2), non possono essere qui trattate.
Queste modifiche, che riguardano solo la formulazione latina, possono essere classificate in otto gruppi tematici. Abbiamo numerato i passi modificati con le cifre consecutive dall’(1) al (68). In appendice c’è un elenco che fa riferimento ai numeri secondo Bruylants (ordinati in ordine alfabetico), che sono stati generalmente adottati negli studi liturgici. [11] A = testo originale, N = modifica nel Nuovo Messale.
Nelle note a piè di pagina facciamo riferimento alle menzioni, nella bibliografia su questo tema, all’orazione in questione; tali riferimenti ovviamente non sono completi, bensì hanno solo lo scopo di aiutare a comprendere ancor più chiaramente il significato originario di ciò che si intende nell’orazione. Tra parentesi aggiungiamo la nostra traduzione dei nuovi brani citati, poiché la traduzione ufficiale tedesca si discosta così tanto dal testo latino che spesso non è nemmeno possibile determinare quale espressione debba effettivamente riprodurre quali parole dell’originale latino. Per il resto, abbiamo sostanzialmente adottato la traduzione del testo antico di Schott per l’antica formulazione.
____________________
[1] Op. cit., 220, p.3.
[2] Op. cit., p. 4.
[3] „Wo stehen wir?“ [A che punto siamo?] in: UVK 1980/1, p. 163.
[2] Op. cit., p. 4.
[3] „Wo stehen wir?“ [A che punto siamo?] in: UVK 1980/1, p. 163.
[4] Questo punto è trattato dalla tesi di L. Weiß (Facoltà di teologia dell’Università di Friburgo, 1978): Die Orationen im Missale Romanum von 1970 [Le orazioni nel Missale Romanum del 1970]. Nonostante alcune incongruenze accidentali e il tentativo di sostenere senza eccezioni che le modifiche siano necessarie, giustificandole, questo testo costituisce un'eccellente raccolta di materiale.
[5] Antico: domenica nell’Ottava dell’Epifania (o 12 gennaio). Nuovo: domenica nell’Ottava di Natale (o 30 dicembre).
[6] Due orazioni a scelta.
[7] Per le altre “domeniche del ciclo dell'anno”, vedi dopo la Pentecoste.
[8] Il lunedì di Pentecoste non c’è più nel Nuovo Messale!
[9] Antico: l’ultima domenica di ottobre, nuovo: la domenica anteriore alla prima domenica di Avvento.[10] L’invito alla preghiera è contrassegnato con la lettera a, la preghiera con la b.
[11] In alcuni casi, sono state realizzate due modifiche (non direttamente correlate) di una stessa orazione: le abbiamo elencate separatamente, quindi due dei nostri numeri coincidono con un solo numero corrispondente di Bruylants.
Abbreviazioni della letteratura utilizzata
Bruylants = P. Bruylants: Les Oraisons du Missel Romain. 2 voll. Louvain 1952.
D = Tesi: Die Orationen im Missale Romanum von 1970. Presentata da L. Weiß. Facoltà di teologia di Erlangen 1978.
(Poiché le preghiere sono disposte secondo l’ordine del Missale, omettiamo il numero di pagina).
E = Ellebracht, Mary Pierre: Remarks on the Vocabulary of the Ancient Orations in the Missale Romanum. Nijmegen-Utrecht 1963.
GyE = Gypkens, Franz: Erlauschtes. Gedanken zur Postcommunio der Sonntagsmessen. Francoforte 1963.
GyR = Gypkens, Franz: Rostfrei. Zeitlose Gebete der Kirche. Betrachtungen zu Orationen der Sonn- und Feiertage des Kirchenjahres. Francoforte 1962.
K = Kirchgäßner, Ernst: Der Mensch schaut auf. Gedanken zu den Orationen der Sonn- und Feiertage. Paderborn 1960.
R = Reck, Franz Xaver: Das Missale als Betrachtungsbuch. Vorträge über die Meßformularien. 5 volumi. Friburgo in Brisgovia. 1909-1916.
Sch = Schorlemmer, Paul: Die Kollektengebete. Gütersloh 1928.
1. Riordini e variazioni neutrali
Pochi, pochissimi, cambiamenti nel Nuovo Messale mostrano o un tentativo di apportare un miglioramento stilistico oppure semantico preservando il significato originale, o nessuna tendenza particolare; tuttavia, questi cambiamenti sembrano spesso superflui e inappropriati.
Essi includono, ad esempio, semplici modifiche per motivi di ritmo della frase (cursus):
(1)
A imploramus … clementiam tuam (imploriamo la Tua misericordia)
N tuam … clementiam imploramus (la Tua misericordia imploriamo)
(2)
N tuam … clementiam imploramus (la Tua misericordia imploriamo)
(2)
A ecclesia tua magna iam ex parte … (possa la Tua Chiesa vedere già in
gran parte realizzata …)
N ecclesia tua magna ex parte iam …
(3)
N ecclesia tua magna ex parte iam …
(3)
A largire supplicibus tuis (elargisci a noi che Ti supplichiamo la Grazia …)
N tuis largire supplicibus
(4)
N tuis largire supplicibus
(4)
A ut iis qui te auctore et gubernatore gloriantur, et congregata restaures et
restaurata conserves (per rinnovare in coloro che si vantano di Te come
loro creatore e guida ciò che hanno guadagnato e conservare ciò che è
stato rinnovato)
N ut iis qui te auctorem et gubernatorem gloriantur habere, et grata
restaures et restaurata conserves (per rinnovare ciò che è stato
concesso e preservare ciò che è rinnovato per coloro che si vantano di
averTi come creatore e sovrano)
(5)
A famulorum famularumque (i Tuoi servi e le Tue serve)
N famulorum (i Tuoi servi)
N famulorum (i Tuoi servi)
Questa modifica sembra strana: la nuova liturgia è abbastanza spesso ispirata al concetto dell’emancipazione del sesso femminile, quindi perché la riduzione qui alla mera forma maschile? Forse l’inclusione delle donne dovrebbe essere compito della traduzione nella lingua nazionale, dove (nella versione ufficiale) si dice “servi e serve”.
(6)
A per intercessionem Deiparae Virginis cum beati Joseph (per
intercessione della Vergine Madre di Dio e di San Giuseppe)
N Deiparae Virginis beatique Joseph interveniente suffragio (con l’aiuto
intermediario …).
suffragium è senza dubbio un'antica espressione che si riferisce all’intercessione dell'assistenza dei santi (E 172 s.), ma non si riesce a concepire alcuna ragione per cui sarebbe necessario sostituire la parola — peraltro molto chiara e ben nota — intercessio (intercessione). O si è forse ritenuto che il loro più astratto “aiuto” dovesse sostituire la concreta “intercessione”?
(7)
A meruimus auctorem vitae suscipere, Dominum Nostrum Jesum
Christum (ci è stato permesso di ricevere l’autore della vita, il Nostro
Signore Gesù Cristo)
N meruimus Filium tuum auctorem vitae suscipere (ci è stato permesso
di ricevere l’autore della vita, Tuo figlio)
Questa modifica è dovuta al cambiamento (unificazione) di formule
conclusive obbligatorie.
(8)
A tuis nobis succurre praesidiis (affrettaTi a venire in nostro aiuto con la
Tua protezione)
N tuae nobis indulgentiae succurre praesidiis (… con la protezione che vi è
nel Tuo perdono ...)
L’accorrere in nostro aiuto da parte di Dio viene definito in modo più concreto: risulta in definitiva dalla misericordia divina, dal perdono dei nostri peccati. Tuttavia, ciò offusca in qualche modo la visione delle diverse forme di aiuto diretto (che certamente erano intese nella formulazione originale).
(9)
A sicut imaginem terrenae naturae necessitate portavimus (che
inevitabilmente eravamo destinati a portare l’immagine della natura
terrena)
N sicut imaginem terreni bominis naturae necessitate portavimus (che
inevitabilmente eravamo destinati a portare l'immagine della natura
terrena dell’uomo)
(10)
A credulitatis suae meritis (per i meriti della sua fede)
N fidei suae meritis*
(11)
A novo semper foetu (costante nascita di nuovi figli)
N nova semper prole*
(12)
A refulsit (brilla)
N praefulsit
* I numeri nelle note seguenti corrispondono al numero delle orazioni come indicato nel testo; la nota a piè di pagina è indicata da *.
(10) Sostituire fides con credulitas non è sbagliato (né è necessario); secondo E (p. 28) credulitas
corrisponde spesso a uno stile solenne.
(11) Su foetus vedi Sch 88; riferimento a Gn 38, 4. La questione è se — come teme D — il pericolo
di una comprensione “biologica” del feto sia reale. — R IV 263: i catecumeni sono chiamati
foetus, “figli portati al mondo”, perché nati di nuovo da acqua e Spirito Santo.
(13)
A conserva in nobis operam misericordiae tuae (conserva in noi l’opera
della Tua misericordia)
N conserva in nobis opus misericordiae*
(14)
A nativitatem Domini Nostri Jesu Christi (la nascita di Nostro Signore
Gesù Cristo)
N nativitatem Redemptoris Nostri (la nascita del nostro Redentore)
Ovviamente Gesù è il nostro Redentore, ma perché evitare di continuare a chiamarlo “Nostro Signore Gesù Cristo”?
Nelle due preghiere successive, l’invocazione è ora rivolta al Padre invece che al Figlio, con la stessa formulazione cui è ispirata la tendenza fondamentale del Nuovo Messale a insinuare l’idea che la redenzione sia opera del Padre.
(15)
A ut quae … praecepisti (affinché ciò che … ci hai ordinato di fare)
N ut quae … Filius tuus praecepit (affinché ciò che … Tuo Figlio ci ha
ordinato)
Ma è proprio Gesù che viene qui invocato, poiché ha avuto compassione della nostra debolezza e “ci ha dato un evento santo”, cioè la Santa Messa*.
(16)
A fac, Domine Jesu, sanctae familiae tuae (Signore Gesù, facci imitare la
Tua Santa Famiglia …)
N fac, clementissime Pater, sanctae familiae (Padre clementissimo, facci
seguire l’esempio della Sacra Famiglia …)*
La questione è se ciò non provochi la perdita della percezione delle peculiarità (proprietates) delle Tre Divine Persone: specialmente nella festa della Sacra Famiglia, il Figlio Gesù Cristo (con Maria e il padre putativo Giuseppe) è in primo piano.
(17)
A omnipotens Deus (Dio onnipotente)
N misericors Deus (Dio misericordioso)
Entrambe sono affermazioni basilari su Dio, ed entrambe spesso ricorrono insieme: Dio onnipotente e misericordioso! Viene però da chiedersi perché sia stata operata qui questa modifica: forse perché pensare alla misericordia di Dio è più confortante (e quindi più “ragionevole”)? A maggior ragione qui, dove si parla della grande opera richiesta e che solo l'Onnipotente può compiere.*
(13) Cfr. E 44 ss.
(15) Su questa postcommunio cfr. GyE 294 s. - Questa preghiera non proviene dalla domenica
“XXXII” dopo Pentecoste (come indica D), ma dalla 22ª.
(16) GyE 29 ss.
(17) GyE 26 ss.; Sch 97. — D dà al contrario, inavvertitamente, A misericors N omnipotens,
probabilmente perché i nuovi testi tendono piuttosto a cancellare misericors.
(18)
A munera populorum tuorum (i doni del Tuo popolo)
N plebis tuae oblationes (i doni del Tuo popolo)*
populi si riferisce ai tanti (diversi) popoli, plebs significa “il” popolo di Dio: una sfumatura significativamente diversa.
(19)
A Accepta … oblatio (accetta l’offerta; letteralmente: fa’ che sia quella che
hai accettato)
N Grata … oblatio (Ti sia gradita l’offerta)
Il participio acceptus ha un carattere sacrificale specifico, come si evince dal verbo stesso (accipere, accettare), ma anche dal suo uso frequente nelle secretae.* Sostituirlo con grata non è sbagliato, ma nemmeno necessario!
È quindi evidente che anche le modifiche, i riordini e le integrazioni cui non si vuole attribuire una tendenza negativa sono comunque quantomeno inutili, e a volte rappresentano anche un preoccupante slittamento di sfumature.
2. Modifiche che tramite un lieve cambiamento di significato provocano la perdita della concretezza originaria
Da un punto di vista semantico alcune espressioni destinate a sostituire quelle originali sono relativamente simili.
Pertanto, tali modifiche non solo sono superflue, ma non consentono nemmeno più di riconoscere chiaramente il significato particolare e concreto che si voleva affermare prima, ad esempio quando si sostituisce suscipe con il più generale intende placatus.
(20)
A qui nova incarnati Verbi tui luce perfundimur (che siamo inondati dalla
nuova luce del Tuo Verbo incarnato)
N dum nova incarnati Verbi tui luce perfundimur (mentre … dalla nuova
luce)
Probabilmente si tratta solo di una variazione di stile. Tuttavia qui (che noi …) è più concreto ed esclusivo del più generico dum (mentre noi …).
(18) D non indica qui che si tratta dei secreta del giovedì della settimana D di Pasqua. — Cfr. E 49
e ss.
(19) Cfr. E 87.(21)
A et pascitur et nutritur (viene pasciuto e nutrito)
N renascitur et nutritur (viene fatto rinascere e viene nutrito)
pascere, letteralmente “pascolare”, esprime con la massima chiarezza il
fatto che il Signore ci conduce come un pastore dove viene preparato
il cibo celeste.*
(22)
A a persecutione Aegyptiaca (dalla persecuzione degli egizi)
N a persecutione Pharaonis (dalla persecuzione del faraone)
Evidentemente, la preoccupazione che l’Egitto moderno potesse offendersi per l’antica formulazione ha provocato il cambiamento: invece il faraone, che potrebbe sentirsi offeso dalla nuova preghiera, non esiste più. Ci si chiede solo: ma questi sono veramente argomenti teologici?
(23) Qui la preghiera di intercessione per suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori,
ostiari, confessori, vergini e vedove ha cessato di esistere dopo che gli ordini
minori sono stati sommariamente aboliti con l’istruzione Ministeria Quaedam
del 15 agosto 1972. Si registra quindi una mancanza di sensibilità per i compiti
specifici e anche per le grazie particolari che devono essere richieste per i
singoli stati. Pertanto si dice solo, in modo generico, et universa plebe
fidelium (e per tutto il popolo dei fedeli).
3. Perdita della concretezza in favore di una fluidità sempre più grande
Quanto è stato detto nelle sezioni precedenti a proposito delle modifiche
relativamente insignificanti diventa molto più chiaro negli esempi seguenti.
(24)
A Filium tuum, angularem scilicet lapidem (Tuo Figlio, l’autentica pietra
angolare)
N Filium tuum (Tuo Figlio)
Il profondo simbolismo secondo il quale Cristo è diventato la “pietra
angolare”, di supporto, viene semplicemente lasciato cadere.
Allo stesso modo, si ritiene che non ci si possa più aspettare che l’uomo moderno faccia scaturire il fuoco dalla pietra:
Allo stesso modo, si ritiene che non ci si possa più aspettare che l’uomo moderno faccia scaturire il fuoco dalla pietra:
A productum e silice … ignem (il fuoco che abbiamo fatto scaturire dalla
pietra)
N ignem (fuoco)
Dove non si comprende più l’intreccio del mondo celeste con il mondo creato non c’è più spazio né per l’opera dell'ausilio divino in questa vita né per il governo spirituale della Chiesa sulla terra
(21) R IV 290.
(25)
A ut et vitae nobis praesentis auxilium et aeternitatis efficiant
sacramentum (perché ci portino aiuto per la vita presente e siano
mezzi di santificazione per l’eternità)
N ut etiam aeternitatis nobis fiant sacramentum (che diventino per noi
anche mezzi di santificazione per l’eternità)*
(26)
A subiciens ei principatus et potestates (che Egli sottometta ad essa —
ossia alla Chiesa — Principati e Potestà)
N — — (Questa parte dell’antica orazione è stata cancellata senza alcuna sostituzione.)
Non si riconoscono neppure gli effetti concreti del sacrificio offerto per noi qui sulla terra, cioè il fatto che ci può “purificare e proteggere”; invece, si parla solo della “ricompensa eterna” nell’aldilà come compimento della
volontà divina:
(27)
A gubernet et protegat (ci guidi e ci protegga)
N atque tuam exsequentibus voluntatem fiat causa remunerationis
aeternae (e diventi causa di ricompensa eterna per coloro che agiscono
obbedendo alla Tua volontà)*
Analogamente, non si vuole più ammettere che le offerte possano “continuare a infondere in noi la pace”:
(28)
A et pacem nobis semper infundant (e infondano sempre in noi la pace)*
N — — (Questa parte dell’antica orazione è stata cancellata senza
alcuna sostituzione.)
Il fatto che Dio specificamente “possa operare con grazia efficace” viene modificato con un indefinito “inclinarsi”, il che può significare più o meno la stessa cosa, ma rimuove senza alcun motivo l’aspetto dell’“operare” di Dio. Manca anche la riverente invocazione al “Nostro Signore”:
(25) Per esprimere vita nel senso di “vita terrena” cfr. E 59. Su questa preghiera vedi R V 304
(anche per la nostra “vita mortale”).
(27) protegere, soprattutto nell’Antico Testamento: “coprire, fare scudo” (Sch 108). — gubernare
“geovernare,, guidare", es. Sap 14, 3.6., Is 48, 17 (Sch 89).
(28) infundere „infondere“: Sch 92.
(29)
A et dignanter operare: ut, quod passionis Filii tui, Domini nostri,
mysterio gerimus … consequamur (e concedici misericordiosamente
che … diventi nostro ciò che compiamo celebrando la Passione di Tuo
Figlio Nostro Signore)*
N ut quod passionis Filii tui mysterio gerimus … consequamur (affinché ciò che compiamo celebrando la passione di Tuo Figlio … diventi nostro)
Nei testi moderni, con tutto l’ottimismo infondato — e a volte addirittura
pericoloso — sulla possibilità di ottenere la salvezza, manca d’altro canto il
coraggio di confessare che le verità concrete ci sono già state date attraverso
la rivelazione:
(30)
A ut qui dedisti famulis tuis in confessione (hai concesso ai Tuoi servi la
grazia, nella confessione …)
N da nobis in confessione (dacci [la grazia], nella confessione …)*
Anche piccoli dettagli come il sostituire “Tuoi servi” solamente con “noi” sono
degni di nota.
Anche la preghiera dopo la comunione della 2ª domenica di Avvento riguarda cose concrete (vedi sotto, n. 50): perché non si ama più ciò che è celeste, bensì ci si aggrappa solamente ad esso?
(31) Il riferimento alla sofferenza di Cristo è stato semplicemente omesso anche
nella “preghiera di benedizione” del Venerdì Santo:
A qui passionem et mortem Filii tui … recoluit (che … la passione e la
morte di Tuo Figlio … ha ottenuto)
N qui mortem Filii tui … recoluit (che … la morte di Tuo Figlio … ha
ottenuto)
Non solo la morte, ma anche la passione del Signore con tutta la Sua umiliazione ci mostra l’entità dei nostri peccati. A che scopo cancellarla allora e proprio in questo giorno?
Né è più opportuno combattere per Cristo come Re, e i redenti non hanno
più alcuna speranza, un giorno, di “regnare con Cristo” — immagine maestosa
dell’esaltazione promessa (cfr. Ap 20, 4; 22, 5):
(29) Dignanter deriva da dignari: è un'espressione di speciale riverenza (E 199).
(30) GyR 103 ss.
(32)
A ut qui sub Christi Regis vexillis militare gloriamur … in caelesti sede
iugiter regnare possimus (servire sotto lo stendardo di Cristo Re …
regnare con Lui sul trono celeste per sempre)
N ut qui Christi Regis universorum gloriamur oboedire mandatis … in
caelesti regno sine fine vivere valeamus (obbedire ai comandamenti di
Cristo Re dell’universo … vivere con Lui senza fine nel regno dei cieli)*
Ciò è legato al fatto che è stato cancellato tutto ciò che potesse ricordare
anche lontanamente le strutture gerarchiche:
(33)
A pro universis ordinibus …, ab omnibus tibi gradibus fideliter serviatur
(per tutto il clero: che tutti i gradi Ti servano fedelmente)
N pro ministris tuis …, ab omnibus tibi fideliter serviatur (per tutti i Tuoi
servi: affinché Tu sia servito fedelmente da tutti)
4. Livellamento del rapporto tra l’uomo e Dio
Ciò risulta dalla cancellazione esplicita di una parola chiave dalle orazioni,
cioè la pietas. Questo termine può sia attribuirsi direttamente a Dio (nella
gran maggioranza dei casi), sia designare la bontà paterna di Dio; è usato
come sinonimo di misericordia, “misericordia”, e clementia, “bontà” (E 47 ss.,
Sch. 104). Ma la pietas può anche esprimere la risposta dell'uomo a Dio, nel
qual caso è di solito da tradurre con “pietà” (aggettivo pius “pio”). Entrambe le
aree semantiche, però, hanno in comune il senso di un’intima dedizione: da
una parte Dio si piega con grazia, nella sua bontà paterna, dall’altra l’uomo
guarda a Dio con cuore umile e pio. Perché questo rapporto fondamentale
doveva essere cancellato in modo così palese?
L’esempio seguente mostra come l’essenza di un’intera orazione può essere
completamente invertita cambiando una sola lettera:
(32) Il nostro “stendardo” (il vexillum caduto) è in realtà la Croce di Cristo, santificata dal Suo
Sangue. Vedi E 178; GyE 171 ss. (su questa postcommunio) chiarisce molto bene il testo: “Non
aspiriamo ad alcun regno basato sulla prevaricazione. Il “con Lui” qui è essenziale … Questo è
il nostro trono: poter rendere grazie!”
(34)
A tua facias pietate concordes (affinché, per opera della Tua bontà
paterna, noi diventiamo un cuore solo)*
N una facias pietate concordes (affinché noi diventiamo un cuore solo
all’interno dello stesso amore)
Mentre nel testo originale si intende la bontà paterna di Dio (attraverso la
quale e in cui anche gli uomini devono essere uniti tra loro), nel nuovo testo è
l'affetto reciproco che dovrebbe realizzare l'unità: il livellamento da una
relazione verticale a una relazione orizzontale è qui particolarmente chiaro.
La pietas viene completamente cancellata nel seguente esempio:
(35)
A praesta in nobis religionis augmentum: ut quae sunt bona nutrias, ac
pietatis studio … custodias (accresci la nostra vita religiosa; fa’ che il
bene si rafforzi e si conservi … con zelante bontà paterna)
N praesta ut in nobis, religionis augmento, quae sunt bona nutrias, ac,
vigilante studio, … custodias (affinché, attraverso la crescita della vita
religiosa, Tu permetta al bene di rafforzarsi e lo conservi con vigile
zelo)*
È chiaro a tutti che con la sostituzione della bontà paterna col vigile zelo è
stato operato uno stupefacente livellamento…
Pertanto, la parola pia è stata cancellata anche nella risposta con cui
l’uomo si rivolge a Dio:
(36)
A pia devotione gerimus (ciò che facciamo con pia devozione; Schott:
ciò che compiamo nella pietà sacrificale)
N gerimus devotione frequenti (quel che facciamo con devozione
frequente)*
Di conseguenza, il ruolo rappresentato dal santo obbligo dinanzi a Dio di
servirLo in modi a Lui graditi viene logicamente sostituito da un’espressione
poetica ma non vincolante:
(34) Sull’espressione pietas cfr E 47 ss., Sch 104 (“L’amore paterno di Dio”). — R V 31 sottolinea a tal
proposito che “alla mensa del Signore tutti i cuori sperimentano l’unico e medesimo amore
di Dio”.
(35) E e Sch (vedi numero precedente) — Su questo K 163: Dio come “pienezza del bene tutto intero”. Su questa orazione vedi anche GyR 121 ss.
(36) D sottolinea qui in termini elogiativi che il “termine generale” pia è stato sostituito dal più vincolante frequenti; cosa c'è di più “vincolante” in frequenti? — Sch 104: pius caratterizza il rapporto dell’uomo con Dio. — E 49.
(35) E e Sch (vedi numero precedente) — Su questo K 163: Dio come “pienezza del bene tutto intero”. Su questa orazione vedi anche GyR 121 ss.
(36) D sottolinea qui in termini elogiativi che il “termine generale” pia è stato sostituito dal più vincolante frequenti; cosa c'è di più “vincolante” in frequenti? — Sch 104: pius caratterizza il rapporto dell’uomo con Dio. — E 49.
(37)
A tibi etiam placitis moribus dignanter deservire concedas (concedici di
essere degni di servirTi anche con condotta gradevole)
N Christi bonus odor effici mereamur (che meritiamo di essere
trasformati nella dolcezza di Cristo)*
È strano il fatto che il testo originale chieda di essere redenti dal peccato e di essere soggetti al dominio estremamente clemente di Dio, mentre quello nuovo sottolinea che ogni creatura è liberata da ogni servizio (servitus); a quanto pare alcune persone si sentono oggi infastidite dall’espressione “sottomettersi”:
(38)
A ut cunctae familiae gentium peccati vulnere disgregatae eius suavissimo
subdantur imperio (che tutti i popoli, divisi dalla calamità del peccato,
si sottomettano al Suo mite dominio)
N ut tota creatura, a servitute liberata, tuae maiestati deserviat ac te sine
fine collaudat (che ogni creatura, liberata da ogni schiavitù, serva la Tua
maestà e Ti lodi senza fine)*
5. Verità nascoste: il peccato, il giudizio — e la necessità dell’espiazione
Nemmeno la tanto fervida richiesta di perdono dei peccati è mantenuta;
si diffonde invece un “ottimismo sulla salvezza” piuttosto spensierato:
(39)
A nosque a peccatorum nostrorum maculis emunda (e purificaci dalle
macchie dei nostri peccati)
N qua nobis et vita ostenditur veritatis et regni caelestis vita promittitur
(mostrandoci la vita nella verità e promettendoci la vita del Regno dei
Cieli)*
Dunque non si vuole più accettare che la causa della divisione dei popoli sia in definitiva il peccato (cfr. n. 38 supra). Dove il peccato non è più preso sul serio, non c'è bisogno di chiedere aiuto nella nostra debolezza:
(37) Si tratta (nel testo originale) della facoltà, estremamente necessaria, di fare qualcosa di
gradito a Dio, riconoscendo la nostra impotenza. Su questo, si vedano le riflessioni in GyR 72
ss. — deservire si riferisce all'attività cultuale (1 Cor 9, 13, Ebr 13, 10): Sch 81.
(38) D sottolinea qui in termini elogiativi (come nel caso di tutte le orazioni modificate della
festività di Cristo Re) che “termini desunti dal linguaggio militare e dalla politica dell’uso della forza sono stati sostituiti da altri”. Ma com’è povero un tempo in cui possono sorgere tali incomprensioni sulla regalità di Cristo! —
K 223 si riferisce proprio al significato estremamente contemporaneo di questa richiesta
“che tutti i popoli si sottomettano al Suo mite governo”; la Sua “mite sovranità” è anche il
tema principale delle spiegazioni in GyR 193 ss.
(39) D nota qui con apprezzamento che “la richiesta generica di perdono dei peccati è stata
abbandonata”. Ma cosa c’è di “generico” nell’indispensabile richiesta del perdono dei nostri
peccati? — Su peccata cfr. Sch 102, su questa secreta R I 148 f.
(40)
A et sit nostrae fragilitatis subsidium (e sia un supporto per la nostra
fragilità)
N et nostrae caritatis augmentum (e l’incremento del nostro amore)*
Quindi anche ogni riferimento alla giustizia di Dio, sul cui sentiero dobbiamo
tornare, turba; probabilmente è sufficiente “partire” e nulla più:
(41)
A ut in viam possint redire iustitiae (affinché possano tornare sul
cammino della giustizia)
N ut in viam possint redire (affinché possano tornare sul cammino)*
Anche dove viene menzionata la schiavitù del peccato, viene semplicemente
cancellata la terribile (ma innegabile) verità della possibile punizione, della
“morte eterna”; probabilmente essa “non è più ragionevole per gli uomini di
oggi”:
(42)
A perpetuae mortis eripuisti casibus (ci hai salvati dal cadere nella morte
eterna)
N eripuisti a servitute peccati (ci hai salvati dalla schiavitù del peccato)*
Perciò non è più opportuno nemmeno implorare sempre di più la
misericordia di Dio; eppure il concetto di “grazia” che viene introdotto, se correttamente inteso, include (anche) questa misericordia; perché dunque non chiamare le cose semplicemente con i loro nomi (specifici)?
(40) fragilitas „fragilità“: Sch 88. — È la debolezza di cui dobbiamo sempre essere consapevoli (per
proteggerci dalle sconfitte): R II 187.
(41) D sottolinea in termini elogiativi: “Grazie a questa modifica, la richiesta può ora riferirsi, in
senso più pieno, a Cristo, che è la Via della Vita”. Ma chi mai, pregando, potrà comprendere
via “cammino” in questo senso? Piuttosto, si nota chiaramente la tendenza a eliminare le
parole che designano esigenze concrete per promuovere al loro posto un’interpretazione
vaga o quantomeno astratta (e quindi in definitiva non vincolante): Certamente Cristo è “il”
cammino, ma — come mostra il contesto — ci si riferisce qui agli erranti che si sono
allontanati dalla via della giustizia; essi dovrebbero riguadagnare concretamente l’unica retta
via (una vita fatta di rettitudine). Come mostra E 39, ciò è espresso chiaramente in questa
orazione proprio dal termine iustitia. — K 114 ss. R I 482 ss. GyR 88 ss.
(42) D cataloga questa orazione tra quelle "immutabili". — Sulla “caduta nella morte” così come è
intesa da questa orazione (Sir 28, 30) cfr. Sch 77. La morte eterna è l’effetto del peccato grave:
R I 464. — Anche: K 110. GyR 85 ss.
(43)
A multiplica super nos misericordiam tuam (perciò donaci la tua
misericordia in misura ancora più ricca)
N gratiam super nos indesinenter infunde (e continua a riversare su di noi
la grazia)
Il tentativo di rendere plausibile questa modifica è interessante.*
ertanto, anche le omissioni apparentemente insignificanti diventano sorprendenti:
(44)
A Suscipe … propitius (accetta … propizio)
N suscipe (accetta)*
Ma esiste anche il caso in cui sul credente è caricata la colpa degli altri. In
una situazione del genere chiediamo a Dio di toglierci questo peso. Il nuovo
testo si accontenta di dire che dobbiamo fare pace tra noi:
(45)
A non gravemur externis (affinché la colpa di nessun estraneo possa pesare su di noi)
A non gravemur externis (affinché la colpa di nessun estraneo possa pesare su di noi)
N fraterna dimittere studeamus (che ci sforziamo di perdonarci
fraternamente)*
In nessun giorno dell’anno la gravità dei peccati e l’atrocità delle sofferenze
del Signore da essi causate sono portati così chiaramente davanti ai nostri
occhi come nel Venerdì Santo. E anche nelle orazioni di quel giorno, i riformatori hanno cancellato il pensiero dell’amara sofferenza che ha preceduto la morte di Gesù e la Sua stessa morte sostituendolo con il riferimento (anticipato) alla risurrezione, che ci ha liberati da ogni peso opprimente:
(43) D: “Mentre nella versione antica si richiede la pienezza della misericordia di Dio (nei
confronti dei nostri peccati), il nuovo testo pone l’accento sulla grazia incessante. Allo stesso
tempo, in questo modo si evita il fraintendimento di un aumento quantitativo del dono della
grazia di Dio”. Abbiamo già visto che non si crede più davvero che la misericordia di Dio sia
necessaria. Il pensiero di un “aumento”, “moltiplicazione” della grazia è del tutto concepibile
e anche biblico. A questo proposito Sch 97 fa riferimento a 1 P 1, 2. Cfr. K 114 ss., RI 162 s. GyR
133 fornisce un’ottima interpretazione: il grado della misericordia di Dio non può essere
accresciuto, “ma possiamo certo renderci più ricettivi ad essa … La preghiera non cambia
Dio, ma noi”.
(44) Propitius è uno dei termini latini più antichi per designare l’atteggiamento dell'uomo verso
l’alto, espressione del rapporto naturale degli uomini dei tempi antichi con Dio protettore
(cfr. E 142, che segue E. Norden); la parola ricorre nel 75% di tutti i casi con concedere, respice
e suscipe. Sch 108 cita una gran quantità di brani biblici in cui propitius si trova all’interno di
preghiere. — Su questa secreta: R IV 301.
(45) Anche qui D si esprime in termini elogiativi: il nuovo testo “abbandona la formula non gravemur externis, di difficile comprensione, e si riallaccia a una richiesta del Padre Nostro”. Ma qui è in gioco il peso della responsabilità che a volte (per le proprie trasgressioni) si porta anche per gli altri: R V 155.
(45) Anche qui D si esprime in termini elogiativi: il nuovo testo “abbandona la formula non gravemur externis, di difficile comprensione, e si riallaccia a una richiesta del Padre Nostro”. Ma qui è in gioco il peso della responsabilità che a volte (per le proprie trasgressioni) si porta anche per gli altri: R V 155.
(46)
A qui Christi tui beata passione et morte nos reparasti (ci hai restaurati
attraverso la sofferenza e la morte del Tuo Cristo)
N qui nos Christi tui beata morte et resurrectione reparasti (ci hai
restaurati per mezzo della morte e risurrezione salvifica del Tuo
consacrato)*
(47)
A qui passionem et mortem Filii tui devota mente recoluit (che ha
celebrato la passione e la morte di Tuo figlio con pia celebrazione)
N qui mortem Fili tui in spe suae resurrectionis recoluit (che in questa
cerimonia ha celebrato la morte di tuo figlio nella speranza della sua
(= del popolo) risurrezione)
Solo coloro che visualizzano la sofferenza inevitabile del Signore possono cogliere l’intera portata del peccato. Non è quindi solo liturgicamente inappropriato, ma anche psicologicamente sbagliato evitare la sofferenza e pensare frettolosamente solo alla risurrezione*: si tratta di un chiaro adattamento allo spirito dei tempi, che psicologi e sociologi seri definiscono, dimostrandone l’esistenza, “incapacità di soffrire” e ricerca del “godimento senza sforzo”. E non possiamo celebrare questa celebrazione nemmeno con “cuore devoto” (devota mente) (n. 47).
Certo, la gioia della risurrezione è del tutto appropriata per la domenica di Pasqua. Ciò che è significativo, tuttavia, è che mentre il pensiero della sofferenza è stato chiaramente soppresso nei giorni — appunto — della sofferenza, il pensiero della gioia è stato qui notevolmente aumentato rispetto al testo originale:
(48)
A paschalibus gaudiis immolamus (tra le gioie pasquali che offriamo …)
N paschalibus gaudiis exultantes offerimus (con il giubilo della gioia
pasquale offriamo …)*
(46) Sul termine passio nelle orazioni vedi E 46, Sch 101.
(47) Sant’Ignazio di Loyola consiglia espressamente a coloro che fanno gli esercizi spirituali di
evitare ogni pensiero di cose gioiose, come la Risurrezione, quando meditano sulla passione
e morte del Signore: cfr. la traduzione di H.U. von Balthasar (Einsiedeln 1962), p. 52.
(48) R IV 290. — D ha catalogato questa secreta tra quelle “immutate”.
(49)
A vota nostra, quae praeveniendo aspiras, etiam adiuvando prosequere
(continua ad accompagnare con il Tuo aiuto i propositi che la Tua
grazia generosa ci ispira)
N da nobis quaesumus, ut qui resurrectionis dominicae solemnia colimus
per innovationem tui spiritus in lumine vitae resurgamus (concedi, Ti
preghiamo, che noi che celebriamo la risurrezione del Signore
possiamo risorgere alla vita per mezzo del rinnovamento del Tuo
Spirito)*
Qui il pensiero della risurrezione sostituisce addirittura la richiesta dell’aiuto
di Dio. Ma siamo autorizzati ad essere così sicuri della nostra risurrezione?
6. “Apertura al mondo”
Si è già parlato molto delle gravi incomprensioni e degli abusi morali,
dogmatici e liturgici sorti per via di questa parola d’ordine, e non sorprende
che questo fatale sviluppo abbia trovato la sua strada anche nella liturgia
delle orazioni; affermazioni come quelle di Rm 12, 2, secondo cui non
dobbiamo conformarci “a questo mondo”, che si possono riscontrare in tutta
la Rivelazione, sono scrupolosamente trascurati.
(50)
A terrena despicere et amare caelestia (disprezzare le cose terrene e
amare quelle celesti)
N terrena sapienter perpendere et caelestibus inhaerere (valutare
saggiamente le cose terrene e aggrapparsi a quelle celesti)
(49) D loda il fatto che la “formula generale” usata fino ad ora sia stata sostituita da una pasquale!
— Ci è stato certamente promesso di “risorgere alla luce della vita”, ma si può cancellare il
presupposto necessario, cioè che anche noi adempiamo ai comandamenti e ai “voti” che Dio
ha radicato in noi, con il Suo aiuto, che dev’essere implorato? Tutto ciò che può significare
vota nostra è articolato in dettaglio in R I 426 (pii desideri, preghiere, voti — anch’essi
vengono da Dio (praeveniendo aspiras). Importanti osservazioni sui giusti “desideri” si
trovano anche in GyR 79 ss., a proposito di questa orazione. Votum era sinonimo di
“preghiera” già nel IV secolo: E 121. Vedi anche Sch 122. K 102 ss. R I 424 ss.
(50) Sull’opposizione tra terrena e caelestia si veda 1 Cor 15, 39-58, specialmente 47 ss., in cui per
“cose terrene” si intende l’esatto opposto della risurrezione: corruzione, impudicizia,
debolezza; ma come può aiutare qui il mero “valutare saggiamente”? Non è necessario un
netto allontanamento (despicere)? GyE 15 afferma molto chiaramente a proposito di questa
preghiera: “Con molta durezza, senza alcun eufemismo, si afferma come dev’essere un
cristiano dopo la Santa Comunione: uno che disprezza le cose terrene e ama quelle celesti.
Cosa significhi ciò non può essere spiegato da persone che non comprendono l’amore intimo
di Cristo. Al massimo ne potrebbe essere autorizzato un santo, se non solo Cristo stesso. Da
Lui viene l’affermazione: “Chi non rinuncia a tutto ciò che ha, non può essere mio discepolo”
(Lc 14, 33). Inoltre R I 44: “Preghiamo almeno per la grazia di poter disprezzare le cose
terrene!" Cfr. Sch 118.
La “saggia valutazione” si adatta invece ai tiepidi che non vogliono perdersi le
cose terrene, ma è questa la determinazione senza compromessi richiesta dal
Signore?*
(51)
A sic transeamus per bona temporalia, ut non amittamus aeterna (affinché
possiamo passare attraverso i beni temporali in modo da non perdere
quelli eterni)
N sic bonis transeuntibus nunc utamur, ut iam possimus inhaerere
mansuris (affinché possiamo utilizzare i beni transeunti in modo tale
da poterci aggrappare anche a quelli permanenti)*
Qui anche l’espressione propriamente religiosa “ciò che è eterno” è sostituita
dal termine comune “permanente”.
L’apprezzamento delle cose terrene è anche, indirettamente, il motivo per cui
non ci è più nemmeno permesso chiedere aiuto per la nostra debolezza: vedi
sopra, n. 40!
Naturalmente, tutto questo ha a che fare con il cambiamento di direzione che
c’è alla base: l’offuscamento della dicotomia tra il “mondo” e la meta eterna e
l’euforico ottimismo universale nei confronti della salvezza affondano le loro
radici nel tentativo di risolvere, cancellandola, la tensione caratteristica della
religione tra il “già” e il “non ancora”. Così, in un caso preghiamo per un
accrescimento della nostra pietà, nell’altro diamo per scontato che esista e
chiediamo solo che in essa si alimenti la bontà: vedi sopra, n.36.
Da un punto di vista grammaticale, questo “già” al posto di “non ancora” si
esprime nel tipico passaggio dal gerundio al participio:
(52)
A oblatio tuo nomini dicanda (il sacrificio da consacrare al Tuo Nome)
N oblatio tuo nomini dicata (il sacrificio consacrato al Tuo Nome)
Si può comprendere dove vada a parare questa modifica apparentemente
minore solo se si considera da una parte l’intenzione originaria del gerundio in questo punto e dall’altra come si giustifica la nuova versione.*
(51) Colpisce il fatto che il (nuovo) Messale tedesco sia qui tradotto allo stesso modo del testo
latino antico (che anche D critica). — È proprio il possesso dei beni terreni che spesso fa
dimenticare ai loro proprietari Dio e l’eternità: R II 68 ss. GyR 112 ss. K 148 ss. Su aeternus
come termine utilizzato nelle orazioni, vedi E 21 ss. e Sch 74.
(52) D: “La nuova versione elimina la preoccupazione per il fatto che il sacrificio vero e proprio
debba ancora essere compiuto e esprime semplicemente il pensiero: questi doni Ti sono
consacrati”. — Sul significato speciale del gerundio dicanda: “Queste preghiere si riferiscono
alla santa azione che si compie hic et nunc”: E 47. — R II 63.
Naturalmente, la rimozione della tensione tra il “qui e ora” e l’eterno è
accompagnata da uno slittamento dal piano verticale a quello orizzontale.
Questo processo è realizzato a volte molto abilmente, in modo che l’errore
contenuto nella nuova versione non appaia in modo lampante, ma possa
essere invece inteso in senso conforme a quello corretto con l’aiuto di
un’interpretazione (inverosimile); per la recitazione di una preghiera
genuina — che, legittimamente, comincia direttamente con la sua
formulazione — è fuorviante evitare parole che rendano inequivocabile il
riferimento all’aldilà; lo abbiamo già visto nell’esempio n. 35. Dunque si evita
di chiedere la nostra “pace eterna” e si parla invece diplomaticamente di
“vera pace”, lasciando penetrare allo stesso tempo un po’ di “teologia della
liberazione”:
(53)
A ad nostram perpetuam pacem (alla nostra pace eterna)
N ad veram omnium pacem et libertatem (alla vera pace e alla liberazione
di tutti)
Certo, è sempre giusto pregare per la “vera” pace, ma che cos’è? Non
facciamo di nuovo finta che ciò sia qualcosa di indefinito, qualcosa che
dev’essere indagato. La Chiesa ci ha spiegato in modo molto specifico in che
modo bisogna intendere l’aggettivo “eterna” riferito alla pace.
7. Allontanamento dalla sacralità
Laddove si propaga un riorientamento verso ciò che è mondano, si fa
naturalmente fatica ad aggrapparsi al concetto di numinoso, di sacro, di
mistero, cioè a quei contenuti che costituiscono l’essenza profonda della
religione ma sfuggono completamente alla mente illuminata del razionalista!
È significativa la cancellazione di alcuni termini fondamentali e insostituibili:
mysterium, mirabile (meraviglioso), sanctus, gratia (grazia).
(54)
A nativitatem Domini nostri Jesu Christi mysteriis nos frequentare
gaudemus (ci rallegriamo nel celebrare di nuovo la nascita di Nostro
Signore Gesù Cristo in una celebrazione pregna di mistero)
N nativitatem Redemptoris nostri frequentare gaudemus (ci rallegriamo di celebrare la nascita del nostro Redentore)*
(54) D ha catalogato questa postcommunio tra quelle riprese senza modifiche. — È impossibile qui
analizzare l’intero contenuto dell'espressione fondamentale mysterium. Oltre al significato
propriamente eucaristico, mysterium indica un fatto di “verità rivelata della fede” (E 67). Il
momento eucaristico è in primo piano anche nell’attuale postcommunio: abbiamo celebrato
la nascita di nostro Signore attraverso questi misteri eucaristici (nella Santa Messa) (E 70).
Nel complesso si fa riferimento all’ulteriore bibliografia (elencata in E 70 nota 1), cfr Sch 98. —
R IV 103.
(55)
A adesto magnae pietatis tuae mysteriis, adesto sacramentis (sii presente
nei misteri del Tuo grande amore, sii presente nel compimento dei
sacramenti)
N adesto magnae pietatis tuae sacramentis (sii presente nel compimento
dei sacramenti del Tuo grande amore)
(56)
A Ecclesiae tuae mirabile sacramentum (il meraviglioso mistero di
salvezza della Tua Chiesa)
N Ecclesiae sacramentum (il mistero della salvezza — o sacramento —
della Chiesa)*
(57)
A et salutare tuum nobis mirabiliter operetur (affinché la Tua salvezza
operi meravigliosamente in noi)
N et salutare tuum in nobis potenter operetur (affinché la Tua salvezza
operi potentemente in noi)*
(58)
A tui sancti nominis invocationem (l’invocazione del Tuo Santo Nome)
N tui nominis invocationem (l’invocazione del Tuo Nome)*
(59)
A ut tua gratia largiente … in illius inveniamur forma (affinché con la Tua
grazia noi … possiamo essere conformi a Lui)
N at … in illius inveniamur forma (affinché noi … diventiamo come Lui)*
Viene proprio da chiedersi a chi interessi qui che ciò non debba essere fatto per grazia di Dio!
Una leggera deviazione che si rifà alla stessa tendenza si può osservare anche nel fatto che divinus “divino” è sostituito da caelestis “celeste”:
(60)
A ut divinis vegetati sacramentis (animato dai sacramenti divini)
N ut refecti caelestibus sacramentis (restaurato dai sacramenti celesti)*
(56) Su mirabile nelle orazioni vedi Sch 96.
(57) Vedi nota precedente. — R I 60.
(58) Su nomen sanctum nelle orazioni Sch 99. — R IV 453 s.
(59) Su gratia nelle orazioni cfr. Sch 89, su largiri “donare” Sch 94: Oltre a gratiam, l’oggetto di
largivi è indulgentiam, pacem e spiritum. — R IV 103: “Osserva l’alta grazia per cui si prega!”.
Anche se si conserva un’espressione di questo tipo — qui sanctificatio
“santificazione” —, si cancella però l'aggiunta di perpetua “eternamente”:
(61)
A et saluti credentium perpetua sanctificatione sumenda concede (fa’ che
il godere di essi, mediante la loro potenza sempre santificante, sia per
la salvezza dei credenti)
N et pro credentium sanctificationis incremento sumenda concede (fa’ che
il godere di essi accresca la santità dei credenti)*
Uno dei più grandi misteri della nostra fede è la realtà (e festività) della
Santissima Trinità. Invece di chiedere, nella preghiera ecclesiastica della Sua
festività, che la ferma fede in Essa ci protegga da ogni sventura, si
menzionano in modo impersonale la “Parola di verità” e lo “Spirito di
santificazione”: quale credente riesce più a capire che si tratta del Verbo
come Figlio eternamente generato e dello Spirito Santo come terza persona
della Divinità?
(62)
A quaesumus ut eiusdem (Trinitatis) fidei firmitate ab omnibus semper
muniamur adversis (concedici di essere sempre al sicuro da ogni
calamità in virtù della fede incrollabile in Essa (la Trinità)
N qui Verbum veritatis et Spiritum sanctificationis mittens in mundum
(che Tu hai mandato in questo mondo la Parola di verità e lo Spirito di
santificazione)*
Infine, anche il fatto che i giusti abbiano la speranza di regnare un giorno con
Cristo appartiene alla sfera del soprannaturale ed è espressione del definitivo superamento di ogni male. Ma ora viene menzionato solo il vivere invece del governare — un degrado molto evidente; vedi sopra, n.32.
(60) D accoglie con favore il fatto che vegetari sia stato sostituito, in quanto “potrebbe essere
interpretato in senso biologico”. In realtà, l’espressione “nutrirsi” in senso spirituale è
molto spesso utilizzata nelle orazioni in cui è presente vegetari: E 166. — L’aggettivo divinus
rappresenta un’affermazione profondamente cristiana: sostituisce il genitivo Dei: E 64 s. — R
I 149: “La potenza di Dio … deve conservare la vita di grazia e di virtù … e trasformare la vita
di grazia in una vita di gloria!”. — GyE 46 ss.
(61) Su perpetuus Sch 103. — R II 81 spiega molto chiaramente “Dovrebbe significare entrambe le
cose: in modo tale che Tu possa santificare sempre coloro che lo ricevono e che questi si
sforzino sempre di santificarsi!”.
(62) Le parole qui omesse sono elementi particolarmente importanti e tipici del lessico delle
orazioni. Su muniri cfr. Sch 98 ed E 174, su adversus Sch 74. — R IV 443: “Il forte scudo della
fede ci coprirà contro tutti i nemici!”. (Ci sono anche maggiori dettagli su chi e cosa sono
questi nemici.) — K 141 ss. GyR 103 ss.
8. Disprezzo nei confronti del carattere sacrificale
Anche la rimozione del carattere sacrificale della Santa Messa per un’enfasi
unilaterale sul carattere della mensa è stata già più volte segnalata, anche se
solo da May, L’antica e la nuova Messa, 61 ss., 64 ss. Tracce evidenti di
questa tendenza si possono riscontrare anche nelle preghiere. Pertanto
l’affermazione fondamentale secondo cui Gesù Cristo è Colui Che viene
offerto nel Santo Sacrificio della Messa è sommariamente cancellata:
(63)
A quem sacrificiis praesentibus immolamus ipse … Jesus Christus (Colui
che immoliamo in questi sacrifici, Gesù Cristo)
N ipse Filius (Egli, Tuo Figlio)
Di conseguenza, non si parla più di “offerta”, ma di “nutrimento, cibo”:
(64)
A Corporis … et Sanguinis … libamen renovati (rinnovato con l’offerta del
Corpo e del Sangue)
N Corporis… et Sanguinis … alimonia renovati (rinnovato nutrendosi del
Corpo e del Sangue)*
Non dovremmo più celebrare il sacrificio, ma la “festa della Pasqua” — e nella
2° domenica di Quaresima:
(65)
A et ad sacrificium celebrandum subditorum tibi corpora mentesque
sanctificet (e santifica i corpi e le anime dei Tuoi servi nella
celebrazione del sacrificio)
N et ad celebranda festa paschalia fidelium tuorum corpora mentesque
sanctificet (e santifica corpo e anima dei tuoi fedeli per la celebrazione
pasquale)*
Il fatto che i “servitori” di Dio, letteralmente i “sudditi” (subditi), siano nuovamente chiamati “credenti” in modo un po’ meno impegnativo, lo menzioniamo invece solo di sfuggita. Si mantiene segreto il fatto che siamo in presenza di un’offerta divina concreta; è invece il nostro “servizio” il dono che offriamo:
(64) D nota solo qui che il testo antico è “P 2. 7.”; ma non è la postcommunio della festività della
visitazione di Maria, bensì quella della commemorazione (da celebrarsi nello stesso giorno)
dei Santi Processo e Martiniano. — D sottolinea qui con apprezzamento che “libamen —
termine del linguaggio del sacrificio — è qui sostituito dal più generale alimonia”: non solo
ammette l’omissione dell'idea di sacrificio, ma la accoglie addirittura. Per libamen vedi E 140.
(65) R I 342 s. — D cataloga questa secreta tra quelle riprese senza modifiche.
(66)
A huius oblationis hostiam (il compimento di questa offerta)
N haec munera nostrae servitutis (questi doni del nostro servizio)*
L’espressione della forma originale, con l’uso del genitivo, indica l’azione,
mentre hostia significa l’offerta, cioè: “il dono che Ti offriamo qui e ora”. Nella
nuova versione è grammaticalmente un genetivus inhaerentiae, ossia il
genitivo che pronuncia un’identificazione: “questi doni che consistono nel
nostro servizio, nella nostra disponibilità a servire”.
Mentre in un’antica secreta (nel nuovo messale: offertorio) si dice che dalle
offerte da presentare si tolgono anche le cose che ci servono da cibo, ora
resta solo una specie di ringraziamento per il cibo “in questa vita transitoria”:
(67)
A qui in his potius creaturis quas ad fragilitatis nostrae subsidium
condidisti tuo quoque nomini munera iussisti dicanda (hai decretato
che da quelle stesse cose che hai creato per nutrire la nostra fragile
natura si debbano prelevare anche le offerte da consacrare al Tuo
Nome)
N qui has potius creaturas ad fragilitatis nostrae subsidium condidisti (hai
costituito queste cose proprio a sostegno della nostra fragile natura di
creature)*
Anche dove si parla ancora di sacrificio, l’idea non è più quella che Dio accetti
il sacrificio, ma solo che Egli manifesti la Sua approvazione compiaciuta:
(68)
A Suscipe, quaesumus, Domine, munus oblatum (ti preghiamo, o Signore,
accetta il dono che Ti è stato offerto)*
N Sacrificiis praesentibus, Domine, quaesumus, intende placatus (chinati compiaciuto, Signore, Ti supplichiamo, sulle offerte qui presenti)
Sorprende il fatto che la (nuova) traduzione tedesca abbia comunque mantenuto l’espressione “accetta”, che non esiste più nel nuovo testo latino — una fortunata incoerenza. Da notare anche il passaggio dal singolare al plurale: mentre il testo originale si riferisce a quell’unica “offerta presentata”, che nel sacrificio della Santa Messa non può essere altro che Gesù Cristo stesso, il plurale nel nuovo testo indica ovviamente i diversi “sacrifici” di coloro che sono qui “presenti”, significato che qui — nell’offertorio — non ha alcun fondamento.
Ciò che sconvolge nella suddetta revisione delle nuove orazioni è il fatto che — a parte alcune eccezioni classificabili come “neutre” —, laddove i testi originali hanno subito modifiche, è stata introdotta una formulazione affievolita, annacquata, meno vincolante e meno impegnativa. Nemmeno una delle modifiche era davvero necessaria, quasi tutte sono dannose. Un’analisi delle orazioni delle messe feriali e delle messe dei santi, nonché una revisione critica della traduzione tedesca delle orazioni del Nuovo Messale sarà riservata ai lavori successivi.
(66) R IV 453 f.
(67) Munus significa (E 163 ss.) sia “dono” che “atto ufficiale”, dicare (E 138 s.) “riservare
ritualmente a Dio”. — R V 304.
(68) Vedi nota precedente; da ciò ne consegue che munus non è semplicemente sinonimo di sacrificia (plurale!). — R V 393: “Preghiamo per i frutti della celebrazione sacrificale”.
(68) Vedi nota precedente; da ciò ne consegue che munus non è semplicemente sinonimo di sacrificia (plurale!). — R V 393: “Preghiamo per i frutti della celebrazione sacrificale”.
Indici
L’Indice I associa la nostra numerazione ai numeri della preghiera in questione secondo Bruylants e allo stesso tempo riporta l’inizio della preghiera.
L’Indice II procede invece in senso inverso, indicando anche in quali giorni (nel Nuovo Messale) si trovano le antiche (sia pur modificate) preghiere.
Index I
Index II
N. utilizzato in questo saggio 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 |
Inizio dell'orazione
Imploramus Omnipotens … multiplica Deus, a quo bona Adesto, Domine Propitiare, D., suppl. Placationis hostiam Deus, qui salutis Placare, quaesumus Deus, qui peccati veteris Omnipotens s. Deus, cuius iud. Deus, qui ecclesiam Munera nostra, quaesumus Omnipotens et misericors Deus Da nobis, quaesumus Sumpsimus, Domine Quos caelestibus Praesta, quaesumus Suscipe, quaesumus, Domine, munera Accepta tibi sit Da nobis, quaesumus, omnip. D. Sacrificia, Domine, paschalibus Deus, cuius antiqua Oremus et pro omnibus episc. Deus, qui per Filium tuum Domine D. noster, qui in his Oremus dilectissimi nobis pro eccl. Haec nos oblatio Munera nostra quaesumus Suscipe, quaesumus, Domine, munus Omnipotens s. Deus qui dedisti Super populum tuum Immortalitatis alimoniam Omnipotens s. Deus, cuius spiritu Spiritum nobis Deus, virtutum cuius Corporis sacri Supplices te rogamus Omnipotens semp. Deus, qui in Oblata, Domine Respice Domine, quaesumus Deus, qui errantibus Deus, qui in Filii tui Deus, qui omnipotentiam Suscipe, quaesumus, Domine, munera His sacrificiis Omnipotens et misericors Deus Super populum tuum Sacrificia, Domine, paschalibus Deus, qui hodierna die Repleti cibo Protector in te Oblatio nos, Domine Oremus et pro omnibus res publ. Da nobis, quaesumus Omnipotens semp. Deus, adesto Deus incommutabilis Devotionis nostrae Sanctifica, quaesumus Accepta tibi sit Augeatur in nobis Respice Domine munera Omnipotens s. Deus, qui dedisti Hostiam tibi Corporis sacri Haec hostia, Domine Sanctifica, quaesumus Domine D. noster, qui in his Suscipe, quaesumus, Domine, munus |
N. di Bruylants 639 767 199 23 901 821 440 819 — 757 334 698 — 164 1083 956 858 1126 12 176 1002 211 758 423 487 780 589 698 1128 774 — 637 758 1069 467 150 1103 785 723 981 336 364 418 1126 605 — — 1002 350 970 911 727 763/764 164 754 232 469 1039 12 63 979 774 613 150 581 1039 487 1128 |
N. di Bruylants |
Nel Messale antico |
Il nostro n. |
Nel nuovo Messale |
12 23 63 150 164 176 199 211 232 334 336 350 364 418 423 440 467 469 487 581 589 605 613 637 639 698 723 727 754 757 758 763/4 767 774 780 785 819 821 858 901 911 956 970 979 981 1002 1039 1069 1083 1103 1126 1128 — — — |
1ª Messa di Natale Giovedì dopo la 2ª domenica di Quaresima. Or. sup. pop. 2ª domenica dopo l’Epifania X Celebrazione del 2 luglio 1ª Messa di Natale 176 2ª Messa di Natale 5ª domenica dopo Pasqua Notte di Pasqua: dopo la 2ª lettura Fino al 1955: Venerdì Santo, Preghiera dopo la 2ª profezia 1º martedì della settimana di Pasqua 3ª domenica dopo Pasqua Domenica di Pasqua 2ª domenica dopo Pasqua 10ª domenica dopo Pentecoste Veglia Pasquale: Consacrazione del fuoco Ottava di Natale (Circoncisione del Signore) 6ª domenica dopo Pentecoste 3ª domenica di Avvento 5ª domenica dopo l’Epifania 3ª domenica di Quaresima 6ª domenica dopo l’Epifania 5ª dopo la 2ª di Quar. Festa di Cristo Re Festa di Cristo Re 3ª domenica di Avvento 2ª Messa di Natale 2ª domenica dopo l’Epifania 2ª domenica dopo Pentecoste Veglia Pasquale: Consacrazione dell'acqua battesimale Venerdì Santo: Intercessioni, 2 Venerdì Santo: Intercessioni, 3 Venerdì Santo: Intercessioni, 4 Sabato Santo (fino al 1955): Preghiera dopo la 5ª Profezia Festa della Trinità Venerdì Santo: Intercessioni, 1 Festa di Cristo Re 2ª domenica di Avvento Festività della Sacra Famiglia* 3ª Messa di Natale 5ª domenica dopo Pentecoste 1ª domenica di ottobre — Fest. d. Sacro Cuore di Gesù Festività della Sacra Famiglia* 2ª domenica di Avvento 3ª domenica dopo Pentecoste 11ª domenica dopo Pentecoste Mercoledì della settimana di Pasqua Festa della Trinità e 66 idem Venerdì dopo il Mercoledì delle Ceneri 22ª domenica dopo Pentecoste 2ª domenica di Quaresima Domenica in Albis Mercoledì della Settimana Santa Venerdì Santo: 1ª preghiera Venerdì Santo: 1ª preghiera dopo la Comunione Venerdì Santo: 2ª preghiera dopo la Comunione |
S 19 e 59 O 4 P 60 P 36 e 64 P 14 e 54 O 20 O 3 22 56 O 11 O 41 O 49 O 42 O 43 24 O 7 O 35 S 57 S 25 e 67 S 65 S 27 S 45 S 63 P 32 P 1 S 12 e 28 S 39 S 52 S 10 23 e 33 53 2 O 30 e 62 26 O 38 S 8 S 6 P 17 S 5 O 51 P 16 P 50 S 61 S 40 S 21 e 48 S 58 e 66 P 34 P 15 P 3 S 18 e 44 S 29 e 68 9 31 e 47 13 e 46 |
idem 18ª dom. i. a, 31ª dom. i. a. 12ª dom. i. a. idem idem 10ª dom. i. a. dopo la 3ª lettura (a scelta) Notte di Pasqua: dopo la 7ª lettura Lunedì dell’Angelo 15ª dom. i. a. idem 14ª dom. i. a. 26ª dom. i. a. idem idem (Solennità della Madre di Dio) 22ª dom. i. a. idem 5ª dom. i. a. 2ª dom. di Quar. 6ª dom. i. a. 3ª dom. di Quar. idem idem idem idem 2ª dom. dopo Natale 14ª dom. i. a. idem idem idem idem, 9 Notte di Pasqua pr. dopo la 4ª lett. idem idem idem idem idem* idem 24ª dom. i. a. 17ª dom. i. a idem* idem 15ª dom. i. a 10ª dom. i. a Domenica di Pasqua idem 2ª dom. i. a 33ª dom. i. a Giovedì Santo Messa crismale idem (2ª domenica di Pasqua) 32ª dom. i. a A scelta Pregh. di apertura Preghiera di benedizione Preghiera finale |
* In precedenza: la prima domenica dopo Natale; ora: la seconda domenica dopo l’Epifania
9. Le riformulazione delle Intercessioni nella liturgia del Venerdì SantoAbbiamo già trattato le preghiere immutate e quelle modificate. In una breve digressione, vanno qui considerate alcune preghiere di intercessione che sono state completamente riformulate e dove il testo antico è stato quindi completamente abbandonato. Qui, anche i cambiamenti nelle intestazioni sono già molto significativi:
Nuova versione 1. Per la Santa Chiesa 2. Per il Papa 3. Per tutti i ministeri della Chiesa 4. Per i catecumeni 5. Per l’unità dei cristiani 6. Per gli ebrei 7. Per tutti coloro che non credono in Cristo 8. Per tutti coloro che non credono in Dio 9. Per i governanti 10. Per tutti i bisognosi |
Versione antica 1. Per tutta la Santa Chiesa 2. Per il Santo Padre, il Papa 3. Per tutti i ministeri della Chiesa 5. Per gli studenti battesimali della Chiesa 7. Per l'unità della Chiesa 8. Per la conversione degli ebrei 9. Per la conversione dei non credenti 4. Per i governanti dei popoli 6. Per i bisogni della cristianità |
5. Se prima si pregava per “tutti i falsi maestri e scismatici” (A pro haereticis et schismaticis), ora lo si fa eufemisticamente “per tutti i fratelli che credono in Cristo” (N pro universis fratribus in Christum credentibus). Pertanto Dio non avrebbe più bisogno di “salvarli da tutti i loro errori” (A eruat eos ab erroribus universis), ragion per cui si prega che Egli “raccolga e conservi” (N congregare et custodire) in una sola chiesa “coloro che compiono la verità” (N veritatem facientes); quest’ultima, ovviamente, non dev’essere più “la Santa Madre, la Chiesa cattolica” (A sanctam matrem ecclesiam catholicam), ma una chiesa che non si può definire con maggiore esattezza (N una ecclesia).
E mentre prima le anime degli erranti erano considerate “ingannate dalle astuzie di Satana” (A animas diabolica fraude deceptas), questo riferimento è ora del tutto assente; si afferma solo, in modo molto ottimista, che tutti sono stati “santificati” da un “unico battesimo” (N quos unum baptisma sacravit).
6. La preghiera per gli ebrei non afferma più di chiedere la loro conversione (A conversione), affinché “Dio Nostro Signore tolga il velo dai loro cuori” (A Deus et Dominus noster auferet velamen de cordibus eorum); tutto ciò è stato rimosso, e si è solo ribadito — di nuovo, in modo assai ottimista — che “Dio ha parlato a loro per primi” (N ad quos prius locutus est). Ciò è assolutamente vero, ma gli ebrei non accettano il fatto decisivo che Cristo è il Messia, ed è per questo che dovremmo pregare affinché lo facciano!
Se originariamente si affermava che il Signore “non li esclude affatto dalla Sua misericordia” (A a tua misericordia non repellis), ma si chiedeva che “li tolga dalle loro tenebre” (A a suis tenebris eruantur), ora si ricorda invece solo la promessa di Dio ad Abramo (N promissiones tuas Abrahae). È del tutto appropriato ricollegarsi qui alla promessa profetica di Dio al Suo popolo eletto: il punto cruciale è però il fatto che gli ebrei devono essere liberati dalla loro “cecità” (A obcaecatione) e professare fedelmente il Messia.
7. Di conseguenza, non si prega più nemmeno per la conversione dei non credenti, ma in generale per “tutti coloro che non credono in Cristo”. Il testo antico originale diceva: “Affinché abbandonino i loro idoli e si rivolgano al Dio vivo e vero” (A ut relictis idolibus suis convertantur ad Deum vivum et verum). Oggi, in un momento in cui sono già molti coloro che stanno introducendo idoli e testi pagani nel culto (e lo chiamano acculturazione del Vangelo), questa preghiera non viene più espressa, ma si chiede — in modo più astratto — “che anche loro, illuminati dalla luce dello Spirito Santo, entrino nella via della salvezza” (N ut luce sancti spiritus illustrati viam salutis et ipsi valeant introire), senza menzionare concretamente quali sono le conseguenze logiche e morali, ossia che ciò presuppone come condizione l’abbandono della loro religiosità pagana! Il fatto che ne sia stata cancellata più volte la stessa idea indica in modo lampante quanto forte sia questa tendenza: laddove si diceva “che Dio li liberi dal culto dei loro idoli e li integri nella Sua Santa Chiesa” (A libera eos ab idolorum cultu et aggrega Ecclesiae tuae sanctae), gli innovatori — che guardano con sospetto all’idea dell’unicità della Chiesa — accettano ora con ottimismo “che coloro che non professano Cristo camminino dinanzi a Dio con cuore puro e trovino (così) la verità” (N ut qui Christum non confitentur coram te sincero corde ambulantes inveniant veritatem). È normale che anche le altre religioni affermino di sforzarsi di trovare la verità. Ma può il cristiano pregare per questa forma di trovare la verità, che si realizza manifestamente senza allontanarsi dagli idoli e senza riconoscere Cristo? Invece di pregare per questa genuina conversione dei non credenti, ci si limita a dire che “noi cristiani dobbiamo diventare testimoni sempre più perfetti dell’amore di Dio nel mondo” (N nosque perfectiores effice tuae testis caritatis in mundo). È vero — e la storia missionaria ne ha molti testimoni eroici — che l’esempio dell’amore del Signore tra i gentili produce il miglior successo missionario. Tuttavia, nella formulazione ora scelta, in cui non si menziona più la rinuncia al paganesimo, questo testo rafforza l’errore diffuso secondo il quale la missione non debba essere necessariamente l’annuncio della verità, ma solo un servizio sociale.
[Traduzione dal tedesco di Antonio Marcantonio]______________________________
[1] Op. cit., 220, p.3.
[2] Op. cit., p. 4.
[3] „Wo stehen wir?“ [A che punto siamo?] in: UVK 1980/1, p. 163.
[4] Questo punto è trattato dalla tesi di L. Weiß (Facoltà di teologia dell’Università di Friburgo, 1978): Die Orationen im Missale Romanum von 1970 [Le orazioni nel Missale Romanum del 1970]. Nonostante alcune incongruenze accidentali e il tentativo di sostenere senza eccezioni che le modifiche siano necessarie, giustificandole, questo testo costituisce un'eccellente raccolta di materiale.
Per il momento ho letto solo l'introduzione del prof. P.Pasqualucci e qui esprimo una mia riflessione sulla lettura della Bibbia, che trovo realmente scarsissima da parte dei cattolici, almeno di quelli che io conosco.
RispondiEliminaCapisco che la lettura della Bibbia non è cosa facile e che molti sviamenti sono in agguato sia nel 'fai da te' sia nell'affidarsi ad 'esperti' e da questi sviamenti possono nascere e sono nate eresie in quantità, ma la Bibbia andrebbe letta tutta almeno una volta nella vita, lettura questa che non appartiene assolutamente al patrimonio religioso /culturale dei cattolici in generale.
Che fare? Primo dovrebbe esserci una edizione 'garantita' sicura fedele alla quale poter far rimando nel tempo; secondo la lettura dovrebbe essere incoraggiata sempre, con premesse chiare, ognuno la legga e la rilegga e a modo suo se la commenti a piacere, ma tenga sempre ben presente che i suoi commenti sono " a modo suo" e tali restano.
Quando mi trovai in un ambiente non cattolico, ma colto scoprii che tutti avevano letto la Bibbia, 'il libro di tutti i libri' come Roberto Calasso intitolò il suo ultimo libro/ saggio, e noi? Questa è una grande immensa lacuna. E'oggi molto difficile trovare chi sia in grado di spiegarti onestamente versetto per versetto. Tuttavia non è necessario.
Quando facciamo una passeggiata in montagna, in campagna, al mare, nella nostra città quello che resta tranne poche immagini precise è l'impressione d'insieme, è quella che portiamo nel cuore e nessuno pretende di fare su quella impressione d'insieme una dissertazione scientifica.
Così la lettura della Bibbia è una sana lunga passeggiata dell'anima che almeno una volta nella vita sarebbe bene compiere dall'inizio alla fine, eppoi nel tempo ognuno si ferma ora qui ora là per ammirare con calma uno scorcio, un fiore, un tronco di albero. La vita interiore cambia quando quotidianamente uno si concede questa mezz'ora di lettura ritemprante l'anima.
Bisogna cercare l'edizione meno alterata, ma questo viene con sé man mano che ci affiniamo nella lettura.
(11)
RispondiEliminaA novo semper foetu (costante nascita di nuovi figli)
N nova semper prole*
La sostituzione del termine "foetu" con "prole" annulla l'allusione chiara alla necessità di una crescita (nella fede e nel grembo della Madre-Chiesa): il foetus è il concepito ancora in gestazione; la prole indica genericamente i figli già dati alla luce...
Oltre a rispecchiare la caduta del principio ex Ecclesia nulls salus, forse non voluta, ma conseguente, la sostituzione del rapporto e responsabilità individuale personale col Signore (che non esclude la responsabilità anche collettiva), con quello collettivo...
Un primo esempio. L'Assemblea che celebra, non più il sacerdote in persona Christi...
Ho voluto inserire una prima notazione. Ma il lavoro èuna miniera...
RispondiEliminaIl traduttore automatico, nella sua insipienza, ha trasformato il "Missale Romanum" in un "Romanzo missilistico".
RispondiEliminaMa un fondo di verità c'è, poiché non c'è ritrovato bellico umano che possa competere con la potenza infinita del Sacrificio della Messa.
RispondiEliminaSulla lettura individuale della Bibbia.
Bisognerebbe certamente leggere di più la Bibbia nel senso di Antico Testamento. Ma oggi i cattolici lo conoscono il Nuovo? Secondo me non leggno nemmeno il Nuovo. Siamo in un'epoca di decadenza, con le conseguenze del caso.
Però è un fatto che i cattolici hanno sempre letto Nuovo e Antico Testamento alla luce dell'insegnamento della Chiesa non del libero esame o della semplice esigenza di cultura individuale.
Questo ha portato a ridurre la lettura dei Testi Sacri, accontentandosi di quello che si trova nei testi della Messa domenicale (intessuti comunque di richiami ai Salmi). Ma la promozione della lettura dei Vangeli in volgare fu fatta p.e. sotto san Pio X. Giustamente lasciò da parte l'A.T.
Si cercavano di evitare le insidie nascoste nei Testi Sacri. In particolare nell'Antico Testamento, del quale il commento di cui sopra sembra voler ignorare gli aspetti difficili e addirittura scabrosi (pensiamo alla vicenda di Giuditta, che seduce il comandante nemico per ammazzarlo a tradimento, sia pure per liberare il proprio popolo; agli stermini dei pagani nemici di Israele; al profeta cui è ordinato di sposare una prostituta etc). Per questo Amerio ricordava la prudenza con la quale la Chiesa ha sempre inteso l'approccio ai Testi, in particolare all'A.T., che resta per noi una "fonte nascosta" come disse Pio XII, ormai superata. In quest'ultimo bisognerebbe limitarsi alle parti più adatte alla formazione spirituale, che sono pure numerose. dai Profeti ai Salmi, e più edificanti. E leggerlo sempre nella prospettiva del Nuovo Testamento.
Uno degli errori del VAticano II è stato proprio quello di aver messo i due Testamenti in pratica sullo stesso piano: dietro sappiamo che c'é l'errore dottrinale di ritenere in qualche modo ancora valida la vocazione di Israele. Se è ancora valida, allora la nostra, di cristiani, che fine fa?
La mia modesta "presentazione" è solo introduttiva, ciò che conta è il testo,l'analisi certosina e impeccabile dello scomparso prof. Kascewski, che ha dimostrato l'opera di perversione veramente diabolica applicata alle preghiere domenicali, al fine di introdurre insensibilmente e per gradi una nuova liturgia, eversiva della tradizione, infedele alla rappresentazione del dogma, eliso o annacquato in tutti i modi.
PP
Uno studio serio e importante, che chiarisce e rivela senza ombra di dubbio, a chi con pazienza ne consulta l'excursus, la malafede e l'inganno dei novatori, le cui conseguenze ora sono difficilmente neutralizzabili. Tuttavia bisogna continuare a non demordere, innanzitutto per limitare i danni ma soprattutto per contribuire a mantenere viva la fedeltà al Rito dei secoli.
RispondiEliminaLa nuova formula di consacrazione : " con la rugiada del tuo spirito" non la posso sentire. Mi fa stare male. E cribbio!
RispondiEliminaAurelio Farace
RispondiEliminaLa riforma liturgica ha applicato i metodi eversivi dei protestanti
Lo si ricava, tra l'altro, da un breve saggio di Prosper Guéranguer, "L'eresia antiliturgica e la riforma protestante", tr. it. di Fabio Marino, Amicizia Cristiana, Chieti, tabula fati, 2008, pp. 27-45. Si tratta in realtà cel cap. XIV delle sue Institutions Liturgiques, 2 voll., Paris, 1878, pp. 388-407.
Di eccezionale importanza, a mio avviso, l'illustrazione della marcia antiliturgica dei protestanti, il modo subdolo con il quale hanno mutato la liturgia. D.G. enuclea 12 punti, molti dei quali sicuramente ritrovabili nel "metodo" dei neomodernisti nostrani.
1. Odio della tradizione nelle formule del culto, pertanto: nuove formule, nuovi libri.
2. Sostituzione delle formule ecclesiastiche con Letture della S. Scrittura. Così si fa tacere la voce della Tradizione e si diffondono gli errori "per via di negazione o di affermazione" grazie ad omissioni, citazioni tronche, etc.
3. Introduzione di formule erronee.
4. Costante contraddizione coi loro principi: invocano l'antichità mentre distruggono la Tradizione e impongono formule nuove "le quali non datano che dal giorno prima e sono incontestabilmente umane". [nota di PP : questa è l'ipocrisia dell'errore c.d. "archeologista", che ripesca arcaiche forme solo per introdurre novità nel rito e mutarlo in senso non ortodosso].
5. Eliminazione delle cerimonie e delle formule che esprimono misteri.
6. Estinzione dello spirito di preghiera.
7. Esclusione dell'intercessione della S.ma Vergine e dei Santi.
8. Uso del volgare nel Servizio Divino.
9. Diminuzione del numero delle preghiere.
10. Odio verso Roma (come simbolo ed espressione del Papato) e le sue leggi. La "non romanità".
11. Distruzione del sacerdozio.
12. Il principe secolare (il potere civile protestante) a capo della religione, con potere assoluto sulla liturgia. Lutero legittimò la bigamia del Langravio di Hesse.
(Op. cit., pp. 27-45).
Vivi ringraziamenti a Mic per aver pubblicato questo studio dello scomparso prof. Kaschewski, esponente della grande tradizione accademica tedesca di un tempo - testo di non facile redazione ed impaginazione e di non facile lettura ma indispensabile per chi vuol veramente capire le cause profonde della perdurante, gravissima crisi della Chiesa cattolica.
I punti del saggio di Dom Guéranguer da me citati sono come risultano da appunti presi a suo tempo da me stesso.
PP
Alla messa-cena protestante di Montini (di dubbia validità) NON bisogna proprio andarci. Bisogna andare al S. Sacrificio della Messa di sempre. Le due cose non sono intercambiabili, come ha voluto far credere Ratzinger.
RispondiEliminaÈ inutile che vi lamentiate di questo e di quello: non andate alla messa-cena protestante! lasciatela ai modernisti, ai mondialisti e ai cattocomunisti!
Grazie caro Paolo per la segnalazione di Guéranger.
RispondiEliminaÈ leggibile qui
https://chiesaepostconcilio.blogspot.com/p/goya-san-gregorio-magno-la-liturgia-e.html
" con la rugiada del tuo spirito"
RispondiEliminaNon l'ho mai sentito,è molto tempo che non frequento la messa cviiista,o vado alla Messa Cattolica o la seguo su internrt o la leggo in privato. Però questa rugiada del tuo spirito denuncia che non son capaci di trovar un attributo dello spirito che non sia comunque materiale. Sono pienamente d'accordo con lei, a volte, quando la misura è colma, è meglio uscire in punta di piedi per non andare in escandescenza anche senza volere.
La "rugiada" è una novità dei nuovi Messali. Vedi qui al punto 8:
RispondiElimina8. Nella seconda preghiera eucaristica (ne ho già parlato qui), troviamo la sostituzione delle parole che precedono la Consacrazione, cioè quelle della cosiddetta Epiclesi(3); per cui, anziché dire: Scenda o Signore il Tuo Santo Spirito, su questi doni che ti offriamo, perché diventino il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo nostro Salvatore, si dirà : Scenda o Signore LA TUA “RUGIADA”.....
Anche se si tratta di una traduzione più letterale del discusso testo latino del 1969: «Hæc ergo dona, quǽsumus, Spíritus tui rore sanctífica / Ti preghiamo, santifica questi doni con la rugiada del tuo Spirito», le traduzioni precedenti avevano preferito il termine meno letterale “effusione”, ma di fatto il senso è esattamente lo stesso, già a suo tempo stigmatizzato dai cardinali Ottaviani e Bacci nel “Breve esame critico” del Novus Ordo Missae [qui] nei seguenti termini: «abbiamo sorvolato sui nuovi canoni, di cui il secondo ha immediatamente scandalizzato i fedeli per la sua brevità. Di esso si è potuto scrivere, tra molte altre cose, che può essere celebrato in piena tranquillità di coscienza da un prete che non creda più né alla transustanziazione né alla natura sacrificale della Messa, e che quindi si presterebbe benissimo anche alla celebrazione da parte di un ministro protestante».
Ora, nella Bibbia la rugiada è sempre stata usata, di volta in volta, come metafora dello Spirito, della misericordia divina o comunque di elemento fecondante dell'azione divina; ma perché usare la metafora quando è già in uso il riferimento specifico allo Spirito Santo? Inoltre la nuova espressione ricorda immediatamente il Sl 133 (il canto delle ascensioni: il pellegrinaggio a Gerusalemme) "Ecco quant'è buono e quant'è soave che i fratelli vivano insieme! ... è come la rugiada che scende dall'Ermon sui monti di Sion; là infatti il SIGNORE ha ordinato che sia la benedizione, la vita in eterno". Ed ecco che subdolamente, anche qui, sia pure non direttamente affermato, viene evocata la riunione fraterna (a scapito del sacrificio) e allontanata ancor più la Presenza Reale, sostituita dal Dove sono due o più nel mio nome, io sono in mezzo a loro, che è vero e significativo, ma non è la stessa cosa rispetto a quanto specificamente accade come Actio di Cristo Signore nella Santa Messa.
Tutto il resto qui
http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2020/09/esprimero-ulteriori-preoccupazioni.html
Ieri ho cominciato l'omelia dicendo che finalmente siamo liberi di usare il naso e la bocca come Dio comanda e non come comanda il governo, quindi ho esortato tutti a sentirsi liberi. Nessuno però ha tolto la mascherina, tranne qualche vecchietta che la teneva già abbassata.
RispondiEliminaAlmeno mi son preso la soddisfazione di non metterla per la comunione né di impiastricciarmi le mani con l'immondo gel.
"L'Ecumenismo non lo si fa andando a metà del ponte, ma piuttosto costruendo ponti, tanti ponti in amorevole fatica, restando fermi sulla riva giusta."
RispondiEliminaIl 2 maggio 1989 muore il Cardinal Giuseppe Siri.
Io capisco che in me c'è molta ignoranza. Sia come sia, la rugiada rappresenta l'azione dello Spirito, qui di gran lunga preferisco 'effusione' del tuo Spirito in quanto ancora non è, infatti si chiede di santificare i doni che ancora santificati non sono, quindi lo Spirito deve ancora entrare in azione,si deve ancora effondere. Se si fosse già effuso allora si sarebbe potuto dire, questi doni splendenti della rugiada del tuo Spirito. Adesso io non ho a mente tutte le rugiade della Bibbia, l'unica che si avvicina alla rugiada a me sembra la manna che è facile assimilare a rugiada che risplende nel mattino, ma nella manna lo Spirito aveva già agito, quindi qualcosa di nuovo(anzi di antico) si vedeva.
RispondiEliminaTradurre è tradire. Poi bisogna vedere che latino è questo.Nella prima Vulgata che comprai alcuni brani erano stati riscritti in latino classico. Mi taccio perché qui non sono in grado di maneggiare le variabili.
Buona Notte.
Il discorso sulla rugiada si allunga non poco con la descrizione scientifica del fenomeno e con le diverse sfumature con cui la parola è stata usata fin dall'antichità.
RispondiEliminaOra quello che personalmente mi ha colpito è il fatto che la rugiada è un fenomeno del mattino, quasi segno di un rinnovamento della vita che avviene dopo il riposo notturno. E mi è tornato in mente il proverbio, 'il mattino ha l'oro in bocca' che indica il quotidiano potenziale che ogni giorno si rinnova per tutti gli esseri viventi.
il contenuto delle orazioni del nuovo messale fu già oggetto di studio e catalogazione precisa da parte di don Anthony Cekada almeno trent'anni fa, forse di più. Il libro esiste da decenni anche in traduzione italiana, pubblicato da Sodalitium. Con tutta l'antipatia per il mondo sedevacantista, mi pare che rifare un lavoro già fatto sia inutile, ammesso che non sia una scopiazzatura.
RispondiEliminaNon conoscevo il libro che lei segnala. In ogni caso uno studioso in più non credo che guasti... se mai il confronto potrebbe dare conferme o affinare meglio i risultati e le intuizioni
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RispondiEliminaInutile tradurre il saggio di Kaschewski, perché lavoro già fatto da altri o addirittura "scopiazzatura"?
Prima di parlare bisognerebbe riflettere. Soprattutto se si parla per offendere, come sembra di moda tra certi "tradizionalisti".
Il saggio qui tradotto del prof. Kaschewski risale a 42 anni fa. Nella bibliografia egli non cita Don Cekada. Non conoscevo nemmeno io l'esistenza dello studio di questo sacerdote. Sono andato a vedere su internet e ho trovato l'indicazione di questo saggio, di 62 pagine, sulla pagina di Sodalitium, del Centro Studi Federici, etc.: "Non si prega più come prima". Nel far pubblicità al libro per venderlo, non si indica mai l'anno di pubblicazione. Dare informazioni bibliografiche precise sembra un'impresa disperata, a quanto pare. In che anno P. Cekada scrisse la sua critica delle preghiere nel NO? In uno o più articoli, in un breve saggio stampato poi come volume?
Se uno legge l'articolo da noi tradotto vede che già dagli inizi degli anni Settanta era stato sollevato il problema della modifica delle preghiere nella Nuova Messa.
Forse chi fa insinuazioni del tutto gratuite potrebbe darci invece informazioni bibliografiche precise sul lavoro del P. Cekada.
Anche il contributo dello scomparso P. Cekada può essere utile alla Buona Battaglia.
Che il prof. Kascewski possa aver "scopiazzato" è da escludersi, anche nel caso P. Cekada avesse pubblicato il suo lavoro prima del 1980. Kaschewski lavora infatti sulle traduzioni in tedesco della liturgia. P. Cekada su quali avrà lavorato? Su quelle in inglese adottate in America, suppongo.
PP