Storia della difficile gestazione di Humanæ vitæ
don Jean-Marie Perrot
Tra i testi comunicati ai Padri dalla Commissione preparatoria prima dell’apertura del concilio Vaticano II, ve n’era uno, che rifletteva la dottrina tradizionale sul matrimonio, così come esplicitata da Pio XII negli anni precedenti. Ma tale testo ha risentito del rifiuto degli schemi preparatori ad opera dell’assemblea conciliare e non è stato mai discusso. Nell’ottobre 1964, un nuovo testo è stato presentato al dibattito pubblico, all’interno dello schema XIII, che sarebbe sfociato poi nella costituzione Gaudium et spes.
[Osservare attentamente l'immagine a lato. Paolo VI indossa l'ephod, simbolo del sacerdozio di Aronne, non di quello di Cristo (al centro in basso sporge dalla mozzetta). Infatti è il simbolo delle dodici tribù d'Israele, portato sul petto dal Sommo Sacerdote Caifa (qui - ha un emulo qui). -ndr]
L’offensiva «progressista» e l’intervento di Paolo VI al Concilio
In concreto, il testo è apparso «aperto», in quanto non riprendeva, di suo, la tradizionale gerarchia dei fini del matrimonio, gerarchia che subordinava il bene degli sposi alla fecondità. Il tema del matrimonio, così come altri, ha suscitato interventi risoluti e accesi. Così ha dichiarato il card. Suenens: «Vi supplico, fratelli. Evitiamo un nuovo “processo a Galileo”. Uno solo è sufficiente per la Chiesa». Si trattava, secondo lui, di elaborare un nuovo concetto di natura, in cui alla «crescita nell’unità coniugale» fosse accordato un posto «altrettanto imperativo» quanto quello accordato al tradizionale fine primo del matrimonio, quello della procreazione. Da parte sua, il cardinale Léger invitava a privilegiare, nel giudizio morale, «lo stato stesso del matrimonio» e di meno gli atti considerati nella loro singolarità. Quanto allo scollamento tra l’insegnamento del magistero e la pratica delle famiglie cristiane contemporanee, questo era stato sottolineato dal patriarca Maximos. Vi furono alcuni interventi, che si opposero, certo, a questi appelli ad una riforma della morale coniugale, ma furono minoritari.
Fu allora che, tramite una lettera del segretario di Stato, il cardinal Cicognani, Paolo VI chiese che si tenesse conto di quattro modi. Vi fu grande subbuglio sia riguardo alla sostanza delle richieste sia riguardo il loro carattere imperativo. Il primo dei modi richiedeva la seguente precisazione: «i mezzi anticoncezionali devono essere menzionati con riferimento a Casti connubii». Il secondo ristabiliva, benché in modalità minore, una distinzione tra i fini del matrimonio con la soppressione della parola «anche» in una frase del testo votato: «Il vero amore coniugale… tende anche a far sì che gli sposi siano pronti a cooperare all’amore del Creatore e del Redentore, che attraverso di loro amplia ed arricchisce ogni giorno la sua famiglia». Il terzo e il quarto volevano ricordare il carattere obbligatorio ed imperativo delle decisioni assunte dalla Chiesa pronunciandosi, così come la necessità della castità coniugale per superare le difficoltà. Secondo Padre Bernhard Häring, celebre autore del manuale di morale La loi du Christ [La legge di Cristo], poco sospettabile di conservatorismo, ma un poco stupefatto dagli intrighi anti-papali del «partito belga» (particolarmente attivo su questo tema), Paolo VI non fece altro che ristabilire il vero pensiero dei Padri, ciò che quanto scritto dal comitato di redazione aveva distorto in modo parziale ed eccessivo. Una mediazione, se così si può dire, fu condotta da mons. Garrone, il quale ottenne che le richieste di Paolo VI fossero sottoposte a discussione. Nel suo Journal du concile [Giornale del concilio], Padre de Lubac scrisse d’esser rimasto colpito dall’umiltà di Paolo VI, quando accettò questo compromesso, in un momento in cui regnava un’atmosfera pesante e talvolta tempestosa.
Alla fine, ci fu un testo di compromesso, come lo sono altri documenti conciliari, che i Padri hanno approvato e ratificato definitivamente: «Un amore coniugale vero e ben inteso, così come l’intera struttura della vita familiare che ne deriva, tendono, senza peraltro sottovalutare gli altri fini del matrimonio, a rendere gli sposi disponibili a cooperare coraggiosamente all’amore del Creatore e del Salvatore, che, attraverso di loro, vuole costantemente ampliare ed arricchire la propria famiglia» (Gaudium et spes, n. 50 §1). Un testo di compromesso, ma, forse soprattutto, dottrina o discorso (perché c’è materia di dottrina?, sostenevano alcuni) in attesa di una parola, quella di Paolo VI, che si era riservato il caso. Papa Paolo VI, in effetti, ha affidato il tema della regolazione delle nascite ad un gruppo di lavoro, presto una Commissione (già all’opera, con discrezione, da diversi mesi) e indicò come la decisione fosse a lui riservata. La costituzione pastorale Gaudium et Spes lo indicava, del resto, alla nota del paragrafo 51: quindi non si sapeva se la contraccezione chimica facesse parte o meno delle «vie che il Magistero disapprova».
Com’è andata a finire? Ad una manipolazione del concilio da parte di Paolo VI, come lamentavano alcuni? o del papa ad opera di una minoranza influente, secondo altri? Si è visto cosa ne pensasse Padre Häring; per Hans Küng, v’era là un esempio di permanenza dell’«assolutismo pontificio», che si sarebbe autodistrutto, del resto, qualche anno più tardi con la caricatura del «papa della pillola», ingiusta ma non del tutto immeritata.
La Commissione pontificia conquistata al fronte del cambiamento
Che cos’era dunque questa Commissione, di cui si suppone che il papa dovesse seguire le raccomandazioni? Inizialmente ridotta a sei membri, s’accrebbe successivamente di altri sette, poi di una quarantina d’esperti, tanto sacerdoti quanto laici, in tutte le discipline; ed, alla fine, di sedici cardinali e vescovi, incaricati di supervisionare i lavori e di condurli a termine.
Una volta saputo dell’esistenza della Commissione, il dibattito s’amplificò all’esterno, soprattutto perché fughe di notizie rivelarono alcuni documenti interni alla Commissione stessa come una chiara evoluzione della stragrande maggioranza dei membri a favore di un cambiamento nel linguaggio della Chiesa. Eppure, all’inizio, la sua composizione sembrava rappresentare diverse tendenze.
Ma è davvero così sorprendente? Hans Küng aveva ragione quando, ricevuto dal papa il 2 dicembre 1965, ha sostenuto che la grande maggioranza dei teologi – e che dire dei fedeli… – fosse a favore di un «avanzamento» alquanto sensibile. Se Padre Labourdette, uno dei tomisti della Commissione, era entrato in detta Commissione riluttante ad un’evoluzione per diventarne in seguito sostenitore, personalità di grande rilievo come Jacques Maritain, Charles De Koninck, Padre Journet e Padre Cottier erano già di quest’opinione. Anche se c’è da chiedersi – almeno alla luce dei testi del secondo e del quarto – se avessero ben capito cosa fosse la pillola contraccettiva, collocandola ben volentieri accanto ai metodi naturali di regolazione e distinguendola dagli altri mezzi contraccettivi artificiali. Il fatto che la pillola sia apparsa quasi in concomitanza coi loro testi spiega forse quest’oscillazione.
Infine, quando la Commissione ha concluso i suoi lavori nel giugno 1966, la partita sembrava vinta dal partito del cambiamento. I prelati han dovuto rispondere, in particolare, a due domande. La prima era: «È certa l’illiceità intrinseca di tutti gli interventi contraccettivi?»; quanto alla seconda, è stata formulata così: «La liceità dell’intervento contraccettivo, nei termini utilizzati dalla maggioranza dei teologi esperti della Commissione, può essere detta in continuità con la Tradizione e con le dichiarazioni del Magistero supremo?». Con una larga maggioranza di nove voti tanto all’una quanto all’altra domanda (più alcune astensioni, interpretate come più vicine alla maggioranza), essi hanno risposto di no alla prima e di sì alla seconda.
L’enciclica della discordia
Il tempo impiegato da Paolo VI per condannare la contraccezione chimica (quasi tre anni) viene talvolta paragonato a quello impiegato da Pio VI per condannare la Costituzione civile del Clero (otto mesi). Nel primo caso i tempi della titubanza sono stati più lunghi e quanto più difficile è stata la «sconfessione» dei coniugi, che avevano adottato tale pratica.
Nel luglio 1968, l’enciclica Humanæ vitæ prese in effetti in contropiede tali conclusioni, oltre alla pressione mediatica, giunta sia da parte di organi cattolici come l’ Ami du Clergé [L’amico del clero], che s’era fatto, del resto, zelante propagatore dei richiami all’ordine verso il Sant’Uffizio durante tutta la prima metà del secolo, sia da parte di pubblicazioni laiche come France-Dimanche, che il 16 luglio 1964 titolava: «Santo Padre, deve autorizzare la pillola».
Sembra che, a convincere Paolo VI, sia stato un rapporto presentato dal cardinale Ottaviani a nome della «minoranza»: questa dottrina, sosteneva, era stata presentata in maniera costante ed universale almeno dal 1816, data della prima risposta del Sant’Uffizio ad una domanda sull’argomento, qualunque fosse il mezzo utilizzato per impedire la fecondità dell’atto coniugale. Da allora, non si trattava di discutere del carattere infallibile o meno dell’enciclica Storia della difficile gestazione di Humanæ vitædi Pio XI, bensì di prender atto della continuità dell’insegnamento del magistero ordinario. La posizione tradizionale doveva essere accolta come una verità morale irreformabile.
Non è certo che, nella storia della Chiesa, vi sia stato un testo magisteriale accolto peggio, tanto denigrato e poco obbedito, ed alla fine così presto (volutamente) dimenticato, dell’enciclica Humanæ vitæ.
Se l’Africa e l’America latina ed, in misura minore, l’Asia gli riservarono un’accoglienza molto positiva, gli episcopati dei Paesi occidentali, con poche eccezioni (come la Spagna, l’Italia), rimasero quanto meno imbarazzati. Non era possibile opporsi frontalmente al documento; si cominciò pertanto ad evidenziare le osservazioni dispiaciute relative a fedeli disorientati dal testo: non fedeli già conquistati dal mondo, bensì coloro che si sforzavano di vivere seriamente la propria fede e che venivano gravati di un fardello per taluni insopportabile. Di conseguenza, in nome della sollecitudine pastorale verso tutti, ma soprattutto verso costoro, si sosteneva certamente l’enciclica, invocando però la possibilità per le famiglie di assumere in coscienza una decisione in disaccordo col discorso magisteriale, eventualmente su consiglio di un confessore attento e benevolo.
La nota pastorale dell’episcopato francese, pubblicata nel novembre 1968, seguiva questa linea:
legittimava la divergenza con la dottrina espressa nell’enciclica ricorrendo alla nozione di conflitto di doveri: non potendosi evitare uno dei due mali (o l’armonia di coppia, qualora si accetti la dottrina, o la disobbedienza, qualora la si rifiuti), «gli sposi si decideranno, al termine di una riflessione comune condotta con tutta la cura richiesta dalla loro vocazione coniugale»; e, se la scelta fosse quella della contraccezione, essi non manchino di restare disponibili alla chiamata di Dio, in una situazione differente. Così, senza rappresentare un bene, la decisione assunta dagli sposi di ricorrere alla contraccezione rimarrebbe un disordine, ma «non colpevole»...
Don Jean-Marie Perrot
Quelli erano anni quando la Rivoluzione camminava sottotraccia e molti ne erano già impregnati. Forse più che un concilio sarebbe stato opportuno indire un ritorno alle radici cattoliche con una chiamata alla missione universale secondo il lascito del Signore, dei Padri, della Tradizione, della storia della Chiesa.
RispondiEliminaInteressante articolo. Aggiungo da osservatrice, essendo psicologa, che nella vasta platea che si rivolge a me per affrontare problemi di coppia la percentuale di coloro che non usano la contraccezione di qualsiasi tipo è inferiore allo 0,5%. Nunzia
RispondiEliminaDato il gran parlare di sesso, i minori finanche prepuberi sanno anche più del dovuto e precocemente cercano di sperimentare la goduria magna. Nessuno che parli loro della castità, della verginità e di quale libertà e quale potenziamento ne nasca per la parte nobile dell essere umano. Se si abiutuassero i giovani a riconoscere le piccole eppoi le grandi tentazioni potrebbero piano piano conoscere il sistema del diavolo e non cascare nelle sue trappole che sempre vengono diffuse e messe in atto da uomini ormai suoi schiavi.
RispondiEliminaSACERDOZIO CATTOLICO
RispondiEliminaFra le varie vittime perite nell'affondamento del transatlantico Titanic, avvenuto nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1912, menzione d'onore per il sacerdote cattolico inglese Thomas Byles.
Nato anglicano, aderì alla Vera Fede e divenne sacerdote nel 1902.
Dovendo andare a celebrare il matrimonio di suo fratello, anch'egli divenuto cattolico, si imbarcò sul Titanic dove la mattina del naufragio officiò la Santa Messa e nella predica paragonò la preghiera e i sacramenti alle scialuppe di salvataggio.
La notte dell'affondamento rimase con i passeggeri della terza classe e rifiutò due volte un posto sulle scialuppe; rimase a pregare il santo Rosario con i naufraghi e numerosi ne confessò, morendo con loro, pastore del proprio gregge fino all'ultimo.
San Pio X lo definì martire della Chiesa.
Ricordo di aver visto un film che parlava credo di questo sacerdote, ma agli inizi si vede in crisi di fede e dedito agli alcolici, poi piano piano ritrova la sua fede e muore pregando insieme agli altri. Alcune scene le ricordo ancora, era in bianco e nero.
RispondiElimina"Se domandate a me quale sia la mia religione, io vi dico in tutta sincerità che io mi sento, e perciò credo di essere non solo cristiano, ma cattolico...La nostra vita non è tutta nostra, ma nostra e d'altrui, e a noi spetta di custodirla e conservarla, per quanto è da noi, come deposito sacro da restituire."
RispondiEliminaIl 15 aprile 1944, da mano partigiana, veniva ucciso a Firenze Giovanni Gentile, ministro e politico ma soprattutto filosofo e pedagogista italiano, che ricordo con queste sue citazioni...eterna memoria!
"Il secolo liberale dopo aver accumulato un'infinità di nodi gordiani, cerca di scioglierli con l'ecatombe della guerra mondiale. Mai nessuna religione impose così immane sacrificio. Gli dei del liberalismo avevano sete di sangue ? Ora il liberalismo sta per chiudere le porte dei suoi templi deserti perché i popoli sentono che il suo agnosticismo nell'economia, il suo indifferentismo nella politica e nella morale condurrebbe, come ha condotto, a sicura rovina gli Stati."
"Se domandate a me quale sia la mia religione, io vi dico in tutta sincerità che io mi sento, e perciò credo di essere non solo cristiano, ma cattolico. Perché cristiano, l’ho detto. La religione cristiana è la religione dello spirito, per la quale Dio è spirito; ma è spirito in quanto l’uomo è spirito; e Dio e uomo nella realtà dello spirito sono due e sono uno: sicché l’uomo è veramente uomo soltanto nella sua unità con Dio: pensiero divino e divina volontà. E Dio da parte sua è il vero Dio in quanto è tutt’uno con l’uomo, che lo compie nella sua essenza: Dio incarnato, fatto uomo e crocefisso. Perché cattolico? Perché religione è chiesa; come ogni attività spirituale (scientifica, filosofica, artistica, pratica) è universale, propria di un soggetto che si espande all’infinito: comunità illimitata, nella quale il mio Dio è Dio se è Dio di tutti. L’errore della Riforma, come videro bene i nostri pensatori del Rinascimento, fu quello di aver voluto fare della religione un affare privato di quel fantastico individuo, che non è uomo, spirito, ma un semplice fantoccio d’uomo collocato nella spazialità e temporalità della natura. Tant’è vero che ogni cristiano, che voglia essere puro cristiano, è portato per la natura stessa dello spirito a fare proseliti, a far setta, a creare una chiesa: e cioè ognuno è cattolico a modo suo. Cattolico, s’intende, di una chiesa che come ogni società abbia un ordinamento e un’autorità che lo faccia valere: diciamo pure un papa. Un papa, un’autorità che approvi o condanni; e un sistema da cui il suo operare tragga norma e valore"
"La nostra vita non è tutta nostra, ma nostra e d'altrui, e a noi spetta di custodirla e conservarla, per quanto è da noi, come deposito sacro da restituire."
RispondiElimina# "un disordine, prendere la pillola, ma "non colpevole"..."
Quando si dice l'ipocrisia di certi teologi fedifraghi..
L'invasione afro-asiatico-musulmana, di fatto incontrollabile per classi dirigenti e popoli così corrotti come i nostri, è il castigo che il Signore ci infligge, assieme ad altri, per la nostra ipocrisia, per la nostra mancanza di fede, la nostra infingardaggine, il nostro edonismo. Adesso quelli che sbarcano manco ci ringraziano, anzi, fanno capire che la nostra terra è già loro.
E se uno non combatte per difendere la casa e la terra sua dall'invasore, allora deve rassegnarsi a diventare servo dell'invasore o ad essere ucciso. Giusto, no?
Ma non tutti sono arroganti. Vero. Però:
detto musulmano: "bacio la mano che non posso tagliare".
L'articolo avrebbe anche potuto ricordare il vulnus inflitto al matrimonio cattolico dall'art. 48.2 della Gaudium et spes: "Per la sua stessa natura l'istituto del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento". Il loro "coronamento" ("iisque veluti suo fastigio coronantur"). Vista la finezza? Il fine primario (procreazione ed educazione della prole) e quello secondario (remedium concupiscentiae) sono azzerati nella nozione ambigua di "coronamento", fastigium, che entrambi li ricomprende.
Sufficiente però a cancellare, per chi lo voglia, la procreazione come fine in assoluto primario del matrimonio.
La critica al Concilio che pur appare in questi articoli è abbastanza approfondita?
Forse no.
T.
RispondiEliminaAddendum:
In sottili ma essenziali deformazioni della vera e millenaria dottrina cattolica, in questo caso sul matrimonio, come quella sopra citata di Gaudium et spes 48.2 (forse in futuro bollata come 'errore del fastigium'), vedo l'azione dello Spirito Maligno nel Concilio, la sua diabolica sottigliezza, tramite la volontà perversa di alterare l'autentica dottrina della Chiesa dimostrata dai "nuovi teologi", censurati in vari modi regnante Pio XII, immessi invece in gran numero nelle Commmissioni conciliari da Giovanni XXIII, il "buon papa Giovanni".
Le conseguenze di questa piccola fessura nella definizione del matrimonio cattolico, non sono state forse enormi, enormemente negative?
Cosa si aspetta ancora ad esigere che si apra un discorso critico sul Vaticano II?
T.