Nella nostra traduzione da Riposte Catholique conosciamo, dopo la sua prematura scomparsa, Padre Cyril Gordien come figura emblematica dei "nuovi sacerdoti". La numerosa folla che ha assistito al suo funerale e il suo Testamento spirituale – che pubblico nella versione integrale tradotta da La Nef – mostrano quanto sacerdoti come lui rispondano a una sensibilità che sta diventando dominante tra i cattolici ancora praticanti, di una militanza più visibile, attaccati alla morale familiare, difensori della vita, seguaci di una predicazione dottrinalmente sana.
Don Cyril Gordien:
"La cosa più difficile è soffrire per mano della Chiesa". Lo choc di un Testamento spirituale.
In occasione dei funerali di padre Cyril Gordien, sacerdote della diocesi di Parigi morto di cancro, nella chiesa di Saint-Pierre-de-Montrouge, il 20 marzo, sacerdoti e vescovi (NNSS Ulrich, Aupetit, Castet, Rougé, Marsset, Verny ), hanno ricevuto il suo testamento spirituale: Sacerdote nel cuore della sofferenza .
Proveniente da una famiglia cattolica del sud-ovest, padre Gordien, uso a portare la talare, era diventato sacerdote della diocesi di Parigi nel 2005, ed era stato cappellano di liceo, cappellano nazionale degli scout e delle guide d'Europa, incaricato dell'accoglienza delle vocazioni nella diocesi, e parroco di Saint-Dominique da settembre 2019. Lontano dalla mondanità, questo sacerdote era dedito alla salvezza delle anime.
Aveva organizzato nella sua parrocchia un'adorazione perpetua e celebrava volentieri rivolto al Signore in una cappella della sua chiesa. Prima di Traditionis custodes, si preparava a istituire una messa tradizionale il mercoledì a Saint-Dominique.
Era stato delegato diocesano per le vocazioni dal 2019 al 2022, quando, durante la vacanza della sede di Parigi dopo le dimissioni di mons. Aupetit, era stato sollevato dall'incarico nella notte dal vescovo ausiliare mons. Masset, con l'avallo di mons, Pontier; il che è stato per lui uno shock molto brutale un mese prima dell'annuncio del suo cancro. Sembra che le vocazioni sacerdotali che aveva condotto in seminario fossero troppo conservatrici...
Durante la crisi del Covid, aveva tenuto aperta la sua chiesa, assicurando sempre messe accessibili; il che gli è valso disavventure con i suoi superiori, col pretesto che non rispettava le “precauzioni sanitarie”. Paix Liturgique ricorda che egli celebrò addirittura matrimoni nel periodo in cui erano scandalosamente proibiti dallo Stato repubblicano e dalla gerarchia cattolica.
Nel suo testamento cita Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, ma non ha una parola per Francesco. Era un devoto di José María Escrivá de Balaguer, del Curato d'Ars, e segnato dal Journal d'un curé de Campagne, di Bernanos.
Il suo testamento deve essere letto.
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Riporto di seguito il Testamento spirituale del 5 marzo di Padre Cyril Gordien (30 aprile 1974 - 14 marzo 2023) nella versione integrale pubblicata da La Nef.
Testamento spirituale di padre Gordien
Padre Cyril Gordien il 5 marzo 2022 (30 aprile 1974 - 14 marzo 2023)
Il testamento spirituale di padre Cyril Gordien: un sacerdote al centro della sofferenza
Padre Cyril Gordien è stato sepolto questa mattina, 20 marzo, nella festa di San Giuseppe rinviata a oggi, alla presenza di 220 sacerdoti e più di 2.000 fedeli nella chiesa di Saint-Pierre de Montrouge, stracolma. Mons. Ulrich, arcivescovo di Parigi, ha presieduto la cerimonia e padre Guillaume de Menthière ha tenuto un'omelia forte e commovente. Il testamento spirituale di padre Gordien è stato distribuito ai fedeli all'ingresso della chiesa – si può ottenere anche in formato cartaceo presso la parrocchia di Saint-Dominique. Lo pubblichiamo qui integralmente per gentile concessione della famiglia.
“Come posso restituire al Signore tutto il bene che mi ha fatto? Alzerò il calice della salvezza, invocherò il nome del Signore» ( Sal 115, 12).
Ogni giorno, celebrando la Santa Messa, innalzo il calice del Preziosissimo Sangue del nostro Salvatore [infatti, è la preghiera della comunione al calice del celebrante: Quid retribuam Domino pro omnibus quae retribuit mihi? Calicem salutaris accipiam, et nomen Domini invocabo. Laudans invocabo Dominum et ab inimicis meis salvus ero -ndT], e gli rendo grazie per questo dono immenso che mi ha fatto: essere sacerdote di Gesù Cristo, io, suo servo indegno.
ITINERARIO SPIRITUALE
È con un immenso atto di ringraziamento al Signore che vorrei iniziare queste poche righe di meditazione. Sì, rendo grazie al mio Dio per la fede che ho ricevuto nella mia infanzia, una fede solida e pura, una fede che non è mai venuta meno nonostante le tante prove della vita, una fede che i miei cari genitori hanno trasmesso nella fedeltà e nel vero amore per la Chiesa. Rendo grazie al Signore per la famiglia unita in cui sono nato e per tutto l'amore che i miei genitori e i miei fratelli mi hanno profuso. Ho avuto un'infanzia molto felice, segnata dall'esempio di mio padre, esempio di abnegazione nella sua professione di chirurgo e di fedeltà nella pratica religiosa.
Mio padre mi ha trasmesso il senso della fatica, il disgusto per la mollezza e la pigrizia, il rigore nel lavoro ben fatto e la forza di lottare. Ha sempre dimostrato grande coraggio nella difesa della vita e della fede, attraverso molteplici impegni, sia per tutte le questioni bioetiche, con la sua competenza di chirurgo, sia per difendere la scuola libera.
Mia madre mi ha trasmesso la sua dolcezza e la sua gioia di vivere, il suo senso del bello e il suo buon senso, la sua devozione fedele e la sua finezza nei rapporti. Anche lei ha sempre mostrato un immenso coraggio nel sostenere mio padre alla fine della sua vita, e poi nell'affrontare la sua nuova vita da vedova, così giovane, con i suoi figli a carico. Non si è mai arresa, spinta da una fede incrollabile. Ancora oggi affronta la mia malattia aiutandomi ad andare avanti col suo carattere ottimista e gioioso.
Rendo grazie al Signore per avermi chiamato al sacerdozio, io, suo servo indegno. Quando ho sentito questa chiamata nel profondo del mio cuore, sono stato pervaso di una gioia indescrivibile, e insieme di un timore pieno di rispetto per il Signore: perché io, che mi sento così indegno e così incapace di assumermi un tale peso e un tale grande missione? Il mio cammino verso il sacerdozio, in seminario, è stato insieme gioioso e doloroso. Gioioso, per le grazie ricevute, che mi hanno sempre rafforzato nella mia vocazione, e per quanto ho ricevuto attraverso la formazione; doloroso anche per le prove e le sofferenze provenienti dalla Chiesa.
Non ho mai tradito le convinzioni che mi animavano, nonostante le inevitabili persecuzioni. Ho sempre resistito, lottato e lottato quando sentivo che la menzogna, la mediocrità o il male erano all'opera. Questo mi ha fatto guadagnare colpi ricevuti e prepotenza, ma non rimpiango queste lotte condotte con convinzione. La cosa più difficile è soffrire attraverso la Chiesa.
Papa San Giovanni Paolo II è stato il Papa della mia giovinezza. Gli ho voluto tanto bene, nell'esempio di forza e coraggio che ci ha dato. Fu lui a comunicarmi l'entusiasmo della fede e l'ardore apostolico. Con lui sono cresciuto nell'amore per la Chiesa e nella fedeltà al Magistero. La testimonianza della sua vita data fino alla fine, nella sofferenza accettata e offerta, nella celebrazione della Messa nonostante il dolore, mi ha travolto. È sempre su di Lui che mi appoggio oggi per celebrare la Messa. Quando mi mancano le forze, quando sono senza fiato, quando il mio corpo è dolorante, gli parlo e gli chiedo: "Beatissimo Padre, dammi la tua forza e il tuo coraggio per celebrare i santi misteri, come hai fatto con il terminare la tua vita in un dono totale". Egli è stato per me il testimone della gioia della fede e dell'attaccamento a Cristo. Era per me l'esempio di un blocco di preghiera in mezzo alle tribolazioni di questo mondo. Si è confrontato con le forze del male, affrontando con coraggio i due totalitarismi del ventesimo secolo che hanno causato milioni di morti. Ha resistito, ha lottato, ha abbattuto il muro di Berlino che stava schiacciando l'umanità. San Giovanni Paolo II è per me un gigante della fede, un santo eccezionale che continua a sorreggermi. Non dimenticherò mai i momenti in cui ho avuto la gioia di incontrarlo. Per questo ho partecipato, nonostante tutti gli ostacoli, ai suoi funerali, alla sua beatificazione e poi alla sua canonizzazione.
Papa Benedetto XVI era il Papa del mio sacerdozio. Sono stato ordinato sacerdote il 25 giugno 2005, due mesi dopo la sua elezione. Mi ha sostenuto in modo straordinario all'inizio della mia vita di sacerdote con la profondità delle sue omelie, con le sue analisi di grande rilievo e profetiche del nostro mondo, con le sue luminose riflessioni. L'esempio della sua umiltà e dolcezza mi ha toccato profondamente. Era un vero servo di Dio, desideroso di rafforzare la fede dei fedeli per la salvezza delle anime. Ha costantemente cercato di dare agli uomini l'accesso a Dio. Era un uomo di preghiera, radicato nella contemplazione del Dio vivente. Per quasi dieci anni, dopo la sua rinuncia, visse ritirato dal mondo, ma portandolo nella preghiera. Dalla sua morte lo invoco per la nostra Chiesa, che è in preda a una grave crisi. Egli è per me l'esempio di una vita donata al servizio della verità, dispiegando tutta la sua grande intelligenza per portare alla luce, in modo chiaro, le più alte verità della fede. Mi immergo sempre nei suoi scritti, nei suoi libri, nelle sue omelie, nei suoi discorsi con la gioia profonda di chi impara e comincia a capire meglio. La difesa e la trasmissione della fede, nella fedeltà alla Tradizione, erano la sua battaglia quotidiana. Posso testimoniare che mi ha rafforzato nella fede. Sono ancora commosso dal suo cuore di buon Pastore, soprattutto quando scrisse una lettera ai vescovi di tutto il mondo, in seguito agli attacchi suscitati dal suo gesto di comunione nel revocare la scomunica gravante sui quattro vescovi della fraternità di San Pio X. È una lettera magnifica, è il suo cuore che parla.
Nella mia vita di uomo e di sacerdote ho conosciuto molte prove. La morte di Ingrid, mia cara amica d'infanzia, nell'agosto 1995, poi quella del mio caro padre nel marzo 1996, sono state per me un vero calvario segnato da un profondo dolore. Due esseri che mi sono così vicini sono morti lo stesso anno a sette mesi di distanza. La vita va avanti, la fede rimane la mia forza. Avanzo negli studi e si intensifica la chiamata al sacerdozio. Sono entrato in seminario nel 1998 e verrò ordinato sacerdote il 25 giugno 2005.
La mia prima missione è stata in Libano, un Paese che ho amato molto, nonostante le difficili condizioni in cui ero stato inviato. Ringrazio i Carmelitani che mi hanno aperto le porte del loro convento e mi hanno accolto come un fratello. Ho scoperto un paese bellissimo, segnato dalla fede e dall'amore per la Francia. Poi sono stato inviato alla parrocchia di Santa Giovanna di Chantal, dove ho sperimentato la grande gioia di servire una comunità e una gioventù che amavo. Ho passato due anni in questa parrocchia, felice con i parrocchiani, e scontento di un prete che non sapeva come accogliermi come giovane prete.
Sono stato nominato dopo due anni alla cappella di Notre Dame du Saint Sacrement, rue Cortambert. Il mio apostolato si è svolto interamente con i giovani, sia nei licei dove ero cappellano, sia in cappella con tutte le attività offerte. Sono stati momenti felici e pieni di gioia in mezzo a tutti questi giovani assetati di una parola vera ed esigente. Purtroppo non sempre ho incontrato l'atteso sostegno da parte dei responsabili locali (comunità di suore, consiglio pastorale, ecc.), dovendo costantemente sperimentare impedimenti nelle iniziative liturgiche e pastorali. Quante battaglie da combattere!
Nel settembre 2013 sono stato assegnato a una parrocchia vicina, Notre Dame de l'Assomption. Fu allora che avvenne la vicenda Gerson, nell'aprile 2014, sulla quale non mi soffermerò. Vorrei semplicemente confidare che questa vicenda è stata fomentata ex novo da genitori di studenti e insegnanti che non hanno sostenuto l'impulso religioso dispiegato nell'establishment. In questa lotta non siamo stati sostenuti né dalla leadership diocesana, che ha alimentato la crisi, né dalla diocesi. Non sono mai stato consultato per esprimere la mia opinione sul modo in cui percepivo le cose dall'interno. Questa crisi ci stava mettendo alla prova, ma l'abbiamo superata grazie alla nostra unità e alle nostre convinzioni. Ho visto di nuovo in questa occasione come i nostri superiori non si prendessero cura dei sacerdoti.
I sei anni trascorsi all'Assunzione sono stati anni di grande felicità: ero profondamente felice nelle missioni con i giovani, ed eravamo molto uniti tra sacerdoti, in un clima gioioso e fraterno. Sono stati anni di grazia. Ringrazio in modo particolare padre de Menthière che è stato per me un pastore modello e un amico. Vorrei qui dire quanto sia importante l'amicizia sacerdotale nella vita del sacerdote. Ho ottimi amici sacerdoti, fin dal seminario, e ci incontriamo regolarmente. Anche la Società Sacerdotale della Santa Croce, di cui faccio parte, mi assicura il sostegno e l'amicizia di tanti sacerdoti.
Poi sono stato nominato a settembre 2019 parroco della parrocchia di Saint Dominique, nel 14° arrondissement, quartiere che conoscevo bene, avendo vissuto per tre anni con mio nonno, a Porte d'Orléans. Prima parrocchia da parroco: si ama la propria parrocchia, ci si entusiasma, ci si dona. Mi sono subito impegnato nell'apostolato con i giovani, che mi sembrava un po' trascurato. Forse ho intrapreso i cambiamenti necessari, soprattutto liturgici, troppo in fretta, senza darmi il tempo necessario per spiegare.
Poi è arrivata la crisi del coronavirus. A marzo 2020, appena sei mesi dopo il mio arrivo, la vita si è paralizzata. Mi ritrovo totalmente solo nel presbiterio e nella chiesa, essendo tutti confinati altrove. Per me una cosa è ovvia: non posso celebrare la Messa solo per me, rinchiudendomi per proteggermi… non sono prete per me, privando i fedeli dei sacramenti. Decido di lasciare la chiesa aperta tutto il giorno e di celebrare la messa in chiesa, esponendo prima il Santissimo Sacramento, mettendomi a disposizione per le confessioni. Non ho avvertito nessuno, ma i fedeli sono venuti da soli. Accetto pienamente questa scelta e non me ne pento. Alcuni, andati in vacanza in campagna, me lo rimproveravano da lontano. Altri, al ritorno dal confinamento, mi hanno rimproverato aspramente. È facile criticare quando si trascorrono diverse settimane al sole, fuori Parigi...
Questa crisi rivela un dramma del nostro tempo: vogliamo proteggere il nostro corpo per preservare la nostra vita, anche a scapito delle relazioni personali e dell'amore dato fino alla fine. Vogliamo salvare il suo corpo a spese della sua anima. Qual è il valore di una società che dà priorità assoluta alla salute del corpo, lasciando morire le persone in una spaventosa solitudine, privandole della presenza dei propri cari? Quanto vale una società che arriva a proibire l'adorazione del Signore? Come scrive il cardinale Sarah: “Nessuna autorità umana, governativa o ecclesiastica, può arrogarsi il diritto di impedire a Dio di radunare i suoi figli, di impedire la manifestazione della fede mediante il culto reso a Dio. (…) Pur prendendo le necessarie precauzioni contro il contagio, vescovi, sacerdoti e fedeli dovrebbero opporsi con tutta la loro forza a leggi sulla sicurezza sanitaria che non rispettano né Dio né la libertà di culto, perché tali leggi sono più micidiali del coronavirus” (1) .
SACERDOTE DI GESÙ CRISTO
Il sacerdozio è stato tutta la mia vita. Non mi sono mai pentito neppure per un momento di aver risposto di sì al Signore che mi ha colmato delle sue grazie attraverso il mio ministero. Che dono inestimabile essere sacerdote di Gesù Cristo! Che grazia ineffabile! Celebrare ogni giorno la Santa Messa era una gioia immensa. Mi rendo appena conto del dono che il Signore mi ha fatto di poter tenere nelle mie povere mani il suo corpo divino, e di prestargli la mia voce e la mia umanità ferita perché possa farsi presente sacramentalmente. Vado alla Santa Messa salendo il Golgota, consapevole che su questo colle si è svolto il dramma della salvezza. Raccolgo nel mio calice il sangue prezioso che sgorga dal cuore trafitto, questo sangue salvifico che già scorreva nel Getsemani.
Sono solo un piccolo vaso di creta in cui il mio fragile essere è stato trasformato dalla grazia sacerdotale nel giorno della mia ordinazione. Non sono più lo stesso essere di prima: ormai il carattere sacerdotale impregna il mio corpo e la mia anima e mi rende capace di donare Dio agli uomini. Che mistero e che grazia! Diceva il Curato d'Ars: “se il prete sapesse cosa è, morirebbe” . Non sono sacerdote per me stesso, ma per le anime, per la loro salvezza. Quale fardello pesa sulle mie spalle: un sacerdote per la salvezza delle anime a me affidate. Medito con umiltà queste parole del buon e santo Curato d'Ars. Mi aiutano a cogliere la grandezza del sacerdozio che non mi appartiene:
“Se non avessimo il sacramento dell'Ordine, non avremmo Nostro Signore. Chi l'ha messo lì nel tabernacolo? Il prete. Chi ha ricevuto la nostra anima quando è entrata nella vita? Il prete. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il prete. Chi la preparerà a comparire davanti a Dio, lavando quest'anima per l'ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il prete, sempre il prete. E se quest'anima muore a causa del peccato, chi la rialzerà, chi le restituirà calma e pace? Di nuovo il prete. Dopo Dio, il sacerdote è tutto. Il prete si comprenderà bene solo in paradiso. »
Sono consapevole che il sacerdote deve stare sia dalla parte di Dio che dalla parte dell'uomo. È stato Papa Benedetto XVI ad aiutarmi a capire meglio la missione del sacerdote come mediatore, durante una lectio divina data ai sacerdoti di Roma. Il sacerdote è un mediatore che apre agli uomini le porte della via verso Dio. Egli è come un ponte che collega l'uomo a Dio per dargli la vita vera, la vita eterna e condurlo alla vera luce. Il sacerdote deve essere il primo e fondamentalmente dalla parte di Dio. Ciò significa che deve trascorrere del tempo alla presenza del Signore per stare con Lui. Il Signore ha scelto i suoi dodici apostoli perché dimorassero con lui e poi li mandasse a predicare. Per il sacerdote è assolutamente prioritario donarsi a Dio dedicandogli tempo: attraverso la messa quotidiana, la preghiera del breviario, la meditazione e la preghiera, la preghiera del rosario e tante altre devozioni che alimentano la vita interiore. Se un sacerdote non prega più, non può più portare frutto.
Arrivato come parroco nella mia parrocchia nel settembre 2019, ho avuto la sensazione che stessero accadendo tante cose belle, ma soprattutto in modo orizzontale. Anche se era presente una vera vita di preghiera, ho percepito che mancava una dimensione verticale, trascendente, una dimensione che permettesse di sostenere tutto per ancorare a Dio tutta la vita parrocchiale. Per questo mi sono convinto che fosse necessario intraprendere l'adorazione permanente del Santissimo Sacramento. Senza l'immancabile sostegno di una fedele coppia di parrocchiani la cui fede è una roccia e il loro immancabile impegno, non ci sarei mai riuscito.
Quando, nel novembre 2020, abbiamo deciso di lanciare il culto permanente, non avevo idea di quanto il diavolo si sarebbe infuriato per impedire che questo progetto si realizzasse. Tanti gli ostacoli, tra contingenze materiali, dubbi, preoccupazioni, ricerca di volontari impegnati, vincoli dovuti alla situazione sanitaria. Nonostante tutto, l'organizzazione si è affermata gradualmente, e abbiamo potuto ragionevolmente prevedere il culto per quattro giorni e tre notti. Le fasce orarie serali e notturne si sono riempite velocemente, poi gradualmente sono arrivate le fasce orarie diurne. Dopo due settimane era tutto pronto, la tavolata era ben imbandita. È stata fissata una data: martedì 10 novembre. Fu allora che l'annuncio del coprifuoco arrivò come una mannaia... Abbiamo deciso di mantenere nonostante tutto, ricordando a poco a poco gli Adoratori per facilitare la loro venuta, proponendo ai più giovani di dormire sul posto... Poi arriva presto la notizia del secondo confinamento, con le partenze in provincia di alcuni parrocchiani... Abbiamo dovuto nuovamente richiamare tutti, per assicurarci della loro presenza a Parigi, della loro motivazione, e chiamare nuovi Adoratori.
Finalmente, dopo tutte queste avventure, riusciamo ad iniziare l'Adorazione come previsto, il 10 novembre. Da martedì alle 8:00 fino a venerdì alle 18:30, i fedeli si susseguono e si alternano per adorare il Signore Gesù nel suo Santissimo Sacramento. Come sacerdote, provo una gioia immensa nel venire ad adorare nel cuore della notte silenziosa. Sono profondamente felice di vedere i fedeli venire a pregare in qualsiasi momento, e costituire così una casa capace di irradiare l'amore di Dio. Mi stupiscono questi giovani, studenti o studentesse delle scuole medie e superiori, che si sono iscritti a un turno e che vengono di notte, o subito dopo la lezione, zaino in spalla. Ammiro questi padri che vengono di notte, o molto presto la mattina prima di recarsi al lavoro, o quelle mamme che portano con sé i nipoti. Sono commosso da queste persone anziane che vengono fedelmente nelle ore più frenetiche della giornata.
Tutti, di tutte le condizioni e di tutte le età, si sono mobilitati per mettere Cristo al centro della propria vita, per adorarlo, pregarlo, affidargli le proprie intenzioni e sostenere la propria parrocchia. Sono convinto che questa è la fonte di tante grazie per tutti e per la vita parrocchiale, e che questa preghiera continua è la fonte della fecondità delle diverse attività pastorali. Con la Beata Vergine esclamo, col cuore colmo di riconoscenza: “L'anima mia esalta il Signore, il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore!» .
Sì, l'adorazione è al centro della vita del sacerdote. Devo passare del tempo davanti al Signore, davanti al tabernacolo. A Lui posso affidare i miei dolori e le mie gioie, aprirgli il mio cuore, parlargli come si parla a un caro amico, deporre tutto vicino al suo cuore, con la certezza che Lui c'è, che mi ascolta, e parla al mio cuore.
«Ti dirò, diceva san Josemaría Escrivá, che il tabernacolo è sempre stato per me come Betania, quel luogo tranquillo e pacifico che Cristo ha amato, dove possiamo raccontargli le nostre preoccupazioni, le nostre sofferenze, le nostre speranze e le nostre gioie, con la semplicità e la naturalezza con cui gli parlavano i suoi amici, Marta, Maria e Lazzaro (2).
Il Santo Papa Giovanni Paolo II ci ha mostrato l'esempio della devozione eucaristica. Mi permetto di citarlo in quella che è stata la sua ultima enciclica: “Il culto reso all'Eucaristia al di fuori della Messa ha un valore inestimabile nella vita della Chiesa. Questo culto è strettamente unito alla celebrazione del Sacrificio eucaristico. La presenza di Cristo sotto le sante specie conservate dopo la Messa – presenza che dura finché permangono le specie del pane e del vino – scaturisce dalla celebrazione del Sacrificio e tende alla comunione sacramentale e spirituale. Spetta ai pastori favorire, anche con la loro testimonianza personale, il culto eucaristico, in particolare l'esposizione del Santissimo Sacramento, nonché l'adorazione davanti a Cristo presente sotto le specie eucaristiche” (3).
Nella Santa Eucaristia “è il tesoro della Chiesa, il cuore del mondo, il pegno del fine a cui ogni uomo aspira, anche inconsapevolmente. Questo mistero è grande, certamente ci supera e mette alla prova le possibilità della nostra mente di andare oltre le apparenze. Qui i nostri sensi vengono meno – “visus, tactus, gustus in te fallitur”, come dice l'inno Adoro te devote –, ma ci basta solo la nostra fede, radicata nella parola di Cristo trasmessa dagli Apostoli. (…) Ogni impegno di santità, ogni azione finalizzata al compimento della missione della Chiesa, ogni attuazione di progetti pastorali, deve attingere dal mistero eucaristico la forza necessaria ed essere orientata ad esso come al vertice. Nell'Eucaristia abbiamo Gesù, abbiamo il suo sacrificio redentore, abbiamo la sua risurrezione, abbiamo il dono dello Spirito Santo, abbiamo adorazione, obbedienza e amore verso il Padre. Se trascuriamo l'Eucaristia, come potremmo rimediare al nostro bisogno? »(4).
Se il sacerdote sta dalla parte di Dio, deve stare anche dalla parte dell'uomo. E lì misuro la mia indigenza e le mie grandi debolezze. Il sacerdote deve sostenere, incoraggiare, esortare, consolare, curare con i sacramenti tutti coloro che gli sono affidati, senza distinzioni o preferenze. Tutto a tutti. L'umanità del sacerdote, ferito ma restaurato da Cristo, gli dà la capacità di entrare in empatia con le sofferenze degli uomini. Nella lettera agli Ebrei (5), comprendiamo che la vera umanità non consiste nell'astrarre se stessi dalle sofferenze di questo mondo, ma al contrario nel potersi unire ad esse per sopportarle nella compassione. Il sacerdote deve essere persona «capace di comprendere coloro che peccano per ignoranza o per errore, perché anch'egli è pieno di debolezza» (5, 2), a immagine di Cristo che, “Durante i giorni della sua vita mortale, presentò, con alte grida e lacrime, la sua preghiera e supplica a Dio che poteva salvarlo dalla morte; e, poiché si è sottomesso in tutto, è stato esaudito» (5, 7).
Così, il sacerdote è colui che porta nel suo corpo la sofferenza degli uomini per far salire il loro grido a Dio, nelle lacrime della preghiera, per portare al cuore della divinità le pene e le miserie umane. Il sacerdote porta nel cuore la sofferenza del mondo e soffre con il mondo. La vera umanità si misura con questa capacità di compassione.
Quante volte i fedeli mi hanno confidato le loro battute d'arresto, i loro immensi dolori, le loro battaglie e le loro prove. A volte sento il peso del mondo sofferente, e solo Cristo può sollevarmi, quando depongo ai suoi piedi questo pesante fardello dopo avergli fatto udire il lamento degli uomini sofferenti. Ci sono le miserie materiali, tutti quei poveri che incontriamo sul nostro cammino, e che cerchiamo di alleviare un po', con un dono, ma soprattutto con uno sguardo, una parola, entrando in relazione; ci sono anche miserie morali, dovute ai peccati, che fanno incastrare alcune persone in situazioni che sembrano inestricabili. E poi incontriamo le miserie del corpo, tutti quei malati che non ne possono più, tutti quei feriti della vita che cerchiamo di consolare e di alleviare, specialmente con il sacramento degli infermi.
Signore Gesù Cristo, quanto soffre la nostra umanità! Ma tu hai presentato, “con alte grida e lacrime” il clamore di queste sofferenze, e continui a presentarle a Dio nostro Padre che ti guarda. Nella fede, sappiamo che queste sofferenze non sono vane, ma che, se offerte in un ultimo atto di amore, nascondono una fecondità misteriosa.
Faccio mia questa bella preghiera di sant'Ambrogio:
“Poiché mi hai dato da lavorare per la tua Chiesa, proteggi sempre i frutti del mio lavoro. Mi hai chiamato al sacerdozio quando ero un bambino smarrito; non farmi perdere ora che sono prete. Ma soprattutto, dammi la grazia di saper entrare in empatia con i peccatori dal profondo del mio cuore. Dammi compassione ogni volta che assisto alla caduta di un peccatore; che non castighi con arroganza; ma lasciami piangere e addolorarmi con lui. Fa' in modo che mentre piango per il mio prossimo, sia anche per me stesso che piango, e che applichi a me stesso la parola "Thamar è più giusto di te". Amen. »
Il Curato d'Ars è per me un modello e una guida nel mio sacerdozio. Quando ero studente, e pensavo alla vocazione, lessi con passione la sua biografia scritta da mons. Trochu. Questa vita tutta donata, nel totale oblio di sé, per la salvezza delle anime, mi ha travolto. Fu un apostolo instancabile della misericordia di Dio.
La confessione, insieme alla Messa, è al centro della vita del sacerdote. Trasmettere il perdono di Dio attraverso il sacramento è una grazia straordinaria. Chi sono io, io, poveretto, per dire a qualcuno: “e ti perdono tutti i tuoi peccati…”. Che gioia immensa essere testimone della misericordia del Signore! Il sacramento del perdono, naturalmente, rallegra il penitente: arriva con il volto triste, portando il peso dei suoi peccati, se ne va con il cuore leggero e purificato e il volto rallegrato dall'amore di Dio. Il sacramento suscita anche la gioia del sacerdote: che felicità permettere ad una persona di essere liberata dai suoi peccati e di partire con il cuore in pace! Anche questo sacramento rallegra il Signore, rallegra il cuore di Dio! “C'è più gioia in Cielo per un solo peccatore che si converte…”.
Diceva il Curato d'Ars: “Il sacerdozio è l'amore del cuore di Gesù”. Ciò significa che il sacerdote attinge da nostro Signore, chino sul suo petto in preghiera, come l'apostolo san Giovanni, l'amore che scaturisce dal suo cuore divino, per poi trasmetterlo agli uomini mediante la grazia dei sacramenti.
Tra le mie grandi gioie sacerdotali c'è la gioia dell'apostolato con i giovani. Ho avuto la fortuna, nei miei vari apostolati, di dover accompagnare molti giovani: attraverso lo scautismo, in particolare come consigliere religioso nazionale delle guide e degli scout d'Europa; come cappellano di collegi e licei; come parroco, fondando un gruppo Even; organizzando e accompagnando numerosi pellegrinaggi, alla GMG, in Terra Santa, in Francia... Sono il felice testimone di una bella gioventù, che ha sete di rigore, che si confessa, che vuole formarsi, che prega, che procede sul cammino verso la santità. Vorrei dire a tutti questi giovani che è bello vivere e accogliere la vita come dono di Dio! È bello voler costruire la propria vita sulla roccia della fede! Vorrei incoraggiarvi a mettervi in gioco, desiderare di fondare una famiglia autenticamente cristiana dove la fede sia al centro, osare rispondere alla chiamata del Signore a lasciare tutto per seguirlo nel sacerdozio o nella vita consacrata, senza paura. Solo Cristo è in grado di realizzare le più alte aspirazioni dei nostri cuori!
LA PROVA DELLA MALATTIA
Quando ho saputo di avere il cancro, nel marzo 2022, non mi ha davvero sorpreso. Avevo la sensazione che sarebbe successo qualcosa di brutto e che sarei morto giovane.
Mistero della sofferenza... Ho avuto la conferma che non c'era cura possibile per il mio cancro. La medicina può semplicemente contenere relativamente l'evoluzione di questo cancro allo stadio 4. Per quanto tempo? Quanti mesi mi restano da vivere? Io che ho spesso meditato sulla morte, accompagnato i moribondi, celebrato funerali, esortato alla speranza della vita eterna, eccomi ora di fronte alla mia stessa morte, a 48 anni. Voglio prepararmi con fede a questo momento decisivo. Non ho paura della morte, perché credo con tutto me stesso nella vita eterna; ma temo il mio Signore, con un timore pieno di rispetto e amore. “So che il mio Redentore vive”, come professa Giobbe. So che il mio Signore mi sta aspettando. So anche che apparirò davanti a Cristo, e devo prepararmi a comparire davanti a Lui, umilmente. Riconosco i miei peccati, i miei molti peccati. E imploro per me la grande misericordia di Dio. Quanto sono indegno di essere stato scelto per diventare prete… Ho compiuto bene la mia missione? Ho amato abbastanza Dio e, per mezzo di Lui, ho amato abbastanza il mio prossimo? Certamente no. La mia debolezza e i miei peccati sono tanti ostacoli al vero amore. Sento il peso pesare sulle mie spalle come sacerdote di Gesù Cristo. Non ho dato né sacrificato abbastanza per la salvezza delle anime. Non ho pregato abbastanza per i miei parrocchiani, per il bene delle loro anime e per la loro salvezza. Sono passato troppo in fretta accanto ai piccoli e agli umili, accanto a coloro che soffrono.
Non prego abbastanza per quello che soffro. Nessuno può immaginare cosa sto passando da marzo 2022, quando tutto è cambiato. Com'è difficile portare la propria croce ogni giorno... Porto con discrezione queste sofferenze quotidiane, queste umiliazioni nascoste, queste ferite del corpo che fanno male anche nella realtà della vita quotidiana. Cerco di assumere, di non mostrare nulla. Desidero compiere al meglio la mia missione di parroco attraverso i tria munera (i tre uffici), specialmente nella celebrazione quotidiana del sacrificio della Messa. Mi unisco con tutto il mio essere a Cristo che dona la sua vita sulla Croce. Pronunciando le parole sante, "questo è il mio corpo offerto per te", penso anche al mio povero corpo che soffre e che desidero consegnare per la salvezza delle anime.
Ho dovuto accettare molte rinunce, e questa è forse la più dura. Quel certo insegnamento, quel pellegrinaggio con i giovani che avevo preparato, quel matrimonio che dovevo celebrare, quella veglia di preghiera che dovevo guidare, quella missione o quel ritiro con gli studenti che dovevo assumere ... Tutto questo, non l'ho potuto realizzare a causa delle mie operazioni di maggio e giugno. Ho dovuto rinunciare, umilmente, imparando a riconoscermi malato. Mi ha reso molto triste, ho pianto molto. Le gioie tangibili della mia vita di sacerdote mi sono state via via tolte... Ho scoperto la mia impotenza, la mia incapacità di portare a termine certi compiti, io che prima non misuravo il mio dolore e spendevo tutte le mie energie nella fedeltà alla missione affidata. Ho dato molto, dolore, tempo, fatica, dormire poco e riposarsi troppo poco. Da mio padre ho imparato l'abnegazione, il senso della fatica e del sacrificio, la volontà di non ascoltarsi e di andare avanti nonostante la fatica e le contraddizioni. Non me ne pento, è stato il mio modo di donarmi e dimenticarmi.
Oggi soffro per non essere in grado di ottenere tutto ciò che vorrei. Sono mortificato da queste rinunce quotidiane, da questa energia che non ho più, da questa forza fisica che mi manca moltissimo. È sicuramente così, in questo modo di spogliare, che nostro Signore vuole condurmi d'ora innanzi. Questo mi insegna il santo abbandono, io che amavo decidere, organizzare e programmare ogni cosa, fin nei minimi dettagli. Le mie giornate si sono susseguite, scandite da un programma preciso, tenendomi sospeso e senza sosta, perché il sacerdozio non è fatto per i pigri, per gli sfaccendati o per i nascosti. Capisco meglio il significato di queste parole di Cristo rivolte a san Pietro, dopo la risurrezione, in riva al lago: “In verità, in verità ti dico, quando eri giovane ti mettevi la cintura e andavi dove volevi; quando sarai vecchio tenderai le tue mani, un altro ti cingerà la cintura e ti condurrà dove tu non vuoi» (Gv 21,18 ).
Nella chiesa abbaziale di Saint-Wandrille, contemplo la Croce di Cristo, che risplende in mezzo alle tenebre. È illuminato mentre tutto è buio intorno. Nostro Signore Gesù scelse liberamente la via della Passione. Lui, l'Innocente, è morto crocifisso su questa spaventosa croce, che tuttavia è diventata il segno della nostra fede e lo strumento della nostra salvezza. Cerco di discernere una via luminosa nel cuore delle mie sofferenze. Guardo Cristo che ha dato la sua vita per me. Sono pronto a dare la mia vita? Che significato hanno le mie sofferenze? Le mie lacrime si mescolano a quelle della Beata Vergine, ritta ai piedi della croce. È la mia consolazione. Ricevo questa parola dal Vangelo del giorno come una freccia di fuoco che mi trafigge il cuore e mi porta conforto e speranza: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».”(Mt 11, 29-30). Sì, Signore, voglio venire da te, avvicinarmi a te che fai tutta la mia felicità, e affidarti questo fardello di sofferenza che grava sulle mie spalle. Se tale è la tua volontà, accetto di indossarlo, ma con te, perché senza di te la mia vita va in rovina. Voglio essere caricato del tuo giogo, cioè della tua dolcissima volontà, per fare ciò che vuoi e diventare il tuo vero discepolo. La tua santa volontà è portata dalla dolcezza, perché non si impone mai con la forza, ma suscita un'adesione libera e fiduciosa. La tua santa volontà è portata dall'umiltà, perché è radicata nel grande sì rivolto alla volontà di Dio nostro Padre e sigillato nel sangue. Con te, Signore Gesù, la mia anima desidera riposare e trovare la pace. Che lontano da me fuggano i sogni, e le angosce della notte.
Cosa vuoi che faccia, oh mio Dio? Sono pronto a tutto, accetto tutto, almeno lo esprimo nella mia povera preghiera. Se vuoi, Signore, puoi guarirmi, per la tua maggior gloria. te lo chiedo umilmente. La medicina non può più fare nulla, solo un miracolo può guarirmi. Non rifiuto la fatica e il dolore, per la salvezza delle anime, se desideri che la mia missione sacerdotale continui su questa terra. Ma se tu lo vuoi, Signore, anch'io voglio prepararmi alla mia morte, santificarmi, implorare il perdono delle mie colpe, purificare la mia anima per comparire davanti a te. Accetto di morire, perché forse, secondo il tuo desiderio, sarei più utile in Cielo che in terra.
La mia vita è nelle tue mani. Non rifiuto la lotta per la vita. Se tale è la Tua volontà, voglio continuare a lottare, con le armi della medicina, verso un esito che Tu solo conosci. Da marzo ho lottato, sostenuto, sofferto. Sono pronto a continuare questa lotta per la vita, anche se è così dura per tutta la chemioterapia. Voglio lottare per tutti coloro che contano su di me, per la mia famiglia, i miei amici, i miei parrocchiani e fedeli. Faccio mia la professione di fede di Maria, sorella di Lazzaro, alla quale Gesù ha chiesto: “Io sono la risurrezione. Chi crede in me, anche se è morto, vivrà. E chi vive e crede in me non morirà mai. Credi questo? – e di Maria nel rispondere – «Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che doveva venire in questo mondo» (Gv 11,25-27). Chiedo al Signore la grazia di accettare di lasciare questo mondo quando verrà il mio momento, nella volontà di Dio.
Oltre la sofferenza, scopro una nuova fecondità. In precedenza, la fecondità del mio sacerdozio si manifestava molto spesso attraverso segni visibili: gioie e grazie tangibili, giovani che hanno risposto alla chiamata del Signore, apostolati riusciti, gratitudine espressa, vittorie ottenute. Ora la fecondità del mio sacerdozio rimane velata, misteriosa, ma reale. È la fecondità della croce, il grande passaggio dall'apparente fallimento al trionfo della vita.
Le nostre piccole azioni, umili, guidate dalla preghiera, hanno una grande forza. Nostro Signore se ne serve per toccare i cuori, a volte più efficacemente che con un'azione grande e folgorante. Forse a volte ho cercato troppo di risplendere davanti agli uomini, piuttosto che lasciare risplendere Cristo attraverso di me, lui che è la Luce del mondo. Il mio sacerdozio è quello di Cristo, non mio. "Lui deve aumentare e io devo diminuire" gridò San Giovanni Battista, indicando Cristo e facendosi da parte davanti a Lui. Ora sto percorrendo un cammino di abbassamento e umiliazione che è quello della Croce. Via di abbassamento, per rinunciare di più a me stesso, e accettare ciò che Dio vuole, lasciandolo decidere, lasciandolo agire, appoggiandomi a lui. Cammino di umiliazione, perché le umiliazioni mi sono date, vengono dalla malattia e si impongono su di me come spine benefiche, in quanto le accolgo e le sostengo con Cristo.
Come comprendo meglio il significato di queste parole che riceviamo nel giorno dell'ordinazione sacerdotale: «Ricevi l'offerta del popolo santo per presentarla a Dio. Sii consapevole di ciò che farai, imita nella tua vita ciò che compirai attraverso questi riti e conformati al mistero della croce del Signore”. Conformarsi al mistero della croce è tutta la vita del sacerdote, specialmente nella celebrazione dei santi misteri. I miei anni di sacerdozio mi hanno insegnato la solennità della Messa. Per un sacerdote, celebrare la Santa Messa significa unirsi a Cristo che vive la sua Passione e si offre per la salvezza del mondo salendo il Golgota. Sono lì, con le mie povere mani, la mia povera voce, le mie debolezze, ai piedi della Croce, accanto alla Beata Vergine. Io sono lì in mezzo a questo scatenamento di odio e contemplo la Croce. Sono qui per compiere ciò che nostro Signore ha affidato ai suoi apostoli e poi a tutti i suoi sacerdoti: rendere presente ogni giorno questo sacrificio per la salvezza delle anime.
PURIFICAZIONE ATTRAVERSO LA SOFFERENZA
Vivo una via crucis quotidiana. Nostro Signore desidera certamente purificarmi, unirmi alle sue sofferenze. Continuo a non capire perché devo sopportare tutto questo. Spesso grido al Signore, piango anche a volte. Il calvario è pesante. Non mi ribello a Dio, ma oso gridare, come i salmisti. Anche il grido dell'anima sofferente è una preghiera. Nostro Signore Gesù gridò al Padre suo al momento della sua morte: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ». Prende su di sé le grida di sofferenza di tutti gli uomini che attraversano le tenebre, le deposita presso il Padre suo. So con fede che le mie dolorose preghiere sono accolte dal Signore, che sono ascoltate e che il Signore risponde come ha risposto al suo divin Figlio sulla Croce. Risposta misteriosa, che vorremmo più chiara, più scontata. Ma vera risposta, perché il Signore consola. Conservo impressa nel profondo di me questa parola di Cristo che è fonte di una immensa speranza: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” . Sì, il Signore è con me, è lì, veglia su di me, mi sostiene.
"Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.". Ho meditato spesso questo salmo che mi assicura il sostegno del Signore nei momenti di grande prova. Questi precipizi di morte assumono molti aspetti, sia che si tratti di guerra spirituale o di lotta contro la malattia. Da soli, senza Cristo, è impossibile combattere. San Pietro ne ebbe l'amara esperienza quando cominciò ad affondare perché avanzava da solo. Prendo volentieri questo bastone del Signore, questo bastone che ha spaccato il Mar Rosso e ha trafitto la roccia. Questo bastone è il bastone del Buon Pastore. E il pastore ha bisogno di questo bastone per cacciare le bestie feroci, per combattere i lupi che vogliono impadronirsi delle pecore.
All'interno della Chiesa sono entrati i lupi. Sono sacerdoti, e talvolta anche vescovi, che non cercano il bene e la salvezza delle anime, ma desiderano anzitutto la realizzazione dei propri interessi, come il successo di una “pseudo-carriera”. Quindi sono pronti a tutto: cedere al pensiero dominante, fare patti con certe lobby come l'Lgbt, rinunciare alla dottrina della vera fede per adeguarsi ai tempi, mentire per raggiungere i propri fini. Ho incontrato questo tipo di lupi travestiti da buoni pastori, e ho sofferto per la Chiesa. Nelle diverse crisi che ho attraversato, mi sono reso conto che le autorità non si prendevano cura dei sacerdoti e raramente li difendevano, riprendendo la causa delle recriminazioni dei laici progressisti in cerca di potere e volendo una liturgia piatta in un'autocelebrazione dell'assemblea. Come sacerdote, pastore e guida delle pecore a te affidate, se decidi di occuparti della liturgia per onorare nostro Signore e rendergli un vero culto, difficilmente sarai sostenuto in alto di fronte a persone che si lamentano.
Oggi voglio offrire le mie sofferenze per la Chiesa, per la mia parrocchia, per le vocazioni. Tutte le vocazioni: sacerdotali, religiose, coniugali. Chiedo al Signore la forza di perdonare chi mi ha perseguitato, e il coraggio di andare avanti portando ogni giorno queste croci. Come Zaccheo, per vedere Cristo, dobbiamo salire su un albero, l'albero della Croce. “Stat crux dum volvitur orbis” – “la croce rimane mentre il mondo gira” : questo è il motto certosino. In mezzo ai cambiamenti e alle inquietudini di questo mondo, rimanete piantati sulla nostra terra in modo stabile, come segno della nostra fede, croce del nostro Salvatore.
LA FORZA DELLA PREGHIERA
Nel dicembre 1993 ho seguito un ritiro spirituale presso l'Abbazia di Notre-Dame de Maylis, nelle Landes. È stata una scuola di preghiera, per imparare a pregare, ascoltando padre Caffarel, che ha fondato le équipe di Notre Dame, ma è stato anche un maestro di preghiera. Ho ricevuto molto da lui, soprattutto attraverso il suo libro: Cento lettere sulla preghiera. Durante questi giorni, nostro Signore mi ha dato la grazia di percepire il suo amore per me, e mi ha fatto scoprire il posto eminente e vitale della preghiera nella vita cristiana. Da quel momento la mia vita è cambiata, perché le mie giornate sono segnate dalla preghiera che trasforma la vita e dona l'amore di Dio.
La preghiera è il segreto di una feconda vita cristiana. Senza preghiera, un cristiano non può stare in piedi, perché non può affrontare i poteri delle tenebre. Non stiamo lottando contro piccoli avversari insignificanti, ma contro il diavolo, il principe delle tenebre, il padre della menzogna. Come ci esorta a fare San Paolo: “Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. 12 La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove.” ( Ef 6, 11-13).
Per resistere e rimanere saldi, abbiamo bisogno del potere della preghiera. Questa è la forza che segretamente trasforma il mondo. Se i cristiani abbandonano la preghiera, lasciandosi sedurre dal regno dell'efficienza e del profitto, allora si apre la porta “sulla notte spirituale e sulla barbarie scientifica”. Padre Caffarel ha profetizzato così: “O il cristianesimo conquisterà il mondo pregando, oppure perirà. Questa è una questione di vita o di morte per il cristianesimo» (cfr Presence à Dieu, Cent lettres sur la prière).
E san Giovanni della Croce afferma: «Senza preghiera, tutto si riduce a sferrare colpi di martello per produrre quasi nulla, o addirittura assolutamente nulla, e a volte più male che bene» (6 ) . E il Curato d'Ars: «Voi avete un cuore piccolo, ma la preghiera lo dilata e lo rende capace di amare Dio. »
Nella preghiera quotidiana, in questo cuore a cuore con il Signore, siamo profondamente trasformati. Il buon Dio agisce nel profondo della nostra anima per elargirci ogni genere di bene. Non sono prima di tutto io che agisco, con le mie belle parole o mediazioni, ma è Dio che agisce. Questo tempo trascorso alla sua presenza è fonte di grazie, e ciò che conta è la fedeltà e la perseveranza, ogni giorno. Più dobbiamo fare, più dobbiamo pregare!
Dall'annuncio del mio cancro, la famiglia, gli amici, i fedeli si sono impegnati con ardore nella preghiera per chiedere la mia guarigione. Sono stupito da tutte queste iniziative prese, dalle novene alle veglie di preghiera. Sono impressionato da queste catene di preghiera che arrivano fino alle abbazie. Questa preghiera mi porta e mi sostiene. Essa è davvero efficace. È questa che mi aiuta a mantenere la fiducia e ad andare avanti con coraggio. Vorrei dire a tutti coloro che pregano per me di continuare, di essere ben persuasi che le loro preghiere non sono vane. Come vorrei che non si scoraggiassero a pregare e vedessero coronate, in un modo o nell'altro, le loro fatiche. Non voglio deluderli, per questo continuo a lottare, sollevato come da un immenso afflato che sale verso il Signore.
LA SANTISSIMA VERGINE MARIA
“A che devo questa felicità che la Madre del mio Signore viene da me?” chiede Elisabetta (Lc 1,43). E mi meraviglio anche della presenza di Maria nella mia vita.
La Vergine Maria è sempre stata presente nella mia vita, dalla mia infanzia fino ad oggi. È stata Lei a guidarmi verso il sacerdozio, incoraggiandomi con fiducia, nonostante il sentimento della mia indegnità e della mia incapacità. Ricordo con commozione questo momento di grazia quando, in una piccola cappella situata sulla collina di Vezelay, Maria mi prese per mano per rassicurarmi e avviarmi sulla via del sacerdozio. La Beata Vergine mi ha sempre protetto e consolato. In tutti i momenti di prova che ho conosciuto, in tutte queste situazioni umane che sembravano perdute, mi sono sempre affidato a Maria, rifugiandomi sotto il suo manto bianco immacolato, posto sotto la sua protezione. Ho sempre sperimentato in questi momenti di abbandono una grazia di consolazione, con la certezza che Maria vegliava, che era lì, vigile e protettiva. Non sono mai stato deluso o abbandonato da lei. Vorrei testimoniare quanto la preghiera a Maria sia fonte di grazie. La Beata Vergine non ci tiene attaccati a sé, ma ci conduce al suo divin Figlio, ci insegna, come una madre, a conoscerlo e ad amarlo.
Nella mia vita di sacerdote, Maria occupa un posto privilegiato, perché è lei che ci ha donato il Salvatore, e tale è la missione del sacerdote: donare il Signore agli uomini. Senza la Beata Vergine, senza un legame speciale e affettuoso con Lei, senza una costante preghiera rivolta alla nostra buona Madre Celeste, un sacerdote non potrà compiere pienamente il suo ministero. Vorrei qui citare il Cardinale Journet di cui faccio mie le parole: “La Vergine Maria è rimasta e rimarrà sempre una gioia nella nostra vita di sacerdoti. Le Feste della Madonna, così ogni sabato, sono come un raggio di sole e una primavera nei nostri cuori. Quando le stai vicino, la paura non esiste più. Le minacce di miseria e mediocrità che ci avvolgono cessano di sopraffarci. Con lei siamo dall'altra parte perché siamo diventati suoi figli” (7).
È stata Maria a rafforzare incessantemente la mia fede. Ho sempre fatto affidamento sulla sua fede limpida e incrollabile. È con lei che voglio pronunciare il mio Fiat al Signore, sostenuta e formata da lei. Il mio affetto per la nostra buona Madre Celeste è da Lei portato nel cuore del suo divin Figlio. Grazie a Maria, il mio amore per Cristo è cresciuto e si è rafforzato. Quanto più amiamo Maria, tanto più ci fa amare suo Figlio. Più ci confidiamo con lei, più cresce la nostra fede. Che gioia avere Maria per madre! Che gioia sentire che interviene in nostro favore, e che ci elargisce la sua stessa tenerezza materna. Maria ci consola, ci asciuga le lacrime come sa fare una mamma. Ha pianto a Nazareth quando suo Figlio è stato incompreso, espulso e rifiutato. Lei non vuole che soffriamo, è al nostro fianco per alleviare le nostre pene e aiutarci a sopportarle.
Avevo inciso sul mio calice, offerto per la mia ordinazione, un motto che faccio mio e che era quello di san Giovanni Paolo II: “Totus tuus”. Queste due parole significano il mio desiderio di affidarmi in tutto a Maria, di passare attraverso di Lei, di consegnare e consacrare a Lei, in ogni sottomissione e amore – secondo la preghiera di san Luigi Maria Grignon de Montfort – il mio corpo e la mia anima, e tutto ciò che devo compiere. Quanto tutto è più semplice ed efficace quando si sceglie di affidare tutto alla Beata Vergine! Il segreto è capire che nostro Signore ha voluto passare attraverso Maria per donarsi agli uomini, e continua a farlo: le grazie passano attraverso la Beata Vergine.
Nelle mie povere preghiere quotidiane, segnate spesso dalla debolezza, dall'aridità del cuore, dalle distrazioni, mi dico che Maria porta a compimento e completa ciò che io non riesco a realizzare. È lei che presenta le mie povere preghiere balbettanti al suo divin Figlio. Per questo, come scriveva il Curato d'Ars, “Quando le nostre mani hanno toccato degli aromi, profumano tutto ciò che toccano. Facciamo passare le nostre preghiere per le mani della Beata Vergine, Lei ne diffonderà il profumo. »
Il racconto dell'Annunciazione è una delle pagine più belle dei Vangeli, perché ci viene svelato un duplice mistero: il mistero dell'Immacolata Concezione e quello del concepimento verginale di Cristo. Questi due misteri sono legati dalla libertà di Maria che pronuncia il suo Fiat al Signore dicendogli di sì con tutto il suo essere. Questo sì di Maria, come scrive il cardinale Charles Journet, «è il sì più bello che la terra abbia mai detto al cielo» (8). E san Tommaso d'Aquino afferma: “Ella lo proferisce a nome di tutta l'umanità, dalla sera della caduta fino alla fine del mondo” (9).
È attraverso Maria, e con Lei, che possiamo dire di sì al Signore e alla sua santa volontà. Il suo sì non è stato segnato dal peccato originale e dalla ribellione a Dio. È un Sì puro, limpido, totale, vero, senza alcun ritegno o secondo fine. I nostri “sì” a noi sono sempre segnati da un nascosto “ma”, da condizioni poste, da discrete fughe… “Sì Signore, ma…”. Eppure il Signore ci avverte: “La tua parola sia sì se è sì, no se è no; il più viene dal Male» (Mt 5, 37). Con Maria possiamo finalmente dire un vero sì al Signore, ci aiuta ad abbandonarci al suo divin Figlio, ci porta nel suo Fiat.
Alla grotta di Massabielle, dove sono stato tante volte, ho chiesto alla Madonna di Lourdes di aiutarmi a volere ciò che Dio vuole per me. Questa grotta è per me un rifugio, un luogo sacro, una roccia su cui appoggiarsi per recuperare le forze. La sorgente di acqua viva che sgorga in fondo alla grotta è la fonte delle grazie che la Beata Vergine vuole donarci. Ho gioito in questa grotta, lì ho reso grazie, vi ho deposto tante intenzioni di preghiera; è anche lì che sono stato guarito da Maria da una ferita proveniente dalla Chiesa. Questo luogo benedetto è per me un luogo fondante della mia fede fin dalla mia infanzia. Là, nel freddo di gennaio, mi affido di nuovo con ardore alla Madonna di Lourdes. Resto davanti alla grotta, prego in silenzio, mi abbandono al Signore tra le braccia di Maria, Riprendo le forze, prego il mio rosario. Il freddo non riesce a cacciarmi da questo luogo benedetto.“La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno fermata” . Contemplo questa luce che emana dalla grotta, luce benefica e salutare. Grazie, Marie, per la tua protezione materna e la tua presenza costante al mio fianco. Sento risuonare dentro di me la voce del salmista: «Spera nel Signore, sii forte e fatti coraggio, spera nel Signore» (Sal 26,14). E faccio mia la parola del lebbroso, nel Vangelo di oggi: “ Se vuoi, puoi purificarmi” (Mc 1,40). Sì Signore, se è la tua santa volontà, puoi guarire il mio corpo ferito. Ma sia fatta la tua volontà! Affido a Maria questa umile preghiera.
LA BUONA LOTTA
Come vorrei, la sera della mia vita, gridare come San Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” (2 Tim 4, 7). Qual è la battaglia giusta da combattere in questo mondo? Molti spendono energie per lotte che non valgono la pena, come questa ecologia eretta a nuova religione, o questa difesa della causa animale a scapito degli uomini. Guarda tutta questa energia spesa in lotte con il diavolo, come quelle della cultura della morte, della teoria del genere, del transumanesimo, del wokismo…. Tutto questo allontana le persone da Dio e le induce a combattere false battaglie che sono quelle del diavolo.
La buona battaglia è quella della fede: custodire la fede e trasmettere la fede, nella fedeltà alla tradizione della Chiesa. La mia fede oggi è quella dei patriarchi, profeti, apostoli, santi e sante che ci hanno preceduto e che ci hanno trasmesso questo tesoro di fede nel vero Dio. Lungo i secoli della storia della Chiesa, quali spargimenti di sangue, sofferenze subite, violente persecuzioni per proteggere e trasmettere la fede!
La buona battaglia è quella che consiste nel rimanere fedeli alle promesse del proprio battesimo, nel lottare per rimanere uniti al Signore Gesù, nel vivere da cristiani, nel mantenere le proprie convinzioni. È una battaglia quotidiana, perché il diavolo continua a cercare di allontanarci da Dio. Le bon combat, c'est celui de la fidélité au Christ, fidélité qui se gagne chaque jour à travers les devoirs de la vie chrétienne : la prière quotidienne, la messe dominicale, la confession régulière, la lutte contre tel ou tel péché qui revient senza sosta. Ci sono cristiani eroici che lottano ogni giorno per vincere un peccato che avvelena la loro vita. Queste lotte nell'ombra, nei segreti della vita, sono tante piccole vittorie vinte contro il Principe delle Tenebre.
Nella mia vita di sacerdote, conduco con ardore questa lotta, perché porto sulle mie spalle il peso delle anime a me affidate. Come potrei compiere la mia missione senza una vera vita interiore, senza essere unito a Cristo attraverso la preghiera ei sacramenti? Dove attingere la forza necessaria per santificare il popolo cristiano se non in Dio stesso? Mi rendo conto di quanto sia vitale per un sacerdote dare tempo al Signore, dedicargli tempo prezioso, stare con Lui, amarlo, adorarlo. Il sacerdote deve prima essere vicino al Signore per poter donare Dio agli uomini. La fecondità di un apostolato dipende solo dalla forza della preghiera che lo porta. Ho lottato contro la tentazione dell'attivismo che ci fa credere che il tempo della preghiera sia inutile, o addirittura impossibile in un simile contesto. Chi prega non perde tempo, chi prega non è mai solo. Quante volte ho sperimentato nella mia vita di sacerdote la forza della preghiera! È la preghiera che, invisibilmente, mi dà la capacità di predicare, di insegnare, di assumere una missione delicata, e soprattutto di farmi da parte per lasciare tutto il posto a Cristo. Senza la preghiera e l'unione interiore con Cristo, la nostra vita va in rovina.
La buona battaglia, è quella di ogni momento per svolgere bene il proprio dovere di stato e portare il peso della giornata senza recriminare contro Dio. I compiti della vita quotidiana, umili e spesso nascosti, fanno parte di questa lotta che ci aiuta a rimanere uniti a Cristo.
La buona battaglia è quella che consiste nel seguire Cristo, passo dopo passo. «Chi vuole seguirmi rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23). Tale è la condizione di chi vuole essere discepolo di Cristo, in una parola, di chi vuole essere veramente cristiano. Il cammino di Cristo passa per la Croce, ed è per questo che passa anche per la croce il cammino di ogni cristiano. Non scegliamo le nostre croci, non scegliamo le nostre sofferenze. Vengono da noi, senza che noi li abbiamo chiesti. Ci sono le piccole croci di ogni giorno, fatte di rinunce, umiliazioni, fatiche. Dovere statale.
E poi ci sono le grandi croci della vita, quelle che sono piantate nel nostro essere, corpo e anima. Sono le sofferenze dovute alla malattia, i dolori causati dalla morte di un essere caro, le prove dei combattimenti da compiere, le persecuzioni per la fede. Queste grandi croci possono essere portate solo con l'aiuto di Dio. Cristo ha portato la sua pesante croce e continua ad aiutarci a portare la nostra. Tre volte è caduto, tre volte si è rialzato con la forza di Dio suo Padre. Prende sulle sue spalle il nostro fardello, se gli affidiamo, per rafforzarci e sostenerci.
"IL MOMENTO DELLA MIA PARTENZA È ARRIVATO"
“Io, infatti, sono già offerto in sacrificio, è giunto il momento della mia partenza. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. ( 2 Tm 4, 6.7)
Combatto contro questo cancro da quasi un anno. Un anno di feroci lotte, sofferenze quotidiane, vari ricoveri. Un anno di chemioterapia sopportato ogni due settimane. Sento che il mio corpo si sta indebolendo e che il cancro sta guadagnando terreno. “Ma non si combatte nella speranza del successo, no, no, è molto più bello quando è inutile! ( Cyrano de Bergerac). La medicina sembra arrendersi, la chemioterapia non è abbastanza efficace. Rimane sempre la lotta dell'anima, per resistere, per andare avanti, per conservare la speranza, per abbandonarsi al Signore, per affidarsi alla Beata Vergine, per pregare instancabilmente, per incoraggiare chi ti è vicino, per custodire la gioia del cuore e per prepararsi alla morte. Voglio combattere quest'ultima battaglia con il coraggio e la forza della fede.
Quindi mi sto preparando a comparire davanti al mio Signore. Ho fiducia, perché come ha scritto Benoit XVI, il Signore è sia il mio giudice che il mio avvocato: “Presto affronterò il giudice supremo della mia vita. Anche se, ripensando alla mia lunga vita, ho molte ragioni per avere paura e paura, ho tuttavia un animo gioioso, perché ho la ferma convinzione che il Signore non è solo il giudice giusto, ma allo stesso tempo l'amico e il fratello che ha sofferto lui stesso delle mie colpe e che, quindi, come giudice, è anche mio avvocato. ( Benedetto XVI).
San Josemaría diceva: “La gioia cristiana ha le sue radici nella forma di una croce” . Alla sera della mia vita, nonostante tutte queste sofferenze, conservo una gioia profonda, la gioia di sapere che il Signore è con me, la gioia di sapere che il Signore mi aspetta in Paradiso. Se qualche volta appare tristezza, chiedo al Signore di cambiarla in gioia. La morte di una persona cara provoca pianti, lacrime, dolore. Cristo pianse anche per la morte del suo amico Lazzaro. Ma questo dolore del cuore, per quanto intenso sia, non spenga la fiamma della fede e della speranza.
“Che gioia quando mi è stato detto, andremo alla casa del Signore; ora finisce il nostro viaggio, davanti alle tue porte Gerusalemme”.
Sì, il mio cammino sta per concludersi, nella gioia di presentarmi presto davanti al Signore. È con la Beata Vergine che voglio varcare questa porta nell'ultimo momento della mia vita, Lei che è la porta del Cielo.
"Servo della tua gioia", ti benedico di tutto cuore.
Abbé Cyril Gordien +
Sacerdote per l'eternità
(1) Card. Sarah, Catechismo della vita spirituale, Fayard, 2022, p. 67.
(2) San Josemaría Escrivá, Quando passa Cristo, 154.
(3) San Giovanni Paolo II, Enciclica Ecclesia de Eucharistia, n.25.
(4) San Giovanni Paolo II, enciclica Ecclesia de Eucharistia, n. 59.60.
(5) Cfr Benedetto XVI, Incontro con il clero di Roma, Lectio divina, 18 febbraio 2010.
(6) San Giovanni della Croce, Cantico spirituale, B, strofa 29.3.
(7 Card. Charles Journet, Discorsi su Maria, p. 37.
(8) Card. Charles Journet, Discorsi su Maria, p. 22.
(9) Summa Theologica, IIIa, q.30.
LA NEF, messa in rete lunedì 20 marzo 2023, festa di San Giuseppe; testamento spirituale di padre Gordien
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Difficile diagnosticare la malattia e le sue cause, ancora più difficile assegnare la terapia. Dalla mia circoscritta esperienza so che con la chemio si muore. Sicuro. Questa scienzaaa fa acqua da tutte le parti. Oggi si muore di scienzaaa! Con la scienzaaa. Per la scienzaaa. Padre Cyril dal Cielo ci aiuti a trovare l umiltà!
RispondiEliminaLa Vergine SS.ci liberi da questa chimica mortale, infilata ovunque, nei cosiddetti fertilizzanti e nella pastasciutta e perfino a lambire l'Ostia consacrata con le varie amuchine e simili.
RispondiEliminaL'INCREDULO AMA LE TENEBRE, LE CHIAMA LUCE, E, BESTEMMIANDO, NON SI ACCORGE DI BESTEMMIARE (S. AGOSTINO)
RispondiEliminaL'Encenia era la festa della Dedicazione del tempio. in greco vuol dire nuovo. Il giorno in cui si inaugurava qualcosa di nuovo veniva chiamato Encenia; parola che poi è passata nell'uso comune: quando uno, ad esempio, indossa una tunica nuova si usa il verbo "enceniare". I Giudei celebravano solennemente il giorno della dedicazione del tempio; si celebrava appunto questa festa, quando il Signore pronunciò il discorso che è stato letto.
Era d'inverno, e Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. I Giudei gli si fecero attorno e gli dissero: Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo diccelo chiaramente! (Gv 10, 23-24). Essi non cercavano la verità ma macchinavano un complotto. Si era d'inverno ed erano pieni di freddo, perché non facevano niente per avvicinarsi a quel fuoco divino. Avvicinarsi significa credere: chi crede si avvicina, chi nega si allontana. Non si muove l'anima con i piedi, ma con l'affetto del cuore.
In loro si era spento del tutto il fuoco della carità, e ardeva soltanto il desiderio di far del male. Erano molto lontani, benché fossero lì; non si avvicinavano con la fede, ma gli stavano addosso perseguitandolo. Volevano sentir dire dal Signore: Io sono il Cristo, e forse di Cristo avevano un'opinione soltanto umana. I profeti avevano annunziato Cristo; ma se neppure gli eretici accettano la divinità di Cristo secondo la testimonianza dei profeti e dello stesso Vangelo, tanto meno i Giudei quindi, finché rimane il velo sopra il loro cuore (2 Cor 3, 15).
Mercoledì di Passione
Gv.10,22-38
S.AGOSTINO
Tractatus 48 in Joannem, circa initium
Breviario Romano, Letture dal Mattutino
Nella festa della Dedicazione i nemici di Gesù cercano con animo malvagio un’affermazione aperta da parte di Gesù sulla sua divinità per poterlo condannare. Gesù adduce le prove fornite dalle sue opere e afferma esplicitamente la sua consustanzialità con il Padre. Allo scandalo farisaico replica richiamandosi alla rivelazione antica che chiama “dei” i giudici di Israele. Ora se sono chiamati “dei” coloro ai quali si indirizza la parola, quanto più lo sarà la Parola stessa inviata dal Padre perché gli uomini conoscano in essa il Padre.
La divinità di Cristo non è solo la base della nostra fede, ma è anche il fondamento della nostra redenzione e della nostra partecipazione alla vita stessa di Dio. Egli ha comunicato Se stesso e la sua vita divina alla Chiesa, che è il prolungamento della Sua Umanità e della Sua incarnazione nel mondo.
La cecità interiore dell’uomo, causata dal peccato, provoca anche la cecità di fronte all’evidenza del fatto soprannaturale. L’ostinazione dei Giudei che vedono Gesù, ascoltano le sue parole, sono spettatori dei suoi miracoli, notano la sua impeccabilità, ma non credono in Lui e Lo respingono fa pensare a molti cristiani che rinnegano la fede con le opere e soffocano nel peccato la voce ammonitrice della coscienza.
MERCOLEDÌ DELLA SETTIMANA DI PASSIONE
RispondiEliminaLa Stazione è, a Roma, nella chiesa di S. Marcello, Papa e Martire (308-310).
LETTURA (Lv 19,11-19). - In quei giorni: Il Signore parlò a Mosè, dicendo: Parla a tutta l'adunanza dei figli d'Israele e di' loro: Io sono il Signore Dio vostro. Non ruberete. Non mentirete e nessuno ingannerà il suo prossimo. Non giurerai il falso nel mio nome, e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono il Signore. Non calunnierai il tuo prossimo, ne l'opprimerai con violenza. Il salario del tuo operaio non resterà presso di te fino al mattino. Non maledirai il sordo, e non porrai inciampo dinanzi al cieco; ma temerai il Signore Dio tuo: io sono il Signore. Non fare ciò che è iniquo, né giudicar contro giustizia. Non disprezzare il povero, né onorar la faccia del potente; ma giudica il tuo prossimo con giustizia; non accusare e non maledire tra il popolo. Non recarti contro il sangue del tuo prossimo. Io sono il Signore. Non odiare il fratello nel tuo cuore, e riprendilo in pubblico per non peccare. Non vendicarti, né serbar rancore contro i tuoi concittadini. Amerai il tuo amico come te stesso. Io sono il Signore. Osservate le mie leggi; poiché io sono il Signore Dio vostro.
Dovere della carità fraterna.
Oggi la Chiesa, presentandoci questo brano del Levitico, nel quale troviamo esposti con tanta chiarezza ed abbondanza i doveri dell'uomo verso il prossimo, vuoi far comprendere al cristiano con quale attenzione debba scrutare e riformare la sua vita sopra un punto di sì grande importanza. Qui è Dio stesso che parla e intima ordini. Guardate come replica ad ogni frase: "Io sono il Signore", per farci comprendere che si costituirà vendicatore del prossimo, che noi avessimo leso. Come un tale linguaggio doveva suonare nuovo alle orecchie dei Catecumeni, tolti dal mondo pagano, egoista e senza cuore, se non fosse mai stato loro detto che, essendo tutti gli uomini fratelli, Dio, Padre comune dell'immensa famiglia umana, esigeva da loro che s'amassero tutti di sincero amore, senza distinzione di razza e di condizione! In questi giorni di riparazione, procuriamo, noi cristiani, d'adempiere alla lettera la volontà del Signore Dio nostro; e ricordiamoci che tali precetti furono imposti al popolo israelita molti secoli prima della promulgazione della legge di misericordia. Ora, se il Signore imponeva ai Giudei un amore così sincero verso i fratelli, quando la legge non era scritta che su tavole di pietra, quanto più lo esigerà dal cristiano, che ora le legge nel cuore dell'Uomo-Dio, disceso dal ciclo e fattosi nostro fratello, per renderci ad un tempo più facile e più dolce l'adempimento del precetto della carità? Ormai l'umanità, unita nella sua persona alla divinità, è divenuta sacra, fatta oggetto delle compiacenze del Padre celeste; ed è per il fraterno amore verso di lei che Gesù si votò alla morte, insegnandoci col suo esempio ad amare così sinceramente i nostri, fratelli da "dare perfino la nostra vita per loro", se sarà necessario, e come c'insegna il discepolo prediletto, che lo apprese dal Maestro (1Gv 3,16).
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RispondiEliminaVANGELO (Gv 10,22-38). - In quel tempo: Si faceva in Gerusalemme la festa della Dedicazione, ed era d'inverno. E Gesù passeggiava nel tempio sotto il portico di Salomone. Gli si affollarono allora d'intorno i Giudei e gli dissero: Fino a quando ci terrai sospesi? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente. Rispose loro Gesù: Ve l'ho detto e non credete: le opere che faccio nel nome del Padre mio, queste mi rendono testimonianza. Ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore. Le mie pecorelle ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono. E dò loro la vita eterna, ed in eterno mai periranno, e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio che me l'ha date, è più grande di tutti, e nessuno può rapirle di mano al Padre mio. Io ed il Padre mio siamo una sola cosa. I Giudei diedero allora di piglio alle pietre per lapidarlo. Gesù disse loro: Molte buone opere vi mostrai per virtù del Padre mio, per quale di queste opere mi lapidate? Gli risposero i Giudei: Non ti lapidiamo per nessuna opera buona: ma per la bestemmia, perché tu che sei uomo, ti fai Dio. Replicò loro Gesù: Non è scritto nella vostra legge: Io dissi: Voi siete dei? Ora se dei chiamò quelli ai quali Dio parlò, e la Scrittura non può mancare, a me che il Padre ha consacrato e mandato al mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Son Figlio di Dio? Se non fo' le opere del Padre mio, non mi credete. Ma se le faccio, anche se non volete credere a me, credete alle opere; onde conosciate e crediate che il Padre è in me ed io nel Padre.
La fede.
Dopo la festa dei Tabernacoli venne quella della Dedicazione e Gesù rimase in Gerusalemme. L'odio dei nemici s'inaspriva sempre più; ed eccoli accalcarsi intorno a lui, per fargli dichiarare ch'era il Messia, e quindi accusarlo di usurpare una missione che non era la sua. Gesù si rifiuta di rispondere, e si appella ai prodigi, che hanno visto da lui operare e gli rendono testimonianza. Per la fede, soltanto per la fede, l'uomo può arrivare a Dio in questo mondo. Dio si manifesta con opere divine; l'uomo, conoscendole, deve credere a tali opere che attestano la verità; così credendo ha la certezza di ciò che crede ed il merito di credere. Ma il Giudeo superbo si ribella; vorrebbe dettare legge anche a Dio, e non capisce che questa sua pretesa è empia ed assurda.
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RispondiEliminaUnità del Padre e del Figlio.
Tuttavia bisogna che la dottrina divina si faccia strada, anche se dovesse provocare lo scandalo degli spiriti perversi ; perché Gesù non parla solamente per loro: lo deve fare anche per quelli che crederanno. Quindi pronuncia quella grande parola, nella quale attesta non solo la sua qualità di Cristo, ma anche la divinità: "Io ed il Padre mio siamo una cosa sola". Sapeva bene che esprimendosi in tali termini li avrebbe accesi di rabbia; ma era necessario che si rivelasse sulla terra, per confondere anticipatamente l'eresia. Ario un giorno si leverà contro il Figlio di Dio e lo dirà la creatura più perfetta; ma la chiesa risponderà ch'egli è uno col Padre, consustanziale a lui; e dopo tante agitazioni ed errori, la setta ariana scomparirà e cadrà In oblio. Qui i Giudei sono i precursori di Ario: comprendono che Gesù si confessa Dio, e tentano di lapidarlo. Con un ultimo tratto di condiscendenza, Gesù cerca di provare loro questa verità, mostrando con le stesse Scritture che talvolta l'uomo può, in senso ristretto, essere detto Dio, in ragione delle funzioni divine che esercita; ma poi li porta di nuovo a riflettere sui prodigi che testimoniano tanto solennemente l'assistenza che gli dà il Padre, e con rinnovata fermezza ripete, che "il Padre è in lui e lui nel Padre". Ma niente può convincere questi cuori ostinati; e la pena del peccato che hanno commesso contro lo Spirito Santo pesa maggiormente su di loro.
Docilità.
Come però è differente la sorte delle pecorelle del Salvatore! "Esse ascoltano la sua voce, lo seguono; ed egli dà loro la vita eterna, e nessuno le strapperà dalle sue mani". Fortunate pecorelle! credono, perché amano; per l'amore, la verità risplende in esse; come per la superbia dello spirito le tenebre penetrano nell'anima dell'incredulo, e vi rimangono sempre. L'incredulo ama le tenebre, le chiama luce, e, bestemmiando, non s'accorge di bestemmiare. Il Giudeo arriva a crocifiggere il Figlio di Dio, credendo d'onorare Dio.
PREGHIAMO
Sii propizio, o Dio onnipotente, alle nostre suppliche; e a quanti dai la fiducia di sperare pietà, concedi benigno l'effetto della consueta misericordia.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 651-653
Vorrei condividere questa riflessione sul Padre Nostro.
RispondiEliminaE' la preghiera insegnata da Gesù, il Verbo incarnato che ci parla da uomo tra gli uomini.
Quando pregate non pensate di essere ascoltati da Dio a furia di parole, ma dite così...
Mi rivolgo al Padre celeste. Rivolto lì. Elevato lì, dalla terra al Cielo.
Le prime tre domande sono tutte per onorarlo, appartenergli, attenderlo e obbedirgli.
Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà.
E chiedo che quel che vale in Cielo valga anche hic et nunc: come in Cielo così in terra.
A questo punto altre tre domande che sono in terra, ma con la sapienza del Cielo.
Prima il pane soprasostanziale per l'oggi rimanda all'Eucaristia prima che alle calorie.
E' per fare comunione soprattutto con il Vivente, ed in secondo luogo con i viveri.
Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
E' un pane liturgico, sapienziale, per avere il Signore con me e riempirmi di Grazia.
Come Maria a Nazaret: si compia in me secondo la tua parola.
Come Gesù al Getsemani: sia fatta la tua volontà.
Poi l'economia del perdono, per azzerare i debiti agendo la misericordia, ricevuta e data.
Al Padre perciò non chiedo un pane da accumulare, ma il necessario per l'oggi.
E non chiedo un giudizio, ma la capacità di tendere a salvare con me il peccatore PENTITO.
Terza domanda: reggere la prova. Guai a non essere messi alla prova.
Guai anche se nella prova tradisco il Signore. Chiedo dunque di non tradire Lui.
Chiedo di abbandonarmi al suo abbraccio, sapendolo certo e di non abbandonare io la Grazia.
Tutto questo per essere infine liberati dal male (dal Maligno).
San Padre Pio diceva che il nome del Maligno non è diavolo, satana, demonio o Belzebù...
Il nome del Maligno è: "io"
Quella "d" iniziale in meno è decisiva per dividerci dalla Grazia e dalla comunione.
Allora il Padre nostro è la preghiera di Dio e del noi, con Gesù (e Maria).
Dove? In croce o presso la croce. Perchè la prova è necessaria.
Oggi la Chiesa sperimenta quel che Gesù disse e che il catechismo prevede esplicitamente.
Ci tocca e non è un segnale di abbandono da parte di Dio.
Piuttosto ci chiede di abbandonarci in Dio.
Chi perderà la propria vita per causa mia la salverà, dice Gesù ai suoi.
L'io invece si aggrappa a salvare la propria vita, cercando di non farsi troppi problemi.
E' la tragedia di una preghiera del Padre Nostro rivolta alla terra, al mondo, all'io...