Continuiamo ad attingere ai tesori della nostra fede.
Ricordiamo che per il Sacramentario gelasiano l'Ottava di Pasqua terminava con il sabato. Al tempo di san Gregorio Magno si trasferì la sua conclusione alla domenica: Dominica post albas sul Sacramentario gregoriano. La denominazione Dominica in albis è posteriore.
Riprendiamo le prime parole dell'Introito della Messa del giorno "Quasi modo geniti infantes". (vedi come si comporta il gregoriano con questo testo). Ogni Domenica è Pasqua, ma quella in Albis, Ottava (Octava Dies) di Pasqua, ci ricorda la gioia e la grandiosità dell'unica e solenne Domenica che ha portato e porta tutto il mondo cristiano alla Risurrezione di Cristo Signore.
Parole rivolte ai neofiti che avevano appena ricevuto la Fede per esortarli a continuare a nutrirla. Essi (e vale per tutti noi), una volta finiti i festeggiamenti del loro ingresso pasquale nella Chiesa, depositavano le vesti bianche ([in] albis vestibus) "esterne" ricevute la Domenica di Pasqua col Santo Battesimo, iniziando la feriale (ma sempre gioiosa) vita cristiana nella quale bisogna continuare a portare le vesti bianche "interne".
Ogni domenica è una Pasqua
Abbiamo visto, ieri, i neofiti chiudere la loro Ottava della Risurrezione. Erano stati immessi prima di noi alla partecipazione del mirabile mistero di Dio Risorto e, prima di noi, dovevano giungere al termine delle loro solennità. Questo giorno è dunque l’ottavo per noi che abbiamo celebrato di Domenica la Pasqua, senza anticiparla al Sabato sera. Ci si ricorda la gioia e la grandiosità dell’unica e solenne Domenica che ha associato tutto il mondo cristiano in un medesimo sentimento di trionfo. È il giorno della nuova luce che cancella l’antico Sabato: d’ora in avanti, sarà sacro il primo dì della settimana. È sufficiente che per ben due volte il Figlio di Dio l’abbia marcato col suggello della sua potenza. La Pasqua è, dunque, per sempre fissata di Domenica; e, come è stato già spiegato più sopra, nella “mistica del Tempo Pasquale”, ogni Domenica è, d’ora in poi, una Pasqua.
Il nostro Divin Risorto ha voluto che la sua Chiesa così ne comprendesse il mistero, poiché, avendo intenzione di mostrarsi una seconda volta ai suoi discepoli, riuniti tutti assieme, ha aspettato, per farlo, il ritorno della Domenica. Durante tutti i giorni precedenti ha lasciato Tommaso in preda ai suoi dubbi; solamente oggi è voluto venire in suo soccorso, manifestandosi a questo Apostolo in presenza degli altri e obbligandolo a deporre la sua incredulità di fronte alla più palpabile evidenza. Oggi, dunque, la Pasqua riceve da Cristo il suo ultimo titolo di gloria, aspettando che lo Spirito Santo discenda dal cielo per venire a portare la luce del suo fuoco e fare, di questo giorno, già così privilegiato, l’era della fondazione della Chiesa Cristiana.
L’apparizione a san Tommaso
L’apparizione del Salvatore al piccolo gruppo degli undici, e la vittoria che riporta sull’incredulità di uno dei suoi Discepoli è oggi l’oggetto speciale del culto della Santa Chiesa. Quest’apparizione, legata alla precedente, è la settima. Per suo mezzo Gesù entra nel possesso completo della fede dei suoi discepoli. La sua dignità, la sua pazienza, la sua carità in questa circostanza, sono veramente quelle di un Dio. Ancora una volta i nostri pensieri, troppo umani, restano sconvolti alla vista di questa dilazione di tempo che Gesù accorda all’incredulo, di cui, invece, sembrerebbe dover rischiarare senza indugio lo sfortunato acciecamento, o punire la temeraria insolenza.
Ma Gesù è la suprema Sapienza e la suprema Bontà. Nella sua saggezza prepara, per mezzo di questa lenta constatazione dell’avvenuta sua Risurrezione, un nuovo argomento in favore della realtà del fatto; nella sua bontà conduce il cuore del discepolo incredulo a ritrattare, da se medesimo, il suo dubbio con una sublime protesta di dolore, di umiltà e d’amore.
Noi non descriveremo qui quella scena così mirabilmente raccontata nel Vangelo, che la Santa Chiesa metterà tra poco sotto i nostri occhi; ci applicheremo solo, nell’odierno insegnamento, a far comprendere al lettore la lezione che Gesù oggi dà a tutti, nella persona di san Tommaso. È il grande ammaestramento della Domenica dell’Ottava di Pasqua. È importante ch’esso non venga trascurato, poiché, più di ogni altro, ci rivela il senso vero del Cristianesimo; ci illumina sulla causa delle nostre impotenze e sul rimedio per i nostri languori.
La lezione del Signore
Gesù disse: “Poiché hai veduto, Tommaso, hai creduto; beati coloro che non han visto e han creduto!”. Parole piene di una divina autorità, consiglio salutare dato, non solamente a Tommaso, ma a tutti gli uomini che vogliono, entrare in rapporto con Dio e salvare le anime loro! Che voleva dunque Gesù dal suo Discepolo? Non aveva confessato, un momento fa, quella fede di cui ormai era convinto? Tommaso, del resto, era poi tanto colpevole per aver desiderato un’esperienza personale, prima di dare la sua adesione al più sorprendente dei prodigi? Era tenuto a rimettersi a Pietro ed agli altri, al punto di temere di mancare verso il suo Maestro, non fidandosi della loro testimonianza? Non dava prova di prudenza, lasciando in sospeso la sua convinzione, finché altri argomenti non gli avessero rivelato direttamente la realtà del fatto? Sì, Tommaso era un uomo saggio, un uomo prudente che non si fidava oltre misura; era degno di servire di modello a molti cristiani che giudicano e ragionano come lui nelle cose della fede.
E nondimeno quanto è grave, nella sua penetrante dolcezza, il rimprovero di Gesù! Con una condiscendenza inesplicabile, si è degnato di prestarsi alla constatazione che Tommaso aveva osato chiedere; adesso che il Discepolo si trova di fronte al Maestro risorto, e che esclama, con la più sincera emozione: “Mio Signore e mio Dio!”, Gesù non gli fa grazia della lezione che aveva meritata. Ci vuole un castigo per quell’ardire, per quella incredulità; e la punizione consiste nel sentirsi dire: “Perché hai veduto, Tommaso, hai creduto”.
L’umiltà e la fede
Ma Tommaso era dunque obbligato a credere prima di aver veduto? E chi può dubitarlo? Non soltanto Tommaso, ma tutti gli Apostoli erano tenuti a credere alla Risurrezione del Maestro, anche prima che fosse loro apparso. Non avevano vissuto tre anni insieme con lui? Non l’avevano visto confermare con numerosi prodigi la sua qualità di Messia e di Figlio di Dio? Non aveva annunziato la sua Risurrezione nel terzo giorno dopo la sua morte? E in quanto alle umiliazioni e ai dolori della Passione, non aveva, poco tempo prima, sulla strada di Gerusalemme, predetto che sarebbe stato preso dai Giudei, che l’avrebbero dato nelle mani dei Gentili, che sarebbe stato flagellato, coperto di sputi e messo a morte? (Lc 18,32-33).
Dei cuori retti e disposti alla fede non avrebbero avuto nessuna difficoltà a convincersene, appena saputo della sparizione del suo corpo. Giovanni non fece che entrare nel sepolcro, vedere i lenzuoli, e subito comprese tutto e credette fin da allora.
Ma l’uomo raramente è così sincero, e si ferma sul suo sentiero, quasi volendo obbligare Dio a prevenirlo. Gesù si degnò di farlo. Si mostrò alla Maddalena e alle sue compagne, che non erano incredule, ma soltanto distratte dall’esaltazione di un amore troppo naturale. Nel giudizio degli Apostoli, la loro testimonianza non era che il linguaggio di donne dall’immaginazione esaltata. Bisognò che Gesù venisse in persona a mostrarsi a quegli uomini ribelli, ai quali l’orgoglio faceva perdere la memoria di tutto il passato, che sarebbe bastato da solo ad illuminarli per il presente. Diciamo il loro orgoglio perché la fede non ha altro ostacolo che questo vizio. Se l’uomo fosse umile, si eleverebbe fino alla fede che trasporta le montagne.
Ora Tommaso ha ascoltato Maddalena ed ha sprezzato la sua testimonianza; ha ascoltato Pietro, e ha declinato la sua autorità; ha ascoltato gli altri fratelli suoi ed i Discepoli di Emmaus, e niente di tutto questo lo ha distolto dal poggiarsi solo sul suo giudizio personale. La parola altrui che, quando è grave e disinteressata, produce la certezza in uno spirito assennato, non ha più l’efficacia presso molte persone, appena si tratta di attestazione su cose soprannaturali. E questa è una grande piaga della nostra natura, lesa dal peccato. Troppo spesso, come Tommaso, noi vorremmo esperienze personali; e basta questo per privarci della pienezza della luce. Noi ci consoliamo come lui, perché siamo sempre nel numero dei Discepoli: – quest’Apostolo non aveva abbandonato i suoi fratelli: solamente non prendeva parte alla loro felicità. Quella felicità di cui era testimonio non risvegliava in lui che l’idea della debolezza: e provava un certo gusto a non condividerla.
La fede tiepida
Tale è anche ai nostri giorni il cristiano imbevuto di razionalismo. Egli crede, ma perché la sua ragione gli dà come una necessità di credere: crede con la mente, non col cuore. La sua fede è una conclusione scientifica, non una aspirazione verso Dio e verso una vita soprannaturale. Perciò, quanto è fredda e impotente questa fede! Come è ristretta e incomoda! come teme sempre di progredire, credendo troppo! Vedendola contentarsi così facilmente di verità “diminuite” (Sal 11), pesate sulla bilancia della ragione invece di volare ad ali spiegate, come la fede dei santi, si direbbe che ha vergogna di se stessa. Parla sottovoce, ha paura di compromettersi; quando si mostra all’esterno è sotto la livrea delle idee umane, che le servono di passaporto. Non è lei che si esporrà ad un affronto per dei miracoli che giudica inutili e che non avrebbe mai consigliato a Dio di operare. Tanto per il passato che per il presente, ciò che le sembra meraviglioso, la spaventa: non ha avuto già sforzi sufficienti da fare, per ammettere ciò che è strettamente necessario di accettare?
La vita dei santi, le loro virtù eroiche, i loro sublimi sacrifici, tutto questo la agita. L’azione del cristianesimo nella società, nella legislazione, le sembra ledere i diritti di quelli che non credono; e intende rispettare la libertà dell’errore e la libertà del male; e non si accorge neppure più che il cammino del mondo ha trovato il suo ostacolo, da quando Gesù Cristo non è più Re sulla terra.
Vita di fede
È per coloro la cui fede è così debole e così vicina al razionalismo, che Gesù, alle parole di rimprovero indirizzate a Tommaso, aggiunge quella insistenza che non lo riguarda esclusivamente, ma che mira a tutti gli uomini, di tutti i secoli: “Beati quelli che non hanno veduto e hanno creduto!” Tommaso peccò per non essere stato disposto a credere. Noi ci esponiamo a peccare come lui se non coltiviamo nella nostra fede quella espansione che di tutto la fa partecipe e la porta a quel progresso che Dio ricompensa, con un flusso di luce e di gioia nel cuore.
Una volta entrati nella Chiesa, il nostro dovere è di considerare tutto, d’ora in avanti, dal punto di vista soprannaturale; e non temiamo che questo punto di vista, regolato dagli insegnamenti della sacra autorità, ci trascini troppo lontano. “Il giusto vive di fede” (Rm 1,17); è il suo continuo nutrimento. In lui, se resta fedele al Battesimo, la vita naturale è trasformata per sempre. Crediamo, dunque, che la Chiesa avrebbe avuto tante cure, nell’istruzione dei neofiti, che li avrebbe iniziati attraverso tanti riti, i quali non respirano che idee e sentimenti di vita soprannaturale, per abbandonarli, poi, fin dall’indomani, senza rimorso, all’azione di quel pericoloso sistema che pone la fede in un cantuccio dell’intelligenza, del cuore e della condotta, per lasciare agire più liberamente l’uomo secondo la sua natura? No, non è cosi.
Riconosciamo dunque insieme con Tommaso il nostro errore; confessiamo insieme con lui che fino ad ora non abbiamo ancora creduto con una fede abbastanza perfetta. Come lui diciamo a Gesù: “Voi siete il mio Signore ed il mio Dio; e spesso ho pensato ed agito come se voi non foste stato, in tutto, il mio Signore ed il mio Dio. D’ora in avanti crederò senza avere veduto: poiché voglio essere del numero di quelli che voi avete chiamato beati”.
Questa Domenica, detta ordinariamente “Quasimodo”, nella Liturgia porta il nome di “Domenica in Albis” e, più esplicitamente, “in albis depositis”, perché oggi i neofiti ricomparivano in Chiesa con gli abiti usuali. Nel Medio Evo la chiamavano “Pasqua Chiusa”, per esprimere, senza dubbio, che l’Ottava di Pasqua finiva in questo giorno. La solennità di questa domenica è così grande nella Chiesa che, non soltanto appartiene al rito del “doppio maggiore”, ma non cede mai il suo posto a nessun’altra festa, di qualsiasi grado essa sia.
A Roma la Stazione si tiene nella Basilica di S. Pancrazio, sulla via Aurelia. I nostri predecessori non ci hanno insegnato nulla circa i motivi che hanno fatto scegliere questa Chiesa per la riunione dei fedeli nella giornata odierna. Forse ebbe la preferenza per la giovane età di quel martire di quattordici anni, a cui è dedicata, in rapporto a un certo confronto con la gioventù dei neofiti, che oggi formano ancora l’oggetto della materna preoccupazione della Chiesa.
Messa
EPISTOLA (1Gv 5,4-10) Carissimi: tutto ciò che è nato da Dio trionfa nel mondo, e la vittoria che trionfa nel mondo è la nostra fede. E chi è che vince il mondo, se non colui il quale crede che Gesù è Figliuolo di Dio? Questi è appunto quel Gesù Cristo che è venuto con l’acqua e col sangue, non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e col sangue. E lo Spirito è quello che attesta che Cristo è verità. Sono infatti tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo ; e questi tre sono uno solo. E son tre che rendono testimonianza in terra: lo spirito, l’acqua e il sangue; e questi tre sono una sola cosa. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, ha più valore la testimonianza di Dio. Or questa testimonianza, che è la maggiore, Dio l’ha resa in favore del suo Figliuolo. Chi crede nel Figlio di Dio ha in sé la testimonianza di Dio.Merito della fede
L’Apostolo san Giovanni, in questo brano, esalta il merito ed i vantaggi della fede; ce la presenta come una trionfatrice che mette il mondo sotto i nostri piedi: il mondo che ci circonda e quello che è dentro di noi. La ragione che ha condotto la Chiesa a scegliere per oggi questo testo di san Giovanni s’indovina facilmente quando si vede lo stesso Cristo raccomandare la fede, nel Vangelo di questa Domenica. “Credere in Gesù Cristo – ci dice l’Apostolo – è vincere il mondo”; chi dunque sottopone la sua fede al giogo del mondo non possiede la vera fede.
Crediamo con cuore sincero, felici di sentirci bambini in presenza della verità divina, sempre disposti ad accogliere premurosamente la testimonianza di Dio. Questa divina testimonianza si ripercuoterà in noi, se ci sentiremo desiderosi di ascoltarlo sempre di più. Giovanni, alla vista dei lenzuoli che avevano avvolto il corpo del Signore, si raccolse in se stesso e credette; Tommaso, che aveva, in più dell’altro, la testimonianza degli Apostoli che avevano veduto Gesù Risorto, non credette. Non aveva sottoposto il mondo alla sua ragione, perché la fede non era in lui.
VANGELO (Gv 20,19-31) In quel tempo: giunta la sera di quel giorno, il primo dopo il sabato, ed essendo, per paura dei Giudei, chiuse le porte di quel luogo dove i discepoli erano adunati, Gesù venne e stette in mezzo a loro e disse: Pace a voi. E ciò detto mostrò loro le mani ed il costato; e i Discepoli gioirono a vedere il Signore. Disse loro di nuovo Gesù: Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. E detto questo alitò sopra di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. Saran rimessi i peccati a chi li rimetterete e ritenuti a chi li riterrete.La testimonianza di san Tommaso
Ma Tommaso, uno dei dodici, soprannominato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero adunque gli altri discepoli: – Abbiamo veduto il Signore. Ma Egli disse loro: – Se non vedo nelle sue mani i fori dei chiodi e se non metto il mio dito nel posto dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo. Otto giorni dopo, i discepoli si trovavano di nuovo in casa e Tommaso era con essi. Venne Gesù a porte chiuse e stette in mezzo e disse: – Pace a voi. Poi disse a Tommaso: – Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani. Appressa la tua mano e mettila nel mio costato, e non essere incredulo, ma fedele. Gli rispose Tommaso esclamando: – Mio Signore e mio Dio! Gli disse Gesù: – Perché hai veduto, Tommaso, hai creduto; beati quelli che non han visto e han creduto. Gesù fece in presenza dei suoi Discepoli anche molti altri prodigi che non sono registrati in questo libro. Questi poi sono stati notati affinché crediate che Gesù è il Cristo, Figlio di Dio, e affinché credendo abbiate la vita nel nome suo.
Abbiamo sufficientemente insistito sull’incredulità di san Tommaso: ora è giunto il momento di rendere invece onore alla fede di questo Apostolo. La sua infedeltà ci ha aiutati a sondare la pochezza della nostra fede: che il suo ritorno ci illumini su ciò che dobbiamo fare per divenire dei veri credenti. Tommaso ha costretto il Salvatore, che contava su di lui per farlo divenire una delle colonne della sua Chiesa, ad essere condiscendente fino alla familiarità; ma, appena si trova in sua presenza, ne rimane soggiogato. Il bisogno di riparare con un atto solenne di fede l’imprudenza che ha commesso, credendosi saggio e accorto, si fa sentire in lui. Egli getta un grido; e questo grido rappresenta la protesta della fede più ardente che un uomo possa far udire: “Mio Signore e mio Dio!”. Rimarcate che egli qui non dice soltanto che Gesù è il suo Signore, il suo Maestro, che è proprio lo stesso del quale è stato Discepolo: tutto ciò non sarebbe ancora fede! Poiché non è più fede quando si può toccar con mano. Tommaso avrebbe avuto fede nella Risurrezione se avesse creduto alla testimonianza dei suoi fratelli; ma, adesso, non crede più semplicemente: egli vede, ne fa l’esperienza. Qual è dunque la testimonianza della sua fede? È che in questo momento egli attesta che il suo Maestro è Dio. Vede solo l’umanità di Gesù e proclama la divinità del Signore. Con un unico balzo la sua anima leale e contrita si è slanciata fino alla comprensione della dignità di Gesù: – Mio Dio – egli dice.
Preghiera
O Tommaso, dapprima incredulo, la Santa Chiesa onora la tua fede e la propone per modello ai suoi figli, nel giorno della tua festa. La confessione, che oggi hai fatto, viene a porsi da sé vicino a quella che fece Pietro quando disse a Gesù: “Tu sei il Cristo, Figlio di Dio vivente!” Per mezzo di questa professione di fede che ne la carne ne il sangue avevano ispirato, Pietro meritò di essere scelto per essere il fondamento della Chiesa; la tua ha fatto più che ripararne la colpa; essa ti rese, per un momento, superiore ai tuoi fratelli, che la gioia di rivedere il loro Maestro trasportava, ma sui quali la gloria visibile della sua umanità aveva fatto fino ad allora maggiore impressione che il carattere invisibile della sua divinità.
Preghiamo
Concedici, Dio onnipotente, di conservare nella vita e nelle opere il frutto delle feste pasquali da noi celebrate.
(da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 105-112)
Oggi Domenica in Albis.
RispondiEliminaIl culto della Divina Misericordia.
Misericordia o misericordismo?
Le vere devozioni (conformi alla fede e alla morale cattolica) presuppongono sempre la cooperazione alla grazia di Dio mediante il pentimento e la riparazione per i nostri peccati; al contrario di quanto insegna il Luteranesimo e il Quietismo, dei quali è impregnata la dottrina di Suor Faustina.
Citazione tratta da un articolo di don Curzio Nitoglia
Eccolo
RispondiEliminahttp://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV4151_Nitoglia_Salvi_tutti.html
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
RispondiEliminaGesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
(Fonte: Vangelo secondo Giovanni)
"Vorrei che si scrivessero i difetti dei santi e quanto essi hanno fatto per correggersi; ciò ci servirebbe assai più dei loro miracoli e delle loro estasi." (Santa Bernadette Soubirous, veggente di Lourdes, nel suo giorno di festa, quest'anno coincidente con l'Ottava di Pasqua e festa della Divina Misericordia, senza la quale non si è e non siamo nessuno, santi compresi)
RispondiEliminaOGGI I NEOFITI CAMBIANO LE VESTI MA IN TAL MODO CHE IL LORO CUORE CONSERVI SEMPRE IL CANDORE DELLA VESTE CHE DEPONGONO (SANT'AGOSTINO)
RispondiEliminaLa solennità pasquale è chiusa dall’odierna festa e perciò oggi i neofiti cambiano le vesti in tal modo tuttavia che il loro cuore conservi sempre il candore della veste che oggi depongono.
Poiché è il tempo pasquale, ossia tempo di indulgenza e di perdono, il nostro primo dovere, in questa santa giornata, come lo è stato durante tutti gli altri giorni di questa solennità, è di non permettere che il riposo accordato al corpo offuschi la purezza dell’anima. Asteniamoci da ogni indolenza, da ogni intemperanza, da ogni licenza. Prendiamo cura di distenderci con moderazione e a conservare una santa purezza di animo, al fine di ottenere colla purezza di mente ciò che in questo momento non acquisteremo coll’astinenza corporale.
E’ vero che le nostre parole si rivolgono a tutti quelli che la nostra sollecitudine pastorale abbraccia tuttavia, terminando la celebrazione dei misteri di Pasqua, è soprattutto a voi, giovani virgulti di santità, rigenerati dall’acqua e dallo Spirito santo, germoglio pio, sciame novello, fiore del nostro onore e frutto dei nostri travagli, mia gioia e mia corona, a voi tutti che siete stati rinfrancati nel Signore. A voi indirizzo queste parole dell’Apostolo: “ E’ già notte inoltrata, il giorno si avvicina. Svestiamoci dunque delle opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Camminiamo dignitosamente come in pieno giorno, non in mezzo a banchetti e all’ubriachezza, non nella lussuria e nell’impudicizia, non fra contese e gelosie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo” (Rom. 13,12-14).
Cosi noi riteniamo più ferma - dice San Pietro (2 Pt.1,19)- la parole dei profeti, alla quale voi pure fate bene a prestare attenzione, come a lampada che splende in luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non si levi nei vostri cuori la stella del mattino”. “ Abbiate sempre i fianchi cinti e le lucerne accese, e siate voi come uomini in attesa che il loro padrone ritorni dalle nozze (Lc. 12,35). Si avvicinano quei giorni dei quali così parla il Signore: “ Ancora un poco e non mi vedrete più e ancora un poco e mi rivedrete (Gv.16,16). E di questa ora che egli dice: “ Voi piangerete e gemerete e il mondo godrà (Gv.16,20); parole che si riferiscono a questa vita piena di tentazioni durante la quale “ siamo pellegrini lontani dal Signore” (2 Cor.5,6) “ ma io vi vedrò di nuovo –aggiunge- e ne gioirà il vostro cuore, e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv.16,22).
DOMINICA IN ALBIS
II notturno
S.AGOSTINO
Sermo I in Octava Paschae qui est 157 de Tempore
Breviario Romano, Mattutino Letture del II Notturno
NELLE SUE APPARIZIONI GESU' RISORTO PROVA CHE IL SUO CORPO ERA DELLA STESSA NATURA DI PRIMA MA BEN ALTRIMENTI GLORIOSO ( S.GREGORIO MAGNO)
RispondiEliminaQuando ascoltiamo questa lettura del Vangelo una prima domanda si pone la nostra mente: come può essere il corpo del Signore, dopo la sua resurrezione, un vero corpo se esso ha potuto entrare nel luogo dove si trovavano i discepoli, benché le porte fossero chiuse? Dobbiamo tuttavia riconoscere che l’opera di Dio sarebbe meno mirabile se essa fosse interamente compresa dalla ragione e che la fede non avrebbe merito se la ragione umana fornisse la prova di ciò che ella crede. Occorre paragonare queste opere del nostro Redentore, che di per sé sono incomprensibili, a ciò che in altre circostanze egli opera, al fine di aumentare la nostra fede in queste cose ammirabili, per mezzo del ricordo di altri fatti ancora più meravigliosi. Così, questo corpo del Signore, che entrò nel luogo con le porte chiuse dove si trovavano radunati i discepoli è lo stesso corpo che, nella sua natività, venne al mondo senza violare il seno della Vergine Sua Madre. Quindi cosa vi è di strano se, dopo essere resuscitato per vivere eternamente, egli entra con le porte chiuse, lui che era venuto al mondo per morire, era uscito dal seno sigillato della Vergine?
Ma restando dubbiosa la fede di coloro che contemplavano questo corpo resosi visibile ai loro occhi, Gesù mostrò subito loro le piaghe delle sue mani e del suo costato; egli accordò loro di palpare questa carne con la quale, a porte chiuse, era entrato. In ciò il Signore ha fatto vedere due cose mirabili che, secondo la ragione umana, parrebbero contrarie l’una all’altra: egli ci ha mostrato il suo corpo risuscitato, incorruttibile e nondimeno palpabile. Perché ciò che può toccarsi è soggetto a corruzione e ciò che non si può corrompere non si può neanche toccare. Nel mostrarlo incorruttibile, egli ha voluto spronarci al premio, e permettendoci di toccarlo ha voluto affermare la nostra fede. Il Signore si è dunque mostrato incorruttibile e nello stesso tempo palpabile, al fine di provare che dopo la sua resurrezione il suo corpo era della stessa natura di prima ma ben altrimenti glorioso.
Gesù disse ai suoi discepoli: La pace sia con voi! Come il Padre mio ha inviato me così io mando voi (Gv.20,21). Come a dire, come Dio mio Padre ha inviato me, che sono Dio, allo stesso modo, io che sono uomo, invio voi, che siete uomini. Il Padre ha inviato il suo Figlio, di cui ha deciso l’Incarnazione per la redenzione del genere umano. Egli ha voluto che egli venisse al mondo per soffrire, e tuttavia egli amava questo figlio che destinava alla Passione. Ora il Signore, dopo aver scelto i suoi Apostoli, li invia nel mondo non per gustare le gioie del mondo, ma li invia, come Egli stesso è stato inviato, per soffrire. Il Figlio è amato dal Padre, e tuttavia inviato per soffrire; allo stesso modo i discepoli sono prediletti del Signore, che li invia nel mondo per trovarvi la sofferenza. E’ dunque con ragione che Gesù dice loro: “Come il Padre mio ha inviato me così io mando voi “. Il che significa: l’amore di cui io via amo, quando vi invio nei lacci dei persecutori, è quell’amore di cui mi ha amato mio Padre, lui che ha voluto che io venissi al mondo per sopportare la passione.
DOMENICA IN ALBIS
Gv.20,19-31
S.GREGORIO MAGNO
Homilia 26 in Evangelia
Breviario Romano, Letture del III Notturno
"NE MANDA PIÙ ALL'INFERNO LA MISERICORDIA DI DIO CHE NON LA SUA GIUSTIZIA". Sant'Alfonso Maria de' Liguori. La falsa e la vera misericordia di Dio.
RispondiEliminaEt misericordia ejus... timentibus eum, dice Maria SS. nel Magnificat. Oggi si fa un gran parlare della misericordia di Dio; la Domenica in Albis, la prima dopo Pasqua, oggi è anche la domenica della misericordia. Si vuol fare di Dio un buonista ed è per questo che si precisa poco quali siano le condizioni per ottenere misericordia. La prima, anche se non la più elevata, è l'aver il Timor di Dio che è l'inizio della Sapienza.
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Il Timor di Dio non ci fa peccare o ci fa uscire dal peccato. Chi fa un peccato mortale non ha il Timor di Dio, chi non esce dal peccato mortale non ha il Timor di Dio. Ancor di più, chi fa un peccato mortale, checché ne dica, non ha l'amor di Dio; il peccato mortale è, di fatto, un rifiuto pratico dell'amor di Dio.
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Comunque, se non abbiamo almeno il Timor di Dio non possiamo ottenere misericordia ed è per questo che sant'Alfonso Maria de' Liguori dice che : "Ne manda più all'inferno la misericordia di Dio che non la sua giustizia", perché molti sperano nella misericordia di Dio senza però aver il Timor di Dio che ci impedisce di peccare o ci fa uscire dal peccato.
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È vero che nell'orazione delle rogazioni la Chiesa ci fa dire "Deus cui proprium est misereri semper et parcere" (Dio, di cui è il proprio aver misericordia e perdonare) o nella Bibbia: "Dic ad eos: Vivo ego, dicit Dominus Deus, nolo mortem impii, sed ut convertatur impius a via sua, et vivat".
(Di a loro: Io vivo, dice il Signore Iddio, non voglio la morte del peccatore, ma che egli si converta e viva) Ezechiele, 33, 11.
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È vero che Dio vuol aver pietà di noi ma non contro la nostra volontà libera. Se noi liberamente abbiamo il Timor di Dio, l'amor di Dio, Dio avrà misericordia di noi. La libertà Dio ce l'ha data per fare liberamente il bene; se uno fa il male, e tutti, più o meno lo facciamo, non usa della libertà ma ne abusa.
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Sant'Agostino dice: "Dilige, et quod vis fac" (ama e fa' ciò che vuoi) nel senso che, se uno ama veramente Dio, non farà mai il peccato che è il rifiuto pratico dell'amor di Dio ed è ovvio che è un motivo più perfetto del Timor di Dio ma, almeno all'inizio, il Timor di Dio è sufficiente.
...segue
RispondiElimina---
Ecco il testo di sant'Alfonso Maria de' Liguori che parla di questo.
“Sant’Agostino dice che il demonio inganna gli uomini in due modi: con la disperazione e con la speranza. Dopo il peccato, tenta il peccatore alla disperazione con il terrore della divina giustizia; ma prima di peccare spinge l’anima al peccato con la speranza nella divina misericordia. Perciò il Santo ammonisce: «Dopo il peccato, spera nella misericordia, prima del peccato, abbi timore della giustizia». Infatti non merita misericordia chi si serve della misericordia di Dio per offenderlo. Dio usa misericordia con chi lo teme, non con chi si serve di essa per non temerlo.
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È difficile trovare una persona così disperata, che voglia veramente dannarsi. I peccatori vogliono peccare senza perdere la speranza di salvarsi. Peccano dicendo: «Dio è misericordioso; farò questo peccato e poi mi confesserò». «Farò ciò che mi piace, tanto Dio è buono»: cosi parlano i peccatori, come scrive sant’Agostino. Però tanti con questo modo di pensare sono finiti male. Dice il Signore: Non dire: «La sua misericordia è grande; mi perdonerà i molti peccati» (Sir 5,6). Non dire: «Per quanti peccati io possa commettere, con un atto di dolore sarò perdonato!» E perché? Poiché ci sono presso di lui misericordia e ira, il suo sdegno si riverserà sui peccatori. Dio pur essendo misericordioso, è anche giusto… Dio promette la sua misericordia a chi lo teme, non a chi abusa di essa. La sua misericordia si stende su quelli che lo temono (Lc 1,50), cantò la Madre di Dio. Agli ostinati Dio minaccia la giustizia. […]
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Insomma, dice San Paolo, non ci si può prendere gioco di Dio (Gal 6,7). Non si può offenderlo continuamente con proposito e poi pretendere il Paradiso. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato: chi semina peccati non ha motivo di sperare altro che il castigo da scontare nell'inferno. La rete con la quale il demonio trascina le anime all'inferno e l’inganno sibilato attraverso le parole: «Peccate pure liberamente, perché vi salverete nonostante tutti i peccati». Dio detesta la speranza di chi si ostina al peccato poiché la loro speranza è abominio. Una tale speranza provoca Dio al castigo, meritato da chi, abusando della sua bontà, lo ha offeso in tutti i modi".
S. Alfonso Maria de’ Liguori
Leggo che Wittgenstein maestro elementare a Trattenbach, nella Bassa Austria, "pregava ogni giorno con i suoi alunni, recitando il Pater noster, prima e dopo le lezioni, nonostante il suo capo d’Istituto, Josef Putre, non fosse affatto d’accordo".
RispondiEliminaSu questo fatto aveva ragione Putre? Wittgenstein era un pericoloso bigotto da eliminare? Aveva qualche Valditara ereditaria?
Rimango nel dubbio e faccio mia la frase - non di Putre -: «Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere».
RispondiEliminaL'assassinio di Giovanni Gentile
Un atto infame, compiuto dai terroristi del partito comunista, i c.d. "gappisti" (da: GAP, Gruppi di azione patriottica). Erano terroristi che operavano clandestinamente, tutti comunisti, secondo un sistema del terrore collaudato sin dai tempi della Rivoluzione russa del 1905 e perfezionato dai bolscevichi in seguito nonché dai partigiani jugoslavi. Si trattava di individui che vivevano in clandestinità, separati tra loro. Oppure avevano un mestiere di copertura. Gli ordini li dava il partito comunista clandestino. Colpivano in genere vittime disarmate, alle spalle, con la pistola.
Radio Bari, organizzata dagli inglesi, assieme a Radio Londra dava i nomi e gli indirizzi dei fascisti da uccidere. Il terrorismo diventò l'attività principale della Resistenza, rendendola militarmente del tutto secondaria, nello sforzo bellico alleato generale. Però servì a creare il clima di feroce guerra civile, voluto sia dai comunisti che dagli Alleati, per annientare completamente l'Italia.
Agli attentati e alle uccisioni seguivano le rappresaglie, bestiali e indiscriminate quelle dei nazisti, limitate ai soli partigiani o presunti tali o fiancheggiatori quelle dei fascisti. Comunque sempre odiose, in quanto rappresaglie che colpivano estranei al fatto. Ad esse Mussolini e altri capi fascisti si opposero per quanto poterono.
Gentile era un bersaglio inerme. Stava tornando alla villa che gli era stata messa a disposizione vicino a Firenze e il suo autista guardia del corpo era sceso ad aprire il cancello quando si avvicinarono 4 ciclisti e gli chiesero (a lui in macchina) se era G. Gentile. Lui rispose di sì e loro gli spararono a bruciapelo e fuggirono. Morì sul colpo. Furono tuttavia uccisi nei susseguenti rastrellamenti. La vedova di Gentile chiese non ci fossero rappresaglie e non ci furono.
Dopo l'8 settembre 43 Gentile voleva starsene in disparte ma Mussolini chiese personalmente la sua collaborazione alla Repubblica Sociale Italiana, fondata su "invito" di Hitler il 23 sett 43: non si poteva lasciare il Nord sotto il tallone dei generali tedeschi, con tanto di marco di occupazione etc (poi infatti sostituito dalla lira). Gentile per senso del dovere e patriottismo accettò e, pur difendendo la legittimità della RSI, fece pubblici interventi in favore della conciliazione nazionale.
Forse poteva continuare a recitare il Pater noster perche' non aveva "duemamme"che andavo a protestare dal Preside.
RispondiEliminaLa cultura della gauche arcobaleno? Cancellare il passato per nascondere il nulla del presente
RispondiEliminaI@C Non ci sono dubbi sul colore della cultura gauchista in epoca Schlein. Anzi, sui colori: quelli dell’arcobaleno. Un’immagine bella, affascinante, che piace ai grandi ed ai piccini. Ma effimera. Arriva dopo il temporale e poi svanisce. Impalpabile. L’unica differenza con la proposta culturale della sinistra arcobaleno è che quello vero piace a tutti, la cultura gauchista invece no.
Però bisogna ammettere che sono bravi. Che sono stati bravi in passato a costruire un sistema egemonico incontrastato. Valorizzando come maestri della pittura, della fotografia, della musica e della letteratura personaggi dalle qualità inesistenti. E sono bravi adesso a continuare ad utilizzare la loro rete di relazioni per difendere il nulla cosmico a livello intellettuale.
Una vera e propria impresa. Perché non è facile passare da Marx a Madame, da Gramsci ad Amadeus, da Marcuse a Michielin, persino da Guttuso a Floris o dall’ex fascista sansepolcrista Toscanini a Lilli Gruber. Però la rete ha sempre funzionato. Ha trasformato Bobbio in un grande pensatore, Obama in un pacifista, Veltroni in uno scrittore, le sardine in un movimento politico e Asia Argento in un’attrice.
Chapeau! Soprattutto perché gli stessi gauchisti hanno capito di essere ormai arrivati non solo alla frutta ma anche al caffè ed al pussacaffè. Dunque, non avendo più nulla da proporre, devono solo puntare alla distruzione della cultura altrui. E vai con la cancel culture, vai con il woke. Abbattiamo statue, correggiamo i libri degli autori scomparsi da decenni o da secoli, cambiamo la storia.
Facciamo casino, insomma, per nascondere il nulla che c’è alla base dell’arcobaleno. Mettiamo al bando il maschilista Canova ed il razzista Shakespeare perché, nonostante gli sforzi, non riusciamo ad inventarci uno scultore credibile di arte fluida e non riusciamo a trasformare Ariete in una cima del pensiero contemporaneo.
Resta solo la distruzione del passato e la rete protettiva contro eventuali incursioni di un presente politicamente scorretto.
RispondiElimina# Resta solo la distruzione del passato...
Ma questi distruggono anche e soprattutto il presente: con l'incoltura che seminano a piene mani - con il vizio contronatura che pure sponsorizzano in tutti i modi: la Schlein è lesbica convivente e fa ovviamente propaganda per il suo vizio e per l'utero in affitto (sul quale ci informa oggi il Giornale che l'omosessuale Nicky Vendola "sposato" - senza virgolette per il Giornale - con un uomo, ha per così dire ordinato un figlio da una donna americana, per una notevole somma di denaro - e se ne vanta il Vendola, ne parla come se si trattasse di un affare ben riuscito, un'opera benemerita per la donna..) - con il promuovere il femminismo in tutte le sue forme e insomma la decadenza dei costumi più completa - col favorire in tutti i modi l'invasione dei finti migranti, quasi tutti musulmani...
Ma quanti "progressisti" non postcomunisti e soidisants cattolici li appoggiano e sostengono, pochi forse?
E quanto dovrà durare questa oscena perversione del "matrimonio gay e saffico", con annessi e connessi, ON. Meloni?
Perché il suo governo non interviene? Resiste sull'utero in affitto e fa molto bene. Ma basta? Perché non cassa la legge sul riconoscimento delle coppie di fatto, esteso anche a quelle omosessuali?
Forse non può perché lei stessa vive in una posizione di coppia di fatto? Allora dichiariamo comunque che l'omosessualità non si può accettare, che deve esser bandita e cancelliamo la norma che la include tra le coppie di fatto tutelabili. Rompiamo l'omertà regnante sulle questioni etiche essenziali.
Troppo difficile e complicato?
Forse se lei si sposasse, possibilmente in chiesa, on. Meloni, dando il buon esempio, le cose si semplificherebbero, per quanto riguarda l'azione non più procrastinabile contro le aberrazioni morali che imperversano nella nostra società e in tutto l'Occidente.
Dobbiamo esser costretti ad aspettare il crollo della Sodoma e Gomorra sempre più soffocante che è diventata l'Unione Europea dall'avanzata sicuramente crudele e sanguinaria ma in questo caso catartica delle milizie di Putin?
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